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lunedì 4 settembre 2017

IL MAESTRO E MARGHERITA - Michail Bulgakov


Mentre in rete imperversava l’ennesima polemica sulla lettura e ruolo formativo dei classici (nel caso ve la foste persa: è uscito un articolo sul Il fatto quotidiano in cui Francesco Musolino ha chiesto a dieci giovani scrittori italiani quale classico non hanno letto. Un articolo più o meno ironico, molto breve, da cui sono nate accuse di ignoranza verso tutti i giovani scrittori, schieramenti, insulti e ritrattazioni varie, nonché, ovviamente, almeno altri tre articoli), io mi sono finalmente decisa a leggere Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov.

Sì, sono arrivata a trentadue anni senza mai aver letto quello che è considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.

I motivi sono diversi.  Il primo è che ho un rapporto un po’ altalenante con i classici: ne ho letti in passato e li leggo ancora adesso, ma non così di frequente. Credo che i classici abbiano ancora tanto da dire (forse una definizione di classico è proprio questa: un romanzo che, per forma e contenuti, resiste al passare del tempo), ma che non si possa leggere solo quelli. Devono essere in qualche modo complementari ai romanzi moderni e considerando quanti libri interessanti escono ogni giorno, fatico sempre un po’ a ricavare del tempo per leggere libri del passato.

Il secondo è che leggere i classici mi spaventa un po’. Quando tutti di un libro dicono che è un capolavoro io ho sempre paura ad approcciarmici. E se poi a me non piace? E se poi io non ci trovo nulla di quanto è stato esaltato quasi da tutti? Da un lato penso “vabbè, pazienza”, dall’altro però è bastato vedere che cosa ha scatenato quella polemica di fine estate di cui si parlava prima, per capire che ci sono romanzi che sembrano quasi intoccabili. Li devi aver letti e ti devono assolutamente essere piaciuti. 
Questa paura si amplifica quando si parla di romanzo russi. Ho studiato Anna Karenina senza mai averlo letto nella sua interezza. Ho letto tutto Delitto e Castigo ed è stata una mezza sofferenza che ha quasi azzerato la mia voglia di riprovarci ancora.

Però era da un po’ di tempo che Il maestro e Margherita mi stava quasi perseguitando. Da quando ho letto questo bellissimo articolo di Serena Daniele per la rubrica "Libri tanto amati" sul blog di Giacomo Verri, è iniziata a venirmi un po’ di curiosità. Curiosità che è aumentata, dopo aver visto che Bookriot ha inserito il romanzo di Bulgakov tra i dieci romanzi che meglio incarnano la definizione di realismo magico, fino al punto da dover assolutamente rimediare questa lacuna dopo aver sentito da più fronti, anche quelli meno dittatoriali riguardo alla lettura di certi libri, che sì, forse avrei dovuto leggerlo.
E quindi in un caldo pomeriggio d’estate ho deciso che era arrivato il momento di Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. 

La trama è nota a tutti. Il maestro del titolo è uno scrittore che è stato emarginato dalla Cultura ufficiale sovietica dopo aver scritto un romanzo su Ponzio Pilato, di cui è stata rifiutata la pubblicazione. Il maestro ora vive in un manicomio e di lui sembra ricordarsi solo la bella Margherita, la sua amante.
Nel frattempo, in città è arrivato Voland, il diavolo, che sta per celebrare un sabba. Deve però trovare la donna giusta per parteciparvi. Nell’attesa di incontrarla, accompagnato dal gatto Behemot e da un altro aiutante, stravolge la vita di chiunque incontri in città. La strada di Voland incrocia poi quella di Margherita e, di conseguenza, anche quella del maestro.
In parallelo si legge poi la storia di Ponzio Pilato, quella raccontata nel libro del Maestro. Un racconto nel racconto, che all’inizio lascia un po’ interdetti (nel romanzo compare prima questa storia del personaggio del maestro), ma che poi, con lo stratagemma del racconto nel racconto, man mano che si procede con la lettura acquisisce un senso.
A queste due vicende principali se ne intersecano poi altre: piccole trame minori, a volte anche solo semplici episodi, che servono a tratteggiare le caratteristiche di Voland e il ruolo che il diavolo può avere nella società.

