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domenica 14 ottobre 2018

RICOMINCIARE... in compagnia di Bill Bryson

Come forse avrete notato, da qualche tempo qui sul blog sono un po’ latitante. Non pubblico niente dal 28 settembre e anche nei mesi precedenti i post sono stati molto risicati. I motivi sono tanti, più o meno importanti e più o meno validi, e altrettanto è il dispiacere per non riuscire più a trovare l’entusiasmo e la passione di un tempo nel mettermi qui a parlare di libri.

©Allissa Chan
Il primo motivo è sicuramente il lavoro. Gli ultimi mesi, fortunatamente, sono stati piuttosto pieni: due grosse traduzioni, una marea di schede di lettura per i vari editori con cui collaboro, qualche editing... e, insomma, non credo sia poi così difficile capire perché, nel tempo libero, la voglia di mettermi a leggere e a scrivere di libri scarseggiasse un po’.

Poi c’è inevitabilmente anche un po’ di stanchezza. La lettrice rampante sta per compiere nove anni (il primo post è del 24 ottobre 2009) e nel mondo dei blog sono davvero tanti. Molte, moltissime cose sono cambiate da allora nel modo di parlare di libri in rete. Intanto, i blog sono aumentati in modo esponenziale e poi, a poco a poco, sono di nuovo diminuiti. Altri mezzi di comunicazione (Facebook prima, Youtube e Instagram adesso) hanno preso il sopravvento, rendendo siti come il mio forse un po’ obsoleti e meno immediati e fruibili, più per gli irriducibili romantici (o per logorroici come me, che proprio non riescono a parlare di un libro tramite una semplice foto o una stories di trenta secondi). Inoltre, i blog e i blogger sono spesso vittima di attacchi più o meno giustificati da più fronti (altri giornalisti, scrittori, etc etc...) che a lungo andare fanno passare un po’ la voglia: “i blogger sono al soldo degli editori”, “tutti i blogger fanno marchette”, “i blogger non fanno mai stroncature per non perdere i favori di chi gli manda i libri, “i blogger copiano semplicemente le quarte di copertina e non leggono davvero i libri”, "i blogger sono brutti e non ci considerano", “e allora i blogger?” (scusate, questa non c’entra, ma non ho resistito), e così via...  credo sia abbastanza facile capire quanto fastidioso possa essere ritrovarsi inclusi in queste generalizzazioni quando non se ne ha mai fatto parte. In linea di massima, passata l’incazzatura iniziale nel leggere costantemente queste cose, me ne sono sempre fregata e ho continuato per la mia strada (e come me, moltissimi altri blogger che le marchette non le fanno), ma sicuramente mi ha dato di che riflettere.

E poi be’, il motivo più grande che sta condizionando tutta la mia vita negli ultimi mesi, e quindi inevitabilmente anche la voglia di sedermi a un pc e scrivere, è che sto ancora cercando di capire come riprendermi da un duro colpo emotivo, che mi ha completamente svuotata. A giugno è improvvisamente mancata mia madre. Nonostante siano passati quasi quattro mesi, dirlo e scriverlo mi riesce ancora parecchio difficile. Forse perché non ho ancora realizzato del tutto. Forse perché l’ho realizzato fin troppo e ce l’ho così costantemente in testa in ogni secondo della mia giornata che almeno ogni tanto vorrei provare a non pensarci (a non pensare che a trentatré anni non ho più i genitori, a non pensare a tutta la sfiga che ha colpito la mia famiglia e alla spada di Damocle che sembra pendere su noi figli rimasti, a non pensare a tutto quello che abbiamo fatto e non faremo più e a quello che non abbiamo avuto il tempo di fare). E un po' anche perché per carattere non sono solita parlare pubblicamente delle mie emozioni, anche perché so che tutti hanno le proprie tragedie più o meno grandi da affrontare.

Insomma, i motivi della mia incostanza sono diversi e, tutti insieme, negli ultimi tempi mi hanno portato spesso a riflettere se abbia ancora senso continuare. È vero che il blog non è un obbligo, che non ho scadenze, che è una cosa che faccio per passione e quindi se pubblico due post a settimana o uno al mese non cambia di nulla, ma vederlo così abbandonato a se stesso mi dispiace molto. Ma dispiacerebbe anche scrivere post solo per non lasciarlo vuoto, senza l’entusiasmo e la cura che ci ho messo negli anni (si vede, secondo me, quando si scrive tanto per farlo, e mi ha sempre messo una certa tristezza.
Al netto di tutte le riflessioni, però, non credo che riuscirei a stare senza La lettrice rampante. È una parte di me. È una parte che mi ha accompagnata per tanti anni, che mi ha dato grandi soddisfazioni, che mi ha permesso di esprimermi per iscritto dove dal vivo per timidezza non sono mai riuscita ad arrivare. Mi fa fatto trovare diversi lavori e mi ha fatto conoscere un sacco di persone, vicine e lontane, che probabilmente non avrei mai conosciuto e con cui si è creato un bel legame.
Quindi no, non sono ancora pronta ad abbandonare questo blog al suo destino. E anche se non credo ce ne sia bisogno vi chiedo pazienza (non credo ce ne sia bisogno, perché immagino che voi non stiate lì a chiedervi ogni giorno “sì, ma quando esce un nuovo post della lettrice rampante? Che cavolo!”) e io proverò a far tornare questo blog un po’ più attivo, per parlare e sproloquiare di nuovo di libri per voi e soprattutto con voi.

E per non far sembrare questo post come un mero elenco di lamentele e piagnistei, ricomincio subito, consigliandovi un libro che mi ha tenuto compagnia nelle ultime settimane, di un autore a cui ricorro spesso quando ho il blocco del lettore e mi sembra di non aver voglia di leggere niente: Notizie da un grande paese di Bill Bryson.


Il libro, pubblicato in Italia da Guanda nel 2017 con la traduzione di Isabella C. Blum, raccoglie gli articoli che il buon vecchio troll Bill ha scritto sul supplemento Night & Day del giornale Mail on Sunday, tra l’ottobre del 1996 e il maggio del 1998. 
Sono brevi articoli di costume sulla vita e la società americana, viste da un uomo che ritorna nel suo paese dopo aver vissuto per anni all'estero. Bill (lo chiamo per nome perché in qualche modo lo considero un amico) si ritrova quindi ad affrontare tutte le differenze tra USA e Regno Unito, ma anche una serie di stranezze, peculiarità e abitudini tipicamente americane, che lui spesso trova incomprensibili e che quindi lo fanno tanto ridere.

In Gran Bretagna, per esempio, la pubblicità di una capsula per il raffreddore prometteva soltanto di farvi sentire un po' meglio. Avrete ancora il naso rosso e ve ne starete ancora in vestaglia, ma tornerete a sorridere, benché mestamente.
In America, la pubblicità dello stesso prodotto garantiva un sollievo totale e istantaneo. Dopo aver assunto il miracoloso composto, l'americano non solo gettava la vestaglia e tornava immediatamente al lavoro, ma si sentiva meglio di come si sentisse da anni, e concludeva la sua giornata alla grande, in una sala da bowling.

Pur percependosi chiaramente che si tratta di articoli vecchi, ambientati in un'epoca diversa dalla nostra (vent'anni sembrano pochi, ma in realtà per l'evoluzione di una società non lo sono per nulla) questi articoli fanno tanto ridere anche il lettore, grazie soprattutto a fantastico spirito di osservazione dell'autore. 
E poi la copertina italiana è davvero stupenda. Quindi, leggete Bill Bryson!


Titolo: Notizie da un grande paese
Autore: Bill Bryson
Traduttore: Isabella C. Blum
Pagine: 361
Editore: Guanda
Prezzo di copertina: 19,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Notizie da un grande paese
formato ebook: Notizie da un grande paese

martedì 11 settembre 2018

Il mio Festivaletteratura di Mantova 2018

Si è conclusa domenica sera la XXII edizione del Festivaletteratura di Mantova. Il comunicato stampa ufficiale degli organizzatori parla di 62 mila biglietti staccati e circa 60 mila presenze agli incontri gratuiti, confermando così i numeri della passata edizione.
Un successo quindi, mi sento di dire, soprattutto tenendo conto della differenza ben evidente tra il programma di quest’anno e quel del 2017, che si componeva di grandi, grandissimi nomi (soprattutto della letteratura nordamericana) che quest’anno, invece, scarseggiavano un po’. Ma credo che il Festivaletteratura di Mantova, per come è strutturato, per la bellezza della città e la sua incredibile capacità di fondersi con il festival e di accogliere chi va a visitarlo, riuscirebbe ad attirare gente anche invitando dei completi sconosciuti.



