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sabato 2 febbraio 2019

Leggendo a gennaio: Korn, Manzini, Backman, Saramago... per tacer di Tom Gauld

Gennaio è stato un mese lunghissimo. I sei giorni di ferie con cui è iniziato sono diventati un ricordo già dal primo giorno di rientro al lavoro e, adesso che finalmente il mese e finito e ne è iniziato uno nuovo, se mi guardo indietro mi sembra che siano passati secoli da quando il 2019 è iniziato.
Eppure no, è durato solo trentuno giorni, come sempre e come fanno tanti altri mesi dell’anno. E ne sono passati poco più di quindici dall’ultima volta in cui ho pubblicato un post qui sul blog. Mi ero ripromessa che nel nuovo anno avrei tentato di aggiornarlo più spesso ma, come potete ben vedere, mi sa che il mio intento è già miseramente fallito.
E mi dispiace molto, soprattutto perché in questo mese ho letto tanto e tante cose belle. Per questo ho deciso di fare un post cumulativo, per raccontare in breve le letture che mi hanno accompagnato in questi lunghissimi trentun giorni appena trascorsi e a cui non sono purtroppo riuscita a dedicare un post singolo (quindi no, qui non ribadirò quanto poco mi abbia convinto La misura dell’uomo di Marco Malvaldi, perché lui si è meritato una recensione tutta sua).
Eccoli qua:


Partiamo con quella meraviglia di Figlie di una nuova era di Carmen Korn, primo volume di una trilogia portato qui in Italia da Fazi editore e tradotto da Manuela Francescon e Stefano Jorio. Protagoniste sono quattro donne, di origini e classi diverse, che vivono ad Amburgo nella prima metà del ‘900 e i cui destini si incroceranno con l’arrivo della guerra e delle varie vicende personali che si ritroveranno a vivere. Henny e Kathe sono amiche da sempre e ora, insieme, stanno studiando per diventare ostetriche; Ida è la rampolla di una buona famiglia, abituata agli agi e ai lussi e disposta a tutto pur di averli, forse anche a sacrificare l’amore; Lina è sopravvissuta alla Prima guerra mondiale insieme al fratello grazie ai genitori, morti di fame per permettere a loro due di sopravvivere. Mentre le loro vicende personali proseguono, tra amori clandestini, desiderio d’indipendenza, impegno politico e tante decisioni sbagliate (Henny, porca miseria!), sullo sfondo scorre la storia del ‘900, con l’avvento del nazismo e tutto ciò che porterà con sé. Era da tanto che un libro non mi prendeva così tanto, che non mi ritrovavo tanto immersa in una storia e nei suoi intrecci. Non vedo l’ora che esca il secondo volume, perché una volta girata l’ultima pagina, queste donne di Amburgo già mi mancavano parecchio.
Henny tese l'orecchio. Le sembrava di aver sentito salire dal cortile, fino al secondo piano, un suono venuto dal passato, come un rintocco di campana o il verso di un merlo. Le vennero in mente i sabati della sua infanzia. Sabati estivi. L'acqua che scintillava nella cisterna. Il ribes bianco che le lasciavano cogliere dai rovi addossati al muro di cinta, il profumo della torta che sua madre aveva già messo in forno per la domenica. Suo padre, appena tornato dall'ufficio, che fischiettava mentre si liberava della cravatta e si sbottonava il colletto della camicia.
Henny andò alla finestra, l'aprì e stette ad ascoltare il suono che aveva risvegliato in lei quella serie di immagini. Il cigolio della vecchia altalena.
Era ottobre quando è uscito Fate il vostro gioco di Antonio Manzini. Ne avevo parlato come un romanzo di transizione, dopo due libri carichi di emozioni e tensioni. Mi era sembrato quasi un libro sospeso, finito un po’ troppo bruscamente... ed ecco svelato l’arcano: il 10 gennaio, infatti, è uscito Rien ne va plus, un’altra avventura del vicequestore Rocco Schiavone. No, Manzini non ha scritto un romanzo in tre mesi. Semplicemente Fate il vostro gioco e Rien ne va plus sono lo stesso libro, diviso in due per questioni verosimilmente di lunghezza, ma anche (e soprattutto, forse) per far contenti i fan, non costretti ad attendere il solito anno tra una puntata e l’altra. In Rien ne va plus tutte le cose che mi avevano lasciato perplessa di Fate il vostro gioco un po’ si chiariscono: da un lato continuano le vicende personali di Rocco, tra il rimpianto per Caterina e le rivelazioni sempre più pericolose di Baiocchi, che rischiano di mettere il nostro vicequestore preferito in una posizione terribile; dall’altro c’è un portavalori del casinò di Saint Vincent che misteriosamente sparisce e Rocco capisce subito che c’è un collegamento con la morte del ragionier Favre; ma soprattutto che c’è qualcosa di molto, molto più grande dietro. Intanto si consolida il rapporto con Gabriele, Lupa è sempre più coccolosa e Rocco (che sì, ora ha inevitabilmente la faccia di Marco Giallini, ma va benissimo così) ha ancora tanti fantasmi a perseguitarlo. Non vedo l’ora che esca il prossimo.

Ho scoperto Fredrik Backman qualche anno fa con il suo romanzo d’esordio, L’uomo che metteva in ordine il mondo. Me ne ero follemente innamorata: avevo adorato il modo in cui tratteggiava i suoi personaggi e il suo stile, con quella capacità che non tutti hanno di raccontare anche le cose più tristi nel modo più buffo e dolce possibile (il dolore resta sempre, ma diventa più affrontabile). L’amore si è poi consolidato con Mia nonna saluta e chiede scusa, dove compare per la prima volta il personaggio di Britt-Marie, che si è poi meritata un romanzo tutto suo: Britt-Marie è stata qui (pubblicato da Mondadori con la traduzione di Andrea Stringhetti).
Britt-Marie è una donna un po’ scontrosa, incapace di uscire dalla gabbia delle imposizioni sociali e del “chissà cosa direbbero gli altri”. Ha sempre vissuto per il marito e per i figli di lui, tenendo la casa impeccabile e sacrificando se stessa, ricevendo in cambio solo recriminazioni e prese in giro.

Alla fine desiderava solo un balcone e un marito che non camminasse sul parquet con le scarpe da golf, che qualche volta mettesse la camicia nel cesto della biancheria senza bisogno di ricordarglielo e che ogni tanto dicesse che la cena era buona senza bisogno di chiederglielo. Una casa. Figli non suoi ma che vengono lo stesso a Natale. O almeno cerchino di far finta di avere un motivo per non venire. Un cassetto delle posate sistemato in modo corretto. Finestre da cui si possa vedere il mondo. Qualcuno che si accorga che si è sistemata i capelli con particolare cura. O che almeno faccia finta di accorgersene. O che almeno le permetta di continuare a fingere. 
Qualcuno che una volta ogni tanto torni in una casa con il pavimento pulito e la cena calda in tavola e veda i suoi sforzi. Perché le persone sono come le cene. Devono avere un senso. "Che bella pettinatura". È una frase che ha senso.

Forse un cuore si spezza solo quando si esce da una stanza d'ospedale con camicie che puzzano di pizza e di profumo, ma tutto si spezza più facilmente se prima si sono formate delle crepe.