Non ho impiegato molto tempo per leggere Il maestro e Margherita. E, probabilmente, se non avessi letto la prima edizione con la prima traduzione (a opera di Maria Olsoufieva), il tempo di lettura sarebbe stato ancor più breve. Perché sì, pur essendo un romanzo russo, Il maestro e Margherita è scorrevole e in molti punti anche molto divertente.

A quasi due settimane dalla fine della lettura, però, ancora non riesco a stabilire se questo romanzo mi sia piaciuto o meno. Un senso di inquietudine molto forte, infatti, ha iniziato a pervadermi già dopo poche pagine dall'inizio. Un effetto che Bulgakov è stato bravissimo a trasmettere e che è ovviamente una parte integrante del romanzo e della sua bellezza, che però forse su di me ha un effetto non del tutto positivo.

Questa sensazione, quasi di paura, non se ne è andata nemmeno nei giorni successivi e anche adesso che ci ripenso per scrivere, rimane dominante rispetto a tutto il resto. Rispetto alla genialità di Bulgakov nel creare queste trame e incastrarle tra loro; rispetto al divertimento di alcune scene e alla bellezza di alcuni personaggi (ovviamente sono innamorata del gatto Behemot… che, ahimè, nella traduzione in cui ho letto io il romanzo si chiama ancora Ippopotamo); rispetto persino alla storia d’amore tra il maestro e Margherita, disposta a tutto pur di riabilitarlo.

Scultura dedicata ai protagonisti di Il maestro e Margherita, a Mosca (Fonte: Ruslan Krivobok/RIA Novosti)
È la figura di Voland, ovviamente, ad avermi creato tutta questa inquietudine. Questo diavolo che arriva in incognito e fa da un lato scherzi quasi simpatici, dall’altro funeste e angoscianti previsioni di morte. Questo diavolo che deve celebrare un sabba (una scena abbastanza cruenta, per quanto mi riguarda) e che fa sfilare le sue vittime davanti a una regina, perché illustrino le loro terribili pene. 
Questo diavolo che ha potere di vita e di morte su tutti quelli che incontra e che è potrebbe essere ovunque, in mezzo ai protagonisti ma anche in mezzo a noi, senza che ce ne rendiamo conto.

In questo personaggio e in tutte le sue implicazioni sta tutta la bravura di Bulgakov, ne sono più che consapevole. Ma sta anche tutto quello che in me ha causato un’inquietudine talmente profonda da farmi quasi chiedere chi me l’abbia fatto fare di leggere finalmente questo libro, perché non so quando questa sensazione se ne andrà. Un libro che provoca tutto questo è sicuramente un capolavoro e, se torniamo alla definizione di classico detta all’inizio, ovvero un romanzo che avrà sempre qualcosa da dire nonostante gli anni che passano e i tempi che cambiano, sicuramente Il maestro e Margherita è un classico, forse addirittura IL classico.

Però, forse, non è quello che fa per me.

Titolo: Il maestro e Margherita
Autore: Michail Bulgakov
Traduttore: Maria Olsoufieva
Pagine: 410
Anno di pubblicazione: 1973
Editore: Garzanti
Acquista su amazon:
formato brossura: Il Maestro e Margherita

domenica 19 gennaio 2014

Riflessioni casuali e, forse, senza senso sul perché arrivo sempre tardi a certi libri.

