Visualizzazione post con etichetta Narrativa Italiana Contemporanea. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Narrativa Italiana Contemporanea. Mostra tutti i post

mercoledì 16 gennaio 2019

LA MISURA DELL'UOMO - Marco Malvaldi

Per crescere bene occorrono libertà e tranquillità.In una parola, fiducia. Ma anche regole e rispetto di esse, perché altrimenti il forte soverchia il debole, o il furbo abbindola il fesso, e di libertà non ve n’è più.


Accolgo sempre con una certa diffidenza il cambio di editore da parte di autori a cui sono affezionata. Capisco qualunque motivazione che ci possa essere alla base, che sia economica o affettiva, ma da lettrice appassionata delle opere di un certo scrittore vedere che improvvisamente usciranno con un’altra veste grafica e sotto un altro patrocinio, se così si può definire, provo quasi un moto di fastidio: mi sballa l’ordine in libreria, mi turba al momento della lettura, etc etc... tutte cose così, apparentemente prive di senso che però riescono spesso a condizionare il mio rapporto con un determinato libro.

È più o meno quello che mi è successo con La misura dell’uomo di Marco Malvaldi, primo volume di una trilogia dedicata a Leonardo da Vinci, uscito in libreria a novembre del 2018 per Giunti editore. 

Sì, per Giunti editore.
Niente copertina blu elegante.
Niente formato piccolo, ben riconoscibile.

Certo, Malvaldi non è nuovo ai cambi d’editore, ma nella maggior parte dei casi con altri marchi ha pubblicato per lo più saggi divulgativi, non romanzi. Non gialli. E anche se poi ho scoperto che si è trattato di un cambio temporaneo (e che dovrebbe uscire a breve un nuovo romanzo per Sellerio), sono stata indecisa a lungo se leggere o meno questo libro. Da un lato quanto detto sopra mi respingeva parecchio; dall’altro però so quanto sia bravo Malvaldi con i gialli storici, quanto sia bravo a giocare con la lingua e, soprattutto, quanto si diverta a farlo (Odore di chiuso ne è l’esempio più lampante, oltre a essere il mio preferito in assoluto, più dei vecchietti del Barlume). 

Alla fine, complice anche un regalo di Natale, mi sono decisa. La misura dell’uomo è stata la mia prima lettura di questo 2019. E spero davvero non determini l’andamento di tutto l’anno. Perché no, non mi ha convinta.

Siamo a Milano, sul finire del XV secolo: una città che sta fiorendo, in pieno Rinascimento, grazie al consolidamento del sistema finanziario e al patrocinio di Ludovico il Moro che governa la città. In questo contesto opera Leonardo da Vinci. Un uomo piuttosto singolare, che vive con la madre, gira per la città con delle lunghe vesti rosa, scrive al contrario e sembra sempre immerso nei suoi pensieri. In qualche calcolo, forse, o in come cavolo fare a rivestire di rame un’enorme statua che gli è stata commissionata proprio dal Moro. Quasi non sembra accorgersi degli intrighi che succedono in città, tra governatori legittimi e regnanti illegittimi, tra richieste di alleanze e tentativi di tradimento. Finché un giorno non viene chiamato al Castello: è stato trovato un uomo morto in cortile e occorre che qualcuno, oltre all’astrologo di Corte, indaghi su cosa è successo. Verrà così alla luce uno strano complotto, che Leonardo è chiamato a sventare.

Le potenzialità per essere un buon romanzo La misura dell’uomo le ha tutte: il personaggio di Leonardo, il contesto storico e sociale, l’idea del giallo e del ritrovamento. Ma Malvaldi stesso sembra perdersi nella trama che ha inventato, ricca di intrecci, personaggi (c’è un Dramatis Personae all’inizio, ma secondo me non è sufficienti) e riferimenti storici che io personalmente ho faticato un po’ a seguire. Ma a parte questo, ciò che più mi ha lasciato interdetta in questa lettura è che non mi sono divertita. Non quanto Malvaldi in passato mi aveva abituato a fare. È come se si fosse in qualche modo trattenuto, che non abbia spinto abbastanza su quegli elementi (il linguaggio, la caratterizzazione dei personaggi) che invece di solito sono il suo forte. 
Anche la parte gialla vera e propria per me è stata poco convincente: manca la curiosità, manca il colpo di scena, manca il poter seguire passo passo l’investigatore (e che investigatore!) nelle sue indagini e arrivare con lui alla soluzione. Tutte cose che mi sarei aspettata.

Insomma, sono arrivata alla fine di La misura dell’uomo un po’ a fatica, devo dir la verità, con la sensazione di aver letto un romanzo che poteva essere molto ma molto di più di quello che alla fine è stato. Perché conosco Malvaldi e il suo stile da parecchi libri e so che ne sarebbe stato in grado. 
Certo, è anche vero che si tratta il primo di tre volumi, quindi c’è ancora tempo per sviluppare meglio tutte le parti che, per me, non hanno funzionato. Il problema però è che è proprio il primo romanzo a dover far venire la voglia e la curiosità di leggere anche i successivi. E, in questo caso, almeno per me non è successo.

(Anche se poi li leggerò lo stesso, perché io a Malvaldi voglio sempre un sacco bene).


Titolo: La misura dell'uomo
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 300
Editore: Giunti editore
Anno: 2018
Prezzo: 18,50€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: La misura dell'uomo
formato ebook: La misura dell'uomo

lunedì 5 novembre 2018

DESTINO - Raffaella Romagnolo

Il destino è un mistero. La stessa guerra non è la stessa guerra. I soldati americani avevano gallette, dolcetti, zucchero, caffè solubile; ai Leone mancava il pane. Assunta ha fatto il possibile, ora Giulia lo sa. Non ci sono conti da aggiustare, non c'è niente da perdonare. Facciamo tutti il possibile, amica mia.


Mio padre era originario di Bosio, un paesino abbarbicato sull'appennino ligure ma ancora in Piemonte, in provincia di Alessandria. In realtà era di una frazione di poche case e poche anime, che porta proprio il mio cognome. Oltre a Ponassi, fa parte del comune di Bosio anche Capanne di Marcarolo, un agglomerato di case che oggi ha ben ventotto abitanti e un parco naturale omonimo, conosciuto in tutta Italia perché lì, nel 1944, c’è stata la strage della Benedicta: fascisti e tedeschi hanno ammazzato settantacinque partigiani.
Sono stata sui luoghi della strage solo una volta, da bambina, un giorno in cui eravamo a Bosio e i miei genitori hanno deciso di portarci. Dopo tanti racconti sentiti dai parenti e gli amici più anziani, da chi ha vissuto da vicino quegli anni o ha perso un proprio famigliare in quell'eccidio, era giunto anche per noi il momento di andare a rendere omaggio.

Perdonate la lunga premessa, ma quando ho aperto per la prima volta Destino, il nuovo romanzo di Raffaella Romagnolo da poco uscito per Rizzoli, e ho visto che era dedicato proprio “Ai ragazzi della Benedicta”, la mia mente è subito tornata a quel giorno e a tutti i racconti che ho sentito nel corso degli anni. Poi mi sono accorta anche che Borgo di Dentro, uno dei due luoghi protagonisti del romanzo, è Ovada, altro paese che ho sempre sentito nominare in casa, e ho capito che Destino, io, lo avrei amato.
Conoscevo già la scrittura di Raffaella Romagnolo, grazie a quel piccolo capolavoro di La figlia sbagliata, ed ero davvero curiosa di leggere qualcosa di nuovo di questa autrice (di cui, secondo me, si parla davvero troppo poco). Certo, però, non mi aspettavo di leggere qualcosa di forse ancor più bello e più intenso.

Destino racconta la storia di due amiche e delle loro famiglie nella prima metà del ‘900. Giulia Masca e Anita Leone sono nate e cresciute a Borgo di Dentro: entrambe lavorano alla filanda del paese, insieme a tante altre donne.  Poi, a un certo punto, le loro strade, i loro destini, si dividono. Giulia molla tutto, il lavoro, la casa, la madre Assunta e parte per l’America e approda a New York, dove con fatica si fa una nuova vita insieme a un altro immigrato italiano. Anita, invece, resta e, insieme alla sua numerosa famiglia, vive sulla sua pelle l’arrivo della Prima Guerra Mondiale e della chiamata alle armi degli uomini di casa, poi dello squadrismo e del Fascismo, della Seconda Guerra Mondiale, delle lotte partigiane e della resistenza agli orrori che si ritrova ogni giorno a vivere.

