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sabato 2 febbraio 2019

Leggendo a gennaio: Korn, Manzini, Backman, Saramago... per tacer di Tom Gauld

Gennaio è stato un mese lunghissimo. I sei giorni di ferie con cui è iniziato sono diventati un ricordo già dal primo giorno di rientro al lavoro e, adesso che finalmente il mese e finito e ne è iniziato uno nuovo, se mi guardo indietro mi sembra che siano passati secoli da quando il 2019 è iniziato.
Eppure no, è durato solo trentuno giorni, come sempre e come fanno tanti altri mesi dell’anno. E ne sono passati poco più di quindici dall’ultima volta in cui ho pubblicato un post qui sul blog. Mi ero ripromessa che nel nuovo anno avrei tentato di aggiornarlo più spesso ma, come potete ben vedere, mi sa che il mio intento è già miseramente fallito.
E mi dispiace molto, soprattutto perché in questo mese ho letto tanto e tante cose belle. Per questo ho deciso di fare un post cumulativo, per raccontare in breve le letture che mi hanno accompagnato in questi lunghissimi trentun giorni appena trascorsi e a cui non sono purtroppo riuscita a dedicare un post singolo (quindi no, qui non ribadirò quanto poco mi abbia convinto La misura dell’uomo di Marco Malvaldi, perché lui si è meritato una recensione tutta sua).
Eccoli qua:


Partiamo con quella meraviglia di Figlie di una nuova era di Carmen Korn, primo volume di una trilogia portato qui in Italia da Fazi editore e tradotto da Manuela Francescon e Stefano Jorio. Protagoniste sono quattro donne, di origini e classi diverse, che vivono ad Amburgo nella prima metà del ‘900 e i cui destini si incroceranno con l’arrivo della guerra e delle varie vicende personali che si ritroveranno a vivere. Henny e Kathe sono amiche da sempre e ora, insieme, stanno studiando per diventare ostetriche; Ida è la rampolla di una buona famiglia, abituata agli agi e ai lussi e disposta a tutto pur di averli, forse anche a sacrificare l’amore; Lina è sopravvissuta alla Prima guerra mondiale insieme al fratello grazie ai genitori, morti di fame per permettere a loro due di sopravvivere. Mentre le loro vicende personali proseguono, tra amori clandestini, desiderio d’indipendenza, impegno politico e tante decisioni sbagliate (Henny, porca miseria!), sullo sfondo scorre la storia del ‘900, con l’avvento del nazismo e tutto ciò che porterà con sé. Era da tanto che un libro non mi prendeva così tanto, che non mi ritrovavo tanto immersa in una storia e nei suoi intrecci. Non vedo l’ora che esca il secondo volume, perché una volta girata l’ultima pagina, queste donne di Amburgo già mi mancavano parecchio.
Henny tese l'orecchio. Le sembrava di aver sentito salire dal cortile, fino al secondo piano, un suono venuto dal passato, come un rintocco di campana o il verso di un merlo. Le vennero in mente i sabati della sua infanzia. Sabati estivi. L'acqua che scintillava nella cisterna. Il ribes bianco che le lasciavano cogliere dai rovi addossati al muro di cinta, il profumo della torta che sua madre aveva già messo in forno per la domenica. Suo padre, appena tornato dall'ufficio, che fischiettava mentre si liberava della cravatta e si sbottonava il colletto della camicia.
Henny andò alla finestra, l'aprì e stette ad ascoltare il suono che aveva risvegliato in lei quella serie di immagini. Il cigolio della vecchia altalena.
Era ottobre quando è uscito Fate il vostro gioco di Antonio Manzini. Ne avevo parlato come un romanzo di transizione, dopo due libri carichi di emozioni e tensioni. Mi era sembrato quasi un libro sospeso, finito un po’ troppo bruscamente... ed ecco svelato l’arcano: il 10 gennaio, infatti, è uscito Rien ne va plus, un’altra avventura del vicequestore Rocco Schiavone. No, Manzini non ha scritto un romanzo in tre mesi. Semplicemente Fate il vostro gioco e Rien ne va plus sono lo stesso libro, diviso in due per questioni verosimilmente di lunghezza, ma anche (e soprattutto, forse) per far contenti i fan, non costretti ad attendere il solito anno tra una puntata e l’altra. In Rien ne va plus tutte le cose che mi avevano lasciato perplessa di Fate il vostro gioco un po’ si chiariscono: da un lato continuano le vicende personali di Rocco, tra il rimpianto per Caterina e le rivelazioni sempre più pericolose di Baiocchi, che rischiano di mettere il nostro vicequestore preferito in una posizione terribile; dall’altro c’è un portavalori del casinò di Saint Vincent che misteriosamente sparisce e Rocco capisce subito che c’è un collegamento con la morte del ragionier Favre; ma soprattutto che c’è qualcosa di molto, molto più grande dietro. Intanto si consolida il rapporto con Gabriele, Lupa è sempre più coccolosa e Rocco (che sì, ora ha inevitabilmente la faccia di Marco Giallini, ma va benissimo così) ha ancora tanti fantasmi a perseguitarlo. Non vedo l’ora che esca il prossimo.

Ho scoperto Fredrik Backman qualche anno fa con il suo romanzo d’esordio, L’uomo che metteva in ordine il mondo. Me ne ero follemente innamorata: avevo adorato il modo in cui tratteggiava i suoi personaggi e il suo stile, con quella capacità che non tutti hanno di raccontare anche le cose più tristi nel modo più buffo e dolce possibile (il dolore resta sempre, ma diventa più affrontabile). L’amore si è poi consolidato con Mia nonna saluta e chiede scusa, dove compare per la prima volta il personaggio di Britt-Marie, che si è poi meritata un romanzo tutto suo: Britt-Marie è stata qui (pubblicato da Mondadori con la traduzione di Andrea Stringhetti).
Britt-Marie è una donna un po’ scontrosa, incapace di uscire dalla gabbia delle imposizioni sociali e del “chissà cosa direbbero gli altri”. Ha sempre vissuto per il marito e per i figli di lui, tenendo la casa impeccabile e sacrificando se stessa, ricevendo in cambio solo recriminazioni e prese in giro.