Però quando il tradimento del marito, che lei già conosceva, diventa di dominio pubblico decide che non può più sopportare e se ne va di casa. Alla ricerca disperata e ossessiva di un lavoro, accetta uno strano incarico a Borg, una comunità sperduta su cui la crisi ha picchiato molto duro. Tutti i negozi e le attività che ancora non sono chiuse chiuderanno a breve e il paesino sembra destinato a morire. Britt-Marie, con le sue fobie, la sua smania per le pulizie e la sua mentalità ingenua, riesce in qualche modo a far breccia nei pochi abitanti rimasti. Senza nemmeno capire come, si ritrova addirittura ad allenare la squadra di calcio dei ragazzi del paese e a prendersi cura di loro a modo suo. Sembra esserci una speranza per Borg, nonostante tutte le tragedie e le difficoltà che sta vivendo, e sembra esserci anche per Britt-Marie.
Nella caratterizzazione di questo personaggio forse Fredrik Backman ha calcato un po’ troppo la mano, perché nella prima parte è talmente insopportabile e talmente incredibile nelle sue ingenuità che vien quasi voglia di chiudere il libro. Una voglia che però poi passa, man mano che si procede con la lettura e si assiste al cambiamento di Britt-Marie e di tutte le persone attorno a lei. È un libro pieno di buoni sentimenti, di quelli che scaldano il cuore e fanno bene, perché, ancora una volta, mostra come anche nelle tragedie, nelle difficoltà e nei momenti brutti si possa (e si debba!) trovare qualcosa per cui vale la pena sorridere.

L’ultimo libro di gennaio è Le piccole memorie di José Saramago, tradotto da Rita Desti. Un libriccino comprato un po’ per caso (insieme a Diario di scuola di Pennac per prendere la coperta del lettore di Alice nel paese delle meraviglie) e che mi ha fatto ricordare ancora una volta quanto io voglia bene a José Saramago. In questo piccolo memoir, lo scrittore portoghese racconta alcuni aneddoti della sua infanzia: i rapporti con i genitori e con i nonni, gli anni di scuola e le amicizie nate tra i banchi, i personaggi bislacchi che ha incontrato nella sua infanzia e adolescenza, i ricordi del fratellino morto a tre anni... tante piccole cose, che forse alla produzione di Saramago non aggiungono nulla, ma che per chi già lo conosce e lo ha sempre adorato sono molto preziose. (Nel caso voleste iniziare a conoscerlo: consiglio Cecità, L’uomo duplicato e Lucernario... tenetevi Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Caino per quando avrete preso più in confidenza con il suo stile).

Ho raccontato altrove come e perché mi chiamo Saramago. Che quel Saramago non era un cognome per parte paterna, bensì il soprannome con cui era conosciuta la mia famiglia nel paese. Che quando mio padre andò a dichiarare all'Anagrafe di Galeğa la nascita del suo secondo figlio, capitò che l'impiegato (si chiamava Silvino) fosse ubriaco (indignato, di questo lo avrebbe sempre accusato mio padre) e che, nei fumi dell'alcol e senza che nessuno si accorgesse dell'onomastico frode, decidesse, a suo rischio e pericolo, di aggiungere Saramago al laconico José de Sousa che mio padre voleva che fossi. E che, in questo modo, infine, grazie a un intervento a tutte le evidenze divino, mi riferisco, è chiaro, a Bacco, dio del vino e di coloro che eccedono nel berlo, non ho avuto bisogno di inventare uno pseudonimo, caso mai ci fosse stato un futuro, per firmare i miei libri.

Tra un romanzo e l’altro, a gennaio c’è stato tempo anche per i fumetti di Tom Gauld, in particolare di Baking with Kafka (esiste anche la versione italiana, In cucina con Kafka, pubblicata da Mondadori... ma se sapete l’inglese vi consiglio l’originale). Tutti gli appassionati di libri e di letteratura dovrebbero conoscere e leggere le vignette di Gauld: fanno ridere e fanno riflettere, ma soprattutto dimostrano quanto si possa amare il mondo dei libri senza prendersi mai troppo sul serio, perché gli scrittori famosi ma anche i personaggi dei libri sono prima di tutto esseri umani.

Source: https://bit.ly/2S8aIID


lunedì 24 settembre 2018

CAMBIO DI ROTTA - Elizabeth Jane Howard

Poi Lilian è rimasta in silenzio, mentre il sole sprofondava nel mare. Era uno spettacolo magnifico, e ho pensato che tutte queste cose d'ora in poi mi ricorderanno lei - il mare, il tramonto, le navi e la brezza - e che lei mi farà pensare a queste cose, tutte insieme. Il mondo intero per me ha preso vita grazie a lei.


Continua la riscoperta dei romanzi di Elizabeth Jane Howard da parte di Fazi editore, dopo lo straordinario (e, se ancora non fosse chiaro, per me meritatissimo) successo della saga dei Cazalet. Dopo Il lungo sguardo, pubblicato in Italia in realtà prima dei Cazalet, e All’ombra di Julius, uscito nell’aprile di quest’anno, il 6 settembre è arrivato in libreria Cambio di rotta, romanzo del 1959, tradotto sempre da Manuela Francescon.

Accolgo sempre l’uscita di un nuovo romanzo di questa scrittrice britannica con un misto di entusiasmo e ansia. Ho amato talmente tanto le sue opere precedenti che ho sempre paura che la delusione sia dietro l’angolo; però poi penso all’autrice di cui stiamo parlando, penso a quanto abbia adorato seguire le avventure e disavventure della famiglia Cazalet, ma anche quanto mi sia piaciuto immergermi nel silenzio della coppia protagonista di Il lungo sguardo, o a quanto ancora la sparizione di Julius influisca sulla sua famiglia. .. penso a tutto questo, e so che è praticamente impossibile che Elizabeth Jane Howard mi deluda. E infatti non è successo nemmeno questa volta.

La storia raccontata in Cambio di rotta ruota attorno a quattro (sì, solo quattro!) personaggi principali.  Emmanuel e Lilian Joyce sono una coppia di mezz’età dell’alta borghesia londinese: lui è un drammaturgo di successo, molto sensibile al fascino femminile; lei una donna raffinata, mondana e cagionevole di salute, che ancora non è riuscita a riprendersi dal terribile lutto che l’ha colpita; accanto a loro c’è sempre il fidato Jimmy, ufficialmente manager di Emmanuel, ma in realtà tuttofare che si prende cura della famiglia. Dopo il licenziamento dell’ultima segretaria del marito e i tragici eventi che ne sono susseguiti, Lilian decide di occuparsi lei della scelta di quella nuova. Una sera a una festa incappa in Alberta, una ragazza appena giunta a Londra dalla campagna in compagnia dello zio, senza alcuna esperienza. Lilian crede che sia la persona giusta: troppo scialba e, soprattutto, davvero troppo giovane perché Emmanuel possa invaghirsi di lei. I quattro partono quindi per New York, in cerca dell’attrice adatta a interpretare la protagonista della nuova commedia scritta dal signor Joyce e, soprattutto, un posto in cui lui riesca finalmente a scrivere. Emmanuel e Alberta partono in aereo, e hanno così il tempo per conoscersi meglio prima dell’arrivo di Jimmy e Lilian via nave. Ben presto tutti si rendono conto che Alberta, nella sua innocenza e nella sua semplicità tutta provinciale, è molto più interessante e meno ingenua di quanto inizialmente sembrasse, al punto che potrebbe quasi essere lei l’attrice che stavano cercando. Da New York i quattro si spostano poi in Grecia, dove Jimmy ed Emmanuel si scoprono sempre più affascinati dalla giovane segreteria e Lilian capisce che è ora di fare qualcosa.