C'è poco da fare, noi lettori siamo persone strane. Cioè, tutte le persone sono un po' strane, e la maggior parte delle volte è proprio questa stranezza a renderle uniche e belle. Però secondo me, noi lettori a volte raggiungiamo dei livelli tali di stranezza che sorge spontaneo farsi delle domande.
Questa mia considerazione nasce dal fatto che sto leggendo, alla veneranda età di 28 anni e mezzo, il mio primo Murakami. Ancora non so dire se mi stia piacendo o meno (per ora ho letto solo una cinquantina di pagine), ma comunque, finalmente, anche io, lo sto leggendo. Era una mancanza che mi disturbava un po', devo essere sincera, perché tutti ne parlano benissimo, tutti, persino i lettori meno accaniti, hanno letto almeno un libro di Murakami nella vita, e sarebbe forse uno dei premi Nobel più popolari della storia, se mai si decidessero di assegnarglielo (secondo me, sia lui sia Roth, non lo vedranno mai).
Eppure, non riuscivo a decidermi di leggerlo. Non mi veniva proprio voglia. E non era la profondità o i temi trattati a non ispirarmi (non ho mai avuto particolari problemi a leggere libri seri o "mattoni"), c'era dell'altro, che onestamente non riesco a spiegarmi.
Paura forse? Non tanto di non capirlo (se è così famoso e diffuso, vuol dire che non è scritto in modo poi troppo criptico), quanto di non capire il perché del suo successo. Non vi capita mai? Vi tenete lontani da autori, anche quelli che tutti vi dicono che "dovete" (il "dovete" tra lettori accaniti non è un dovere di imposizione ma un dovere da "non sai che cosa ti perdi") assolutamente leggere. A me succede spesso, spessissimo e con diversi autori.
© Dan Casado
Con i classici, ad esempio, il mio rapporto è più o meno lo stesso. So che dovrei leggerli (e vorrei anche, davvero), ma allo stesso tempo qualcosa mi ci tiene lontana. E' l'universalmente riconosciuto come bello, che un po' mi spaventa forse. "Ecco, e se poi a me non piace?". Non cascherebbe il mondo, lo so. Ma un po' di soggezione mi rimarrebbe comunque. Onde evitarla, evito questi libri.

Non è assolutamente una questione di pregiudizi. O meglio, in alcuni casi sì. "Non mi ispira per niente". "Mi sta talmente antipatico lui/lei che non mi vien voglia di leggere i suoi libri" (ogni riferimento a Baricco è puramente casuale). Pregiudizi difficili da superare e che so che spesso mi precludono la lettura di bei romanzi. E' che i libri sono un po' come le persone secondo me, il primo impatto, anche superficiale, è importante e può condizionare, nel bene o nel male, il nostro rapporto con loro.

La stessa cosa che provo per Murakami mi era capita anche con Jonathan Franzen. Ho rimandato la lettura di Le Correzioni talmente tanto a lungo, che credo il libro abbia lasciato la sua impronta indelebile sul comodino. Poi è arrivato il momento giusto, ho messo da parte tutte le mie paure e, come volevasi dimostrare, ho letto uno libro bellissimo, che mi è piaciuto tantissimo, dandomi della stupida per aver aspettato così tanto (poi ho fatto più o meno la stessa cosa con Libertà, anche se alla fine mi è piaciuto un po' meno).
Tornando un attimo a Murakami, posso anche dire a mia discolpa di non essere una grande fan della letteratura giapponese e orientale. Non che abbia mai letto molto, eh. Però, ad esempio, la Yoshimoto mi annoia tantissimo. Credo sia una questione di predisposizione mentale. La stessa, ad esempio, che mi porta  a preferire e a leggere i classici della letteratura spagnola e non quelli della letteratura russa, o a non amare molto la narrativa francese contemporanea e il suo modo un po' altezzoso di esprimersi.  E' una cosa, questa sorta di personale selezione "naturale", che reputo abbastanza normale. Non si può leggere tutto od obbligarsi a farlo, anche se si è accaniti lettori. Si deve provare, certo, ma nemmeno poi insistere così tanto se alla fine uno genere, o uno stile, o un'epoca proprio non ci aggradano. E insistere non fa che peggiorare le cose, secondo me. "Non puoi non leggere i russi". Sì che posso, invece.
Anche perché, pensandoci bene, questo vale anche fuori dal mondo dei libri. C'è chi sogna di vivere in Giappone e chi in Argentina (io! io! io!). Chi di fare il coast to coast degli Stati Uniti e chi perdesi sull'Himalaya. Poi certo, c'è anche chi vorrebbe fare tutte le cose, visitare tutti i posti possibili. Ma per mancanza di tempo, di soldi, o di quel che volete, alla fine viene naturale fare delle scelte, delle "selezioni". Inizio con il fare questo, poi se avanzo tempo faccio anche altro. Inizio con leggere tutti i sudamericani che mi capitano a tiro, poi quando ho tempo provo anche i giapponesi.

Non so bene cosa proverò andando avanti con la lettura di Norwegian Wood di Murakami: mi piacerà, non mi piacerà? Arriverò alla fine entusiasta o farò parte di quella minoranza a cui non è piaciuto (ripeto, non è che questo mi cambi poi la vita, ho adorato libri che altri hanno odiato e viceversa)? Però ecco, non posso dire di non averci almeno provato, di aver tentato di superare uno scoglio, forse immaginario, che immaginavo di avere nella mia vita di lettrice.