Noi siamo stati solo due giorni quest’anno, rispetto ai tre che avevamo previsto, ma sono stati sufficienti per confermare il Festivaletteratura come il mio evento letterario nazionale preferito in assoluto (almeno di quelli che ho visto finora, mi manca ancora Pordenonelegge e Una marina di libri).
Come ho già detto diverse volte, adoro l’atmosfera, adoro sedermi al bar e vedere gli scrittori passeggiare o fermarsi a un tavolo vicino, adoro i saluti per strada più o meno frettolosi con persone che magari vedi solo una volta l’anno o che non hai mai avuto occasione di incontrare prima (Cristina, Altea, Mascia, Sara, Elena e tutti gli altri... è stato un vero piacere!), adoro spostarmi da un posto a un altro per gli eventi (anche se Palazzo San Sebastiano se sta diluviando e tu hai l’auto lungo il Mincio è lontanissimo), adoro l’essere all’aperto e non in padiglioni claustrofobici, adoro fermarmi a riposare su uno degli sgabelli sotto la tenda Sordello, adoro il cibo... insomma doto il Festivaletteratura.

Nonostante il primo impatto con il programma per me sia stato un po’ meno entusiasmante rispetto all’anno scorso, alla fine abbiamo partecipato a diversi eventi, tutti molto interessanti.
Il primo è stato giovedì sera, subito dopo aver mangiato il risotto alla Pilota (risotto con la salsiccia mantovana... tanta roba), con John Niven e Peter Florence a Palazzo San Sebastiano.


Niven mi piace da matti, perché è esattamente la persona che ti aspetti che sia leggendo i suoi romanzi. Un po’ stronzo e senza problemi ad ammetterlo, ma anche simpatico, con la battuta pronta e ricco di aneddoti da condividere. Anche se il libro di cui si è parlato, Invidia il prossimo tuo, non è il mio preferito, è stato comunque un incontro divertente e a tratti anche illuminante.

Il venerdì è cominciato con un bel giretto alle bancarelle dei libri usati sotto i portici di Palazzo Ducale, un appuntamento fisso del Festival nonché una tappa imprescindibile per ogni appassionato.



Poi ci siamo spostati nel cortile di Palazzo Castiglioni (che è forse la location più bella in assoluto di tutto il festival) con Bianca Pitzorno che, insieme a Federico Taddia, ha parlato del libro più divertente che ha letto: Il piccolo scapolo di Pelham G. Wodehouse.
La Pitzorno, che io conosco per lo più come scrittrice per bambini (Sulle tracce del tesoro scomparso è uno dei miei libri preferiti di quando ero ragazzina) ma che ha scritto anche molti romanzi per adulti, si è interrogata sulle sorti della scrittura umoristica, ormai sempre meno diffusa, e sull’importanza di leggere sempre ma con il dovuto distacco (per non fare la fine di Emma Bovary o Don Chisciotte), raccontando anche nel mentre buffi aneddoti sulla sua infanzia.



Subito dopo pranzo (e che pranzo, mamma mia: affettati con mostarda mantovana, tortelli di zucca e torta sbrisolona con zabaione) ho rotolato di nuovo verso palazzo San Sebastiano, per l’incontro con Tom Drury e Luca Briasco.
Da Mantova per un momento ci siamo ritrovati nella Grouse County, dov’è ambientata la trilogia di questo scrittore americano, che secondo me purtroppo qui in Italia non sta ancora avendo tutto il successo che si meriterebbe. L’incontro si è concentrato per lo più su Pacifico, l’ultimo volume della trilogia, ma Drury ha parlato anche dell’evoluzione dei personaggi e della sua scrittura nel corso del tempo.




Alle 21.30 è toccato poi a Andrew O'Hagan che, con Carlo Annese, ha parlato del suo La vita segreta – Tre storie vere dell’era digitale, edito da Adelphi.
Un incontro interessante (penalizzato un po’ dal luogo infausto... se palazzo Castiglioni è la location più bella del Festival, l’aula magna dell’università è senza alcun dubbio la più brutta) sull’uso e sui pericoli della rete, partendo dai suoi incontri con Julian Assange e Satoshi Nakamoto, e da un suo inquietante esperimento sui social.



Sabato mattina abbiamo fatto in tempo ad andare a vedere Gianrico Carofiglio in tenda Sordello, che in mezz’ora ha parlato di una sua mania: le arti marziali.
Ho perso di vista Carofiglio come scrittore da quando è passato a Einaudi, devo dir la verità. Per quanto amassi Guido Guerrieri (un’altra mia grande cotta letteraria insieme a Rocco Schiavone), leggere i suoi romanzi senza il blu Sellerio non mi piaceva più tanto. Seguo però Carofiglio su twitter e apprezzo tantissimo tutta l’opposizione che sta facendo a questo governo (uno dei pochi scrittori che ci sta mettendo la faccia) e quindi volevo andarlo a sentire. L’incontro è stato davvero divertente, lui sa come parlare in pubblico e come intrattenerlo, anche quando non si parla specificatamente di libri.



Poi, a causa di un falso allarme felino (Luna, la gatta di casa, deve aver fatto festa quella notte e al mattino, quando sono venuti a darle da mangiare, anziché fare le caprioline come fa sempre è rimasta addormentata nella cuccia... da lì al “oddio, Luna sta malissimo” il passo è breve, soprattutto se sei un po’ ansioso. Per fortuna stava benissimo, aveva solo sonno), siamo tornati di corsa a casa.

Nonostante la partenza un po’ affrettata, è stato comunque un bel Festival. La prossima edizione si terrà dal 4 all’8 settembre 2019. Io spero di riuscire ad andarci anche il prossimo anno. E se mi permettete un consiglio, se siete amanti dei libri e degli incontri (ma anche delle belle cittadine e del cibo) almeno una volta ci dovreste proprio andare anche voi.

martedì 15 maggio 2018

Il mio SalTo 2018

La trentunesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino si è conclusa ieri sera ed eccomi a tentare di raccontarvi com'è stato. Dico tentare, perché è sempre difficile riuscire a trasmettere all'esterno quello che si vive là dentro.



Pare sia stata, come sempre, un’edizione di successo. L’edizione dei record, la chiamavano già ancor prima che iniziasse, per via di un overbooking che sicuramente fa piacere dal punto di vista della voglia di partecipare ma che ha penalizzato quei poveri editori (paganti) che sono finiti nel Padiglione 4, il tendone surriscaldato creato in extremis per ospitare tutti. 
A parte questo problema, ben evidente a tutti, il Salone è grossomodo sempre uguale. Anche il numero di visitatori, stando al comunicato stampa ufficiale di chiusura, non è poi variato di molto: l’anno scorso erano stati 143.815 i visitatori unici, quest’anno sono stati 144.386. Numeri belli alti, per un paese in cui si dice che i libri non interessano a nessuno... bisogna poi solo capire se agli ingressi corrispondono anche le vendite da parte degli editori, ma dubito che si verrà mai a sapere.

È cambiata un po’ la disposizione degli stand, per fare posto ai grandi editori che, dopo il forfait dell’anno scorso, sono ritornati nei padiglioni del Lingotto. Non sono invece cambiate le code, né quelle per la sicurezza (ingestibili solo i primi giorni, in realtà, perché io il sabato e la domenica sono entrata senza alcun problema e con un’attesa massima di dieci minuti) né quelle per gli eventi (che, almeno nel mio caso, fungono un po’ da selezione naturale e stabiliscono il vero grado di interesse per quell'evento: c’è coda e ho voglia di farla? Quell'evento per me è imperdibile. C’è coda e uff, che palle! Vabbé, faccio altro).

Eppure, pur essendo tutto sommato un’edizione uguale a tutte le altre, devo ammettere che quest’anno ho provato un po’ meno entusiasmo del solito. Forse perché è un periodo che lavoro un po’ troppo e sono un po’ stanca, ma quest’anno l’atmosfera del Salone, anche una volta dentro, passato il primo istante di “finalmente eccoci qui”, l’ho sentita meno. E, in generale, credo che ci fosse un po’ meno vivacità da parte di tutti.

In ogni caso, ho assistito a eventi molto belli (pochi, ma buoni) e soprattutto, e questo sì che mi è piaciuto!, ho chiacchierato, riso, scherzato e abbracciato tante, tantissime persone. Alcune che vedo ogni anno solo al Salone, altre che non vedevo da tanto, altre ancora a cui finalmente sono riuscita a dare un volto dopo tante interazioni virtuali. Mi ripeterò, lo so, ma la cosa più bella del Salone è soprattutto questa: le persone. I saluti e i sorrisi al volo in mezzo ai corridoi, ma anche le chiacchiere in coda o appoggiati devastati a una colonna. Le foto, le battute, le risate, i pettegolezzi, i “come va?”, i “che bello conoscerti!”, i caffè, i barattoli di pesto e i saluti impacciati che però fanno sempre un immenso piacere. 
 E ve lo dico da timida e insicura, da ragazza che prima di trovare il coraggio di avvicinarsi e salutare qualcuno ci deve pensare un po’, a volte troppo al punto che poi quel qualcuno da salutare non c’è più (un esempio tra tutti: sono rimasta dieci minuti buoni allo stand delle edizioni e/o a fissare Eric-Emmanuel Schmitt e cercare il coraggio di avvicinarmi e salutarlo e chiedergli l’autografo. E poi niente, sono scappata).