Cambio di rotta mi è piaciuto parecchio e per diversi motivi. Il primo è che è un romanzo del 1959 ma non lo sembra, talmente brava è l’autrice a descrivere sentimenti e stati d’animo umani senza tempo, universali: il dolore per la perdita di una persona cara, la gelosia, l’amore, la curiosità e la scoperta di se stessi, la necessità di fermarsi e, magari, ricominciare tutto da capo. È difficile che un romanzo scritto quasi sessant’anni fa riesca a essere così attuale. Poi mi sono piaciuti molto i personaggi e le dinamiche che la Howard ha costruito tra loro: una coppia infelice ma incapace di ammetterlo; un uomo fedele e leale per tanto tempo, finché non arriva qualcosa a scalfire tutte le sue certezze; una ragazza un po’ ingenua, che starnutisce quando prova un’emozione, e che in qualche modo, con la sua visione del mondo, distrugge tutti gli equilibri creati fino a quel momento. Tutti insieme danno vita a un romanzo corale, ma dalle identità ben definite e, in qualche modo, complementari.
Quante persone ci vorrebbero per farne una completa? Noi quattro non bastiamo.
Sicuramente è un romanzo diverso dai cinque che compongono la saga dei Cazalet: è stato scritto molto prima e forse a livello di stile un po’ si sente; ci sono molti meno personaggi (quindi chi non ha apprezzato i Cazalet perché si è un po’ perso in mezzo alle piccole e grandi tragedie che colpiscono la famiglia, qui dovrebbe trovarsi più a suo agio) e, nel complesso, ha una struttura più semplice, a volte ripetitiva, eppure efficace per caratterizzare i personaggi.

Cambio di rotta non è diventato il mio preferito, questo no (continua a essere Il lungo sguardo, senza alcun dubbio), ma mi è piaciuto di più, per esempio, di All’ombra di Julius, forse proprio perché qui i Cazalet non ce li ho ritrovati più tanto, mentre con All’ombra di Julius il paragone è quasi inevitabile (pur sbagliato, perché, di nuovo, sono stati scritti a parecchi anni di distanza).
Ma al di là delle preferenze del tutto persona, ormai posso dire con certezza che Elizabeth Jane Howard sia una delle mie scrittrici preferite in assoluto.


Titolo: Cambio di rotta
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon
Pagine: 430
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 18,50 €
Acquista su amazon:
formato cartaceo: Cambio di rotta
formato ebook:Cambio di rotta

martedì 29 maggio 2018

ALL'INIZIO DEL SETTIMO GIORNO - Luc Lang

Dovete attraversare insieme questa storia, non avete scelta, devono vederla, magari sei troppo pessimista, magari sentendo i figli lei... in medicina, ci sono miracoli, il risveglio dal coma esiste. Non devi fare in modo che perdano la speranza, consenti ai bambini di battersi per lei, ci sarà sempre il tempo di ammettere più tardi che avete lottato per niente, ma senza essere divorati dal rimorso e dal rimpianto di non avere tentato ogni cosa.


Ho un rapporto molto particolare con la narrativa francese contemporanea. Alcuni libri e autori mi piacciono molto (Eric-Emmanuel Schmitt, per esempio), altri invece, per stile e modo di raccontare, li trovo snervanti e irritanti (il più recente a rientrare in questa categoria è Un amore di Salinger di Frédéric Beigbeder). Per questo mi avvicino ai romanzi d’oltralpe sempre con un misto di curiosità e ansia, incerta su cosa troverò.

All’inizio del settimo giorno di Luc Lang, da poco pubblicato da Fazi editore con la traduzione di Maurizio Ferrara, rientra paradossalmente in entrambe le categorie. 
Il romanzo, che è stato finalista al premio Goncourt nel 2016, ha come protagonista Thomas, un ingegnere informatico francese che vive a Parigi con la moglie e i due figli. Una notte viene svegliato da una telefonata: è un ospedale che lo informa che la moglie Camille è ricoverata in rianimazione dopo un grave incidente d’auto. Thomas lascia i due figli a casa e parte verso la Bretagna per raggiungerla, ma anche per capire cosa sia successo e, soprattutto, cosa ci facesse sua moglie là a quell’ora della notte. Dubbi e perplessità, ansie e paure accompagnano la vita di Thomas nei mesi successi: Camille è in coma, poi si risveglia ma non è più quella di prima e mai più lo sarà. Thomas inizia a indagare, su se stesso e il suo matrimonio, ma anche sulla sua famiglia: il fratello Jean, che vive ritirato in una malga sui Pirenei, e che odia con tutto il suo cuore il padre, ora morto, e la madre, risposatasi; la sorella Pauline, che ha lasciato la Francia per l’Africa, dove lavora come medico in situazioni disperate e da cui proprio non ne vuole sapere di tornare. Presente e passato si mescolano, e Thomas si ritrova a fare i conti con tante, troppe cose che ignorava, sommando dolore al dolore.

Ho iniziato All’inizio del settimo giorno con enorme entusiasmo. Per quanto triste, mi apprezzato tantissimo l’espediente iniziale: un uomo che deve capire come mai la moglie ha avuto un incidente in un luogo tanto sperduto, nel cuore della notte. Da chi stava andando o da chi stava fuggendo. Cosa nascondeva. Così come mi è piaciuta l’idea di raccontare come una persona tiene insieme i pezzi della sua famiglia quando uno dei piloni portanti viene a mancare. Poi però il romanzo si perde un po’. C’è troppa carne al fuoco, a cui l’autore non dedica sempre la giusta attenzione e lascia lì un po’ a bruciare.
Alla storia di Thomas e della moglie Camille, si aggiunge quella della famiglia di Thomas: il suo rapporto con i genitori, nel ricordo del padre morto; il suo legame con Jean e il suo paese d’origine; i pochi contatti con Pauline e i tanti perché che sono rimasti in sospeso fin dalla sua infanzia. Sembrano quasi due, se non tre, romanzi diversi (e in effetti il testo è diviso in tre parti, definite proprio libri) che l’autore tiene insieme con un filo sottile, che sì, c’è, ma non sempre riesce a tenere tutto unito come dovrebbe. È un libro lungo e faticoso, che ha sì tanto da dire e con alcuni momenti davvero belli e intensi, che però un po’ si perdono in uno sbrodolarsi di parole non sempre così necessarie (un centinaio di pagine in meno non avrebbero guastato, ecco).

Si arriva alla fine All’inizio del settimo giorno abbastanza esausti dalla lettura, con qualche dubbio e qualche domanda rimasta senza risposta. Forse è un romanzo che va letto con la mente completamente sgombra da qualsiasi altro pensiero e la possibilità di concentrarsi solo ed esclusivamente su di esso. Così, sicuramente le parti che già ho apprezzato sarebbero risaltate ancora di più e probabilmente non mi sarei persa nelle lunghe descrizioni e nelle divagazioni. 

In ogni caso, oltre all’innegabile fatica, questo romanzo di Luc Lang mi ha lasciato anche altre cose: alcuni pensieri, dovuti forse a ricordi di esperienze personali che hanno fatto capolino ogni volta in cui Thomas andava a trovare la moglie Camille in ospedale; alcune riflessioni su come il passato possa influenzare il nostro presente e soprattutto su come due persone vicine, nello stesso ambiente, possano vivere le cose in modo completamente diverso. E che nulla è mai davvero come sembra.