Il vuoto lasciato da Giulia non si riempì, ma la vita aggirò l’ostacolo e riprese a scorrere. Prima rivoli e zampilli – una partita a carte, un pomeriggio tutti insieme, il ballo a palchetto sul far dell’estate, il nome di Giulia che, davanti a un testo di polenta, qualcuno pronuncia senza scandalo – poi con flusso invincibile, capace di superare d’un balzo la morte di nonno Domenico, nel sonno, e quella della stessa Luigina, tre mesi dopo, di malinconia.

Sono due donne forti, Anita e Giulia, anche se in modi diversi. E sono soprattutto due amiche, che a un certo punto si sono perse per strada ma non hanno mai smesso di pensare l’una all’altra e alle scelte diverse, ugualmente difficili, che entrambe hanno compiuto e che riacquistano forza e intensità quando Giulia, dopo tanti anni, ritorna a Borgo di Dentro. Non sa cosa aspettarsi; non sa cosa è successo alle persone che amava e ha paura di quello che potrà, o non potrà, trovare. 
Attorno ad Anita e Giulia ruota una serie di personaggi (in mezzo a cui l’autrice ci aiuta a districarci inserendo, all'inizio di ognuna delle tre parti di cui si compone il libro, gli alberi genealogici) altrettanto intensi e ben caratterizzati: i fratelli di Anita, Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio; i figli e i nipoti; i vicini di casa; i padroni dei terreni e della fabbrica, la bella e tenace Adelaide... tante vite che si mescolano, che vivono, da uno schieramento o dall'altro, mostrando coraggio o paura, quello che la storia del Novecento mette loro davanti, appoggiandosi alle piccole gioie quotidiane per resistere e sopravvivere a un destino più grande contro cui non possono nulla.

La ragazza si scosta seccata, poi si alza e lo guarda. A Nico sembra più alta, il volto duro, una riga netta tra le sopracciglia. «Ti odio» dice e gli dà uno schiaffo.
Nico rimane di stucco, poi si riprende, le afferra il polso e la tira a sé. Lei cerca di colpirlo ancora. «Ti odio» singhiozza, mentre Nico la stringe, le bacia il volto in lacrime, le chiude le labbra con le labbra. «Anch'io» le soffia in bocca, poi sente il pianto in gola e si abbandona, la bacia e intanto piange, lei invece smette di singhiozzare, la sente sorridere, poi proprio ridere, e allora ride anche lui e pensa: Oddio, la felicità.

Destino è un romanzone, in cui io ho trovato tutto quello che spero sempre di trovare in un libro: la Storia, quella con la S maiuscola, raccontata dal punto di vista umano, di chi è morto in una trincea e di chi era a casa ad aspettare, di chi è stato fucilato insieme ad altri ragazzi come lui e di chi è andato a recuperare i corpi, di chi ha mollato tutto e ha attraversato l’Oceano in cerca di se stesso e di chi invece è rimasto dov'era e ha vissuto con quello che aveva; di chi è tornato e di chi non se n’è mai andato. Tutto questo con personaggi ben caratterizzati (il mio prossimo animale domestico lo chiamerò Gelida Manina), momenti molto teneri e pieni d’amore, speranza e altruismo, e altri carichi di rabbia, ingiustizia e tanto, tanto dolore. Proprio com'è la vita.
Si capisce subito quando, nel lezzo e nella confusione, una donna riconosce un figlio. Tutto si ferma per qualche secondo, il ronzare delle mosche crepita come un falò. Rita siede su un masso, fissa il ruscello e non dà una lacrima, immobile. Qualcuno scende da Cascina Benedicta portando a braccia travi annerite da fumo e parti dell’impiantito. I pezzi di legna ch’erano tavoli, sedie e solette, vengono appoggiati delicatamente sui corpi già ripuliti, bare improvvisate. Anita toglie il fazzoletto che porta al capo, lo straccia e ne ricava due pezzuole. Inzuppa la prima nell’alcol, s’inginocchia accanto a un ragazzo e lo ripulisce, poi un altro, poi un altro, fino a contarne cinque. Poi si alza, raggiunge il ruscello, sciacqua la pezzuola nell’acqua torbida, cerca la ragazza con l’alcol e ricomincia.

Raffaella Romagnolo ha scritto un romanzo incredibile, in cui si vedono tutte le ricerche e gli studi che ha compiuto, tutta l’attenzione nel raccontare qualcosa di così difficile e al tempo stesso tutta la passione che ci ha messo nello scrivere, che emerge in ogni personaggio, in ogni gesto, in ogni singola riga di ogni singola pagina. Un libro semplicemente stupendo.


Titolo: Destino
Autore: Raffaella Romagnolo
Pagine: 397
Editore: Rizzoli
Anno: 2018
Prezzo: 21€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Destino
formato ebook: Destino

martedì 23 ottobre 2018

LA BAMBINA OVUNQUE - Stefano Sgambati

In effetti da quando la ginecologa ha pronunciato la frase "Da adesso può nascere in qualsiasi momento" sono precipitato, e c'era da aspettarselo, in un abisso di letture e riletture delle più svariate sintomatologie: fosse per me mia moglie dovrebbe già essere ricoverata, osservata da dodici o tredici medici ventiquattro ore su ventiquattro, intubata e il suo organismo invaso di sostanze psicotrope calmanti, la sala d'attesa dell'ospedale gremita di parenti e amici, troupe televisive, giornalisti; invece è uscita.
Mia moglie è uscita
Per la precisione prima è uscita la pancia, poi mia moglie, che mi pare la segua:  segue una pancia enorme che contiene nasconde protegge nostra figlia, la persona qualunque che piegherà il piano inclinato del mondo.


I libri come La bambina ovunque di Stefano Sgambati, uscito a settembre per Mondadori, sono molto difficili da recensire. 
Potrei buttarla facilmente sulla tenerezza, che è uno dei sentimenti predominanti che si prova durante la lettura e anche una volta concluso il libro. La tenerezza di una coppia che si innamora e a poco a poco si scopre a vicenda; la tenerezza di un marito e di una moglie nella loro quotidianità, fatta di differenze caratteriali, a volte incomprensioni, a volte discussioni, e sempre amore; la tenerezza di un padre che non sa bene quale sia il suo ruolo (se davvero ne ha uno) durante i nove mesi di gravidanza di sua moglie; e la tenerezza dello stesso padre quando la bambina nasce e lui ancora non sa bene che farne; e infine la tenerezza del padre cresciuto, che guarda la figlia e quel che è diventata.

La madre tamburella le dita in quel punto e il padre capisce, perché è un gioco che fanno da tantissimo tempo, "darsi appuntamento" vicino agli oggetti sui tavoli, dietro al bicchiere, accanto al coltello; perciò raggiunge con la sua mano le dita tamburellanti di lei, gliele copre con il palmo, stop, è tutto lì, non c'è altro, il più grande e semplice gesto di pace che si sia mai visto in una cucina, lei gli sorride, sono bellissimi, la panciona di lei tocca il bordo del tavolo, sono bellissimi, sono la cosa più bella che io abbia mai visto e per un po' non dicono niente, non c'è un'altra proposta di matrimonio da fare, soltanto quella mano sopra un'altra mano e la torta rustica un po' sbocconcellata nei piatti, un forno a microonde bianco, un kitchen-aid arancione grazie al quale il padre sta imparando la panificazione, e c'è un pezzo di scottex sul pavimento che la madre proverà più tardi a raccogliere, subito bloccata da lui, che le dirà "Lascia lascia", e così tutti i giorni, da quasi nove mesi e così sarà per sempre, ma a turno, aiutarsi, venirsi incontro, incantarsi.

Potrei altrettanto facilmente buttarla sul personale, visto che io e mio marito siamo più o meno coetanei di questo padre e di questa madre e anche a noi piaceva guardare Masterchef in tv finché c’era Cracco (il programma dei pacchi no, non l’ho mai sopportato invece, nemmeno come sottofondo). Di figli noi non ne abbiamo ancora, anche se è un argomento di cui ogni tanto si parla, che aleggia tra noi in modo più o meno serio (di solito con buffi accostamenti di nomi con il cognome), ma che, onestamente non sappiamo se e quando sarà. E nemmeno come, se dovremo anche noi affrontare quello che hanno affrontato i protagonisti di La bambina ovunque, tra FIVET, campioni di sperma e siringhe di ormoni schizzate sullo specchio del bagno.

E ogni tanto ci ritrovavamo svegli entrambi su un letto umido che sembrava una zattera e avevamo fatto da poco l'amore per la quattordicesima volta di fila nei Giorgi Giusti e di nuovo e sempre orbitava sopra di noi, a pochi centimetri dal naso, la sensazione misteriosa e inesplicabile che avessimo fallito ancora, che qualcosa tra me e mia moglie si opponesse.