Ma parliamo un attimo degli eventi a cui ho assistito. Quest’anno l’unico per cui ho deciso che valeva la pena davvero fare la coda è stato Fernando Aramburu. Sarà che ero in buona compagnia (ciao Veronica, è stato un vero piacere!), sarà perché ho amato Patria come era tanto tempo che non amavo un libro… non lo so, però l’ho fatta volentieri e la rifarei ancora adesso. Credo sia stato uno degli incontri più belli a cui abbia mai assistito in tutti questi anni di Salone. Si è parlato di ETA, ovviamente, ma anche del ruolo che la letteratura e gli scrittori in generale dovrebbero avere nel raccontare le storie, soprattutto quando si tratta di fatti reali: secondo Aramburu non devono tanto concentrarsi e interessarsi al “cosa”, perché il cosa si trova in tutti i libri di storia, ma al come, per dare veramente voce a chi un periodo storico l’ha vissuto sulla sua pelle. (Tra l'altro al pomeriggio proprio Aramburu con il suo Patria ha vinto il Premio Strega Europeo)
Paolo di Paolo, Fernando Aramburu e Maria Ida Gaeta. In piedi, l'interprete nella lingua dei segni, una cosa molto bella di questa edizione del Salone. 

Il giorno precedente, il sabato, ho partecipato insieme a un gruppo di adolescenti all'incontro con il fumettista Sio, che da quando scoperto ogni mattina è quasi sempre il fautore della mia prima (e a volte anche unica) risata quotidiana. Lui è esattamente come i suoi fumetti: apparentemente demenziale e assurdo ma in realtà geniale.

Il fumettista Sio che presentava "La Genda sCOMIX"
Sempre il sabato, sono andata a un incontro alla libreria La Luna’s torta durante il quale la casa editrice NN si è presenta e ha raccontato la sua storia. L’evento faceva parte del programma del Salone OFF, gli eventi collaterali al Salone che si tengono ogni anno in giro per Torino proprio negli stessi giorni. E, devo ammettere, non sono ancora così convinta che sia una buona idea. Se sono dentro al Salone devo uscire, spostarmi per la città e poi magari rientrare (e se non si ha il pass, pagare di nuovo il biglietto) se voglio assistere a un altro evento interno al Salone. Mi sembra un metodo un po’ dispersivo, che va a discapito degli eventi OFF, ovviamente.

La domenica, invece, oltre al già citato Aramburu, ho partecipato all’incontro con Tristan Garcia, scrittore francese pubblicato in Italia da NN editore, di cui sta per uscire il nuovo romanzo: 7. Una sala piena, anche in questo caso, pur essendo uno scrittore forse non così conosciuto. Ed è stato bello e interessante.
Poi sono andata alla presentazione di Kaiser di Marco Patrone, edito da Arkadia edizioni, e a quella di Holden & Company. Peripezie di letteratura americana da j.d. Salinger a Kent Haruf di Luca Pantarotto, ovvero mio marito, che è stato presentato in anteprima proprio al Salone ma che ufficialmente uscirà, per aguaplano, il 22 maggio.



Alla fine sono tornata a casa con cinque libri. Sono pochi, mi rendo conto, ma poco è anche al momento il mio tempo per leggere, mentre molto alta è la pila di libri in attesa. Però, insomma, pochi ma direi molto buoni:



E ora non ci resta che aspettare l’edizione dell’anno prossimo che, salvo imprevisti, si terrà dal 9 al 13 maggio.

lunedì 12 marzo 2018

La mia giornata a Tempo di Libri 2018

Come avevo annunciato, sabato 10 marzo sono stata a Tempo di libri, la fiera internazionale del libro di Milano, che quest’anno, per la sua seconda edizione, si è tenuta a Fieramilanocity.
E questo è già stato un punto a suo favore, perché questo spazio espositivo è dentro Milano, facilmente raggiungibile con ben due linee della metropolitana (viva la Lilla, ché è tutta lilla!) al prezzo del biglietto urbano (mentre l’anno scorso, per andare a Rho, si pagavano cinque euro solo di trasporti).
Sono arrivata addirittura prima dell’apertura. Il mio pass blogger mi ha consentito di non fare la coda fuori alla pioggia e poi di valicare i tornelli proprio alle 10 in punto, così da vedere la fiera vuota e nella sua interezza. 



La primissima nota dolente, almeno dal mio punto di vista, è il fatto che i due padiglioni che ospitavano gli stand e le sale degli incontri fossero su due piani diversi, separati da una specie di balconata intermedia da dove si entrava in fiera e poi si sceglieva se scendere al padiglione 3 o salire al 4. Per buona parte della mattinata, dovendo passare rapidamente da un incontro all’altro (ovviamente su livelli diversi), ho avuto l’impressione di vivere sulla scala mobile (sentendomi a tratti anche un po’ scema, devo dir la verità). Questa divisione, inoltre, faceva forse sembrare la fiera molto più ridotta di quanto non fosse realmente. Mi rendo conto che se gli spazi espositivi sono quelli non ci si può fare molto, ma l’ho trovato in qualche modo un po’ penalizzate.

Di positivo, positivissimo, invece, c’era l’atmosfera. Chiunque abbia partecipato anche all’edizione dell’anno scorso non può non aver notato l’enorme differenza: non c’era più un’aria di catastrofe imminente, quell’ansia da prestazione che, almeno in parte, ha un po’ penalizzato la prima edizione. Forse si è finalmente capito, da una parte e dall’altra, che la contrapposizione con Torino è insensata e inutile, oltre che penalizzante per entrambe. Insomma, quest’anno Tempo di libri era una normalissima fiera del libro, con stand, tante sale per gli incontri e un programma tutto sommato abbastanza ricco, anche se forse puntava più su personaggi acchiappafolle che non su scrittori veri e propri.

Foto scattata dalla scala mobile in discesa, un minuto dopo le 10 (è per questo che non c'è ancora nessuno)
Tutti gli eventi a cui ho partecipato io erano comunque strapieni. Si è riempita la sala Bianca, alle 10.30, per parlare di traduzione in un appuntamento organizzato da Amazon publishing (sì, a Tempo di libri c’è anche lo stand di amazon, due in realtà: uno dell’editore e uno dedicato ad audible); si è riempito a mezzogiorno l’incontro con Marco Missiroli che raccontava il suo rapporto con Dino Buzzati, così come era tutto esaurito anche un altro incontro dedicato alla traduzione, nel pomeriggio, organizzato dal Master in editoria della Cattolica (tra gli ospiti, qui c’era Roberta Scarabelli, che ha raccontato come è stato tradurre Origin di Dan Brown, chiusa per due mesi in un Bunker a Barcellona insieme agli altri traduttori). L’ultimo mio incontro della giornata è stato quello con Rosella Postorino e Massimo Recalcati, ancora più pieno di tutti i precedenti, con anche una lunga coda per entrare decisamente mal gestita. (Peccato che l’incontro in sé non sia riuscito così bene e più che invogliare alla lettura di un libro decisamente molto bello l’abbia un po’ scoraggiata).

Per quanto riguarda gli stand, come è risaputo, la maggior parte erano di grandi editori. Non ho mai capito onestamente quanto senso abbia comprare un libro di un grande editore in una fiera, pagando sia il biglietto d’ingresso sia il volume a prezzo pieno. Forse l’offerta, molto più ampia rispetto a quella che si trova solitamente in libreria; forse la bellezza (sicuramente d’impatto) di vedere tutti quei libri messi insieme in contesti e luci particolari (non ho ancora deciso se lo stand Rizzoli, per esempio, mi piaccia da matti o mi sembri una sala operatoria)… insomma, gente comunque ce n’era. Così come ce n’era tanta, tantissima negli stand di alcuni editori indipendenti. A parte NN, lo stand che per doveri coniugali ho monitorato con più costanza, mi ha fatto davvero piacere vedere alcuni espositori sommersi di lettori: è il caso per esempio di Triskell edizioni che, al mattino, quando sono passata io a salutare, era letteralmente invaso. In generale, comunque, il sabato di gente in giro ce n’era eccome.
È un peccato che l’angolo dedicato ai libri antichi non sia stato invece valorizzato a dovere. Pur essendo segnalato, in modo in realtà non molto chiaro, sulla mappa quasi non si sapeva che ci fosse (ecco, la segnaletica di TdL è davvero qualcosa su cui bisogna lavorare). Noi ci siamo capitati quasi per caso… ed è un vero peccato perché negli stand dei Librai antiquari si ha la possibilità di vedere delle vere e proprie meraviglie.

Come in tutte le fiere, però, la cosa più bella in assoluto sono le persone. I “ci vediamo per un caffè?”, i “passo a salutarti, dove sei?”, i "come ti riconosco?" e “oddio, che bello, finalmente ci conosciamo!”, insomma… il poter scambiare saluti, sorrisi, chiacchiere con persone che magari conosci solo in rete a cui puoi finalmente dare un volto. Da questo punto di vista, per me, è stata davvero una bella giornata. Ho scambiato due chiacchiere con alcuni uffici stampa con cui ho sempre interagito solo via mail; ho salutato altre blogger, che conoscevo solo su facebook; ho parlato con altri traduttori e con amici virtuali che in quel momento diventano reali; e sono stata persino intervistata da due carinissime ragazze del master di Editoria dell'Università Cattolica, con le quali il reciproco imbarazzo è stato cancellato da una marea di risate (e spero vivamente di aver detto anche cose intelligenti).
Non faccio l’elenco delle persone che ho visto perché ho paura di dimenticarmene qualcuna e mi dispiacerebbe molto. Però è stato bello, davvero, e mi ha fatto un piacere immenso, oltre a farmi capire ancora una volta quanto forte sia il potere dei libri.