Alla fine desiderava solo un balcone e un marito che non camminasse sul parquet con le scarpe da golf, che qualche volta mettesse la camicia nel cesto della biancheria senza bisogno di ricordarglielo e che ogni tanto dicesse che la cena era buona senza bisogno di chiederglielo. Una casa. Figli non suoi ma che vengono lo stesso a Natale. O almeno cerchino di far finta di avere un motivo per non venire. Un cassetto delle posate sistemato in modo corretto. Finestre da cui si possa vedere il mondo. Qualcuno che si accorga che si è sistemata i capelli con particolare cura. O che almeno faccia finta di accorgersene. O che almeno le permetta di continuare a fingere. 
Qualcuno che una volta ogni tanto torni in una casa con il pavimento pulito e la cena calda in tavola e veda i suoi sforzi. Perché le persone sono come le cene. Devono avere un senso. "Che bella pettinatura". È una frase che ha senso.

Forse un cuore si spezza solo quando si esce da una stanza d'ospedale con camicie che puzzano di pizza e di profumo, ma tutto si spezza più facilmente se prima si sono formate delle crepe.

Però quando il tradimento del marito, che lei già conosceva, diventa di dominio pubblico decide che non può più sopportare e se ne va di casa. Alla ricerca disperata e ossessiva di un lavoro, accetta uno strano incarico a Borg, una comunità sperduta su cui la crisi ha picchiato molto duro. Tutti i negozi e le attività che ancora non sono chiuse chiuderanno a breve e il paesino sembra destinato a morire. Britt-Marie, con le sue fobie, la sua smania per le pulizie e la sua mentalità ingenua, riesce in qualche modo a far breccia nei pochi abitanti rimasti. Senza nemmeno capire come, si ritrova addirittura ad allenare la squadra di calcio dei ragazzi del paese e a prendersi cura di loro a modo suo. Sembra esserci una speranza per Borg, nonostante tutte le tragedie e le difficoltà che sta vivendo, e sembra esserci anche per Britt-Marie.
Nella caratterizzazione di questo personaggio forse Fredrik Backman ha calcato un po’ troppo la mano, perché nella prima parte è talmente insopportabile e talmente incredibile nelle sue ingenuità che vien quasi voglia di chiudere il libro. Una voglia che però poi passa, man mano che si procede con la lettura e si assiste al cambiamento di Britt-Marie e di tutte le persone attorno a lei. È un libro pieno di buoni sentimenti, di quelli che scaldano il cuore e fanno bene, perché, ancora una volta, mostra come anche nelle tragedie, nelle difficoltà e nei momenti brutti si possa (e si debba!) trovare qualcosa per cui vale la pena sorridere.

L’ultimo libro di gennaio è Le piccole memorie di José Saramago, tradotto da Rita Desti. Un libriccino comprato un po’ per caso (insieme a Diario di scuola di Pennac per prendere la coperta del lettore di Alice nel paese delle meraviglie) e che mi ha fatto ricordare ancora una volta quanto io voglia bene a José Saramago. In questo piccolo memoir, lo scrittore portoghese racconta alcuni aneddoti della sua infanzia: i rapporti con i genitori e con i nonni, gli anni di scuola e le amicizie nate tra i banchi, i personaggi bislacchi che ha incontrato nella sua infanzia e adolescenza, i ricordi del fratellino morto a tre anni... tante piccole cose, che forse alla produzione di Saramago non aggiungono nulla, ma che per chi già lo conosce e lo ha sempre adorato sono molto preziose. (Nel caso voleste iniziare a conoscerlo: consiglio Cecità, L’uomo duplicato e Lucernario... tenetevi Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Caino per quando avrete preso più in confidenza con il suo stile).

Ho raccontato altrove come e perché mi chiamo Saramago. Che quel Saramago non era un cognome per parte paterna, bensì il soprannome con cui era conosciuta la mia famiglia nel paese. Che quando mio padre andò a dichiarare all'Anagrafe di Galeğa la nascita del suo secondo figlio, capitò che l'impiegato (si chiamava Silvino) fosse ubriaco (indignato, di questo lo avrebbe sempre accusato mio padre) e che, nei fumi dell'alcol e senza che nessuno si accorgesse dell'onomastico frode, decidesse, a suo rischio e pericolo, di aggiungere Saramago al laconico José de Sousa che mio padre voleva che fossi. E che, in questo modo, infine, grazie a un intervento a tutte le evidenze divino, mi riferisco, è chiaro, a Bacco, dio del vino e di coloro che eccedono nel berlo, non ho avuto bisogno di inventare uno pseudonimo, caso mai ci fosse stato un futuro, per firmare i miei libri.

Tra un romanzo e l’altro, a gennaio c’è stato tempo anche per i fumetti di Tom Gauld, in particolare di Baking with Kafka (esiste anche la versione italiana, In cucina con Kafka, pubblicata da Mondadori... ma se sapete l’inglese vi consiglio l’originale). Tutti gli appassionati di libri e di letteratura dovrebbero conoscere e leggere le vignette di Gauld: fanno ridere e fanno riflettere, ma soprattutto dimostrano quanto si possa amare il mondo dei libri senza prendersi mai troppo sul serio, perché gli scrittori famosi ma anche i personaggi dei libri sono prima di tutto esseri umani.

Source: https://bit.ly/2S8aIID


mercoledì 17 ottobre 2018

FATE IL VOSTRO GIOCO - Antonio Manzini


La settimana scorsa è uscito Fate il vostro gioco, il nuovo romanzo di Antonio Manzini con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone. Non starò qui a dirvi per l’ennesima volta quanto io ami questo personaggio, quanto attenda con ansia ogni sua nuova avventura e quanto, dopo un inizio non proprio entusiasta, mi sia appassionata anche alla serie tv che ne hanno tratto. Rocco Schiavone è un figo, burbero, stronzo, segnato da un passato che non gli dà tregua e che condiziona tutto il suo presente. Ma è anche tenero, a modo suo, con chi se lo merita (Lupa, più di tutti).