Ma se mi limitassi a buttarla sulla tenerezza e sul personale, non credo riuscirei a rendere giustizia al libro, perché, al di là dell’empatia con i protagonisti, al di là delle proprie esperienze e della facile commozione di fronte quegli episodi quotidiani della vita di coppia che quasi la tengono su, in questo c’è anche tanto altro.

La bambina ovunque è un memoir ironico e sincero, che non edulcora nulla, in cui questo padre s’interroga su quale sia il suo posto, senza lasciarsi prendere dalle smancerie o dall'entusiasmo che ci si aspetterebbe necessariamente da chi sta per avere un figlio. Stefano ammette subito di non essere tanto convinto all'inizio, di farlo più per soddisfare il desiderio di maternità della moglie; racconta quanto sia stato difficile arrivarci, quanto imbarazzo abbia provato nel momento di fornire il suo contributo in un barattolino, quanto sia stato difficile accettare che quell'esserino minuscolo sia arrivato nelle loro vite per stravolgerle talmente tanto che nemmeno le terribili notizie in tv possono distogliere l’attenzione da quel fagottino inerte.

Mi è piaciuto forse un pochino meno il capitolo finale, quello in cui il memoir si trasforma in finzione e il padre guarda la figlia e com'è diventata. Per quanto dolce sia ritrovarla da grande in uno dei luoghi preferiti dell'autore, questa proiezione nel futuro attribuisce a questa bambina ovunque (che oggi di anni dovrebbe averne un paio) una certa "responsabilità" che non so quanto sia giusto che abbia.

In ogni caso, La bambina ovunque è un libro divertente e a tratti molto tenero, da cui è facile lasciarsi coinvolgere, soprattutto se si è vicini all'età dei protagonisti. Ma, soprattutto, è un libro molto vero, reale, che dà voce a quei pensieri che magari molti genitori, soprattutto padri, fanno quando stanno aspettando un figlio, senza aver però il coraggio di pronunciarli. E che poi, una volta che il figlio arriva, a poco a poco spariscono, sostituiti dall'amore, dalla scoperta, dal vedere un noi fatto di due, diventare di tre.


Titolo: La bambina ovunque
Autore: Stefano Sgambati
Pagine: 137
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Prezzo: 18,00
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: La bambina ovunque
formato ebook: La bambina ovunque

mercoledì 17 ottobre 2018

FATE IL VOSTRO GIOCO - Antonio Manzini


La settimana scorsa è uscito Fate il vostro gioco, il nuovo romanzo di Antonio Manzini con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone. Non starò qui a dirvi per l’ennesima volta quanto io ami questo personaggio, quanto attenda con ansia ogni sua nuova avventura e quanto, dopo un inizio non proprio entusiasta, mi sia appassionata anche alla serie tv che ne hanno tratto. Rocco Schiavone è un figo, burbero, stronzo, segnato da un passato che non gli dà tregua e che condiziona tutto il suo presente. Ma è anche tenero, a modo suo, con chi se lo merita (Lupa, più di tutti).

Aspettavo con ansia un nuovo romanzo, vi dicevo, anche perché sono ancora sconvolta da quanto successo da Pulvis et umbra l’anno scorso (per non fare spoiler dico solo: Caterina) ed ero curiosa di vedere come ne sarebbe uscito il mio vicequestore preferito.
Non benissimo, diciamoci la verità, perché Fate il vostro gioco, nonostante non sia un romanzo breve e abbia richiesto comunque un anno per essere scritto, è un po’ sottotono rispetto ai precedenti. E ci sta, ci mancherebbe, in una serie arrivata ora al settimo romanzo, più tutta una serie di racconti; ci sta che uno sia meno riuscito di un altro, soprattutto se arriva dopo due storie in cui la vicenda di Rocco ha forse toccato il suo climax. 

In questo nuovo romanzo, Rocco Schiavone si ritrova a indagare sull’omicidio di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint Vincent, ritrovato cadavere in casa sua con la fiche di un altro casino tra le mani. “Un morto che parla”, lo definisce Rocco, che si sforza per capire che cosa voglia dirgli. C’entra il riciclaggio? C’entrano i prestiti ai poveracci che si rovinano sul tavolo da gioco? O nessuna di queste cose? Rocco indaga con tutta la squadra, anatomopatologo Fumagalli e complottista della scientifica Gambino compresi. Ma nel mentre deve anche stare un po’ dietro a Italo, che sembra avere più di un problema, e, soprattutto, fare i conti con quanto successo nel romanzo precedente: i suoi amici romani che sembrano fidarsi più di lui, Enzo Baiocchi che pare intenzionato a fare grandi rivelazioni alla polizia, Marina che non si fa più sentire, e Caterina, ovviamente. A complicare ulteriormente le cose ci si mettono pure il vicino di casa adolescente Gabriele e sua madre. Riuscirà il nostro vicequestore preferito a risolvere il caso e, una volta per tutte, anche i suoi tormenti?

Lo scopriremo nella prossima puntata. Dico davvero (e prima che mi si accusi di spoiler, lo dice anche la bandella), perché Fate il vostro gioco è un romanzo che non finisce, che lascia in sospeso tante cose per quello a venire. E questo, per quanto mi riguarda, rappresenta un po’ un problema: non mi piacciono i gialli che non sono autoconclusivi; o meglio, mi piace che ci sia una trama parallela che li colleghi tutti, ma l’omicidio che viene affrontato in un romanzo preferisco che in quello finisca.
Al di là di questo, che è sicuramente una questione più personale, trovo che Fate il vostro gioco sia un po’ frettoloso, un po’ abbozzato. Più nella scrittura, forse, che non nella trama vera e propria. E qualcuno mi faceva notare che probabilmente è già pensato per serie tv: è più fatto di scenette, più televisivo. E poi, diciamocela, Rocco senza le sue donne non funziona tanto. E Antonio Manzini stesso sembra esserne reso conto perché poi, verso la fine, corregge un po’ il tiro con una scena in effetti molto commovente.

Fate il vostro gioco non è un brutto romanzo, sia chiaro. E, come si diceva già prima, un libro un po’ sottotono in una serie che inizia a diventare piuttosto lunga ci sta eccome. Però al tempo stesso un po’ mi spiace perché, pur avendolo divorato in un paio di giorni senza riuscire a metterlo giù, mi è mancato qualcosa che negli altri avevo trovato. Che il personaggio di Rocco stia iniziando a esaurirsi? Che stiano finendo tutte le complicazioni (e le rotture di coglioni) che il vicequestore possa affrontare risultando ancora credibile? 
Mi sa che, anche questo, lo scopriremo nella prossima puntata.


Titolo: Fate il vostro gioco
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 391
Editore: Sellerio
Anno: 2018
Prezzo: 15€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Fate il vostro gioco
formato ebook: Fate il vostro gioco (Il vicequestore Rocco Schiavone Vol. 11)

mercoledì 19 settembre 2018

L'AMORE - Maurizio Maggiani

Il fatto è che ci ho messo un bel po' a imparare a dire ti amo. Ci sono stati degli allenamenti, lunghi e penosi allenamenti in verità. Ti amo, provare un po' a dirlo ad alta voce se ti viene subito, così. Ti amo ti amo ti amo.


L’amore, da poco uscito per Feltrinelli editore, è il primo romanzo che leggo di Maurizio Maggiani e credo che sarà anche l’ultimo. E dire che l’avevo iniziato con le migliori intenzioni, incuriosita e in qualche modo anche affascinata dall'idea di raccontare attraverso gli amori passati come si è arrivati a quello “definitivo”. 

Ed è questo che succede nel libro. Ci sono uno sposo e una sposa, non più giovanissimi, che si amano. Lui, tutte le sere prima che lei si addormenti, le racconta una storia, un “fattarello”, che di solito riguarda i suoi amori passati. Le piace ascoltarli, le piace scoprire cosa ha portato suo marito a essere quello che è adesso. E lui glieli racconta volentieri, rimboccandole le coperte. Poi, al mattino, la sposa esce per andare al lavoro e lo sposo, che lavora invece da casa, continua a rimuginare su sui suoi racconti e sui suoi ricordi, sulle donne e gli amori che ha avuto, sulla loro intensità, più o meno forte e più o meno corrisposta, e soprattutto non smette mai di domandarsi quando e come ha imparato a dire “ti amo”.