Insomma, a me questo Tempo di libri è piaciuto molto. Certo, alla sera, dopo dieci ore lì dentro non ne potevo più (nonostante i caffè e i dolcini buonissimi della Sala Stampa), e non oso immaginare cosa sia per un editore, magari uno piccolino, dover fare quegli orari (è davvero necessario tenere una fiera aperta fino alle 22?). Però, secondo me quest’anno, alla seconda edizione, si è dimostrato che anche Tempo di libri ha un suo perché, una sua identità (ancora migliorabile, sicuramente) e che può coesistere tranquillamente con tutte le altre fiere. Ora bisogna vedere cosa succederà al BookPride il fine settimana del 23, 24 e 25 marzo… ma essendoci là solo editori indipendenti, con un programma dedicato, un nuovo direttore, ed essendo a ingresso gratuito, non credo che abbia niente da temere, perché il pubblico è in buona parte diverso.

L’unica grande, grandissima pecca è che non ho comprato niente. 

mercoledì 18 ottobre 2017

Il mondo è bello perché è vario (e anche i libri)

Ieri a Londra è stato assegnato il The Man Booker Prize for Fiction, il premio che ogni anno viene dato al miglior romanzo in lingua inglese.
A vincerlo è stato George Saunders con Lincoln in the Bardo (pubblicato in italiano da Feltrinelli con il titolo Lincoln nel Bardo). È il primo romanzo di questo scrittore americano, finora conosciuto per le sue raccolte di racconti (pubblicate in Italia da minimum fax), ed è stato accolto dalla critica e dai lettori in modo ambivalente.
C’è chi lo ha amato tantissimo, apprezzandone l’originalità stilistica e il modo in cui è stato sviluppato il tema della morte, del passaggio nell'aldilà e del dolore sia di chi se ne va sia di chi resta. C’è chi invece lo ha trovato un romanzo furbo, senza in realtà alcuna originalità, a tratti confusionario e caotico. E, ancora, c’è a chi non è piaciuto perché non ci ha ritrovato il Saunders dei racconti. 
Io appartengo alla prima categoria: ho trovato questo romanzo originale sia per il modo in cui è scritto (fonti storiche inventate si alternano a dialoghi per far progredire la storia) sia per le emozioni che mi ha suscitato. 
Però è la terza categoria quella che mi interessa ai fini di questo post. “Non mi è piaciuto perché non ci ho ritrovato il Saunders dei racconti” o, parlando più in generale di tutti i libri, “Non mi è piaciuto perché non era quello che mi aspettavo”.

Quanto sono importanti le aspettative che i lettori hanno verso un libro nell'apprezzare o meno il libro stesso? 

©Julio Antonio Blasco
Mi è capitato spesso di iniziare le mie recensioni dicendo che per un dato libro avevo aspettative molto alte e poi di confermare o meno se quelle aspettative erano state soddisfatte. 
D'altronde perché scegliamo di leggere un determinato libro o un determinato autore? Perché per qualche motivo, sensato o meno (a volte, per me, può bastare anche la copertina), ci ha attirato; perché ne abbiamo sentito parlare bene da altri; perché lo pubblica un editore che non ci ha mai deluso; o magari semplicemente perché abbiamo già letto qualcosa di quell'autore o di quell'autrice, ci era piaciuto e quindi abbiamo deciso di leggere anche le produzioni successive.
Le aspettative con cui ci approcciamo ai libri, però, se da un lato sono umane e comprensibilissime (d'altronde, se scelgo di leggere un libro anziché un altro è perché mi aspetto di trovarci qualcosa che nell'altro non troverei), dall'altro però rischiano di distorcere, in modo più o meno pesante, il nostro rapporto con quel libro.

A me succede spesso. Leggo un romanzo o un racconto di un autore o di un’autrice che in passato mi era piaciuto e se non ci ritrovo quelle stesse sensazioni provate in passato, per un momento, rimango un po’ delusa. Poi però, nella maggior parte dei casi, riesco a dimenticarmene, ad allontanarmi dal ricordo di cosa avevo letto in passato per concentrarmi su quello che ho di fronte e cercare così di non condizionare il mio giudizio. (Non sempre ci riesco eh, sia chiaro, anche perché non sempre gli scrittori riescono a cambiare drasticamente stile o struttura di un’opera producendo qualcosa di altrettanto bello).

Mi è successo per esempio con Nick Hornby, per citare un autore abbastanza conosciuto nei cui confronti tutti, nel corso degli anni, hanno un po’ cambiato opinione: l’Hornby di Un ragazzo o di Alta fedeltà non esiste più; l’autore stesso ha faticato a rendersi conto che scrivendo in quel modo, forse perché invecchiato, forse semplicemente perché si è esaurito, non funzionava più. Allora se n’è uscito con Funny Girl: un romanzo completamente diverso e che, senza il nome in copertina, difficilmente si sarebbe potuto associare a lui. E, per me, ha funzionato. Il fatto che sia un Hornby completamente diverso non vuol dire che non sia altrettanto valido.
Un altro esempio è J.K. Rowling, che dopo Harry Potter ha pubblicato a suo nome Il seggio vacante, un romanzo completamente diverso, rivolto anche a un pubblico diverso che non sempre è stato in grado di capire che sì, la scrittrice era la stessa, ma il romanzo no. (Poi si è inventata uno pseudonimo, per pubblicare thriller, e ha rivelato di esserne l’autrice solo dopo, onde evitare altri "sì, ma non è Harry Potter").

Parlando di autori più impegnati, invece, direi che anche George Saunders rientra in questa categoria. I suoi racconti sono tutti molto belli e, probabilmente, se non avessi letto quelli (soprattutto Dieci dicembre) non avrei letto nemmeno Lincoln nel Bardo. L’impatto con il romanzo è stato abbastanza traumatico, in effetti. Perché no, non è il Saunders dei racconti e ha scritto un’opera atipica, che forse non è nemmeno classificabile come romanzo. Ma una volta superato lo shock di leggere da parte di un autore una cosa completamente diversa da quella che mi sarei aspettata, be’, quel romanzo l’ho apprezzato eccome (così come ho apprezzato la capacità di Saunders di cambiare stile, di non prendere un suo racconto e semplicemente allungarlo per farlo diventare un romanzo, con il rischio di essere molto meno efficace).

C’è poi un’altra categoria di lettori che, ammetto, fatico un po’ a capire. Ovvero quella che non riesce ad apprezzare un autore perché si aspettava, nei suoi romanzi o nei suoi racconti, di ritrovarci un altro autore. Un esempio è quello successo a La fine dei vandalismi, il primo romanzo della trilogia di Grouse County di Tom Drury, pubblicato in Italia da NN editore. Un romanzo che, di nuovo, io ho amato moltissimo, ma che ha ricevuto pareri contrastanti. Tra le critiche principali c’è quella di non essere come Kent Haruf, l’autore della Trilogia della Pianura, sempre edita da NN editore, che ha avuto un successo (per me meritatissimo) strepitoso.

Ma se in un libro si cerca un altro autore, perché non leggere direttamente i libri di quell’autore? Sì, lo so, può essere che uno abbia già letto tutto e che l’autore, perché ritiratosi o perché, come nel caso di Haruf, mancato, non possa più scrivere niente. Però su che basi si confrontano due autori che sì, hanno forse qualche tratto in comune, ma sono comunque due autori diversi.

In generale, spesso la colpa di questi strani confronti deriva dai blurb che accompagnano le uscite dei libri: quante volte sulle quarte di copertina di un autore vi capita di leggere “è il nuovo Pinco Pallino”? Oppure “in questo libro ci trovate una cosa di Tizio, una cosa di Caio e, già che ci siamo, anche una di Sempronio”?

© Franco Maticchio
È ovvio che leggendo i rimandi si sentono. Anche perché gli scrittori sono (devono… dovrebbero…) essere prima di tutto lettori e si sono formati sulle opere di autori del passato, che hanno influenzato in modo più o meno netto la loro scrittura e il loro stile.
Così come è ovvio che un editore cerca il più possibile di sfruttare il traino del successo di un altro scrittore o di un altro romanzo per vendere.
E, ultima ovvietà lo giuro, è ovvio che un lettore cerchi nei libri qualcosa che gli piaccia e per farlo il confronto con altri autori è quasi inevitabile.

Però noi lettori dovremmo anche saper andare oltre. Staccarci da quell'aspettativa che ci porta a leggere un’opera per un determinato motivo e leggerla, invece, per quello che è. Un’opera a sé, che può piacerci o non piacerci, indipendentemente da cosa abbiamo letto prima.
Anche perché, altrimenti, si potrebbe leggere sempre e solo lo stesso libro, magari cambiando solo qualche riferimento (i nomi dei protagonisti, la città di ambientazione, la professione, etc etc…), così da essere sicuri di leggere sempre la stessa cosa con lo stesso stile. 