Uhm, rileggendo il post non so bene quanto senso abbia. M'è venuto così, per sfogare e in qualche modo festeggiare la lettura del mio primo Murakami. D'altronde, che noi lettori siamo un po' strani l'ho detto fin dall'inizio. Figuriamoci i lettori blogger.

mercoledì 6 febbraio 2013

TESS OF THE D'URBERVILLES. A pure woman - Thomas Hardy

Nelle campagne dell'Inghilterra vittoriana cresce Tess, creatura incantevole e pura. Ma né la sua bellezza, né l'innocenza la salveranno da un destino di brucianti passioni. Per Alec d'Urberville, bello, ricco, potente e nobile: il seduttore al quale la giovane sembra legata da un vincolo più forte di ogni disperazione, più forte di ogni sentimento. E per Angel Clare, l'amore di gioventù appena intravisto, a lungo sognato, posseduto, perduto, ritrovato. Degradazione e alti ideali ha messo il destino sulla strada di Tess. Ma non sempre è così facile distinguerli...

Lo so, giusto l'altro giorno vi avevo detto che tendo a non rileggere libri che ho già letto in passato, se non in casi davvero eccezionali. Però dai, trovare a gratis in lingua originale uno dei proprio classici preferiti, credo possa rientrare in questa categoria. E quindi l'ho scaricato e l'ho riletto...

Ho conosciuto questo romanzo grazie alla mia professoressa di inglese del liceo che era riuscita, con la sua appassionata spiegazione, a farmene innamorare. E spesso mi capita di chiedermi perché altri classici della letteratura inglese sono così diffusi e conosciuti (quasi "di moda" verrebbe a dire), mentre altri, altrettanto meritevoli, sono ignorati dai più. Tess è uno di quei romanzi che a mio avviso, almeno qui in Italia, non ha il successo e il seguito che meriterebbe. In molti l'hanno sentito nominare, per carità, però sono pochi quelli che lo hanno effettivamente letto. Forse lo stile di Hardy, molto descrittivo e con un narratore un po' particolare, non attira i più. Forse non è ambientato nel periodo giusto o la trama, almeno a prima vista, può lasciare un po' perplessi. Non saprei davvero darmi una spiegazione...

Ammetto però che mi dispiace, perché io adoro questo libro e la sua disgraziata protagonista con tutta me stessa. Una giovane donna, Tess, una ragazza innocente e pura, in balia dei sentimenti e delle situazioni in cui spesso si ritrova suo malgrado, a causa di due uomini (lasciatemelo dire, uno più stronzo dell'altro).
C'è Alec D'Urberville, tra le cui grinfie Tess finisce quasi per caso, dopo aver scoperto che la sua famiglia è imparentata con questi D'Urberville: l'idea dei genitori della ragazza è quella di mandarla lì a lavorare e poi, chissà, a sposarsi con qualche gentiluomo. Tess non può dire di no: il padre è troppo malato, la madre è sempre incinta e l'unica fonte di sostentamento della famiglia, un cavallo, è morto in un incidente per causa sua. Ben presto però dovrà trovarsi a fronteggiare i tentativi di seduzione, sempre più diretti, di Alec, che vorrebbe aggiungerla alla sua collezione di donne. Tess farà di tutto per resistere, ma invano.
Dovrà tornare a casa e nascondere in qualche modo la sua vergogna più grande. Difficile, in un paesino di campagna dove tutti parlano e tutti giudicano. Tess partirà di nuovo, per andare a fare la mungitrice in una fattoria lontana, dove nessuno sa nulla di lei né del suo passato. Qui conoscerà Angel, bello come il nome lascia presupporre, di cui si innamorerà ricambiata perdutamente. Tess prova a respingerlo, invano, e i due si sposeranno prima che lei riesca a rivelargli il suo segreto. Lo farà, la prima notte di nozze. E lui la lascerà sola, incapace di accettare e perdonare il passato. Tess si ritrova di nuovo suo malgrado a dover affrontare la vita e tutte le difficoltà che questa le mette davanti da sola, a causa di una colpa che la perseguiterà per sempre. Tornerà a farsi vivo Alec, forse pentito di quello che aveva fatto e ancora innamorato di lei. Tess, ancora una volta cercherà di resistere. E ancora una volta sarà invano.
Però poi Angel torna... e di colpo tutti i sensi di colpa, il dolore, le ingiustizie subite prenderanno il sopravvento, portando la ragazza a compiere un ultimo gesto disperato.