Titolo: All'inizio del settimo giorno
Autore: Luc Lang
Traduttore: Maurizio Ferrara
Pagine: 561
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 18€
Acquista su amazon:
formato cartaceo:All'inizio del settimo giorno
formato ebook: All'inizio del settimo giorno

lunedì 9 aprile 2018

ALL'OMBRA DI JULIUS - Elizabeth Jane Howard

«Ti è mancato Julius? Intendo dopo un po' di tempo, passato lo shock.»
Lei sostenne il suo sguardo e ci pensò, seria.
«Mi è mancato ciò che lui rappresentava nella mia vita. Un padre per le bambine. Un uomo nella sua casa. La sicurezza di essere in coppia. Ma nel profondo... no, non mi è mancato. Avrei sofferto meno la solitudine, se lui mi fosse mancato in quel senso. E poi sento come di averlo abbandonato. È la prova che non lo amavo.»
«Non ti seguo». Felix stava pensando al suo senso di colpa per aver abbandonato lei.
«Sono cose che non si provano per chi si ama. Compassione, senso di responsabilità, questo tipo di sentimenti. Se ami una persona, non li provi. È impossibile, ecco.»




Esce oggi in libreria All’ombra di Julius, romanzo del 1965 di Elizabeth Jane Howard, finalmente pubblicato in Italia da Fazi editore, con la traduzione di Manuela Francescon.
Che io adori questa scrittrice inglese credo che ormai si sia capito: mi sono appassionata alle vicende della famiglia Cazalet fin dal primo volume, per poi seguirli con coinvolgimento e un po’ di apprensione fino all’ultimo; ho amato a dismisura Il lungo sguardo, il suo primo romanzo pubblicato in Italia, anche se io l’ho scoperto solo più tardi, che racconta un amore al contrario, partendo dalla fine, da quello che è rimasto, per procedere a ritroso fino al suo inizio.
Aspettavo quindi con ansia la traduzione di una sua nuova opera e sono davvero contenta che finalmente, anche qui in Italia, abbia trovato un editore (e tanti lettori) in grado di attribuirle tutto il riconoscimento che secondo me si merita.

Sono passati vent’anni dalla morte di Julius. Vent’anni da quella mattina in cui ha salutato la moglie Esme, la figlia maggiore Cressy e la minore Emma, per andare a compiere un gesto eroico durante la Seconda Guerra Mondiale, con cui poi tutti i membri della sua famiglia continueranno a fare i conti per tutta la loro vita.
Esme si chiede se si amavano abbastanza, e nel momento in cui se lo chiede sa già qual è la risposta. Stava con lui perché c’erano le figlie, perché gli dava la sicurezza di una famiglia… ma il suo vero grande amore era un altro, un uomo ben più giovane di lei e del marito, che non ha mai smesso di amare.
Cressy in quei vent’anni non ha fatto altro che cercare l’amore, sempre negli uomini sbagliati, a cui si è sempre concessa senza remore pur sapendo il male che si stava facendo. È una donna molto bella, una pianista brava ma non eccezionale, con la singolare abitudine di stare sempre con uomini sposati. Ed è forse diventata incapace di riconoscere l’amore vero.

Cressy sentiva che l’unico obiettivo da perseguire e poi mantenere con tenacia era l’amore; poi però le era stato d’intralcio il fatto di non avere le idee chiare su cosa fosse l’amore, e così si era ostinata a vederlo un po’ dappertutto, tanto per non sbagliare, o per sbagliare a colpo sicuro.

Emma, invece, è convinta che l’uomo della sua vita sia morto in guerra, senza che lei abbia avuto la possibilità di conoscerlo. È ancora giovane, eppure si sente tanto vecchia dentro. Lavora nella casa editrice che era del padre e si prende cura delle sofferenze d’amore della sorella, senza riuscire a capirla ma senza nemmeno mai giudicarla.
Un fine settimana le tre si ritrovano a casa della madre in compagnia di due uomini: il primo è Felix, il grande amore di Esme, che l’aveva abbandonata più o meno gli stessi giorni della morte di Julius e di cui per vent’anni la donna non aveva saputo nulla, serbandone però intatto il ricordo nella sua mente; il secondo è Dan, un poeta pubblicato proprio dalla casa editrice in cui lavora Emma, che la ragazza d’impulso ha invitato prima a pranzo e poi a trascorrere un fine settimana con lei. Anche l’uomo è alla disperata ricerca di un amore, o forse solo di qualcuno in grado di placare il dolore che sente dentro da quando ha perso quella che riteneva la donna della sua vita.
In questi tre giorni, molti nodi, molti non detti, sembrano venire al pettine. A capo c’è sempre lui, Julius, assente fisicamente ma ben presente in ognuna delle tre protagoniste, tutte accomunate da una disperata ricerca d’amore per colmare l’enorme perdita che l’uomo ha lasciato in ognuna di loro.

Una delle cose che amo di più di Elizabeth Jane Howard è la sua incredibile capacità di tratteggiare le dinamiche famigliari, con tutte le loro caratteristiche, le loro contraddizioni e ambiguità, senza però mai giudicare nessuno. Semplicemente racconta i personaggi e le loro debolezze affettive, dando voce alle loro emozioni, per quanto assurde o incomprensibili possano sembrare viste dall’esterno, da chi quelle emozioni non le sta vivendo.

In All’ombra di Julius succede proprio questo. Ci sono tre donne che si conoscono ma spesso si guardano senza capirsi; tre donne che si innamorano troppo o che non si innamorano mai, che amano le persone sbagliate o quelle giuste al momento sbagliato, che non si lasciano andare perché i loro ideali glielo impediscono o che si lasciano andare troppo perché i loro ideali si sono troppo spesso scontrati con la realtà.

Avevo già notato la bravura di questa scrittrice inglese nel raccontare le emozioni in tutti e cinque i volumi della Saga dei Cazalet, ma forse ancor di più in
Il lungo sguardo (che precede All’ombra di Julius di ben dieci anni). In All’ombra di Julius questa abilità diventa ancor più evidente: siamo di fronte a una donna, una scrittrice, che ha avuto lei stessa una vita sentimentale un po’ turbolenta e che, dagli anni ’50, ha descritto l’amore, tutte le sue dinamiche e le sue contraddizioni così, con eleganza e intelligenza, ma senza nascondere nulla, senza farsi bloccare da convenzioni o condizionamenti sociali. Perché l’amore non ha regole, anche se a volte forse se le avesse sarebbe più facile, e può arrivare così, all'improvviso, e si deve essere pronti a tutto per non lasciarselo sfuggire.
Arrivò allo svincolo, lo riconobbe all'ultimo momento. Spense il motore e riaccese la luce. Lei dormiva davvero. Stette a guardarla per alcuni secondi, come a fissarsi nella mente i tratti del suo viso. Aveva una bocca bellissima, non c'erano altri modi per definirla. E poi aveva l'aspetto dolce e arreso di chi ha completamente ceduto al sonno. Eccola, pensava Felix, è qui. È straordinario averla trovata. Immagino che tutti provino questa sensazione a un certo punto della loro vita, e che tutti pensino di essere i primi a sperimentarla. Non voleva toccarla, temeva quasi di farla sparire, di rompere l'incantesimo.

Titolo: All'ombra di Julius
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon
Pagine: 327
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Fazi
Prezzo di copertina: 20 €
Acquista su amazon:
formato brossura: All'ombra di Julius
formato ebook: All'ombra di Julius

venerdì 23 febbraio 2018

LA MANUTENZIONE DEI SENSI - Franco Faggiani

«Ma tu, quando hai saputo che Chiara era morta, cos'hai detto?»
«Non scherzi stasera con le domande, eh? Vuoi proprio saperlo? Non ho detto niente. Non sono riuscito a dire una parola per giorni, avevo un dolore allo stomaco che non mi faceva stare in piedi. E la testa leggera, perché vuota. Sono andato avanti così per un bel po'.»
«E poi?»
«Poi qualcuno mi ha salvato.»