Ma che noia, no?

venerdì 30 dicembre 2016

Le mie migliori letture del 2016

Ed ecco che finalmente arriva anche la lista delle mie migliori letture del 2016. Adoro pubblicare questo post proprio il penultimo o l'ultimo giorno dell’anno, un po’ per lasciare una speranza alle ultime letture di dicembre, un po’ per poter concludere in bellezza qui sul blog.

Come dicevo già nel post delle letture peggiori, a livello di letture questo 2016 è stato un anno molto particolare: ho letto meno del solito, a ritmi molto rallentati, soprattutto da agosto in poi. Nonostante questo, comunque, di libri davvero davvero belli ne sono entrati diversi nella mia vita in questi dodici mesi. Alcuni sono stati delle vere e proprie rivelazioni, altri delle riconferme, altri libri semplicemente fondamentali… in ogni caso, tutti romanzi che mi rimarranno nel cuore.

Il mio panda di peluche, entusiasta per le belle letture di quest'anno
(nella foto manca un libro)

I VENERDÌ DA ENRICO’S di Don Carpenter, pubblicato da Frassinelli, con la traduzione di Stefano Bortolussi: un bel romanzone, mi era venuto da definirlo mentre lo stavo leggendo. Che parla di scrittori e, soprattutto, di rapporti umani. Bello, bello, bello.

UN COMPLICATO ATTO D’AMORE di Miriam Toews, edito da Adelphi e pubblicato da Monica Pareschi: il più bel romanzo in assoluto di Miriam Toews (sì, persino più di In fuga con la zia, che già ritenevo un piccolo capolavoro). Nomi è un personaggio incredibile, così come lo è lo stile di questa grande autrice canadese. (Adelphi, ti prego, non farlo finire fuori catalogo!)

TRILOGIA DELLA PIANURA di Kent Haruf, pubblicati da NN editore e tradotti da Fabio Cremonesi: sono passati mesi da quando ho letto Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo e ancora non sono in grado di dire quale sia il più bello. Ho pianto un sacco, con tutti e tre, di tristezza e di gioia. Ho amato la fragilità di Dad e la dolcezza dei fratelli McPheron. E soprattutto lo stile di Kent Haruf. Tre libri bellissimi, anche per il significato che hanno avuto (e hanno ancora) di riflesso nella mia vita.

GIRL RUNNER di Carrie Snyder, edito da Sonzogno e tradotto da Gioia Guerzoni: una vera rivelazione. Temevo parlasse solo ed esclusivamente di corsa, e invece è una saga familiare, la storia di due sorelle, una che amava correre sfidando tutte le convenzioni, l’altra che non capiva questa passione. Da leggere anche se non si ama la corsa.

PIÙ PICCOLO È IL PAESE PIÙ GRANDI SONO I PECCATI di Davide Bacchilega, edito da Las Vegas edizioni: altra grandissima rivelazione di questo 2016. Un romanzo giallo ambientato nella Romagna invernale, quella senza turisti e senza ombrelli. Semplicemente geniale lo stile e bellissimi i personaggi. E poi, sul colpo di scena sono cascata come una pera.

LA FIGLIA SBAGLIATA di Raffaella Romagnolo, uscito per Frassinelli: un romanzo che è un pugno nello stomaco. La storia di una famiglia che sembra perfetta, ma che si sta sgretolando dall’interno. Durissimo e bellissimo.

7-7-2007 di Antonio Manzini, pubblicato da Sellerio: quinta avvenuta del vicequestore Rocco Schiavone, che fa un salto nel passato e ci racconta cosa è successo con Marina. E niente, mi sono innamorata ancora di più.

LA MIA VITA È UN PAESE STRANIERO di Brian Turner, pubblicato da NN editore e tradotto da Guido Calza: un memoir di guerra, che alterna descrizioni cruente a pura poesia. Durissimo e bellissimo.

LA SOGNATRICE DI OSTENDA di Eric-Emmanuel Schmitt, pubblicato da E/O e tradotto da Alberto Bracci Testasecca: altra racconta di racconti di Eric-Emmanuel Schmitt e di nuovo sono uno più bello dell’altro. Amo questo scrittore e questa è l’ennesima conferma.

LA SAGA DEI CAZALET di Elizabeth Jane Howard, edito da Fazi editore con la traduzione di Manuela Francescon: in realtà il primo volume, Gli anni della leggerezza, è uscito nel 2015, ma quest’anno ho letto il secondo, Il tempo dell’attesa, e il terzo, Confusione, e ne sono stata ancora una volta completamente conquistata. Una saga famigliare appassionante, di quelle che quando inizi non riesci a smettere di leggere. (Prevedo che ci sarà anche nella lista dei migliori del 2017, con i nuovi volumi).

Ci sono sicuramente stati anche altri libri meritevoli in questo anno di letture, ma questi sono state in assoluto le letture migliori. E direi che non mi posso proprio lamentare.

Ci rivediamo nel 2017, per un altro fantastico anno di letture rampanti!

giovedì 29 dicembre 2016

Le mie peggiori letture del 2016

Il 2016 è ormai agli sgoccioli e, come ogni anno, è tempo di bilanci qui sul blog.
Quest’anno è stato un po’ particolare, a livello di letture. Ho affrontato un paio di crisi, che mi hanno portato a leggere meno del solito e, soprattutto, con molto meno entusiasmo. Probabilmente il peso di sette anni di blog (che sono stati sette anni bellissimi, sia chiaro!) sta iniziando a farsi sentire. E se a questo si uniscono i grandi cambiamenti nella mia vita (anche questi bellissimi) negli ultimi mesi… be’ si dovrebbe riuscire a capire il perché di questo rallentamento nelle letture.
Tutto questo, ovviamente, non mi esime dallo stilare le ormai tradizionali liste dei libri dell’anno. Non so dire in realtà quanti ne abbia letti in totale (ché insieme alla voglia di leggere ha latitato un po’ anche quella di aggiornare aNobii), ma so per certo quali sono stati i  libri più belli e quelli più brutti (perché, ribadiamolo da lettrice, che spende tempo e soldi per ogni libro che legge, ho tutto il diritto di dire se una lettura mi sia piaciuta o meno. E da blogger ancora di più).

Come ormai da tradizione, partirò proprio dalle letture più brutte dell’anno. 
Ovviamente, si tratta di un parere completamente soggettivo, legato a un gusto del tutto personale, con cui potete tranquillamente trovarvi in disaccordo (il bello della lettura è proprio questo… uno stesso libro che genera opinioni completamente e diametralmente opposte, in base a chi lo legge).

Il mio pinguino, triste perché questi libri non gli sono proprio piaciuti. (Nella foto ne manca uno)
Ed eccoli qua, i nove libri che avrei potuto tranquillamente evitare di leggere in questo 2016 senza perdere nulla:

FLORENCE GORDON di Brian Morton, edito da Sonzogno: aspettative enormi, enormissime, verso un personaggio che avrebbe potuto essere fenomenale e invece è stato ridotto a una mera macchietta.

CAFE’ JULIEN di Dawn Powell, edito da Fazi editore: altro problema di aspettative, autogenerate dal bel titolo e dalla bella copertina e completamente disattese. (Che noia, aggiungerei).

NESSUNO SCOMPARE DAVVERO di Catherine Lacey, edito da Sur: ho odiato la protagonista (e i suoi bufali interiori) fin dalla prima pagina e questa antipatia è durata per tutta la lettura, condizionandola inesorabilmente.

LA BATTAGLIA NAVALE di Marco Malvaldi, pubblicato da Sellerio: non immaginate quanto mi pianga il cuore a inserire un libro di Malvaldi in questa lista. Ma avevo aspettato così tanto una nuova storia dei vecchietti del BarLume, che trovarmi di fronte a questo, per me, è stata una vera fregatura.

TUMBAS. TOMBE DI POETI E PENSATORI di Cees Noteboom, uscito per Iperborea: immagino che il pellegrinaggio sulle tombe fatto da Cees Noteboom sia stato bellissimo, davvero. Ma leggere questo libro è un po' come quando qualcuno vuole a tutti i costi farti vedere le 1500 foto che ha scattato durante le sue vacanze: all'inizio rimani sveglio, poi dopo un po' ti chiedi semplicemente "perché?".

HARRY POTTER AND THE CURSED CHILD di J.K. Rowling, John Tiffany & Jack Thorne, pubblicato in Italia da Salani: sì, lo so che non era l’ottavo romanzo di Harry Potter. So che era il copione dell’opera teatrale e che leggere i copioni è sempre un po’ straniante. Però, che cavolo, un po’ di rispetto per tutti i fan di Harry Potter!

UN AMORE DI SALINGER di Frédéric Beigbeder, edito da Mondadori: ovvero lo scrittore più antipatico e autoreferenziale che io abbia mai letto. Almeno quest’anno.

KATHERINE di Rupert Thomson, pubblicato da NN: una lettura faticosissima, forse per un problema di distanza anagrafica con la protagonista. 

RICETTARIO AMOROSO DI UNA PASTICCIERA IN FUGA di Louise Miller, edito da Sonzogno: colpa mia, colpa mia… avrei dovuto immaginare che con un titolo così non si sarebbe trattato di un capolavoro. Ma mi sono fatta attirare da questa copertina bellissima (che trovo bellissima ancora oggi, nonostante tutto). Ben mi sta.