Aspettavo con ansia un nuovo romanzo, vi dicevo, anche perché sono ancora sconvolta da quanto successo da Pulvis et umbra l’anno scorso (per non fare spoiler dico solo: Caterina) ed ero curiosa di vedere come ne sarebbe uscito il mio vicequestore preferito.
Non benissimo, diciamoci la verità, perché Fate il vostro gioco, nonostante non sia un romanzo breve e abbia richiesto comunque un anno per essere scritto, è un po’ sottotono rispetto ai precedenti. E ci sta, ci mancherebbe, in una serie arrivata ora al settimo romanzo, più tutta una serie di racconti; ci sta che uno sia meno riuscito di un altro, soprattutto se arriva dopo due storie in cui la vicenda di Rocco ha forse toccato il suo climax. 

In questo nuovo romanzo, Rocco Schiavone si ritrova a indagare sull’omicidio di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint Vincent, ritrovato cadavere in casa sua con la fiche di un altro casino tra le mani. “Un morto che parla”, lo definisce Rocco, che si sforza per capire che cosa voglia dirgli. C’entra il riciclaggio? C’entrano i prestiti ai poveracci che si rovinano sul tavolo da gioco? O nessuna di queste cose? Rocco indaga con tutta la squadra, anatomopatologo Fumagalli e complottista della scientifica Gambino compresi. Ma nel mentre deve anche stare un po’ dietro a Italo, che sembra avere più di un problema, e, soprattutto, fare i conti con quanto successo nel romanzo precedente: i suoi amici romani che sembrano fidarsi più di lui, Enzo Baiocchi che pare intenzionato a fare grandi rivelazioni alla polizia, Marina che non si fa più sentire, e Caterina, ovviamente. A complicare ulteriormente le cose ci si mettono pure il vicino di casa adolescente Gabriele e sua madre. Riuscirà il nostro vicequestore preferito a risolvere il caso e, una volta per tutte, anche i suoi tormenti?

Lo scopriremo nella prossima puntata. Dico davvero (e prima che mi si accusi di spoiler, lo dice anche la bandella), perché Fate il vostro gioco è un romanzo che non finisce, che lascia in sospeso tante cose per quello a venire. E questo, per quanto mi riguarda, rappresenta un po’ un problema: non mi piacciono i gialli che non sono autoconclusivi; o meglio, mi piace che ci sia una trama parallela che li colleghi tutti, ma l’omicidio che viene affrontato in un romanzo preferisco che in quello finisca.
Al di là di questo, che è sicuramente una questione più personale, trovo che Fate il vostro gioco sia un po’ frettoloso, un po’ abbozzato. Più nella scrittura, forse, che non nella trama vera e propria. E qualcuno mi faceva notare che probabilmente è già pensato per serie tv: è più fatto di scenette, più televisivo. E poi, diciamocela, Rocco senza le sue donne non funziona tanto. E Antonio Manzini stesso sembra esserne reso conto perché poi, verso la fine, corregge un po’ il tiro con una scena in effetti molto commovente.

Fate il vostro gioco non è un brutto romanzo, sia chiaro. E, come si diceva già prima, un libro un po’ sottotono in una serie che inizia a diventare piuttosto lunga ci sta eccome. Però al tempo stesso un po’ mi spiace perché, pur avendolo divorato in un paio di giorni senza riuscire a metterlo giù, mi è mancato qualcosa che negli altri avevo trovato. Che il personaggio di Rocco stia iniziando a esaurirsi? Che stiano finendo tutte le complicazioni (e le rotture di coglioni) che il vicequestore possa affrontare risultando ancora credibile? 
Mi sa che, anche questo, lo scopriremo nella prossima puntata.


Titolo: Fate il vostro gioco
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 391
Editore: Sellerio
Anno: 2018
Prezzo: 15€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Fate il vostro gioco
formato ebook: Fate il vostro gioco (Il vicequestore Rocco Schiavone Vol. 11)

lunedì 11 settembre 2017

PULVIS ET UMBRA - Antonio Manzini



A un anno e un mese di distanza da 7-7-2007, Antonio Manzini è tornato in libreria con una nuova avventura del vicequestore più fig… ehm… più burbero del mondo, Rocco Schiavone. 
Un libro che ho atteso molto, questo Pulvis et umbra (uscito per Sellerio il 31 agosto), soprattutto dopo le emozioni che mi aveva trasmesso il volume precedente e dopo il successo della serie tv andata in onda l’autunno scorso su Rai2, in cui Rocco è stato interpretato da uno strepitoso Marco Giallini.

Da un lato, infatti, avevo una voglia matta di tornare ad Aosta, di scoprire come se la stava cavando adesso il vicequestore, dopo aver raccontato tutta la sua storia ai suoi superiori e aver dovuto fare i conti, ancora una volta, con i sensi di colpa. Volevo vedere anche come si stavano mettendo le cose tra Italo e Caterina, se il buon D’Intino era sempre così stordito e soprattutto come stava vivendo la situazione Seba, dopo aver perso l’amore della sua vita. Dall’altro, però, avevo paura che l’aver visto la trasposizione sullo schermo mi facesse un po’ perdere il gusto della lettura. 
Anche se molto spesso durante la lettura all’immagine di Rocco si sovrapponeva quella di Marco Giallini, devo dire che no, non è successo. Ho divorato Pulvis et umbra proprio come avevo fatto con i romanzi precedenti. E, proprio come con i romanzi precedenti, ora che l'ho finito non vedo l'ora che esca il prossimo.

La trama si sviluppa su due fronti: nella prima parte siamo ad Aosta, dove sulle sponde della Dora viene ritrovato il cadavere di una trans. Rocco e la sua squadra sono chiamati a indagare e il tutto sembra ruotare attorno al palazzo dove la donna esercitava. Ben presto, però, il vicequestore si rende conto che c’è qualcosa di potente dietro a questa storia, qualcosa su cui forse non dovrebbero indagare e che potrebbe mettere a rischio la vita sua e dei suoi agenti. Nella seconda parte, invece, si riprende il filo della storia romana: quella nata con Marina tanti anni fa, riportata alla luce con l’uccisione di Adele e che Rocco, per una volta, sta cercando di risolvere nel modo più giusto. Per se stesso, ma anche e soprattutto per non mettere ancor più nei guai il suo amico Seba. Il tutto si trasforma in una lunga caccia all’uomo, che da Roma si sposta verso nord, fino a un epilogo che è un colpo al cuore.