Non sono mai stata una grande amante della montagna. Ci sono andata, più spesso da bambina un po’ meno di frequente da adulta, ma non sono mai riuscita a resistere più di un giorno. Quella calma, quella quiete, quel silenzio quasi ovattato che dovrebbe servire a schiarire la mente e i pensieri, dopo qualche ora per me diventa opprimente. Mi innervosisco, quasi. Ed è strano, perché per più di trent’anni ho vissuto proprio ai piedi delle montagne valdostane. Erano la prima cosa che vedevo al mattino aprendo la finestra e l’ultima la sera prima di chiudere tutto.

Forse è per questa mia scarsa passione che ho letto pochissimi libri ambientati in montagna nella mia vita. A parte la serie di Rocco Schiavone (che credo mi piaccia proprio perché lui si sente fuoriposto come me), al momento non me ne vengono in mente altri. E no, non ho letto nemmeno Le otto montagne di Paolo Cognetti, nonostante il premio Strega dell’anno scorso. 
Poi, però, è arrivato La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani, edito da Fazi editore. Ho letto la trama e, soprattutto, ho letto recensioni entusiaste da parte di persone di cui mi fido molto, e ho deciso di provare. Perché alla fine è vero che a me la montagna non piace, ma quando mi capita di andarci per quattro o cinque ore ci sto proprio bene.

La manutenzione dei sensi racconta la storia di Leonardo Guerrieri, uno scrittore cinquantenne milanese dal passato brillante che, rimasto vedovo, si ritrova un po’ alla deriva. Non sa come fare a sopravvivere senza la sua Chiara, la donna che amava e lo rendeva felice. 
Ero comunque rimasto in zona e avevo girovagato per oltre un'ora. Poi ero andato da Mazeh, un ristorante iraniano. C'ero già stato almeno un paio di volte con Chiara, molti anni addietro, prima che Nina nascesse. Lei amava Parigi, specie in primavera, quando fiorivano i tigli, e le case ricavate dai barconi ormeggiati sulla Senna e le cucine orientali. E amava anche me. Mi ero seduto a un tavolo lungo la vetrata e avevo cenato osservando la gente passare sulla strada. Chiedendomi se fosse felice.
Per fortuna c’è la figlia Nina a tenerlo un po’ in riga, prima aiutandolo a non sprofondare nel baratro, e poi convincendolo, nemmeno lui ha capito bene come, a prendere in affido temporaneo un ragazzino, Martino Rochard, che la ragazza ha conosciuto durante il volontariato che svolge all'Istituto Maria Ausiliatrice. I due hanno un carattere quasi identico: un po’ burberi, schivi, riservati, autosufficienti ma anche capaci di gesti di incredibile generosità, purché non venga riconosciuta. Un giorno, Leonardo viene convocato dalla scuola media che frequenta Martino. È in quel momento che Leonardo scopre che il ragazzino è affetto dalla sindrome di Asperger: una diagnosi che spiega molti dei suoi comportamenti ma che, come i medici interpellati da Leonardo gli spiegheranno, non gli impedirà in nessun modo di sviluppare tutta la sua intelligenza e il suo genio. 
Una volta ricevuta la diagnosi, e dopo che Nina comunica la decisione di partire per Boston per specializzarsi ulteriormente come osteopata, Leonardo decide finalmente di realizzare il sogno che condivideva con sua moglie: andare a vivere sulle montagne piemontesi, in quell’enorme baita che avevano comprato anni prima e che Leonardo aveva poi fatto ristrutturare. Crede che la montagna a Martino possa fare bene. Così come potrà fare sicuramente bene a lui. 
I due quindi lasciano Milano per Cesana Torinese, in Val di Susa. Una scelta coraggiosa, che ben presto si dimostra quella giusta per entrambi. Martino è finalmente libero di sfogare tutto il suo potenziale: stringe amicizia con Augusto, un vecchio allevatore con cui stringerà un legame speciale; impara a fare il formaggio, a seguire la vacche, a intagliare il legno e a essere più aperto verso gli altri. E Leonardo, a poco a poco, riuscirà, nel legame con questo figlio adottivo un po’ particolare, ma anche con la natura e la montagna, a ritrovare finalmente un senso alla sua vita.

La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani è un romanzo molto intenso, che parla della forza dei  rapporti e dell’importanza dei gesti, che spesso valgono molto di più delle parole. Il fulcro è la famiglia, che non è solo quella dei legami di sangue, ma anche quella che si crea con persone esterne e apparentemente diverse da noi, che invece ne diventano parte.
Davvero ben riuscito è poi il modo in cui l’autore parla di sindrome di Asperger: un modo onesto e privo di retorica, in cui si mettono in evidenza tutte le difficoltà che si possono incontrare, ma anche come sia possibile superarle, con il tempo, con la fiducia e con attorno i luoghi e le persone giuste. 
Le ore di cammino nella notte erano le preferite di Martino. Nessuna domanda, nessuna parola, solo occhi spalancati, piccoli gesti e passi misurati per non fare rumore; inizialmente impacciati poi sempre più fluidi, naturali fino a essere parte di quel momento e di quell’ambiente. Come i rami sottili d’arbusto che tremolano al vento lieve, un cumulo di neve che diventa liquido e trasparente e si immerge nella terra, un pipistrello in caccia che sfreccia silenzioso tra gli alberi. 

La manutenzione dei sensi  è un romanzo per chi ama incondizionatamente la montagna, perché qui è una vera e propria protagonista, che viene descritta al meglio, in tutta la sua bellezza ma anche nei suoi pericoli e momenti più grigi; ma anche per chi, come me, in montagna ci resiste poco, pur riuscendo a percepirne la bellezza: è stato bello andarci insieme a Leonardo e Martino, camminare con loro nella notte e aiutare Augusto a mungere la vacche, per poi fermarsi a cena in un bell’agriturismo e guardare le stelle mentre si ritorna a casa.

Titolo: La manutenzione dei sensi
Autore: Franco Faggiani
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 16,00 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo:La manutenzione dei sensi

venerdì 2 febbraio 2018

LA FATTORIA DEI GELSOMINI - Elizabeth Von Arnim

Seduto a braccia conserte sul muretto guardava l'acqua che scorreva silenziosa dandosi dello stupido; sì, perché non c'era uomo più stupido di lui, che insisteva ad amare senza essere ricambiato.

La fattoria dei gelsomini è il primo romanzo che leggo di Elizabeth von Arnim, un’autrice britannica nata in Australia che ha avuto una vita molto movimentata.  La conoscevo già di nome (anche se non sapevo che in realtà il suo fosse uno pseudonimo per Mary Annette Beauchamp), grazie al lavoro di ripubblicazione delle sue opere da poco iniziato da Fazi editore. I suoi romanzi erano già usciti in Italia qualche tempo fa per Bollati Boringhieri, ma non mi erano mai capitati sottomano. 
Fazi editore li sta a poco a poco riproponendo tutti, con una bellissima veste grafica e con una nuova traduzione a opera di Sabina Terziani.