Tutto sommato, avrebbe potuto andare anche molto peggio. Anche perché il problema con la maggior parte di questi libri è legato più a una questione di mie aspettative che non di "bruttezza oggettiva" (checché se ne dica, esiste eccome) del romanzo. E poi, buona parte degli editori i cui libri si trovano in questa classifica di letture peggiori si troveranno anche in quella dei migliori, che uscirà nei prossimi giorni. 

E voi che mi dite? Quali sono state le vostre peggiori letture di questo 2016? 

mercoledì 21 dicembre 2016

Com’è andare per la prima volta a Più Libri Più Liberi

(Questo mio post è stato pubblicato su Ultima pagina il 13 dicembre 2016)

Si è conclusa domenica 11 dicembre la quindicesima edizione di Più Libri Più Liberi, la Fiera Nazionale della piccola e media editoria organizzata dal Gruppo Piccoli Editori dell’Associazione Italiana Editori, che si svolge al Palazzo dei Congressi del quartiere EUR, a Roma. Una fiera che, fin dalla sua nascita avvenuta nel 2002, è dedicata alle realtà indipendenti e che per questo motivo attira un pubblico di lettori interessato anche a un’editoria indiestream, e non solo a quella mainstream, che caratterizza invece le fiere più grandi dove sono presenti anche i maggiori gruppi editoriali italiani.
Ma com’è andare per la prima volta a Più Libri Più Liberi? Come per tutte le fiere di questo tipo, è possibile consultare il programma degli eventi e l’elenco degli espositori già qualche settimana prima, sul sito web, così da poter organizzare al meglio la visita in base agli incontri, ai propri interessi, ma anche alla voglia di girare in tutta tranquillità, evitando le giornate più affollate. Quest’anno la fiera, il cui tema è riassunto dall’hashtag #sonotuttestorie, si è svolta dal 7 all’11 Dicembre, a cavallo del ponte dell’Immacolata. Una scelta sicuramente meditata e consolidata negli anni, il cui scopo è portare più visitatori, che però, in realtà, rischia di creare l’effetto opposto: bisogna davvero essere appassionati di libri e di lettura, di scrittori e editori indipendenti, per decidere di trascorrere lì uno dei pochi ponti disponibili durante l’anno (oltre a non tener conto delle esigenze degli editori, costretti a lavorare in giorni di festa).

Una volta scelto il giorno e consultato il programma, si può finalmente entrare nel Palazzo dei Congressi e girovagare tra i vari stand. Non si fa molta coda, né alle casse né al momento dell’ingresso, a meno che non si decida di entrare proprio all’apertura dei cancelli. Gli stand sono tutti uguali a livello di struttura, a cambiare è solo la dimensione. E questa forse è una delle cose più belle delle fiere della piccola e media editoria in generale, e di Più Libri Più liberi in particolare: ovvero la possibilità offerta a ogni editore di avere la stessa visibilità di un altro, magari più grande e più conosciuto, senza che sia necessariamente la qualità estetica di uno stand, spesso determinata da fattori economici, ad attirare possibili acquirenti. Ogni editore ha poi ovviamente la possibilità di personalizzare il proprio spazio interno come preferisce, ma questa omologazione strutturale fa in modo che l’attenzione sia davvero focalizzata sui libri. La stessa accortezza andrebbe però usata anche nella selezione degli editori ospiti, perché la presenza di numerosi editori a pagamento o a doppio binario rischia di penalizzare l’immagine dell’intera fiera (problema di cui si discute da anni, che riguarda in realtà tutte le fiere del libro sul territorio nazionale e che l’AIE probabilmente prima o poi farebbe meglio ad affrontare).

Un’altra problematica è quella legata allo spazio espositivo nel suo complesso: gli editori presenti sono tanti e il modo in cui è suddivisa l’area del Palazzo dei Congressi, nei giorni di maggiore affluenza (il sabato, nell’edizione di quest’anno), rende spesso difficoltoso il muoversi tra una zona e l’altra. La situazione diventa ancor più difficoltosa al piano superiore, dove si trovano tutte le sale degli incontri, a eccezione del Caffè letterario, e gli stand di altri piccoli editori. Nel complesso, comunque, è sicuramente una fiera a misura d’uomo, in cui si passeggia volentieri ed è facile trovare gli editori e tutti i luoghi che si cercano. Mancano, però, luoghi di sosta e di ristoro pensati per un pubblico vasto: un’assenza, questa, che accorcia di molto la durata della permanenza dei visitatori all’interno della fiera – e di conseguenza le possibilità di vendita.

Il programma degli incontri, come si diceva, è abbastanza ridotto e si divide in quattro filoni precisi. Ci sono eventi di carattere prettamente professionale, concentrati nei giorni di minor affluenza di non addetti ai lavori, che forniscono uno sguardo in generale sul mercato del libro e dell’editoria indipendente, tra cui, ogni anno, l’analisi dei dati Nielsen sullo stato della lettura e delle vendite e, quest’anno, il confronto tra Chiara Valerio e Nicola Lagioia, responsabili rispettivamente di Tempo di Libri di Milano e del Salone Internazionale del Libro di Torino. C’è poi un ricco programma dedicato ai bambini, che hanno all’interno della fiera uno spazio interamente riservato, in cui possono partecipare a letture ad alta voce e laboratori, e poi le presentazioni organizzate dagli editori: alcune con grandi nomi che attraggono più pubblico, per esempio, quest’anno in chiusura c’è stato Andrea Camilleri, ma nei giorni precedenti anche Zerocalcare, Antonio Manzini, Vittorio Sgarbi, Enrico Mentana; altre con autori meno famosi, che hanno avuto, grazie a Più Libri Più Liberi, la possibilità di farsi conoscere. E questa visibilità, che riguarda gli autori ma soprattutto gli editori, è un’altra delle grandi forze delle fiere dell’editoria dedicate esclusivamente all’editoria indipendente: dare uno spazio e un’occasione per presentarsi e raggiungere i lettori a quelle case editrici che al di fuori delle fiere non sempre trovano il modo di farsi notare.

In effetti gli editori presenti sono stati davvero tanti. Alcuni un po’ più grandi e già conosciuti, grazie alla loro storia e ad alcuni colpi editoriali messi a segno negli ultimi anni (si pensi a minimum fax, ma anche a Sellerio, e/o o Iperborea); altri comparsi sul panorama letterario italiano solo negli ultimi anni ma già con una precisa identità (per esempio NN Editore e SUR), altri ancora molto piccoli, ma comunque con un target di lettori ben definito. Qui tutti trovano il loro spazio, a volte più visibile, a volte meno, in base alla posizione che occupano all’interno dell’area espositiva, e tutti hanno una loro voce.

E l’affluenza di pubblico in questi cinque giorni (cinquantamila presenze, secondo il comunicato stampa ufficiale di chiusura), così come negli anni passati, dimostra e conferma che sono in molti in Italia a voler ascoltare queste voci.

giovedì 10 novembre 2016

ROCCO SCHIAVONE - LA SERIE - il mio parere spassionato sulla prima puntata

Ieri sera su Rai2 è andata in onda la prima puntata di Rocco Schiavone, la serie tv tratta dai romanzi di Antonio Manzini pubblicati da Sellerio, che hanno come protagonista l’omonimo vice questore.
Se mi seguite già da qualche tempo, saprete quanto io sia innamorata di Rocco Schiavone: questo vice questore romano, spedito in punizione in Valle d’Aosta, che proprio non riesce ad adattarsi a quel clima così diverso e si ostina, nonostante il freddo e le condizioni climatiche avverse, ad andare in giro solo con un loden e con le Clarks. È davvero un gran personaggio, quello inventato da Antonio Manzini: un poliziotto un po’ burbero, che adora farsi una canna non appena arriva in ufficio al mattino, che non sempre è così rispettoso della legge che dovrebbe difendere e che, soprattutto, ha un doloroso passato alle spalle, che nei romanzi si scopre pian piano.

Sono innamorata di Rocco Schiavone, vi dicevo, e quindi quando ho saputo che sarebbe andata in onda una serie tv, sono stata molto combattuta tra un incontenibile entusiasmo e la paura che rovinassero tutto (e il fatto che la serie sarebbe stata per la Rai alimentava parecchio questa paura). Poi s’è scoperto che l’avrebbe scritta Antonio Manzini stesso, insieme con Maurizio Careddu, che sarebbe stata girata da Michele Soavi e, soprattutto, che a interpretare Rocco sarebbe stato Marco Giallini. Che è esattamente come io mi ero immaginata Rocco Schiavone leggendo i libri.
E quindi ieri (ma anche i giorni precedenti, in realtà) ho passato la giornata aspettando che arrivassero le 21.10 e che la prima puntata, tratta dal primo romanzo (Pista Nera), incominciasse.
Io, sul divano, mentre aspetto che inizi la puntata (foto di Luca, tutto intento a trollarmi)

Poi, una volta finita, ho scritto qualche commentino veloce su Facebook, per poi aspettare che passasse una notte per schiarirmi bene le idee e parlarvene come si deve. Alcune impressioni, dormendoci su, sono rimaste esattamente le stesse. Qualcuno è peggiorata.