Ce ne sono tanti di colpi al cuore in Pulvis et umbra. Alcuni sono di pura tenerezza, come il bel rapporto che si sviluppa tra Rocco e il suo vicino di casa adolescente Gabriele, o quello con Lupa, la sua cagnolina che il vicequestore, anche in pubblico, non si fa alcun problema a chiamare amore; altri sono tradimenti e perdite di fiducia che sarà difficile, se non impossibile, recuperare. 

Già durante la lettura, mi sono ritrovata a pensare a quanto incredibilmente bravo sia Antonio Manzini nello scrivere le avventure di Rocco Schiavone. Siamo arrivati al sesto volume, con una trama secondaria che è partita dal primo (Pista nera) e che piano piano ha raggiunto il suo climax ed è presente ancora oggi. Avrebbe potuto logorarsi nel corso di sei romanzi. Iniziare a sfilacciarsi, diventare noiosa, perdere di forza e, perché no, trasformare quel gran personaggio di Rocco Schiavone in una macchietta di se stesso. E invece no, ogni romanzo è come il precedente e al tempo stesso ti lascia qualcosa di più. In ogni romanzo Rocco evolve, sviluppa sentimenti nuovi, diventa più riflessivo e meno impulsivo, matura in qualche modo. Tutto questo, ovviamente, sempre accompagnato dalla sua irriverenza, dalla sua ironia, oltre che dalle sue innumerevoli rotture di coglioni.

Pulvis et umbra mi è piaciuto tanto. Mi è piaciuto Rocco (vabbè, di lui sono innamorata, c’è poco da fare) e mi sono piaciute le storie e i personaggi che ruotano intorno a lui (con una menzione speciale a Michela Gambino, la nuova esperta della scientifica, nonché complottista). Certo, per il colpo di scena finale un po’ ci sono rimasta male, devo dir la verità, ma questo forse dimostra ancora di più quanto io ami questi romanzi e, soprattutto, la bravura di Antonio Manzini.

Ora non resta che aspettare un altro anno, per sapere come si rialzerà questa volta Rocco dalle mazzate che, di nuovo, si è preso.


Titolo: Pulvis et umbra
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 403
Editore: Sellerio
Anno: 2017
Acquista su Amazon:
formato brossura: Pulvis et umbra

martedì 23 maggio 2017

SALONE OFF 2017, ovvero di quella volta in cui ho presentato Antonio Manzini

Sabato mattina ho presentato Antonio Manzini alla Biblioteca civica Movimente di Chivasso. Un evento del Salone Off, in cui sono stata coinvolta grazie a Diego Bionda, presidente dell’Associazione Novecento (che a Chivasso ogni anno organizza il festival I luoghi delle parole), che, in cerca di qualcuno per presentare l’incontro un po’ all'ultimo minuto, ha pensato a me.

Vi devo confessare che per i primi minuti i miei pensieri sono stati: “oddio”, “mi sta prendendo in giro, dai”, “oddio”, “ma sarò in grado?”, “oddio”, “non lo voglio fare”, “oddio”, “che figata!”. Perché sì, c’è un piccolo particolare che Diego non sapeva ma che voi che seguite il mio blog e la mia pagina con maggior frequenza sì: ovvero che io adoro Antonio Manzini.

Io che guardo Antonio Manzini con sguardo adorante (©Barbara)

Dal momento in cui ho detto “sì, lo faccio” a quando mi sono seduta su quella poltroncina verde con lui accanto, sabato mattina in biblioteca, ho alternato momenti molto zen ad altri di agitazione più totale. Mi rendo conto sia un po’ sciocco: c’è chi fa presentazioni tutti i giorni, gli scrittori sono persone normalissime e non c’è alcun motivo di agitarsi. Però, ecco, io sono fatta così. E anche se, perdonatemi il gioco di parole, sapevo di sapere su Antonio Manzini tutto quello di cui avevo bisogno per presentarlo (avendo letto praticamente tutti i suoi romanzi e avendo una cotta pazzesca per il suo vicequestore Rocco Schiavone), avevo comunque paura di impappinarmi, di fare la domanda sbagliata, di parlare al microfono facendolo fischiare… tutte cose così.
E invece, con una voce un po’ tremante per i primi minuti che poi man mano è diventata più salda, sono riuscita a farlo: ho presentato Antonio Manzini!

(©Barbara)
Come avevo già avuto modo di scoprire assistendo come pubblico a sue presentazioni, lui è una persona fenomenale. Gli basta un la e parte a raccontare e far pendere dalle sue labbra chiunque lo ascolti.
La presentazione si è incentrata più che altro sul personaggio di Rocco Schiavone, sulla sua nascita, la sua evoluzione e il suo futuro, ma anche la sua trasposizione televisiva (con un Marco Giallini che lo stesso Manzini ha definito fenomenale). C’è stato poi spazio per domande su altri libri, soprattutto su Orfani Bianchi, pubblicato non da Sellerio come tutta la serie di Rocco Schiavone, ma da Chiarelettere. E quando si parlava di questo libro, l'autore si è un po' intristito, quasi incupito, lasciando intendere già solo a vederlo quanto caro gli sia il tema e quanto importante sia stato per lui scriverlo.
Poi però si è riso anche tanto, tantissimo. Quando si parlava di Rocco Schiavone e dei suoi personaggi di contorno, ma anche nelle frecciatine che lo scrittore ha fatto verso certe situazioni politiche italiane attuali o, semplicemente, quando ha raccontato qualche aneddoto nato da una domanda.

Questa foto, nonostante io abbia la bocca aperta, rispecchia perfettamente lo spirito della presentazione. E la trovo stupenda. (©Barbara)

L'incontro è durato quasi un’ora e mezza, tra le mie domande e quelle, tantissime, del pubblico, numeroso anche se era sabato mattina e non c’è stato molto tempo di pubblicizzare l’evento. Ed è davvero bello vedere un pubblico così partecipe e così interessato… non tutti gli scrittori riescono a far sentire così a loro agio le persone che sono lì per ascoltare, ulteriore dimostrazione di che persona splendida, almeno in queste occasioni, sia Antonio Manzini.