Un’idea che trovo davvero molto bella e il mio entusiasmo, infatti, è rimasto alto per una buona metà del libro. Poi, a poco a poco, ha iniziato a scemare. Forse per via dello stile di Maggiani, che ho trovato sì poetico ma in modo estremamente forzato, poco convincente per me e la mia sensibilità. Forse perché mi sono persa nei pensieri e nei ricordi dello Sposo, come ci si perde quando si ascolta parlare a lungo qualcuno che, a parte qualche aneddoto o qualche battuta, proprio non riesce a tenere desta la tua attenzione. Ogni tanto si sorride (come quando racconta della loro abitudine di leggere insieme; oppure, quando all'inizio descrive la Sposa addormentata e spiega che ogni sera, se lei si dimentica, lo Sposo va e le mette il bite contro il digrignamento notturno dei denti... forse perché soffro dello stesso problema da anni ed è la prima volta che lo ritrovo in un libro), ogni tanto si annuisce e, per lo più, si pensa ai fatti propri (alla prima volta che io e mio marito ci siamo detti “ti amo”, per esempio, e al modo buffo in cui ci siamo arrivati, prima al plurale, perché anche quella era una cosa che dovevamo fare insieme; oppure a qualche tragico amore adolescenziale talmente intenso da non ricordami nemmeno più il nome dell’amato).
Non si è creata empatia, insomma, con il racconto dello Sposo. Non mi ha suscitato particolari emozioni, e anzi, a un certo punto, ho iniziato ad annoiarmi. E quando si tratta d’amore se l’emozione predominante è la noia, sappiamo tutti che si ha un grosso, grosso problema.

Eppure non mi sento di dire che L’amore sia un brutto libro. Alcune volte, soprattutto nelle descrizioni del sentimento attuale, quello tra lo Sposo e la Sposa, mi ha fatto sorridere e intenerire, come sempre mi fanno intenerire l'amore e le sue dimostrazioni quotidiane. Credo che semplicemente non sia un libro per me; che, nonostante le premesse iniziali, non sia scoccata la scintilla (portate pazienza, se un libro si intitola l’amore e parla di quello, è davvero facile usare questo linguaggio simbolico). E se Maurizio Maggiani scrive e racconta sempre così, direi che no, non siamo proprio fatti l'uno per l'altra.

Titolo: L'amore
Autore: Maurizio Maggiani
Pagine: 197
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Feltrinelli editore
Prezzo di copertina: 16,00 €
Acquista su amazon:
formato cartaceo: L'amore
formato ebook: L'amore

giovedì 9 agosto 2018

IL MARE DOVE NON SI TOCCA - Fabio Genovesi

Agiti le gambe, le braccia, annaspi, bevi anche un po’, ma poi sei a galla, respiri, vivi.



Non ho mai creduto troppo nel potere curativo dei libri. I libri ti aprono la mente, ti insegnano cose, ti divertono, ti fanno passare il tempo, ti fanno piangere, commuovere o arrabbiare e, in qualche modo, sì, ti tengono compagnia. Ma, almeno per quanto mi riguarda, nei momenti più bui della vita non possono fare proprio niente. Non ti aiutano ad affrontare il dolore. Non ti spiegano come andare avanti, né come combattere quel magone che ti attanaglia il cuore e lo stomaco e ti toglie il fiato. A volte riescono ad alleviarlo un po’, certo. A farti distrarre e, perché no, anche sorridere. Però le loro capacità, almeno con me, finiscono lì. E di solito in questi periodi io dalla lettura tendo ad allontanarmi: leggo poco e male, non trovo mai il libro giusto che mi soddisfi... ma forse semplicemente perché la mia testa, in quel momento, proprio non ne vuole sapere.

È più o meno quello che mi sta succedendo nell'ultimo mese e mezzo, in cui mi sto ritrovando a fare i conti con una perdita improvvisa, inaspettata e devastante. È per questo che ho letto poco e male. Che non riesco a concentrarmi se non sulle cose di lavoro su cui devo farlo per forza. Che apro un libro e poi lo richiudo, ne apro un altro e poi lo richiudo, e così via, fino a lasciar perdere. Sono riuscita a leggere qualche fumetto, qualche cosa scema che ha davvero portato per un momento la mia testa da un’altra parte, ma non molto di più.

Finché non è arrivato Il mare dove non si tocca di Fabio Genovesi. Lo puntavo già da un po’, in realtà. Da ben prima di ritrovarmi io stessa ad annaspare e cercare di stare a galla in un mare dove non si tocca. Ma mi è arrivato proprio adesso e, memore di quanto abbia amato Chi manda le onde, ho capito che per uscire da questo periodo di letture inconcludenti lui poteva sicuramente aiutarmi.

Protagonista è Fabio Mancini, un bambino di sei anni, che vive con i genitori, la nonna e una pletora di nonni, in realtà fratelli del suo nonno ufficiale che invece non c’è più. È una famiglia un po’ strampalata, quella di Fabio, che si trascina dietro una terribile maledizione che sembra colpire solo ed esclusivamente i maschi. Ma lui tra una battuta di pesca, la ricerca di funghi e mille altre singolari avventure in cui viene trascinato dai nonni-zii, non sembra preoccuparsene troppo. Finché non inizia la scuola e Fabio scopre che esiste anche un altro mondo oltre a quello della sua famiglia. E soprattutto, che esistono anche altri bambini. Per lui stare al passo con questo nuovo mondo “normale” non è per niente semplice. Per fortuna ci sono i suoi genitori, una madre che lo protegge in ogni modo dalle brutture del mondo e un padre di poche parole ma in grado di costruire e aggiustare qualunque cosa. 
A complicare le cose per Fabio arriva una bambina-coccinella e soprattutto un’enorme catastrofe famigliare, che rende il suo crescere ancor più difficile. Ma lui combatte, fa di tutto per non farsi schiacciare dalle brutture del mondo e non farsi portare via le sue stranezze, che sono la cosa più bella e preziosa che ha. Fa di tutto per non smettere di credere.

Infatti il problema vero era proprio questo, che in giro c'erano mille cose da vedere, da vivere e imparare, ma io stavo piantato qua, fra una stanza di ospedale e il Villaggio Mancini. E quando non leggevo al babbo, quando non pedalavo fortissimo sulla bici per sentire il cuore che mi usciva dalle orecchie e il vento che mi rubava le lacrime, quando la mamma non mi stringeva nel suo abbraccio che mi toglieva il respiro e anche i pensieri, ecco, io mi sentivo tanto sperso e tanto, tantissimo solo.
Solo, sì, anche se a casa avevo un villaggio intero di zii, che già prima si erano promossi a nonni e adesso si comportavano pure da babbi. La solitudine è così, non devi mica essere solo per sentirla, ti prende anche in mezzo alla folla, perché quando ti senti solo davvero non è che ti mancano tante persone, te ne manca una, ma tanto.

Il mare dove non si tocca è un romanzo dolce, divertente e commovente, come solo Fabio Genovesi li sa scrivere. Credo non ci sia stata nemmeno una delle sue 318 pagine in cui io non abbia sorriso o mi sia commossa (alcune volte proprio fino alle lacrime) per le avventure, i pensieri e il grande coraggio del piccolo Fabio nell’affrontare il mondo.
Certo, ci sono molte somiglianze, molti trascorsi famigliari che mi fanno sentire questo libro particolarmente vicino: un libro letto a qualcuno che non si sa se può sentirti; una mano che si alza all’improvviso e ti saluta, togliendoti il respiro; l’attesa, la speranza che si alternano allo sconforto; il ritrovarsi ad annaspare in un mare dove non si tocca e metterci un po’ a capire che basta smettere di agitarsi per non annegare. 

Il mare dove non si tocca è in qualche modo un romanzo di formazione, ma anche un elogio delle nostre bizzarrie, delle nostre stranezze che ci rendono speciali. Ed è un inno al volersi bene, sempre e comunque, perché è l’unico modo per sopravvivere in un mondo che spesso fa di tutto per farci andare a fondo.
Ho adorato Fabio e la sua visione del mondo, questo continuo tira-e-molla tra il modo e l’ambiente in cui è cresciuto e la voglia di uscirne, di essere “normale”, per poi scoprire che tutto sommato la normalità è un po’ sopravvalutata. Ma ho adorato ancor di più i suoi nonni-zii strampalati, con le loro storie e i loro racconti,  e ancor di più il suo papà aggiusta-tutto.

E infatti l'amore, ecco, anche l'amore è una cosa che se non c'eri quando c'era la guerra non la puoi capire. Uno dice che in guerra impari a morire o ammazzare, e sarà anche vero, ma soprattutto impari a fare l'amore. È proprio una cosa diversa, fare l'amore quando c'è la guerra. È come bere un bicchiere d'acqua: te lo sai che a me l'acqua fa schifo e non la bevo mai, però bere un bicchiere d'acqua nel deserto quando muori di sete dev'essere stupendo. E uguale fare l'amore in mezzo alle bombe e alla morte. È una cosa centomila volte più forte, ti ci aggrappi proprio.