I PERSONAGGI
Come dicevo prima, Marco Giallini È Rocco Schiavone. Ed è di una bravura incredibile. È riuscito a interpretare bene tutte le caratteristiche tipiche di questo personaggio: la sua apparente antipatia e stronzaggine, il suo menefreghismo per le regole, la sua dolcezza in determinati momenti e situazioni.
Ma è Rocco Schiavone anche nel senso che, se non ci fosse lui, la serie sarebbe un disastro. Se li mangia tutti, gli altri personaggi, ridotti, forse per esigenze di copione, forse per inesperienza degli attori che li interpretano, a delle mere macchiette.
Italo Pierron nel libro è ben caratterizzato: un poliziotto un po’ timido ma che con Rocco instaura subito un grande rapporto, nonostante la soggezione iniziale. Nella serie tv, almeno nella puntata di ieri, sembra un po’ uno scemo. Come se non sapesse molto bene che cosa deve fare ( o provasse soggezione per la bravura di Marco Giallini).
E lo stesso si può dire più o meno di tutti gli altri personaggi. I due poliziotti scemi; la Rispoli (di cui lacaratteristica principale emersa ieri è solo ed esclusivamente il bel sedere); Nora, che compare per meno di cinque minuti, mentre nel libro aveva un ruolo notevole; e anche i protagonisti dell’omicidio.
Si salva Isabella Ragonese, bravissima anche lei a rendere davvero commoventi le scene tra Rocco e Marina (soprattutto se avete letto i libri).

Si può basare un’intera serie tv sulla bravura di uno solo dei suoi protagonisti? Secondo me, no. E infatti Marco Giallini mangia tutti gli altri.



LA FEDELTÀ AL LIBRO
Fedele è fedele. Quasi troppo, verrebbe da dire. Perché, per inserire dentro alla puntata tutte le cose che succedono nel libro, molte sono state solo accennate, abbozzate, rendendole a volte incomprensibili, a volte semplicemente inutili.
È ovvio che è impossibile far stare in una trasposizione televisiva di due ore tutto quello che c’è in un libro di 275 pagine. E quindi forse qualcosa avrebbe potuto essere sacrificato… o si fa bene o non si fa, insomma. (Per esempio, ha reso pochissimo la scena del tir che Rocco, Sebastiano e Italo fermano una sera per smerciare quello che ci dovrebbe essere dentro… e quella nel libro era una scena importante, anche per capire meglio il carattere di Rocco).
Anche lo svolgimento della trama principale (di cui non vi dico nulla, tranquilli, così se non avete visto la serie o letto il libro non avete problemi) è stato un po’ troppo frettoloso e, secondo me, non del tutto comprensibile. Ho capito cosa è successo, ho capito chi è stato, ma in tv viene reso talmente tanto in fretta che arrivi alla fine e pensi “aspetta, siamo già qui?”.
E poi, come dicevo prima, c’è il discorso personaggi. Anche loro solo abbozzati (con alcuni riferimenti incomprensibili o precisati solo con una frasetta in mezzo alle altre) e, in qualche modo, rovinati.

LA REGIA, I DETTAGLI E ALTRE COSE BUFFE
L’atmosfera valdostana del libro viene ricreata perfettamente anche nella serie. Il problema, però, è che ci sono molti dettagli e molte scene un pochino strane, e a volte anche ridicole.
Tipo il momento in cui Rocco, Italo e il maestro di sci sono sulla motoslitta, che si vede lontano un miglio essere finta (ma ci può stare, per carità) e, soprattutto, fatta male.
Oppure il fatto che Rocco in una scena abbia la barba e in quella immediatamente dopo non ce l’abbia più. E una cosa simile succede anche con le scarpe (scende dall’auto con gli scarponcini e sale sul tetto con le Clarks) e con la neve nei dintorni (vi assicuro che quando nevica in Valle d'Aosta come nelle prime scene della puntata, difficilmente dopo due giorni la neve è andata via tutta).
E poi, ma qui forse è colpa mia, a volte non riuscivo a capire che cosa dicessero i vari personaggi. (Per non parlare della questione accento valdostano, completamente ignorato).


IL MIO GIUDIZIO FINALE
Marco Giallini vale tutta la serie. Lui e le scene con Marina.
Senza di lui, temo che farebbe un pochino pena. Lui, con la sua eccezionale bravura, con il suo essere davvero Rocco Schiavone, riesce a salvare quasi sempre il tutto, anche se a volte la noia e il piattume prendono il sopravvento.
Non so se la percezione cambia se si ha letto il libro oppure no. Il mio compagno, seduto accanto a me per tutta la serata (quanta pazienza che hai, amore!), il libro non l’ha letto e la serie lo ha convinto ancora meno di quanto non abbia convinto me.
E quindi non lo so. Sicuramente guarderò anche le altre puntate (venerdì 11 c'è quella tratta da La costola di Adamo, uno dei miei preferiti della serie di Manzini), un po' perché magari migliorano, un po' perché rimane sempre Rocco Schiavone. E sicuramente da una fiction Rai non ci si poteva forse aspettare molto di più.

Però, ecco, i libri ancora una volta sono davvero un’altra cosa.

venerdì 4 novembre 2016

NON È IL MIO GENERE! E invece (forse) sì! – Le istruzioni per partecipare ai nostri nuovi incontri in libreria

Dopo il bellissimo viaggio che abbiamo fatto in giro per il mondo, attraverso 6 incontri che ci hanno portato a visitare ogni continente attraverso la sua letteratura, Claudia del Giro del mondo attraverso i libri, Stefania della Libreria Sulla parola e io abbiamo deciso di organizzare di nuovo degli incontri letterari in libreria.

Dopo scambi di messaggi a volte un po’ bislacchi (parliamo di libri noi, ma mica solo di quelli!) e un pomeriggio di chiacchiere e risate davanti a un caffè (il mio, ovviamente, pieno di panna) abbiamo deciso di mantenere la struttura già collaudata dei precedenti incontri: quindi non un gruppo di lettura, con l’obbligo di leggere un determinato libro, ma incontri di proposte, dove ognuno può parlare di quello che vuole, purché inerente al tema.

Sì, ma qual è il tema? Questo:



Per chi si fosse perso gli eventi dell’anno scorso, o semplicemente non si ricordasse come funzionano, ecco qui un breve riassunto delle istruzioni.

Che cos’è?

NON È IL MIO GENERE! ...e invece (forse) sì! è un ciclo di incontri legati dal filo conduttore dei generi letterari. Ogni incontro sarà dedicato a un genere (in alcuni casi due) e ogni partecipante dovrà portare un libro che ha letto e vuole consigliare agli altri, appartenente a quel genere. Lo stesso faremo Claudia, Stefania e io. Lo scopo, anche questa volta, è quello di far conoscere agli altri nuovi libri e nuovi autori, ma anche semplicemente raccontare qualcosa di un libro che si è amato e, di conseguenza, di se stessi.
Ovviamente, pur tenendosi in una libreria, tutti gli incontri sono a ingresso assolutamente gratuito e senza alcun obbligo d’acquisto.

Dove?

Tutti e sette gli incontri si terranno alla libreria Sulla parola di Stefania, che si trova a Caluso, in provincia di Torino. Il paese si trova a 10 km circa da Chivasso, e quindi dall’autostrada Torino – Milano; a circa 5 km dal casello di San Giorgio sulla autostrada Torino – Aosta, ed è in più provvisto di una stazione ferroviaria. Eventualmente, si può anche organizzare un servizio navetta, per recuperarvi se arrivate con il treno.

Quando?

NON È IL MIO GENERE! ...e invece (forse) sì!  si compone di 7 incontri. Uno al mese, da novembre fino a giugno, con una pausa solo nel mese di dicembre.
Gli incontri sono al sabato pomeriggio, alle 16, e durano un paio d’ore, in base anche alla partecipazione e al numero di libri presentati (e di chiacchiere che ne nasceranno).
Si inizia sabato 26 novembre con l’incontro sui romanzi GIALLI/THRILLER e poi si proseguirà così:

14 gennaio 2017 – Racconti
Febbraio 2017 – Romanzi rosa
Marzo 2017 – Poesia e teatro
Aprile 2017 – Biografie e autobiografie
Maggio 2017 – Romanzi storici
Giugno 2017 – Fantasy e fantascienza

Al momento abbiamo fissato le date solo dell’incontro di novembre e di quello di gennaio. Di volta in volta decideremo poi insieme ai partecipanti le date degli incontri successivi, in modo che siano il più possibile comode per tutti.

Che cosa dovete portare?

Voi stessi e uno (ma anche due o tre… senza esagerare però!) libro che avete letto del genere protagonista dell’incontro.
Poi, se volete, qualche amico e dei dolcetti.

E se siete troppo distanti e non potete venire?

Sappiamo che la distanza per molti può essere un problema, e che non tutti possono partire e venire fino in Canavese.
Per questo, proprio come nell’edizione passata, attiveremo per ogni incontro un evento in parallelo su Facebook e sui nostri blog. Nell’evento potrete scrivere di volta in volta i vostri suggerimenti, che noi riporteremo durante l’incontro fisico. E poi, qualche giorno dopo, troverete pubblicati online, su questo blog, su quello di Claudia e sulla pagina Facebook della libreria Sulla parola tutti i consigli pervenuti, dal vivo e online.