Il pubblico in biblioteca (© Diego Bionda)

Sono contenta, davvero. Di non aver ceduto al panico e aver detto “sì, lo faccio” nonostante l’ansia. Sono contenta di come è andata e di aver parlato così da vicino con uno dei miei scrittori preferiti, autore di uno dei personaggi letterari di cui sono più innamorata.
Concludo ringraziando ancora una volta Diego e l'Associazione Novecento, la Biblioteca di Chivasso e il Salone OFF, che mi hanno permesso di essere lì. Ma anche tutti coloro che hanno partecipato, la mia amica Barbara per le foto e il sostegno morale, e tutti coloro che poi mi hanno scritto o mi hanno chiesto come è andata subito dopo e nei giorni successivi.
E ora, devo ammettere, non vedo l'ora di rifarlo.

©I Luoghi delle Parole

PS: che faccio? Ve lo dico che a luglio esce il romanzo nuovo con protagonista Rocco Schiavone? Ma sì dai, ve lo dico!

giovedì 10 novembre 2016

ROCCO SCHIAVONE - LA SERIE - il mio parere spassionato sulla prima puntata

Ieri sera su Rai2 è andata in onda la prima puntata di Rocco Schiavone, la serie tv tratta dai romanzi di Antonio Manzini pubblicati da Sellerio, che hanno come protagonista l’omonimo vice questore.
Se mi seguite già da qualche tempo, saprete quanto io sia innamorata di Rocco Schiavone: questo vice questore romano, spedito in punizione in Valle d’Aosta, che proprio non riesce ad adattarsi a quel clima così diverso e si ostina, nonostante il freddo e le condizioni climatiche avverse, ad andare in giro solo con un loden e con le Clarks. È davvero un gran personaggio, quello inventato da Antonio Manzini: un poliziotto un po’ burbero, che adora farsi una canna non appena arriva in ufficio al mattino, che non sempre è così rispettoso della legge che dovrebbe difendere e che, soprattutto, ha un doloroso passato alle spalle, che nei romanzi si scopre pian piano.

Sono innamorata di Rocco Schiavone, vi dicevo, e quindi quando ho saputo che sarebbe andata in onda una serie tv, sono stata molto combattuta tra un incontenibile entusiasmo e la paura che rovinassero tutto (e il fatto che la serie sarebbe stata per la Rai alimentava parecchio questa paura). Poi s’è scoperto che l’avrebbe scritta Antonio Manzini stesso, insieme con Maurizio Careddu, che sarebbe stata girata da Michele Soavi e, soprattutto, che a interpretare Rocco sarebbe stato Marco Giallini. Che è esattamente come io mi ero immaginata Rocco Schiavone leggendo i libri.
E quindi ieri (ma anche i giorni precedenti, in realtà) ho passato la giornata aspettando che arrivassero le 21.10 e che la prima puntata, tratta dal primo romanzo (Pista Nera), incominciasse.
Io, sul divano, mentre aspetto che inizi la puntata (foto di Luca, tutto intento a trollarmi)

Poi, una volta finita, ho scritto qualche commentino veloce su Facebook, per poi aspettare che passasse una notte per schiarirmi bene le idee e parlarvene come si deve. Alcune impressioni, dormendoci su, sono rimaste esattamente le stesse. Qualcuno è peggiorata.

I PERSONAGGI
Come dicevo prima, Marco Giallini È Rocco Schiavone. Ed è di una bravura incredibile. È riuscito a interpretare bene tutte le caratteristiche tipiche di questo personaggio: la sua apparente antipatia e stronzaggine, il suo menefreghismo per le regole, la sua dolcezza in determinati momenti e situazioni.
Ma è Rocco Schiavone anche nel senso che, se non ci fosse lui, la serie sarebbe un disastro. Se li mangia tutti, gli altri personaggi, ridotti, forse per esigenze di copione, forse per inesperienza degli attori che li interpretano, a delle mere macchiette.
Italo Pierron nel libro è ben caratterizzato: un poliziotto un po’ timido ma che con Rocco instaura subito un grande rapporto, nonostante la soggezione iniziale. Nella serie tv, almeno nella puntata di ieri, sembra un po’ uno scemo. Come se non sapesse molto bene che cosa deve fare ( o provasse soggezione per la bravura di Marco Giallini).
E lo stesso si può dire più o meno di tutti gli altri personaggi. I due poliziotti scemi; la Rispoli (di cui lacaratteristica principale emersa ieri è solo ed esclusivamente il bel sedere); Nora, che compare per meno di cinque minuti, mentre nel libro aveva un ruolo notevole; e anche i protagonisti dell’omicidio.
Si salva Isabella Ragonese, bravissima anche lei a rendere davvero commoventi le scene tra Rocco e Marina (soprattutto se avete letto i libri).

Si può basare un’intera serie tv sulla bravura di uno solo dei suoi protagonisti? Secondo me, no. E infatti Marco Giallini mangia tutti gli altri.



LA FEDELTÀ AL LIBRO
Fedele è fedele. Quasi troppo, verrebbe da dire. Perché, per inserire dentro alla puntata tutte le cose che succedono nel libro, molte sono state solo accennate, abbozzate, rendendole a volte incomprensibili, a volte semplicemente inutili.
È ovvio che è impossibile far stare in una trasposizione televisiva di due ore tutto quello che c’è in un libro di 275 pagine. E quindi forse qualcosa avrebbe potuto essere sacrificato… o si fa bene o non si fa, insomma. (Per esempio, ha reso pochissimo la scena del tir che Rocco, Sebastiano e Italo fermano una sera per smerciare quello che ci dovrebbe essere dentro… e quella nel libro era una scena importante, anche per capire meglio il carattere di Rocco).
Anche lo svolgimento della trama principale (di cui non vi dico nulla, tranquilli, così se non avete visto la serie o letto il libro non avete problemi) è stato un po’ troppo frettoloso e, secondo me, non del tutto comprensibile. Ho capito cosa è successo, ho capito chi è stato, ma in tv viene reso talmente tanto in fretta che arrivi alla fine e pensi “aspetta, siamo già qui?”.
E poi, come dicevo prima, c’è il discorso personaggi. Anche loro solo abbozzati (con alcuni riferimenti incomprensibili o precisati solo con una frasetta in mezzo alle altre) e, in qualche modo, rovinati.