Il dolore e lo sconforto di questo ultimo mese e mezzo non se ne sono andati. Questo libro non mi ha curato, no. Ma è stato un po’ un balsamo che, con la sua dolcezza e il suo mostrare una luce anche nei momenti più duri, è riuscito ad alleviare per un momento sia le ferite vecchie, con cui con il tempo ho imparato a convivere ma che ogni tanto si fanno ancora sentire, sia quelle nuove, ancora completamente aperte. Ho preso un po' di fiato, insomma, tra un annaspare e l'altro, tra un'onda che ti tira giù e la lotta per rimanere a galla.

E direi che a un libro non si potrebbe proprio chiedere di più.

Titolo: Il mare dove non si tocca
Autore: Fabio Genovesi
Pagine: 318
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Mondadori
Prezzo di copertina: 19€
Acquista su amazon:
formato cartaceo: Il mare dove non si tocca
formato ebook: Il mare dove non si tocca

venerdì 23 febbraio 2018

LA MANUTENZIONE DEI SENSI - Franco Faggiani

«Ma tu, quando hai saputo che Chiara era morta, cos'hai detto?»
«Non scherzi stasera con le domande, eh? Vuoi proprio saperlo? Non ho detto niente. Non sono riuscito a dire una parola per giorni, avevo un dolore allo stomaco che non mi faceva stare in piedi. E la testa leggera, perché vuota. Sono andato avanti così per un bel po'.»
«E poi?»
«Poi qualcuno mi ha salvato.»

Non sono mai stata una grande amante della montagna. Ci sono andata, più spesso da bambina un po’ meno di frequente da adulta, ma non sono mai riuscita a resistere più di un giorno. Quella calma, quella quiete, quel silenzio quasi ovattato che dovrebbe servire a schiarire la mente e i pensieri, dopo qualche ora per me diventa opprimente. Mi innervosisco, quasi. Ed è strano, perché per più di trent’anni ho vissuto proprio ai piedi delle montagne valdostane. Erano la prima cosa che vedevo al mattino aprendo la finestra e l’ultima la sera prima di chiudere tutto.

Forse è per questa mia scarsa passione che ho letto pochissimi libri ambientati in montagna nella mia vita. A parte la serie di Rocco Schiavone (che credo mi piaccia proprio perché lui si sente fuoriposto come me), al momento non me ne vengono in mente altri. E no, non ho letto nemmeno Le otto montagne di Paolo Cognetti, nonostante il premio Strega dell’anno scorso. 
Poi, però, è arrivato La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani, edito da Fazi editore. Ho letto la trama e, soprattutto, ho letto recensioni entusiaste da parte di persone di cui mi fido molto, e ho deciso di provare. Perché alla fine è vero che a me la montagna non piace, ma quando mi capita di andarci per quattro o cinque ore ci sto proprio bene.

La manutenzione dei sensi racconta la storia di Leonardo Guerrieri, uno scrittore cinquantenne milanese dal passato brillante che, rimasto vedovo, si ritrova un po’ alla deriva. Non sa come fare a sopravvivere senza la sua Chiara, la donna che amava e lo rendeva felice. 
Ero comunque rimasto in zona e avevo girovagato per oltre un'ora. Poi ero andato da Mazeh, un ristorante iraniano. C'ero già stato almeno un paio di volte con Chiara, molti anni addietro, prima che Nina nascesse. Lei amava Parigi, specie in primavera, quando fiorivano i tigli, e le case ricavate dai barconi ormeggiati sulla Senna e le cucine orientali. E amava anche me. Mi ero seduto a un tavolo lungo la vetrata e avevo cenato osservando la gente passare sulla strada. Chiedendomi se fosse felice.
Per fortuna c’è la figlia Nina a tenerlo un po’ in riga, prima aiutandolo a non sprofondare nel baratro, e poi convincendolo, nemmeno lui ha capito bene come, a prendere in affido temporaneo un ragazzino, Martino Rochard, che la ragazza ha conosciuto durante il volontariato che svolge all'Istituto Maria Ausiliatrice. I due hanno un carattere quasi identico: un po’ burberi, schivi, riservati, autosufficienti ma anche capaci di gesti di incredibile generosità, purché non venga riconosciuta. Un giorno, Leonardo viene convocato dalla scuola media che frequenta Martino. È in quel momento che Leonardo scopre che il ragazzino è affetto dalla sindrome di Asperger: una diagnosi che spiega molti dei suoi comportamenti ma che, come i medici interpellati da Leonardo gli spiegheranno, non gli impedirà in nessun modo di sviluppare tutta la sua intelligenza e il suo genio. 
Una volta ricevuta la diagnosi, e dopo che Nina comunica la decisione di partire per Boston per specializzarsi ulteriormente come osteopata, Leonardo decide finalmente di realizzare il sogno che condivideva con sua moglie: andare a vivere sulle montagne piemontesi, in quell’enorme baita che avevano comprato anni prima e che Leonardo aveva poi fatto ristrutturare. Crede che la montagna a Martino possa fare bene. Così come potrà fare sicuramente bene a lui. 
I due quindi lasciano Milano per Cesana Torinese, in Val di Susa. Una scelta coraggiosa, che ben presto si dimostra quella giusta per entrambi. Martino è finalmente libero di sfogare tutto il suo potenziale: stringe amicizia con Augusto, un vecchio allevatore con cui stringerà un legame speciale; impara a fare il formaggio, a seguire la vacche, a intagliare il legno e a essere più aperto verso gli altri. E Leonardo, a poco a poco, riuscirà, nel legame con questo figlio adottivo un po’ particolare, ma anche con la natura e la montagna, a ritrovare finalmente un senso alla sua vita.

La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani è un romanzo molto intenso, che parla della forza dei  rapporti e dell’importanza dei gesti, che spesso valgono molto di più delle parole. Il fulcro è la famiglia, che non è solo quella dei legami di sangue, ma anche quella che si crea con persone esterne e apparentemente diverse da noi, che invece ne diventano parte.
Davvero ben riuscito è poi il modo in cui l’autore parla di sindrome di Asperger: un modo onesto e privo di retorica, in cui si mettono in evidenza tutte le difficoltà che si possono incontrare, ma anche come sia possibile superarle, con il tempo, con la fiducia e con attorno i luoghi e le persone giuste. 
Le ore di cammino nella notte erano le preferite di Martino. Nessuna domanda, nessuna parola, solo occhi spalancati, piccoli gesti e passi misurati per non fare rumore; inizialmente impacciati poi sempre più fluidi, naturali fino a essere parte di quel momento e di quell’ambiente. Come i rami sottili d’arbusto che tremolano al vento lieve, un cumulo di neve che diventa liquido e trasparente e si immerge nella terra, un pipistrello in caccia che sfreccia silenzioso tra gli alberi. 

La manutenzione dei sensi  è un romanzo per chi ama incondizionatamente la montagna, perché qui è una vera e propria protagonista, che viene descritta al meglio, in tutta la sua bellezza ma anche nei suoi pericoli e momenti più grigi; ma anche per chi, come me, in montagna ci resiste poco, pur riuscendo a percepirne la bellezza: è stato bello andarci insieme a Leonardo e Martino, camminare con loro nella notte e aiutare Augusto a mungere la vacche, per poi fermarsi a cena in un bell’agriturismo e guardare le stelle mentre si ritorna a casa.

Titolo: La manutenzione dei sensi
Autore: Franco Faggiani
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 16,00 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo:La manutenzione dei sensi

venerdì 26 gennaio 2018

A MISURA D'UOMO - Roberto Camurri

È in tuta e non vorrebbe esserlo, mentre lo guarda farsi vicino vorrebbe essere pettinata e vestita diversamente, vorrebbe essersi truccata, vorrebbe che lui la vedesse bella, vorrebbe, pensa, che lui la baciasse, vorrebbe che lui trovasse il coraggio di prenderle il viso tra le mani e vorrebbe sentire il calore del suo fiato sulle guance e sulle labbra che adesso sono arrossate mentre Valerio le sta porgendo le margherite e, finalmente, piange.


Mi piacciono molto i romanzi fatti di racconti. Quei romanzi di cui puoi leggere anche un capitolo singolo e trovarci un senso compiuto, a cui poi segue un altro capitolo singolo con altrettanto senso, e poi un altro, e un altro ancora, legati tra loro da fili conduttori più o meno sottili, che dipingono una storia più grande. Può essere una tematica, può essere l'ambientazione, un sentimento comune che unisce tutti i protagonisti o ancora un personaggio. Oppure tutte queste cose insieme, come succede in A misura d’uomo, il romanzo d'esordio di Roberto Camurri, uscito il 25 gennaio per NN editore.