Non so dirvi onestamente perché ami così tanto questo romanzo. Solitamente personaggi come quello di Tess mi verrebbe da prenderli a schiaffi, da urlare loro di reagire e di non cedere. Eppure in lei c'è qualcosa che rende il suo destino inevitabile, come se fosse segnato e come se nessuna sua reazione diversa da quella che ha avuto potesse cambiare nulla. A schiaffi invece, e senza nessuna scusante, prenderei invece Angel, a mio avviso vero responsabile di tutte le sofferenze e i problemi della donna. Su Alec preferisco non esprimermi invece, perché nonostante sia alla terza lettura ancora non sono riuscita a farmi un'idea precisa (stronzo è stronzo eh... però secondo me sul finale si riprende).
Mi piace molto il modo utilizzato da Hardy per descrivere tutto questo: espressioni, parole che dimostrano una forte empatia per la ragazza (per quello difficilmente può risultare antipatica) e una forte critica nei confronti del destino che a volte si accanisce contro chi non se lo merita.

Insomma, se non avete mai sentito parlare di questo romanzo o se lo conoscete ma non l'avete mai letto, vi consiglio davvero di dargli un'opportunità. Perché se la merita davvero!

Titolo: Tess of the D'Urberville- A pure woman
Autore: Thomas Hardy
Pagine: 384
Anno di pubblicazione: 1891
E-book in lingua originale gratuito: Tess of the D'Urberville

sabato 17 marzo 2012

THE WONDERFUL WIZARD OF OZ - L. Frank Baum

Dalla grigia prateria del Kansas, un poderoso ciclone trasporta la piccola Dorothy con tutta la sua casa fino al meraviglioso regno di Oz: questo è l'inizio di uno dei classici della letteratura per ragazzi più letti e amati di tutti i tempi. Tra streghe cattive e streghe buone, in compagnia dell'allegro cagnolino Toto, Dorothy si incamminerà verso il terribile e potentissimo mago, il solo che possa esaudire il suo desiderio di tornare a casa. Al suo fianco, memorabili personaggi come lo Spaventapasseri, alla ricerca di un cervello, il Boscaiolo di Latta, senza cuore, il Leone Codardo, alla ricerca del coraggio. Tra incontri straordinari e divertenti avventure, Dorothy arriverà alla splendida Città di Smeraldo, al termine di un viaggio che riserva ancora incredibili sorprese.

Lo so, lo so... arrivare a quasi 27 anni senza aver mai letto Il Mago di Oz non è proprio una cosa di cui andare fieri, ancor più che è considerato un grande classico per bambini. Ho visto il film parecchie volte, canticchio spesso "Somewhere over the rainbow", e due anni fa quando sono andata a Londra sono andata a vedere il musical "Wicked", una specie di "spin off" di questo romanzo (e di nuovo durante la lettura mi sono ritrovata a canticchiare tutte le canzoni)
E ora finalmente sono riuscita a leggere il libro originale.

Un libricino carino, destinato a un pubblico bambino ma che comunque fa riflettere anche gli adulti, e che trasmette un sacco di valori: l'amicizia, il dover credere in se stessi, la bontà e la gentilezza. Ovviamente ci insegna tutto questo in modo allegorico: c'è un leone fifone, uno spaventapasseri che sogna di avere un cervello, un uomo di latta che altro non desidera che un cuore per amare ed essere amato. Ci sono quattro streghe, due buone e due cattive, un mago che adora il verde e animali e creature del bosco che interagiscono con i vari personaggi.
E poi c'è Dorothy, finita in questo paese incantato trasportata da un tornado, e che cerca in ogni modo di tornare in Kansas, suo paese natale. L'unico modo per riuscirci è quello di andare a trovare il Mago di Oz, un mago potentissimo. Inizia così un viaggio, in compagnia dello spaventapasseri, del leone e dell'uomo di latta, che hanno deciso di andare a chiedere al mago quel che loro manca di più.
In questo loro tragitto incontreranno molti personaggi, affronteranno pericoli e avventure, e a poco a poco acquisteranno da soli quel coraggio, quel cuore e quel cervello che tanto gli mancano.