Ok, direi che vi ho detto tutto. In ogni caso, per qualunque chiarimento o informazione aggiuntiva ci trovate qui, sui nostri blog e sui facebook.

Ora non vi resta che partecipare!

lunedì 24 ottobre 2016

7 anni di blog

Oggi La lettrice rampante compie 7 anni. Era il 24 ottobre 2009 quando per la prima volta ho cliccato su “pubblica” e messo in rete il mio primo post.

Non sembra, ma sette anni sono tanti, soprattutto per un blog che era nato un po’ per caso. Fa effetto pensare che sia già passato tutto questo tempo da quella prima volta. E fa ancor più effetto pensare che in tutti questi anni, mentre la mia vita normale scorreva e andava avanti, il blog sia sempre rimasto una costante e una certezza.

Il mio blog oggi si sente un po' come l'essere millenario di La storia infinita

Lui c’era quando mi sono laureata, anche se era ancora un giovincello e non aveva ancora ben chiaro quale ruolo avrebbe avuto nella mia vita. C’era quando ho trovato il primo lavoro e poi, cinque anni dopo, quando quel lavoro non ce l’ho avuto più. C’era quando ho iniziato a tradurre, mentre i lavori di editing li devo proprio a lui.
C’era quando la mia vita affettiva è stata stravolta la prima volta, quando si è ripresa, e quando poi, un paio di mesi fa, l’ho stravolta di nuovo, arrivando finalmente dove dovevo arrivare da tutta la vita.

Ha avuto alti e bassi, ovviamente. Momenti in cui “basta, lo chiudo, tanto non se lo considera nessuno”. Momenti in cui “ma chi me lo fa fare”. Momenti in cui è rimasto aperto su post bianchi per ore, in attesa che mi venisse in mente qualcosa da scrivere e ha aspettato paziente di ritornare in vita quando ho avuto bisogno di prendere una pausa, da lui e dai libri.
I momenti soddisfazione ovviamente sono stati molti di più rispetto a quelli di sconforto. Momenti di “oddio, guarda che cosa mi è successo grazie al blog” (gli autori ma anche le persone comuni che ti scrivono mail dopo che hanno letto un tuo commento o una tua recensione, l’organizzare incontri in libreria ed essere chiamata a parlare in biblioteca, andare alle presentazioni dei tuoi scrittori preferiti e presentarti come “la lettrice rampante”, conoscere l’amore della tua vita… ecc,ecc..)  o di “cavolo, ma che bella recensione che ho scritto” (l'autocompiacimento da recensione è una cosa che tutti quelli che hanno un blog letterario possono capire).

C’è voluto un po’ di tempo perché La lettrice rampante prendesse una sua forma e una sua identità. Diversi cambi di sfondo e layout, prima di approdare a questi pois bianchi su sfondo verde da cui ora mi sembra impensabile separarmi. Diversi cambi di stile, che hanno coinciso con una crescita nel mio modo di scrivere e, soprattutto, di leggere. Diverse rubriche nate e poi chiuse una volta che il loro corso si è compiuto.
Sette anni di blog che sono sette anni di vita, insomma.

Ammetto di aver pensato a volte, soprattutto nell'ultimo periodo, di chiudere La lettrice rampante e smettere di parlare di libri in rete (e ve ne sarete anche accorti, che per un certo periodo ho pubblicato molti meno post e letto molti meno libri… almeno rispetto ai miei standard). Ma, anche se forse sembra un po’ stupido da dire, non credo davvero che riuscirei a vivere senza questo mio spazio a pois. E, soprattutto, senza leggere e scrivere di libri.

©Tony Illustration

E quindi, tanti auguri mio piccolo blog a pois. Cento di questi giorni e, speriamo, migliaia di libri belli.

venerdì 1 luglio 2016

Cronaca di un giugno rampante

Ed è già finito anche giugno. Cavolo, quest’anno sta volando e io tra pochi giorni compio 31 anni. Non so come sia possibile, visto che ne avevo 18 l’altro giorno, ma vabbè.
Anche Giugno è stato un mese ricco di libri e di eventi. A partire dalla Grande Invasione a Ivrea, dal 2 al 5, a cui quest'anno, non so bene perché, ho partecipato con un po’ meno entusiasmo del solito. Forse perché ci vado dalla prima edizione e certe cose non mi è piaciuto come si sono evolute, forse perché è stato anche il culmine di un periodo davvero ricco di festival, incontri ed eventi che mi hanno un po’ spossata (avevo esaurito le scorte di entusiasmo, insomma). In ogni caso è stato bello partecipare all’incontro con Jenny Offill e a quello con parte degli autori della serie ViceVersa di NN, è stato bello andare a teatro a sentire il reading di Vinicio Marchioni e poi conoscere, l’ultimo giorno, Jon Stefansson. E poi beh, è stato bello incontrare di nuovo persone che riesco a vedere solo in queste occasioni.
Poi, c’è stato l’incontro con Angelo Calvisi alla libreria Sulla Parola di Caluso, dove presentava il suo Adieu Mon Coer. Anche se il libro non mi aveva proprio entusiasmata (scusa di nuovo, Angelo), lui è sicuramente un gran personaggio e uno che sa raccontare, su carta ma anche a voce.

Il 18 giugno s’è poi tenuto l’ultimo appuntamento di Una valigia di libri, il ciclo di incontri che Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri e io abbiamo organizzato insieme con Stefania della Libreria Sulla Parola. In questa ultima tappa siamo andati in Africa e Oceania, e i consigli arrivati sono stati proprio tanti. E, cavolo, un po’ mi mancheranno questi sabato pomeriggio (ma magari ci inventiamo qualcosa per la prossima stagione).

Ma passiamo ai libri. Non sono proprio tanti questo mese, perché sto attraversando uno di quegli antipaticissimi periodo in cui la voglia di leggere scarseggia (sarà che sto traducendo e passo già parecchio tempo su un libro?). In ogni caso è stato un mese di quasi tutte belle letture, con un’unica sola piccola delusione.



QUESTA COSA BIZZARRA CHE SI CHIAMA AMORE di Elke Heidenreich e Bernd Schroeder, pubblicato da Astoria con la traduzione di Margherita Belardetti: un libro sulla vita di coppia e sull’amore, che supera le difficoltà degli anni che passano, che a volte un po’ si perde per strada, ma che alla fine rimane vivo. Proprio bello.


IL RUMORE DELLE COSE CHE INIZIANO di Evita Greco, edito da Rizzoli: un libro che probabilmente, se l’autrice non fosse stata così gentile da inviarmi, non avrei mai letto. E mi sarei persa tanto, perché il libro mi è proprio piaciuto. Per l’idea che racchiude il titolo, per la sua protagonista e per la sensazione che mi ha lasciato alla fine.


CREPUSCOLO di Kent Haruf, edito da NN editore con la traduzione di Fabio Cremonesi: non credo che serva che dica altro su questo libro e su questo autore. Anche perché se ci provo mi sa che mi commuovo di nuovo. Leggetelo, ecco.

PIÙ PICCOLO È IL PAESE, PIÙ GRANDI SONO I PECCATI di Davide Bacchilega, pubblicato da Las Vegas edizioni: altro grandissimo libro di questo mese, un giallo un po’ particolare, soprattutto per lo stile dell’autore, che è riuscito a divertirmi e, soprattutto, a fregarmi. Cavolo, io mica l’avevo capito chi fosse il colpevole. Se vi piacere il genere, assolutamente da leggere!

TUMBAS Tombe di poeti e pensatori di Cees Nooteboom, pubblicato da Iperborea con la traduzione di Fulvio Ferrari: questa è stata la delusione del mese, ma forse perché mi ci sono avvicinata con aspettative completamente diverse. L’idea del pellegrinaggio dell’autore a visitare le tombe dei suoi scrittori e poeti preferiti è molto bella, meno per me il modo in cui poi è stata messa su carta. Ma forse perché ci sono esperienze che non si possono raccontare e si devono solo vivere.

PANZEROTTA E CROCCHETTO di Ana Oncina, edito da Bao publishing e tradotto da Francesca Della Rocca: una graphic novel che racconta di una Panzerotta e di un Crocchetto di patate che vanno a convivere. Semplicemente adorabile!

LAST DAYS OF CALIFORNIA di Mary Miller, pubblicato da Edizioni Clichy con la traduzione di Sara Reggiani: un libro sulla fine del mondo ma soprattutto sulla fine dell’innocenza di una ragazzina di quindici anni. Un viaggio on the road in cui, tra le altre cose, si mangia un sacco.


Nella foto c’è anche LA FIGLIA SBAGLIATA di Raffaella Romagnolo, edito da Frassinelli ed entrato nella dozzina del Premio Strega (ma ahimè, non nella cinquina). In realtà il libro l’ho letto a maggio, ma la recensione su Ultima pagina, e poi qui sul blog, è uscita qualche giorno fa e quindi l’ho fatto rientrare nelle letture di questo mese.

E il vostro giugno come è andato?