LA REGIA, I DETTAGLI E ALTRE COSE BUFFE
L’atmosfera valdostana del libro viene ricreata perfettamente anche nella serie. Il problema, però, è che ci sono molti dettagli e molte scene un pochino strane, e a volte anche ridicole.
Tipo il momento in cui Rocco, Italo e il maestro di sci sono sulla motoslitta, che si vede lontano un miglio essere finta (ma ci può stare, per carità) e, soprattutto, fatta male.
Oppure il fatto che Rocco in una scena abbia la barba e in quella immediatamente dopo non ce l’abbia più. E una cosa simile succede anche con le scarpe (scende dall’auto con gli scarponcini e sale sul tetto con le Clarks) e con la neve nei dintorni (vi assicuro che quando nevica in Valle d'Aosta come nelle prime scene della puntata, difficilmente dopo due giorni la neve è andata via tutta).
E poi, ma qui forse è colpa mia, a volte non riuscivo a capire che cosa dicessero i vari personaggi. (Per non parlare della questione accento valdostano, completamente ignorato).


IL MIO GIUDIZIO FINALE
Marco Giallini vale tutta la serie. Lui e le scene con Marina.
Senza di lui, temo che farebbe un pochino pena. Lui, con la sua eccezionale bravura, con il suo essere davvero Rocco Schiavone, riesce a salvare quasi sempre il tutto, anche se a volte la noia e il piattume prendono il sopravvento.
Non so se la percezione cambia se si ha letto il libro oppure no. Il mio compagno, seduto accanto a me per tutta la serata (quanta pazienza che hai, amore!), il libro non l’ha letto e la serie lo ha convinto ancora meno di quanto non abbia convinto me.
E quindi non lo so. Sicuramente guarderò anche le altre puntate (venerdì 11 c'è quella tratta da La costola di Adamo, uno dei miei preferiti della serie di Manzini), un po' perché magari migliorano, un po' perché rimane sempre Rocco Schiavone. E sicuramente da una fiction Rai non ci si poteva forse aspettare molto di più.

Però, ecco, i libri ancora una volta sono davvero un’altra cosa.

martedì 19 luglio 2016

7-7-2007 - Antonio Manzini

Aspettavo il nuovo romanzo di Antonio Manzini con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone fin da quando ho girato l’ultima pagina di quello precedente, Era di maggio, più o meno un anno fa.

L’incredibile differenza che esiste tra il tempo che ci va a scrivere un libro e quello che ci mette un lettore per leggerlo è una di quelle cose che più di tutte turba la mia vita di lettrice. Tu aspetti un anno, ma anche di più in altri casi, per avere tra le mani qualcosa che poi finisci in pochi giorni, ma anche di meno, e via, riparte l'attesa.

7-7-2007, da poco pubblicato da Sellerio, è un esempio lampante. Rocco Schiavone mi mancava terribilmente, al punto da correre in libreria a prendere questa sua nuova avventura praticamente lo stesso giorno in cui è uscita.
E, all'attesa dovuta al mio personalissimo innamoramento per questo burbero poliziotto e per lo stile di Manzini, si aggiungeva quella per le spiegazioni che sapevo già che in questo libro sarebbero arrivate.

7-7-2007 inizia in Valle d’Aosta, pochi giorni dopo la fine del romanzo precedente. C’è un Rocco Schiavone incazzato e tormentato, da quanto successo nel romanzo precedente e, soprattutto, dal suo passato e dal suo amore per la moglie Marina. Inizia in Valle d’Aosta, dicevamo, e poi si sposta a Roma, all’estate del 2007 appunto, quella in cui tutto è incominciato. È più giovane, Rocco, ma è sempre un po’ burbero, sempre un po’ al limite tra il rispetto della legge che la divisa gli impone e quello che invece gli fa fare la sua ragione. Ed è innamorato, follemente, di sua moglie, che però questa suo scarso rispetto per le regole non sa se riesce ad accettarlo.
Di sfondo c’è un’indagine di droga e spaccio, una cosa all'apparenza banale, ma che segnerà per sempre la sua vita.

Della trama non vi dico nient’altro, anche perché chi conosce Rocco Schiavone sa benissimo che cosa scoprirà in questo nuovo libro e chi invece ancora non lo conosce sarebbe meglio non partisse da qui.
Quello che posso dire però è che una cotta letteraria così forte non me la prendevo da un bel po’. Forse dai tempi dell’avvocato Guerrieri di Gianrico Carofiglio, verso cui però la passione è scemata in fretta. Rocco Schiavone è un figo, non saprei in che altro modo dirlo. Nel suo modo di essere, così burbero, a volte persino stronzo, eppure con una certa sua etica e una sua dolcezza nascosta, che riserva davvero solo a chi se la merita.

Antonio Manzini è riuscito a creare un grandissimo personaggio e a non rovinarlo nemmeno dopo cinque romanzi. Certo, dopo Era di maggio qualche dubbio ho iniziato ad averlo, ma in 7-7-2007 si riprende alla stragrande, creando un giallo davvero ben riuscito (e facendomi pure versare qualche lacrimuccia).

L'unico vero problema è che ora bisogna aspettare, di nuovo, il prossimo.


Titolo: 7-7-2007
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 370
Editore: Sellerio
Anno: 2016
Acquista su Amazon:
formato brossura: 7-7-2007

mercoledì 26 agosto 2015

ERA DI MAGGIO - Antonio Manzini



Che sono innamorata di Rocco Schiavone ve l’ho già detto, vero? Mi sembra proprio di sì, quando ho recensito Pista nera, La costola di Adamo e Non è stagione. Ma è sempre meglio ripeterlo, così da mettere le mani avanti nel caso la recensione di Era di maggio, ultima avventura del vicequestore nato dalla penna di Antonio Manzini, risulti un po’ troppo entusiasta.
Sono innamorata di Rocco Schiavone forse addirittura di più di quanto non lo sia stata in passato del Guido Guerrieri di Gianrico Carofiglio. 
Forse perché Rocco è più rude ma in realtà ha un cuore tenero, forse perché non è così onesto come ci si aspetterebbe, forse perché il suo passato è tanto triste e doloroso. Non lo so, però da quando l’ho scoperto aspetto una sua nuova avventura sempre con molta trepidazione.