E' una storiella che si legge veloce e che probabilmente senza il famoso film con Judy Garland non si sarebbe convertita in un classico. E sarebbe stato proprio un peccato.

Un appunto e un consiglio. L'appunto: il film è abbastanza fedele al romanzo, anche se qualche episodio è stato tagliato. La cosa che non riesco a capire è perché nel romanzo le famose scarpe della strega cattiva dell'est sono argento mentre nel film diventano rosse.
Il consiglio: se passate da Londra, andate all'Apollo Victoria Theatre a vedere il musical "Wicked". Prima dell'inizio dello spettacolo forse vi domanderete se spendere 70 £ non sia stato un po' troppo, ma appena si spegneranno le luci in sala vi accorgerete quanto ne sia valsa la pena!


Per acquistare il libro in lingua originale: The Wonderful Wizard of Oz (PENG.POPULAR CL)

Per acquistare il libro in traduzione italiana: Il mago di Oz (Classici)

giovedì 4 novembre 2010

IL MONDO NUOVO- Aldous Huxley

L'autore prefigura nel primo romanzo una società pianificata in nome del razionalismo produttivistico, votata all'assoluta perfezione.


Un romanzo che racconta di una futura società utopistica, nel filo di 1984 di Orwell o "Fahrenheit 451" di Bradbury. Questi libri sono accomunati dalla creazione di una società che ci rende tutti uguali, che vede nella cultura il pericolo di ribellione, perchè la cultura fa pensare.
Il perno di Brave New World (scusate, me lo ricordo con il titolo originale) è una società basata sulla felicità e la stabilità, in cui dolore, sofferenza, peccato, morale e tutto quello che ci può portare a riflettere su questi sentimenti è completamente abolito. Il sesso è visto solo esclusivamente con il fine del piacere e non per procreare (perchè ci sono delle macchine per farlo, che creano delle sorte di cloni, appartenenti a classi diverse e con felicità diverse in base alla loro evoluzione), la parola "madre" e "moglie/marito" sono delle più scandalose che si possano pronunciare e la solitudine, che tende a portare a pensare, è mal vista e combattuta in tutti i modi. Una società basata sul piacere dei sensi, che porta alla felicità, una felicità che non può essere messa in dubbio e che viene protetta, anche con l'uso di droghe per non vedere sentimenti negativi.
E quando John, il Selvaggio, nato da una donna di questa società persasi durante una vacanza nella riserva, va per la prima volta in questo nuovo mondo, non può che uscirne sconfitto, così come le uniche due persone che l'hanno sempre pensata come lui.
E' un libro particolare, che non so dire bene quanto mi sia piaciuto. E' una società utopistica che impressiona un po', forse ancora di più del Grande Fratello di 1984. Si basa sulla ricerca di felicità e stabilità, due cose che onestamente sarebbe stupido negare che tutti cerchiamo. Ma come dice il Selvaggio, non c'è felicità senza infelicità, e la felicità e la stabilità preconfezionate non sono altro che vacue e fasulle.
Fa sicuramente impressione pensare che questo libro, scritto negli anni '30, tratti così liberamente il tema della sessualità, del sesso come piacere e quindi non c'è nulla di immorale ad avere più compagni, così come il tema della clonazione, di essere che nascono in bozzoli, tutti uguali.
Però manca a mio avviso una struttura narrativa completa, una storia che faccia appassionare. Insomma, non è 1984.

Nota alla traduzione: terribile. semplicemente terribile. Rimane la stessa impressione già espressa per Fahrenheit 451... Mondadori, spendi un po' di soldi e fai ritradurre sti classici, perchè nel 2010, tradotti così, sono semplicemente illeggibili.

domenica 19 settembre 2010

I NOSTRI ANTENATI- Italo Calvino

Un'armatura vuota animata da uno spirito invisibile che riesce a farsi accettare tra i Paladini di Carlo Magno, un visconte diviso a metà da una palla di cannone che si scinde in una parte buona e in una cattiva, un barone che, per sfuggire a un rimprovero, si rifugia sopra un albero e passa in mezzo agli alti rami tutta la sua esistenza.