Il romanzo inizia con la descrizione di un lungo, lunghissimo pranzo nella residenza di campagna di Lady Daisy e la figlia Terry. Lunghissimo perché fa caldo, perché Lady Daisy, di solito così partecipe, sembra quasi disinteressata e, soprattutto, perché è la quarta volta di fila che viene servito un dolce a base di uva spina. Sebbene gli inviti della donna siano sempre tenuti molto in considerazione e siano un vero motivo di vanto, la situazione sembra stare sfuggendo un po’ di mano a tutti gli ospiti: il reverendo sbotta; la giovane Rosie, invitata lì per la prima volta insieme al marito Andrew, si sente male; mentre Mr Tophman e lo stesso Andrew, decidono di rifugiarsi in una lunga partita a scacchi per isolarsi dal mondo. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quella partita avrebbe cambiato le sorti di tutti. Da un commento ambiguo rivolto da Terry a Andrew viene fuori uno scandalo, che getta Lady Daisy nello sconforto più totale. Ad alimentarlo è Mrs De Lacy, Mumsie per gli amici, ovvero la madre di Rosie pronta a tutto per vendicare l’onore apparentemente offeso della figlia.

La fattoria dei gelsomini è un romanzo molto inglese, sia nell'ambientazione (le campagne londinesi e la stessa Londra aristocratica, ma anche nella contrapposizione con la Provenza dove Lady Daisy si rifugia) sia soprattutto nello stile dell’autrice. È tutto molto pacato, tranquillo e invaso da un’ironia molto sottile, eppure allo stesso tempo molto potente. Elizabeth von Arnim mette alla berlina la società inglese, che è evidente conoscesse molto bene, raccontandone i controsensi e le assurdità. La scena iniziale del pranzo, per esempio, è una scena quasi apocalittica che, oltre a far passare la voglia di mangiare uva spina, descrive perfettamente tutte le ipocrisie di questi incontri. Così come l’enorme scandalo che suscita in Lady Daisy l’apparente tradimento della figlia, per lei un po’ troppo ingenua e un po’ troppo innamorata, per capire come ci si debba comportare davvero con un uomo.
La vera forza sono ovviamente i personaggi. Soprattutto Mumsie, questa donna esuberante e a volte un po’ inappropriata, disposta a tutto per il bene della figlia (e di se stessa), ma al tempo davvero incapace di fare del male agli altri e con una visione del mondo molto genuina, nonostante tutto.
Ridere è una cosa bella e non si dovrebbe mai ridere con l'intento di offendere.
Il romanzo mi è piaciuto, ma ho come l’impressione che se lo avessi letto in un’altra stagione (e magari all’aria aperta, proprio circondata dal profumo di gelsomini e di natura che rinasce) lo avrei apprezzato ancora di più, soprattutto nella prima parte, quella un po' più lenta (volutamente, direi, per rendere ancor più realistica l'esasperazione di quel benedetto fine settimana in campagna). Ciò non toglie, comunque, che La fattoria dei gelsomini sia un bel libro, in grado di far sentire il lettore insieme ai suoi protagonisti e, soprattutto, di farlo sorridere, offrendo un ritratto sincero, tagliente  e a tratti esilarante della società dell’epoca.


TITOLO: La fattoria dei gelsomini
AUTORE: Elizabeth Von Arnim
TRADUTTORE: Sabina Terziani
PAGINE: 352
ANNO: 2018
EDITORE: Fazi editore
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: La fattoria dei gelsomini
formato ebook: La Fattoria dei Gelsomini

lunedì 16 ottobre 2017

LA SAGA DEI CAZALET vol.5: Tutto cambia - Elizabeth Jane Howard



E così siamo arrivati alla fine. Con Tutto cambia, quinto e ultimo volume, si conclude la saga della famiglia Cazalet della scrittrice inglese Elizabeth Jane Howard, pubblicata in Italia da Fazi editore e tradotta da Manuela Francescon.

Scrivere la parola fine mi provoca una certa nostalgia, la stessa che ho provato quando ho chiuso definitivamente il volume pochi giorni fa. Perché, dopo questo lungo viaggio attraverso diciotto anni e cinque libri, la famiglia Cazalet mi mancherà terribilmente.

E pensare che l'avevo conosciuta quasi per caso, questa famiglia, grazie alla bella copertina del primo volume, Gli anni della leggerezza, che mi ha attirato come una calamita (è opera di Tom Purvis, così come lo sono quelle dei quattro volumi successivi). 


Così mi sono ritrovata a Home Place, un’enorme tenuta nella campagna inglese, in mezzo ai membri di questa numerosa famiglia, proprietaria di un’azienda di legnami: padre, madre, tre figli maschi, una figlia femmina, mogli e uno stuolo di nipoti. Stava per iniziare la seconda guerra mondiale, anche se per il momento sembrava ancora distante, una remota possibilità, che toccava solo di sfuggita le vite di questa famiglia.
Poi la guerra è scoppiata, in Il tempo dell’attesa, e con essa sono cambiate le vite dei Cazalet. Abbiamo letto un susseguirsi di vicende, di dettagli, di paure e, soprattutto, abbiamo visto crescere e maturare tutti i personaggi. C’è stata Confusione, poi Allontanarsi, fino, appunto, ad arrivare a Tutto cambia.

Un titolo che lascia già presagire parte di quello che succederà nel romanzo. Cambiamenti, enormi, nella vita di tutti, che iniziano con la morte della Duchessa nelle primissime pagine: una scomparsa che sembra rompere in qualche modo un equilibrio tra i tre fratelli, Edward, Hugh e Rupert, e che li metterà di fronte a enormi responsabilità che forse prima non erano ben consapevoli di avere. Per non parlare di Rachel, la sorella che da sempre si occupa di tutti tranne che di se stessa, che adesso si ritrova finalmente e per la prima volta ad avere in mano la sua vita.
Nel mentre ci sono le vite dei figli e delle figlie dei fratelli Cazalet, a cui si aggiungono ora anche quelle dei loro nipoti. E quindi ritroviamo Polly e Clary, ora madri e più distanti di quanto non fossero negli altri romanzi ma comunque sempre amiche. Ritroviamo Louise, che sembra in qualche modo aver trovato un suo equilibrio, e Simon e Teddy, che ancora stanno lottando per trovare il loro posto nel mondo, più una nuova generazione di piccoli Cazalet.

È difficile fare un riassunto della trama, sia perché è molto articolata (ed è questa una delle cose che più ho amato dei romanzi di Elizabeth Jane Howard: i dettagli, il raccontare anche episodi che potrebbero sembrare all'apparenza inutili, ma che messi insieme fanno andare avanti la storia e delineano le caratteristiche di ognuno dei suoi protagonisti); sia perché rischierei di rovinare il gusto della lettura a chi questi libri li deve ancora incominciare.

E non me lo perdonerei mai.

Proprio come con i romanzi precedenti, a stupirmi ancora una volta è stata la bravura di Elizabeth Jane Howard nel raccontare queste vite, nel creare questi intrecci che da un lato sì, raccontano semplicemente la storia (moooooolto dettagliata) di una famiglia, ma dall'altro sono anche uno spaccato della società inglese della metà del ‘900. Leggendo i cinque volumi della saga dei Cazalet si legge anche una parte della storia inglese: la leggerezza tra una guerra e l’altra; la paura e l’attesa di sapere cosa ne è stato di chi è stato costretto ad arruolarsi nella seconda guerra mondiale; la confusione negli anni immediatamente successivi al conflitto e il bisogno di ritrovare la propria vita; l’allontanamento dalla famiglia che si vive quando si cresce e si prende consapevolezza di quello che si è e si vuole (o non si vuole) diventare; fino, appunto, all'inevitabile cambiamento finale, in un epoca che va avanti veloce e non aspetta nessuno.