Qui ci sono diversi personaggi che si rincorrono da un racconto all'altro, da un capitolo all'altro; tutti hanno una loro storia a sé, che però in qualche modo è sempre legata a quella di qualcun altro. Forse per via di Fabbrico, il paese di poco più di seimila anime nella bassa emiliana, in cui la storia è ambientata. Forse perché tutti hanno a che fare con un'assenza, talmente forte e sentita da diventare quasi una presenza.

A misura d’uomo racconta la storia di Davide, Valerio e Anela. È una storia d’amicizia, la loro. Ma anche una storia d’amore, di crescita e di delusioni, di gite al mare, di serate a mangiare salame e bere lambrusco seduti attorno a un tavolo, di sofferenze, di sensi di colpa e di ricordi che, nonostante il passare del tempo, non sbiadiscono mai.
Attorno a loro tre, ci sono anche Mario e di Elena, che riescono a stare insieme, nonostante le difficoltà, nonostante tutto; Maddalena, che si ritrova suo malgrado cambiata da quello che la vita le ha messo davanti ma forse le va bene così; della Bice, che nonostante l’età continua ad aprire tutte le mattine il suo bar al centro del paese, e di Giuseppe, che nonostante l’età tutte le mattina ci va; di Luigi e di Barbara; di un marito e di una moglie e di un sogno d’amore che si è trasformato in un incubo, reso apparentemente sopportabile solo da un cane di nome di Salvo.
"Disse che avrebbe voluto sposarsi il giorno del suo compleanno, lui rispose di sì.
Erano giovani, era il ventotto luglio, faceva caldo, erano belli."
Racconta la storia di Fabbrico, insomma, un paese con le sue tradizioni e le sue contraddizioni, in cui il tempo, gli anni e le stagioni passano ma sembrano allo stesso modo sempre uguali. Un paese pieno di voci e di vite, quelle di chi ci ha vissuto e ora non c’è più, e di chi invece c’è ancora e va avanti, più o meno felice.

Trovo davvero difficile riuscire a spiegarvi perché A misura d’uomo mi sia piaciuto così tanto. O meglio, alcune cose riesco a dirvele senza problemi: lo stile incredibile dell’autore, un po’ destabilizzante nelle prime pagine, ma che a poco a poco diventa parte del romanzo stesso, fino a che non ci si rende conto che questa storia non poteva che essere scritta così. I personaggi che lo popolano, anche: il rapporto d’amicizia tra Davide e Valerio; la figura di Anela, uno scoglio, una roccia, decisa a continuare ad amare nonostante tutto; ma anche quella di Mario, di Luigi, delle amicizie che non finiscono mai.

Ma io ci ho trovato anche qualcosa di più. Con questo libro è nata un'empatia ancor più forte di quella che si crea quando si  legge un racconto scritto in un modo che ci piace. Una sensazione che ho provato dal primo racconto, fin dal primo messaggio che Anela manda a Davide, in cui scrive semplicemente “Portami al mare”. O dalla frase scritta sulla cartella di Ludovica, dal sole che si riflette su una focaccia unta, dal salame, il lambrusco e la sambuca, dai giri in bicicletta o su una vecchia Volvo sgangherata. Da un peluche che può far capire che sì, ancora ne vale la pena. 
Ho adorato questa attenzione per i dettagli, per i gesti all'apparenza insignificanti e magari anche un po’ scemi, ma che fanno parte della vita di ogni giorno, creando ricordi, rituali, che la rendono reale.

In A misura d’uomo, Roberto Camurri riesce a raccontare bene la vita di paese, l’angoscia che ti dà una pianura infinita (cit.) ma anche la libertà che ti trasmette, i legami che si creano quando si è ragazzini e che poi durano per sempre, anche se magari poi non ci si vede più. 


Titolo: A misura d'uomo
Autore: Roberto Camurri
Pagine: 176
Editore: NN Editore
Anno: 2018
Prezzo di copertina: 16,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: A misura d'uomo
formato ebook: A misura d'uomo

martedì 23 gennaio 2018

LE ASSAGGIATRICI - Rosella Postorino

Quando il tempo opaco e smisurato della nostra digestione fece rientrare l'allarme, le guardie svegliarono Leni e ci misero in fila verso il pulmino che ci avrebbe riportate a casa. Il mio stomaco non ribolliva più: si era lasciato occupare. Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame.


Ogni anno, nel mese di gennaio, vengono pubblicati moltissimi romanzi che parlano dell’olocausto, della Shoah e, in più in generale, dell’epoca nazista. È un modo per celebrare la Giornata della memoria, che cade il 27 gennaio, e la necessità di non dimenticare il periodo più buio, tragico e terribile della storia mondiale. Ovviamente, come sempre succede quando si abbinano i libri alle ricorrenze, la cosa sfugge un po’ di mano e ci si ritrova quasi sommersi da titoli, che spesso quasi si scimmiottano a vicenda, e, soprattutto destinati a essere dimenticati non appena finito il periodo del ricordo. 

Sono pochi, i libri su questo tema che rimangono nel tempo. E credo di poter affermare con una certa sicurezza che Le assaggiatrici di Rosella Postorino, da poco pubblicato da Feltrinelli, sarà uno di questi.
Intanto perché parla sì di Hitler, di nazismo, Seconda guerra mondiale e persone partite e mai più tornate, ma lo fa da un punto di vista un po’ diverso, quello di una donna tedesca. E poi, indubbiamente, per lo stile dell’autrice.

Partendo dalla storia di Margot Wölk, una donna tedesca che poco prima di morire ha rivelato di aver fatto da giovane l’assaggiatrice di Hitler, Rosella Postorino racconta la storia di Rosa e delle altre donne che, durante la guerra, avevano il compito di assaggiare il cibo prima che venisse servito al Führer, così da accertarsi in tempo che non fosse avvelenato. È l’autunno del ’43, la guerra sta iniziando a prendere una piega inaspettata per la Germania, e Rosa è costretta a lasciare Berlino, dopo che sua madre è morta durante un bombardamento e suo marito è partito per andare a combattere. Si rifugia dai suoceri, a Gross- Partsch, un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale dove Hitler si nasconde, ad aspettare che la guerra finisca e il marito ritorni. Lei e altre nove donne del paese vengono scelte per questo compito: da un lato hanno la sicurezza di avere cibo in abbondanza ogni giorno, dall’altro il pericolo che ogni pasto sia il loro ultimo pasto. Alcune svolgono questo compito con entusiasmo, onorate di avere un ruolo così fondamentale per la loro patria e la loro guida, altre invece lo fanno perché sanno di non avere altra scelta. A poco a poco Rosa stringe inevitabilmente dei legami con alcune di esse: legami dettati dalla paura, dalla fragilità, ma anche dal desiderio di ribellarsi, di non arrendersi all’ingiustizia che stanno vivendo. Loro sono tedesche, è vero. Loro hanno cibo ogni giorno, è vero. Ma hanno anche delle SS che le guardano a vista e che, con l’arrivo del tenente Ziegler, instaurano un vero e proprio regime di terrore e poi, se qualcosa va male, le chiudono in una stanza e le lasciano al loro destino, perché il loro destino è proprio quello di morire al posto di qualcun altro.

Le assaggiatrici è davvero un bel libro, che racconta un altro punto di vista del dominio nazista, quello di chi l’ha vissuto in patria ignorando cosa succedesse all’esterno, che ha visto morire genitori, mariti, figli in nome di un’ideale in cui all’inizio quasi tutti credevano, quello del riscatto dell’orgoglio nazionale ferito, ma che poi a poco a poco, quando ormai non era più possibile evitarlo o fermarlo, si è rivelato per quello che era.  Ma soprattutto racconta la storia di un gruppo di donne, i loro pensieri, le loro pulsioni, i loro dubbi e le loro paure, ponendo spesso la domanda di cosa, per un singolo individuo in un determinato momento, sia lecito fare e accettare e cosa invece no per riuscire a sopravvivere.
"Perché hai smesso di cantare?"
"Non lo so."
"Che hai?"
"Questa canzone mi rattrista."
"Puoi cantarne un'altra. Oppure no, se non ti va. Possiamo stare zitti e guardarci al buio: sappiamo farlo."

La forza del romanzo sta proprio qui, nella bravura di Rosella Postorino a raccontare questi sentimenti, queste ambiguità, rimanendo sempre in bilico tra il giusto e lo sbagliato, tra la consapevolezza del male e del dolore che una persona può infliggere in un momento e quella del bene che, invece, può fare in un altro. Ed è stata brava a dare voce a queste donne, ai loro diversi punti di vista, alle loro fragilità, anche ai loro tradimenti, perché fornisce un ritratto molto fedele delle complessità umane dell’epoca.
Quella di Le assaggiatrici è una lettura intensa e non semplice da affrontare, ma che vale sicuramente la pena di fare. 