Era di maggio (che è uscito a fine luglio quindi mi sa che adesso avrò un bel po’ da aspettare, visto che i tempi di scrittura e quelli di lettura sono ben distanti tra loro) riparte esattamente da dove era finito Non è stagione. La fidanzata di un amico di Rocco è stata uccisa quando si trovava ospite a casa del vicequestore e appare chiaro a tutti che il vero obiettivo era proprio lui. Il passato di Rocco torna quindi a rifarsi vivo e, ancora una volta, l’uomo si ritrova a fronteggiare dei sensi di colpa che forse non lo abbandoneranno mai. Mentre cerca di indagare su quanto successo, con frequenti viaggi a Roma, anche il caso di mafia e appalti truccati che sembrava risolto con il ritrovamento della figlia Pietro Berguet, rapita nel volume precedente, ritorna in auge, a seguito di una misteriosa morte...

Era di maggio è un libro di transizione, di difficile lettura senza aver letto il precedente e che lascia in sospeso tante cose per un seguito (quindi se non avete mai letto nulla di Antonio Manzini e di Rocco Schiavone, non partite da qui, perché ci capireste davvero poco).
La storia di Rocco e del suo passato sta diventando sempre più predominante rispetto a una vera e propria trama gialla, fatta di omicidi e indagini, segno evidente che Antonio Manzini sta ponendo le basi per qualcosa di grosso, fornendo al lettore indizi via via sempre più grandi.

Questa volta, però, ho trovato un po’ più confusi e difficili da seguire i vari spostamenti del protagonista su e giù per l’Italia e sviluppate in modo forse un po' troppo frettoloso le indagini del crimine in Valle d'Aosta.
E poi c'è quel finale aperto, troppo aperto, che lascia in sospeso tante, tantissime cose, che un pochino mi ha disturbato (anche perché non è una serie tv, che la puntata successiva arriva al massimo una settimana dopo... l'attesa per il prossimo potrebbe essere lunga)
Lo stile di Manzini, però, è talmente appassionante e coinvolgente, così come il personaggio di Rocco e tutti quelli di contorno sono talmente ben caratterizzati, che l’autore può permettersi di giocare con la pazienza dei lettori ancora un po’, senza correre grossi rischi di stancare nessuno.

Sperando non ci faccia attendere troppo per un nuovo seguito. Che quel gran figo di Rocco Schiavone già mi manca un sacco.

Titolo: Era di maggio
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 381
Editore: Sellerio
Anno: 2015
Acquista su Amazon:
formato brossura: Era di maggio
formato ebook: Era di maggio

venerdì 29 maggio 2015

Interviste rampanti: ANTONIO MANZINI

Tornano le interviste rampanti! E il primo protagonista di questa nuova tornata è uno scrittore che ho scoperto da poco e per puro caso, per poi appassionarmici tantissimo. Sto parlando di Antonio Manzini, sceneggiatore, regista e scrittore, creatore del vicequestore Rocco Schiavone, protagonista di Pista nera, La costola di Adamo e Non è stagione, oltre che di altri racconti gialli tutti pubblicati da Sellerio.

No ma Manzini non ci piace, eh...

L'ho scoperto per caso, vi dicevo, e me ne sono innamorata. Sarà che abito molto vicina ai luoghi in cui sono ambientati questi tre romanzi, sarà che ho una passione per i romanzi dei giallisti italiani... non lo so. Però ho divorato questi suoi tre romanzi in poco e a poca distanza l'uno dall'altro (anche se l'ultimo non l'ho ancora recensito) e, quando ho pensato di riportare in vita queste interviste, lui è stato il primo autore che mi è venuto in mente. E sono contenta e lo ringrazio per aver accettato., perché così ho scoperto che ha scritto anche altri romanzi in passato (certo che anche io potevo informarmi prima di chiederglielo eh...) e, soprattutto, che il mio vicequestore preferito sta per tornare.

Ringrazio quindi Antonio per aver accettato e vi lascio alle sue risposte!

Da bambino dicevi “da grande farò lo scrittore”?
No. Volevo fare l’archeologo.

Come è nato il personaggio di Rocco Schiavone? E perché hai scelto di mandarlo in esilio proprio in Val d’Aosta? 
Io non lo so com’è nato Rocco. Piano piano, forse, n pezzo alla volta. Ci pensavo, poi lo lasciavo lì, ha avuto un paio di scritture prima della definitiva (anche il nome è cambiato) e poi è arrivato. La val d’aosta ha due ragioni. La prima, più superficiale, mi piaceva calare un trasteverino doc in una realtà lontana da lui mille miglia. Insomma, creare un fish out the water è sempre una bella molla narrativa. Forte della mia conoscenza pluriennale della Valle. La seconda poi è legata alla morfologia della Valle. Montagne altissime, le più alte d’europa, ghiacciai eterni, valli chiuse, battezzate poco dal sole, difficili da raggiungere, insomma quel panorama ricorda troppo l’interiorità di Rocco. Lui non lo sa, ma si somigliano

Hai mai pensato di scrivere un romanzo con un altro protagonista?
Sì, ne ho già scritti. Uno per Fazi editore, anni fa, si chiamava Sangue marcio. L’altro La giostra dei criceti per Einaudi,

Per Sellerio hai pubblicato sia romanzo sia racconti, all'interno di quelle raccolte “a tema” che escono per le festività. Con quale dei due generi ti trovi più affine? E’ più “difficile” scrivere un romanzo o un racconto, per te?
Ognuno ha la sua difficoltà. La struttura del racconto è più ferrea, soprattutto se si tratta di un racconto giallo. Spesso devi rinunciare a step narrativi cercando di concretizzare presto e subito, con poche pennellate, il mondo che stai provando a raccontare. Il romanzo è tutt'altro. Puoi prenderti anche delle pause. Poche, perché il lettore se ne accorge subito e castiga immediatamente. Per fare un parallelo con la pittura, il racconto è un disegno a carboncino, il romanzo un affresco.