Più volte, durante la lettura, mi sono ritrovata partecipe delle vicende dei suoi protagonisti, quasi come se le stessi vivendo io: alcuni personaggi avrei voluto picchiarli (Edward, mi dispiace, dopo cinque volumi vinci senza alcun dubbio il premio di più antipatico di tutti); altri mi hanno profondamente deluso (il “noooooooooooooooooo” che ho urlato quando ho scoperto cosa aveva fatto uno dei miei personaggi del cuore credo lo abbia sentito tutto il palazzo); altri avrei voluto scuoterli un po' e farli reagire (Rachel, cavolo...) e altri ancora avrei voluto semplicemente abbracciarli e dire loro che si stanno comportando bene e che andrà tutto bene.

Non so come si faccia a scrivere libri così. Come sia riuscita Elizabeth Jane Howard a creare tutto questo e a far sentire il lettore, ogni volta, in ogni volume, quasi come fosse parte della famiglia. 
So che in questi libri e in ognuno dei personaggi c’è qualcosa della scrittrice stessa, so che Elizabeth Jane Howard ha vissuto molti degli episodi raccontati sulla sua pelle e che nella sua vita ha incontrato alcuni dei personaggi che incontrano i suoi protagonisti nel libro. Ed è riuscita a raccontare tutto questo, a dare voce a tutto quello che ha vissuto, alle persone che ha incontrato, all'ambiente che l’ha circondata, attraverso le voci, le vicende, gli intrallazzi, i tradimenti, i dolori e gli amori di questa famiglia. E lo ha fatto incredibilmente bene.

È stato un vero piacere conoscerti, famiglia Cazalet, e percorrere con te un pezzo della vostra vita. Cercherò di venirvi a trovare ogni tanto, risfogliando le vostre storie e quella della vostra fantastica autrice. Chissà che così io riesca a sentire un po' meno la vostra mancanza.

Titolo: Tutto cambia (la saga dei Cazalet vol. 5)
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon.
Editore: Fazi editore
Anno: 2017
Pagine: 610
Acquista su amazon:
formato cartaceo: Tutto cambia. La saga dei Cazalet: 5
formato ebook:Tutto cambia (La saga dei Cazalet)

lunedì 14 agosto 2017

IL LUNGO SGUARDO - Elizabeth Jane Howard

A nessuna donna piace sentirsi dire che cosa avrebbe potuto essere e che cosa è stata. A loro piace il futuro. Il futuro e il presente.

Non sapevo chi fosse Elizabeth Jane Howard finché Fazi editore non ha pubblicato il primo volume della Saga dei Cazalet, Gli anni della leggerezza, nel 2015. Una saga a cui mi sono appassionata molto, che racconta le vicende della numerosa famiglia Cazalet (padre, madre, tre fratelli e una sorella, mogli, cognate, amanti, ecc. ecc.) nell'Inghilterra che va dalla metà degli anni ’30 fino agli anni ’60. Ho divorato tutti e quattro i volumi, li ho consigliati e riconsigliati, e ora sto attendendo, con un po’ di impazienza e un po’ di angoscia, di leggere anche l’ultimo (Tutto cambia, in uscita il 18 settembre).
Oltre che ai personaggi di questa famiglia e all'ambientazione inglese, a conquistarmi è stato lo stile di Elizabeth Jane Howard: il suo modo di raccontare senza mai giudicare nessuno; il suo modo di soffermarsi su ogni singolo dettaglio che all'apparenza potrebbe sembrare inutile, ma che in realtà serve a caratterizzare al meglio ogni personaggio; e quella sensazione di essere davvero lì, in mezzo a loro, che riesce a trasmettere con la sua scrittura.

Prima della saga dei Cazalet, però, Fazi editore aveva già pubblicato un libro di questa autrice inglese: Il lungo sguardo. Uscito nel 2014, e sempre tradotto da Manuela Francescon come tutti i volumi successivi, questo romanzo è uno dei primi scritti da Elizabeth Jane Howard, nel 1956 (in realtà in Italia era già stato pubblicato una volta, da Rizzoli, nel 1957, l’anno successivo all'uscita in lingua originale, ma è con la riscoperta di Fazi che ha iniziato a essere più conosciuto).

Il lungo sguardo è un romanzo al contrario. Un romanzo che parte dalla fine, dalla cena che Antonia e Conrad Fleming stanno tenendo per festeggiare il fidanzamento del figlio Julian. Siamo nel 1950 e la famiglia è molto benestante. Eppure, dalle parole di Antonia, dal suo comportamento e dal suo modo di approcciarsi agli altri, si capisce che qualcosa nella sua vita non è andata come avrebbe voluto. Soprattutto con il marito Conrad, con cui è sposata da vent’anni: non si capisce se i due si amino adesso, né se lo abbiano mai fatto in passato. Da quella cena, si fanno poi tre passi indietro nel tempo, per ripercorrere a ritroso tutto il loro rapporto, fatto a volte di tradimenti, di scenate plateali ma anche di lunghi silenzi, che nessuno dei due sapeva come riempire, fino al momento in cui tutto è cominciato.

Nei minuti che seguirono questo breve scambio, lei ebbe modo di scoprire che le parole rompono solo la superficie esterna nel silenzio, e che i silenzi difficili sono in realtà densi di parole non dette.

Il lungo sguardo è un romanzo intenso e profondo, che racconta la vita di una coppia e tutti gli stati d’animo che possono attraversare un marito e una moglie quando stanno insieme a lungo. Ci sono l’amore e l’odio; il senso di protezione e quello di esasperazione; l’indifferenza e il desiderio; la voglia che tutto finisca ma anche la consapevolezza di non poter farcela da soli; l’incanto e il disincanto, quando si immagina che la propria vita andrà in un certo modo e invece la piega che prende è completamente diversa. E, soprattutto, i silenzi.

Tutto questo è racchiuso nel personaggio di Antonia, una donna fragile e forte al tempo stesso, che nella prima parte del romanzo getta uno sguardo su quello che ha avuto, su quella che è stata la sua vita fino a quel momento.
All’apparenza una trama come quella di questo romanzo potrebbe sembrare banale. Sono tanti, infatti, i libri che parlano di matrimoni infelici, di coppie che si amano odiandosi o si odiano amandosi, fino al momento in cui si fa un bilancio e ci si rende conto che niente è andato come ci si sarebbe aspettato. 

A volte le sembrava di odiarlo: a volte le sembrava di amarlo tanto da poter avvizzire e morire sotto la sferza silenziosa della sua indifferenza. Si aggrappava sempre a lui o a se stessa, non ce la faceva ad affrontare la somma dei rispettivi sentimenti.

La bravura di Elizabeth Jane Howard, però, oltre che nella scrittura, si vede nella scelta di partire dalla fine, di far sapere subito al lettore che cosa è successo, che cosa ne è stato di Mr. e Mrs. Fleming, per poi concentrarsi sul come e il perché la coppia sia arrivata a quel punto, creando così un romanzo che si potrebbe leggere anche partendo dalla fine e che, soprattutto, non lascia aperto nessuno spiraglio su che cosa succederà.