TITOLO: Le assaggiatrici
AUTORE: Rosella Postorino
PAGINE: 288
EDITORE: Feltrinelli
ANNO: 2018
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Le assaggiatrici
formato ebook: Le assaggiatrici

martedì 14 novembre 2017

IL NARRATORE DI VERITÀ - Tiziana D'Oppido

"Cos'è la verità? La verità ha molte facce. È tutto e il contrario di tutto. E a volte può persino coincidere con una bugia"

Ci sono dei libri che, per qualche motivo non ben precisato, ti chiamano ancor prima di sapere di che cosa parlino. 
Può essere per il titolo, che ha qualcosa che ci attira, o perché troviamo incantevole la copertina o ci piace come suona il nome dell’autore. Solitamente, quando mi capita di provare una particolare e inspiegabile attrazione a prima vista verso un romanzo, quando poi lo leggo si rivela un gran bel libro.

Mi è successo anche con Il narratore di verità, il romanzo d’esordio di Tiziana D’Oppido, da poco uscito per LiberAria editrice. In questo caso, ad attirarmi è stata senza ombra di dubbio la copertina, con l’illustrazione di Vincenza Peschechera. 
In questa copertina c’è tutto il libro: davanti c’è una ragazza che guarda sognante i fuochi d’artificio che spuntano da un pezzo di puzzle; sul retro ci sono dei piccoli uccelli, anch’essi fermi a osservare lo spettacolo pirotecnico, su un altro pezzo di puzzle, incastro perfetto del primo. E soprattutto, c’è tutto il brio e la vivacità che poi si ritroverà all’interno nella trama e nella scrittura di Tiziana D’Oppido.

I protagonisti di Il narratore di verità sono due: Lucio Blumenthal e Sara Pantone, di cui si ripercorre la vita dalla loro nascita, negli anni '60, fino a oggi. Lucio e Sara non si conoscono, sebbene siano cresciuti in due paesini vicini della valle Brodima, separati solo dall'omonimo fiume. Da bambini sembrano avere anche un destino comune: il padre di Lucio, Gildo, è il proprietario di un’enorme quaglieria, in cui lavorano o hanno lavorato in passato molti abitanti del paese; quello di Sara, Arsenio, gestisce invece un’enorme fabbrica di fuochi d’artificio, anch’essa fonte di lavoro per la vallata.
Gildo vorrebbe a tutti i costi che suo figlio lavorasse per lui, mentre il figlio, con il sostegno della madre, vorrebbe a tutti i costi non doverlo fare, fino a riuscire finalmente ad andarsene e farsi una vita sua, con tutte le maledizioni paterne possibili e immaginabili.
Sara si trova, invece, nella situazione opposta: fin da bambina, dopo la morte della madre, avrebbe voluto aiutare suo padre a creare i fuochi d’artificio, ma Arsenio Pantone l’ha sempre tenuta lontana in malo modo, approfittando della prima occasione utile, una volta cresciuta, di sbatterla fuori.
A prendersi cura di Sara da sempre ci sono le donnemamme, dipendenti ed ex dipendenti dell’azienda del padre che da sempre cercano di sopperire a tutte le sue mancanze: sono loro che le danno più stimoli possibile, sono loro che le insegnano a sognare.
I due si incontrano da adulti, sempre in Val di Brodima, dove Lucio ritorna dopo tanti anni richiamato inconsapevolmente dal padre. Gildo, infatti, ha richiesto i servigi del narratore di verità, quell’uomo che va in giro per il mondo a rivelare per conto di altri le verità più scomode. Non sapeva, però, che quest’uomo fosse proprio suo figlio Lucio.
Sara, invece, ora gestisce un caffè vicino alla stazione e da lì continua a sognare un futuro diverso, che proprio non ha idea da dove far cominciare.
Lucio scoprirà ben presto che è proprio Sara la destinataria della verità di cui il padre Gildo si vuole liberare, ma soprattutto si ritroverà a indagare su qualcosa di molto più complesso e pericoloso, che riguarda proprio le aziende di famiglia e che rischia di mettere in pericolo tutta la valle.

Il narratore di verità è un libro avvincente e divertente, scritto in modo spensierato anche quando racconta dei momenti più tristi e difficili. La vera forza sta nella caratterizzazione dei personaggi: in Lucio, Sara e nei due padri (il nome Arsenio Pantone mi fa sorridere ancora adesso, ogni volta che mi capita di pensarci), ma anche in tutti gli altri personaggi di contorno. A partire da quelle tenerissime donnemamme, passando per il ginesindaco, la mamma circense di Lucio, il parroco e le pettegole dei paesi e il tuttofare Uwe.

E poi, il romanzo tratta tematiche importanti e, purtroppo, sempre più attuali nel nostro paese: l’inquinamento, lo sfruttamento smodato del territorio e i rischi per la salute che spesso le aziende fingono di non sapere e che mettono a zittire con una semplice mazzetta. Ma ci sono anche le aspettative dei genitori verso i figli, il desiderio di essere capiti e accettati, oltre alla voglia di trovare se stessi e di rimettere insieme i pezzi della propria vita. E poi c’è questo tema della verità e di tutte le innumerevoli facce, sfumature e significati che può avere.

«Sempre con 'sto culto della verità. Ma, lavoro a parte, sei capace di mentire? Quando la verità fa schifo, fa star molto meglio una gran bella grossa bugia positiva, lo sai? Almeno una volta nella vita... e dilla una bella bugia!»

Lo stile di Tiziana D’Oppido mi è piaciuto tantissimo. Mi sono piaciute le immagini che ha creato (quella del puzzle, soprattutto, che funge da filo conduttore per tutto il libro e che mi ha provocato un certo stupore, considerando che ho iniziato la lettura di Il narratore di verità proprio pochi giorni dopo averne finito uno... con un bel po' di pezzi in meno, rispetto a quello di Sara), ma ho amato anche il suo modo di descrivere la vita di paese e le dinamiche che in essa sempre si creano, di raccontare i protagonisti e le loro storie.

E poi, dai, questo libro ha davvero una copertina bellissima.



Titolo: Il narratore di verità
Autore: Tiziana D'Oppido
Pagine: 335
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: LiberAria editrice
Acquista su Amazon:
formato cartaceo:Il narratore di verità

venerdì 10 novembre 2017

NEGLI OCCHI DI CHI GUARDA - Marco Malvaldi

Margherita si chinò un momento, raccolse un dente di leone da una piccola macchia erbosa vicino al sentiero e soffiò via i petali con un'espressione da bimba concentrata - l'unica espressione adeguata quando si soffia un dente di leone, a noi sembra una cosa da nulla ma se uno pensa ai denti di leone che ha inconsapevolmente contribuito a piantare quando era piccolo si ha quasi la sensazione di servire a qualcosa in questo mondo.

Marco Malvaldi ultimamente dà il meglio di sé quando chiude per ferie il Barlume e si avventura in altri romanzi. Lo dico da appassionata delle vicende dei vecchietti e del barrista Massimo, che mi hanno fatto scoprire questo autore toscano qualche anno fa e portato poi a leggere, di conseguenza, tutti i suoi romanzi. Il mio preferito in assoluto rimane Odore di chiuso, in cui secondo me l’autore ha elevato la sua bravura alla massima potenza, ma in generale quando Malvaldi ha più libertà di azione, con i personaggi, con i luoghi e con le trame, gli riesce qualcosa in più.

È il caso di Negli occhi di chi guarda, il suo ultimo romanzo uscito a ottobre per Sellerio editore.
Siamo sempre in Toscana: questa volta a Poggio alle Ghiande, una tenuta agricola molto antica e molto bella nel comune di Castagneto Carducci. È di proprietà di due fratelli gemelli, Zeno e Alfredo Cavalcati, di indole completamente diversa tra loro nonostante la genetica li abbia voluti identici: Zeno è un collezionista d’arte, che vive da decenni a Poggio alle Ghiande senza mai allontanarsene, al punto da aver creato in casa un museo; Alfredo è un broker, sempre in giro per il mondo e sempre in equilibrio precario tra la ricchezza e la bancarotta. Queste loro diversità li hanno portati, adesso, a non riuscire a prendere una decisione importante: vendere Poggio alle Ghiande a quegli investitori cinesi che vorrebbero farci un resort di lusso o tenerla? Alfredo e i suoi problemi economici propendono per la prima opzione, Zeno e tutti gli altri abitanti di Poggio alle Ghiande per la seconda, ovviamente.
Perché sì, oltre ai due fratelli, c’è tutta una serie di personaggi che da anni o per la prima volta in vita, per motivi diversi, ruota attorno a questa tenuta: c’è Piotr, uomo delle pulizie polacco che crede fermamente nella Santa Vergine di Czestochowa e nel potere della varechina; c’è Raimondo, uscito dal manicomio quando sono stati chiusi per leggere e ora custode della tenuta; c’è Giancarla Bernardeschi, professoressa di chimica in pensione che a Poggio alle Ghiande trascorre sempre le vacanze, distillando qualunque pianta incontri sul suo cammino; c’è Riccardo Maria Torregrossa, che durante l’anno lavora in formula Uno e d’estate cerca il silenzio nelle colline toscane; Anna Maria Marangoni, lasciata dal marito dopo ventisette anni di matrimonio per stare con una ventisettenne; ci sono Enrico Della Rosa e sua moglie Cristina. E poi Margherita e Piergiorgio, i due giovani a Poggio alle Ghiande solo di passaggio: filologa e archivista alla ricerca di un quadro perduto lei, ricercatore desideroso di studiare i gemelli lui.