25 anni fa oggi moriva Italo Calvino, uno dei maggiori scrittori e intellettuali italiani. E considerando che il nome di questo blog prende ispirazione da un suo romanzo, non potevo oggi non recensire qualcosa di suo. Ho scelto I Nostri Antenati, una raccolta di tre romanzi (Il Visconte Dimezzato, Il Barone Rampante, Il Cavaliere Inesistente), che ho letto quando ero più piccola e che mi sono rimasti nel cuore. Difficile dire qual è il mio preferito: il visconte Medardo di Terralba, diviso in lato buono e lato gramo da una cannonata turca, che così separato gira il mondo e conosce nuove cose. Il barone rampante, che per non sottostare alle leggi e alle imposizioni del mondo reale, decide di salire su un albero e di vivere lì per sempre, in un metaforico distacco da un mondo che non gli piace. E poi Il Cavaliere Inestistente, il mitico Agilulfo, un nobile paladino vestito di una bianca armatura, un eroe di guerra che in realtà non esiste. Tre personaggi, tre metafore e critiche al mondo moderno, troppo chiuso in stereotipi e preconcetti.
Il bello di questa raccolta è che in base all'età in cui la leggi, cambia il tuo modo di percepirla. Da bambina, quando l'ho letto la prima volta, vedevo solo la "favola", il buffo e l'ironico delle vicende (insomma, tutti almeno una volta da piccoli abbiam sognato di andare a vivere su un albero o abbiam pensato a se mai esistesse questa divisione netta a metà tra bene e male). Leggendolo poi dopo si coglie altro, si coglie la critica di Calvino, la metafora che sta dietro a tutti i suoi personaggi, chi senza corpo, chi senza coscienza, chi in cerca di fuga da un mondo che gli sta stretto. Insomma, è una di quelle raccolte che andrebbe letta periodicamente, a distanza di qualche anno. Ogni volta si coglie qualcosa di diverso. Fatelo!

venerdì 3 settembre 2010

FAHRENHEIT 451- Ray Bradbury

In un'allucinante società del futuro si cercano, per bruciarli, gli ultimi libri scampati a una distruzione sistematica e conservati illegalmente. Il romanzo più conosciuto del celebre scrittore americano di fantascienza.

Non so come mai, ma i romanzi "utopici" o "distopici" mi piacciono molto. Quei romanzi che parlano di come sarà il nostro futuro, se proseguiamo sulla strada che stiamo seguendo. E non per niente 1984 è uno dei miei romanzi preferiti.
Fahrenheit 451 mancava stranamente alla mia collezione. Incredibile, ancor più che si tratta di un inno ai libri e alla cultura in generale come unico modo per sfuggire da una vita pilotata e gestita da altri. Ed è proprio per questo che ci sono dei vigili del fuoco che appiccano incendi nelle case che contengono libri, e ci sono segugi meccanici che inseguono i sovversivi. Perchè pensare può essere pericoloso. E quindi chi pensa, e le cose che danno modo di pensare, vanno fatte sparire.
E' triste pensare che la società descitta in questo libro, scritto nel 1953, non sia poi così lontana da quella verso cui ci stiamo muovendo(soprattutto qui in Italia), con la televisione che la fa da padrone e il mettere a tacere chi ha il coraggio di pensare e riflettere.
E mi ha fatto sorridere pensare che io (così come tutti i lettori di questo blog), farebbero parte dei sovversivi, condannati a vivere lungo le rotaie abbandonate del treno ricordandosi a memoria i libri affinchè non vengano dimenticati.
E il finale, in cui si esprime la consapevolezza che il mondo è consapevole dei suoi sbagli, perchè sono sempre gli stessi che andranno avanti a ripetersi finchè non si capirà, è veritiero e per questo angosciante.

Nota alla traduzione: ma come è possibile che questo libro venga ancora venduto con una traduzione del 1975? Una traduzione che è invecchiata (ma che secondo me avrei giudicato mal fatta già allora) e che rovina il libro, rendendolo a tratti illeggibile.
Considerando che si tratta di un classico, che di soldi direi che gliene ha fatti guadagnare... potrebbero investirli anche in una nuova traduzione.