Come sei stato scoperto ( o sei riuscito a farti scoprire)dalla casa editrice che ti ha pubblicato?
Con la Sellerio mandando il manoscritto. Ma ero forte di due pubblicazioni precedenti che qualcosa credo abbiano contato.

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
Di cose belle me ne hanno dette tante. Che il libro fa ridere e commuove e si fa leggere in maniera spedita ma non è un racconto superficiale. Anche di brutte me ne hanno dette. Ma le tengo per me.

Hai qualche mania come scrittore?  Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
No. Nessun vizio. Vorrei perdere quello di fumare, che quando scrivo tendo a esagerare.

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai voce in capitolo nella scelta di quella dei tuoi libri?
Sai, Sellerio è blu. E scelgono un dipinto o un disegno. Spesso me lo fanno vedere prima. Ma sono talmente bravi che raramente non sono stato d’accordo. Anzi, il più delle volte mi stupiscono.

Quali sono i libri che più hanno influenzato la tua vita, come narratore ma anche come uomo?
La montagna incantata, Delitto e castigo, I racconti di Cecov, Morte a credito, Un uomo vero ma potrei andare avanti fino a tarda notte.

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Niccolò Ammaniti. Uno qualsiasi.

I dati sul numero di lettori in Italia peggiorano di anno in anno. Secondo te, perché? Pensi che sia giusto cercare di convincere un non lettore a leggere? E se sì, da dove bisognerebbe partire?
Credo che i dati dipendano dalla crisi. I beni voluttuari, libri, cinema, teatro e mostre, sono i primi a pagarne lo scotto. Un non lettore deve avvicinarsi da solo se vuole alla lettura. Non è qualcosa di misterioso. Ha fatto la scuola (forse il modo di insegnare la letteratura ha qualche responsabilità) e sa dove sono le librerie. Ma il distacco fra gli italiani e la lettura credo dipenda molto dalla nostra storia. Insomma, inglesi, francesi, russi hanno una tradizione centenaria, il romanzo fa parte del tessuto connettivo di quelle società da anni. Noi siamo un po’ in ritardo. Forse le generazioni a venire colmeranno quella lacuna. E poi credo che in un paese dove per anni si è detto che con la cultura non si mangia e si è insistito nel portare la gente a guardare pessima televisione, difficilmente si sarebbe potuto allargare il numero dei lettori.

Quando uscirà il prossimo romanzo con Rocco Schiavone? (e già che ci sono, posso suggerirti di ambientarlo al Forte di Bard?)
Al forte prima o poi andrà… a Luglio, credo. Fine Luglio

Qual è il tuo colore preferito?
Rosso

venerdì 13 marzo 2015

LA COSTOLA DI ADAMO - Antonio Manzini

Bene, mi sono innamorata di Rocco Schiavone. Sì, lo so che ero già innamorata di Guido Guerrieri e un po’ di anche di Massimo del BarLume, però il bello dei libri è che ti puoi innamorare di tutti i personaggi che vuoi senza che nessuno di loro si ingelosisca.
La scintilla con Rocco Schiavone si era già accesa con Pista Nera, il primo romanzo della serie scritta da Antonio Manzini. Già lì si era dimostrato un duro con un cuore, uno stronzo ma con un’etica (ok, sempre un po’ sul confine tra legale e illegale), oltre che un bravo investigatore. E ora, con La costola di Adamo, la scintilla si è trasformata in fuoco vivo.

Rocco, che continua a indossare le Clarks e il loden sebbene ormai abbia capito che ad Aosta fa freddo, si ritrova a indagare su uno strano suicidio. C’è una casa in disordine e una donna appesa a un lampadario in una stanza buia. Che qualcosa non torni se ne accorgerà quasi subito. Come si fa ad impiccarsi al buio? A disturbare le indagini, che lo porteranno a conoscere piccoli delinquenti locali, mariti apparentemente devoti, una libraia d’eccezione e un prete insospettabilmente manesco, inaspettatamente ricompare il passato di Rocco, quello che lo ha portato da Roma in esilio in Val d’Aosta e che ora richiede di nuovo un suo intervento. Perché qualcuno che fermi la violenza sulle donne, che sia al nord, al centro o al sud, che sia compiuta da persone insospettabili, ci va. E poi c’è Marina, la sua amata Marina, che richiede la sua attenzione.

Al di là della mia passione per Rocco Schiavone, che qui sembra un po’ meno burbero e un po’ più simpatico (la scena del video mi ha fatta ridere davvero di gusto), più umano rispetto al primo romanzo,  in questo libro c’è un messaggio forte e chiaro verso i femminicidi e la violenza sulle donne, una piaga sociale, come ricorda anche lo stesso Manzini nei ringraziamenti, che finché esisterà non permetterà a nessun paese di definirsi civile. Un messaggio che colpisce e fa anche un po' male.

Oltre a questo, Manzini fa poi molto leva sul passato di Rocco, sulla sua storia con la moglie e sul forte amore che lui prova e proverà sempre per lei, nonostante quello che è successo. Una strizzatina d’occhio più al mondo femminile, forse, ma che non va comunque ad intaccare né il personaggio né lo svolgimento della trama.

La costola di Adamo è sicuramente un romanzo di  puro intrattenimento, che si legge in poche ore e non richiede troppo impegno mentale  al lettore. Però è anche qualcosa di più, perché non è vero che questi romanzi, che io stessa definirei da spiaggia (o forse più da giornata di relax montagna, se si tiene conto dell’ambientazione Valdostana), non debbano lasciare nel lettore qualcosa su cui riflettere riguardo al nostro mondo, che a volte sa essere proprio brutto.

E quindi bravo a quel gran fico di Rocco Schiavone, ma soprattutto bravo a Manzini per aver creato questo personaggio e questa grande storia.

Titolo: La costola di Adamo
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 285
Editore: Sellerio
Anno: 2014
Acquista su Amazon:
formato brossura: La costola di Adamo