Poi ovviamente avviene un omicidio, anzi due, e i piani dei due fratelli e di tutti gli altri abitanti di Poggio alle Ghiande vengono completamente stravolti.

Marco Malvaldi dà il meglio di sé quando si allontana dal BarLume, dicevamo all’inizio. E Negli occhi di chi guarda, secondo me, ne è una prova. Leggendo, si percepisce quanto lui si sia divertito a creare la storia e a caratterizzare i vari personaggi, a giocare con la chimica ma anche con l’arte, la storia e, perché no, anche qualche curiosità bizzarra (a un certo punto, durante la lettura, mi sono ritrovata a scrivere nella barra di ricerca di google “Venere di Milo cacca panda”, così, giusto per darvi un’idea).

La cosa bella è che riesce a fare tutto questo scrivendo comunque un romanzo scorrevole e divertente, mai pedante o saccente, anche per chi di chimica, storia, arte (e cacca di panda) non sa assolutamente nulla, perché alla base c’è un giallo appassionante e ben costruito, ci sono personaggi esilaranti (Piotr è il mio preferito in assoluto) accanto ad altri più profondi e c’è quell’ironia tipica malvaldiana, che a volte si coglie al volo altre dopo un attimo, e poi ti fa esclamare “che genio!” (o “che pirla!”, a volte, ma in senso buono).

Negli occhi di chi guarda mi è piaciuto molto anche per altri motivi, abbastanza casuali in realtà. Nella mia prima vacanza da sola con gli amici ho fatto proprio la tratta di treno che fa Piergiorgio per arrivare a Poggio alle Ghiande, per esempio.
Uno degli stati d'animo più belli dell'essere umano è quello del viaggio di andata. Specialmente se uno è in treno.

Eccessi di velocità, colpi di sonno, mancanza di benzina non ti riguardano; del viaggio da un punto di vista tecnico non hai niente di cui preoccuparti, e mentre il treno ti culla tu puoi cullare le tue aspettative.
Se poi sei talmente fortunato che il tuo treno è sulla tratta da Genova a Roma, puoi anche spegnere il cellulare - scusa se ho visto solo ora la chiamata ma sai, con tutte quelle gallerie il segnale non prende mai - e goderti il viaggio senza dover essere costretto ad affrontare la vita che si svolge altrove.
Alle medie, poi, avevo sviluppato una passione per il pittore Ligabue e per i suoi quadri (anche se non riesco a ricordarmi bene perché), e, tra l’altro, mi piacciono da matti le tombe etrusche.

Insomma, Negli occhi di ci guarda è un bel romanzo giallo, ma anche qualcosa di più, che intrattiene e diverte (che è poi l’obiettivo principale di questi romanzi), ma incuriosisce anche, trasmettendoti la voglia di imparare, di scoprire qualcosa in più.


(Anche se sulla Venere di Milo fatta con gli escrementi di panda continuo ad avere qualche perplessità).


Titolo: Negli occhi di chi guarda
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 274
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Sellerio
Acquista su Amazon:
formato brossura: Negli occhi di chi guarda
formato ebook: Negli occhi di chi guarda

giovedì 5 ottobre 2017

REQUIEM PER UN'OMBRA - Mario Pistacchio e Laura Toffanello


È da qualche giorno che penso a cosa scrivere di Requiem per un’ombra, il secondo romanzo di Mario Pistacchio e Laura Toffanello pubblicato quest'anno dalla casa editrice 66thand2nd.
Perché vorrei evitare di citare il loro primo romanzo (sì, quello là, quel piccolo capolavoro), così come ho cercato di non pensarci mentre leggevo. Ma è quasi impossibile, purtroppo. Perché se tu autore (voi autori, in questo caso) scrivi un romanzo come L’estate del cane bambino, è naturale che generi una montagna di aspettative nei lettori per il secondo. (Anche perché forse, senza il primo romanzo, io questo Requiem per un’ombra  nemmeno lo avrei letto).

E quindi, per quanti sforzi io possa (e vorrei, davvero) fare, non ci riesco a ignorare l’enorme abisso che, secondo me, c’è tra questi due romanzi.

Lo avevo immaginato, in realtà, già quando avevo scoperto che il nuovo libro sarebbe stato un poliziesco, un hard boiled per essere più precisi: un genere che forse pare semplice e alla portata di tutti. Che ci vuole, in fondo? metti un investigatore tormentato, sempre in bilico tra la legalità e l’illegalità; metti una o più indagini, più o meno oscure; qualche pestaggio; una o due donne misteriose, qualche comprimario e qualche descrizione cupa e tenebrosa et voilà… hai un poliziesco.

E invece no.

Protagonista di Requiem per un’ombra è Sal Puglise, un investigatore privato torinese ormai vicino alla pensione che sta aspettando il grande caso con cui chiudere la sua carriera. In passato lavorava in coppia con un collega, ma qualcosa tra loro si è spezzato e adesso lui avrebbe solo voglia di smettere e riposarsi. Il grande caso sembra arrivare, quando si presenta da lui un tabaccaio che ha picchiato a sangue un rapinatore. Sembrerebbe legittima difesa, ma è la parola del tabaccaio contro quella del ladro. Ci va qualche garanzia di vittoria in più… e bisogna trovarla con discrezione. Puglise accetta il lavoro, facendoselo pagare ben caro… e scoprendo ben presto che è molto più complicato di quello che sembra. Nel frattempo, viene contattato da una donna, Dalia Soriano, che gli chiede aiuto per ritrovare suo fratello Paolo, scomparso da tanti anni. Anche in questo caso, per Sal Puglise le cose si complicano in fretta, riportando alla luce un passato sconvolgente che ancora rischia di rovinare il presente.

Poi ci sono anche altre piccole storie collaterali: quella del barista Sergio e di suo figlio; quella della vicina di casa con cui Puglise condivide cene settimanali; e quella del suo passato, di quello che è successo tra lui e il suo socio.

Perdersi in tutte queste trame e sottotrame è molto semplice. Soprattutto se costruite in modo un po’ raffazzonato, come, purtroppo, in questo caso. Una situazione che si potrebbe anche accettare, se si vedesse che gli sforzi degli autori si sono concentrati su altro: sui personaggi, magari, sulle loro caratteristiche e i loro sentimenti. Invece ci ho trovato solo scimmiottamenti, cliché, elementi già visti e già sentiti in tutti i polizieschi, a cui Mario Pistacchio e Laura Toffanello, per quanto mi riguarda, non sono riusciti ad aggiungere nulla di nuovo (sì, c’è Rico, che mi è piaciuto tantissimo e che ho trovato geniale, anche se sfruttato davvero troppo poco).
Leggendo, a fatica (cosa che per quanto mi riguarda, visto il genere, indica che qualcosa tra me e quel libro non sta funzionando) mi sono chiesta se questo senso di già letto, già visto, fosse una cosa voluta, visto quanto è stata caricata (un esempio: l’investigatore indossa sempre il trench. Ché probabilmente è più figo del loden di manziniana memoria o dell’impermeabile del tenente Colombo).  E non ho trovato una risposta. 

Può darsi che non l’abbia capito io, ci mancherebbe. Però, ecco, per me è stata una vera delusione.

(A tutto questo, aggiungerei che sarebbe servita una miglior cura editoriale, a livello di revisione e di editing del testo, perché ci sono alcune incongruenze, alcune frasi che lette per intero non hanno senso o hanno errori di concordanza che le rendono quasi incomprensibili. Per esempio: I giorni perduti non tornano quasi mai. E quando torna, si presenta senza invito.)

Titolo: Requiem per un'ombra
Autore: Mario Pistacchio, Laura Toffanello
Pagine: 268
Anno: 2017
Editore: 66thand2nd
Acquista su Amazon:
formato brossura: Requiem per un'ombra