A questa originalità di scrittura, si aggiunge anche che il romanzo è uscito per la prima volta nel 1950, epoca in cui trattare apertamente certi argomenti, soprattutto in certi ambienti sociali, era considerato disdicevole. I panni sporchi si lavano in casa e le apparenze vengono prima di tutto.
Ma Elizabeth Jane Howard lo fa ugualmente, riversando su Antonia tutta l'infelicità e la solitudine che una donna può provare quando si ritrova a vivere una vita senza amore.

Il lungo sguardo è davvero un gran romanzo. Sì, forse addirittura più bello della splendida saga dei Cazalet.


Titolo: Il lungo sguardo
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon
Pagine: 511
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Fazi
Prezzo di copertina: 17,50 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il lungo sguardo
formato ebook:Il lungo sguardo

martedì 4 luglio 2017

IL MIO NEMICO MORTALE - Willa Cather

Si può essere amanti e nemici allo stesso tempo, sai? Noi lo siamo stati... Un uomo e una donna si separano dopo un lungo abbraccio e vedono cosa hanno fatto l'uno all'altra.


Myra Driscoll è stata cresciuta dal suo prozio, John Driscoll. Un uomo molto ricco e disposto a qualunque cosa per il bene della sua figlia adottiva, a cui non ha mai fatto mancare niente. Vestiti all'ultima moda, cavalli, feste sontuose a cui partecipa perfino la banda. Myra non potrebbe desiderare niente di più.
O forse sì: Oswald Henshawe, un giovanotto piacente e di belle speranze di cui la ragazza si innamora.
Al prozio di Myra, però, questo ragazzo proprio non piace, e pone alla figlia adottiva un ultimatum: o l'eredità o l'amore. E Myra non sembra avere alcun dubbio.
Dopo tanti anni, in quel paesino dell'Illinois da cui la ragazza è partita per non tornare più, di quella fuga d'amore ancora parlano tutti e il ricordo si accentua quando Myra decide di far visita per qualche giorno. Nellie, nipote di un'amica della donna, è molto incuriosita dalla figura di Myra Driscoll e dalla sua storia: quanto grande deve essere un amore per portarti a fare una scelta del genere?
Non più di tanto, sembra all'apparenza. Perché, trascorrendo del tempo con Myra e Oswald a New York, Nellie scoprirà che quella coppia che ha sfidato le convenzioni sociali del passato forse non è poi così felice come ci si aspetterebbe ma che, come tutte le coppie, nasconde gelosie, irritazioni, segreti e malumori.
«Ma sono stati felici, alla fine?», le chiedevo talvolta.«Felici? Oh, sì! Come la maggior parte della gente».Che delusione, quella risposta. Il senso della loro storia era che avrebbero dovuto essere molto più felici degli altri.

Nellie si renderà conto ancor di più di questa apparente infelicità anni dopo, quando ritroverà Myra e Oswald in condizioni economiche e di salute difficili, sempre vicini e insieme, ma ancor più lontani. Come se gli anni e il tempo che passa avessero cancellato definitivamente quanto di felice c’era stato tra loro. Se mai davvero c'è stato.

È questa la trama di Il mio nemico mortale di Willa Cather, appena ripubblicato da Fazi editore con la traduzione di Stefano Tummolini (il romanzo, in passato, è stato pubblicato prima da Mondadori e poi da Adelphi con il titolo Il mio mortale nemico).

Il libro comparve per la prima volta nel 1926, quattro anni dopo il romanzo One of ours (pubblicato in Italia con il titolo Uno dei nostri da Elliot edizioni, con la traduzione di A.M. Paci) che fece vincere alla Cather il Pulitzer, e immagino che per l’epoca l’argomento trattato fosse abbastanza scottante: la fuga d’amore e la rinuncia a un’eredità, ovvio, ma soprattutto il racconto di una vita tormentata, di una donna forte e fragile al tempo stesso, che mette in discussione il concetto di amore e di felicità.

Perché Myra Driscoll è una donna forte, pronta a sfidare le convenzioni, a rinunciare a una stabilità economica per inseguire l’amore; ma è anche una donna gelosa e capricciosa, quasi crudele, con un’incredibile consapevolezza di sé. Ed è fragile, appunto, a tratti insicura, e, da malata, si lascia poi andare ai rimpianti e all'amarezza, guardando all'amore e alla vita con una patina di infelicità che non riesce a cancellare.

Il mio nemico mortale è un romanzo molto breve, solo novanta pagine, eppure al suo interno Willa Cather riesce a condensare tante, tantissime cose: al centro di tutto c'è la figura di Myra e il suo modo di rapportarsi con gli altri; ma c'è anche la riflessione sull'amore, sull'incapacità di essere felici, di accettare una vita normale e, soprattutto, c'è il tempo che passa e disattende le aspettative.
"Si perde tutto con l'età, anche la forza di amare".
Il mio nemico mortale è un romanzo molto intenso e molto, molto bello, che meritava proprio di essere riscoperto.

Titolo: Il mio nemico mortale
Autore: Willa Cather
Traduttore: Stefano Tummolini
Pagine: 90
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il mio nemico mortale
formato ebook: Il mio nemico mortale

martedì 20 giugno 2017

SESSO, AMORE E CROCCANTINI - Flavia Borelli


“Non facciamo al gatto quello che non vorrei che fosse fatto a me”. È stata più o meno questa la frase che disse mio fratello quando si trattò di decidere se portare a castrare il nostro Miciu (sì, nome all'apparenza poco originale, ma con una storia dietro). Vivevamo in campagna e molto probabilmente se avessimo scelto di procedere con l’intervento sarebbe diventato obeso e, soprattutto, avrebbe avuto qualche problema a farsi rispettare. Così, invece, oltre ad avere il gatto più rissoso del mondo, in giro era pieno di gattini arancioni di cui non era difficile stabilire la progenie.

Micioara, protagonista insieme alla sua padrona(uh, che brutta parola!) Flavia Borelli  e al gattone Giuda di Sesso amore e croccantini, edito da Fazi editore nella collana Le Meraviglie, è invece una gatta di città. È magra, nera e molto sinuosa. Ed è anche perennemente in calore. Flavia però non si decide a sterilizzarla. Vorrebbe che facesse almeno una cucciolata, prima di toglierle la gioia della maternità. Però, per ora, nessuno dei tentativi fatti è andato a buon fine. Flavia chiede quindi un altro gatto in prestito, sperando che sia la volta buona. E così nell'appartamento che divide con la piccola Micioara arriva Giuda: un enorme gattone che sembra proprio sapere il fatto suo. Durante il primo giorno di convivenza Micioara e Giuda non si lasciano un momento, pisciano su tutto quello che riescono a trovare, fanno versi quasi strazianti e, sì, trombano tantissimo. La casa, alla fine, è un disastro. Per non parlare delle proteste dei vicini e di quell'odore che proprio sembra non volersene andare. Però tutto sembra essere andato per il verso giusto. E Giuda, questo gattone selvaggio, in questa casa sembra proprio starci bene.
E anzi, sembra essere riuscito a far stare bene anche tutti gli altri: Micioara è più tranquilla e anche Flavia, che vive nel ricordo di un amore finito troppo presto, sembra essersi sbloccata. Quindi, Giuda non se ne dovrà mai più andare o sarà un vero disastro per tutti.

Sesso, amore e croccantini è un romanzo molto particolare. Da un lato c’è l’aspetto gattoso, la tenerezza di certi gesti, quell'incredibile affetto che questi animaletti pelosi sono in grado di generare e l’effetto benefico che possono avere in certe situazioni. Perché chiunque abbia un gatto lo sa, per quanto altezzosi, a volte un po’ scontrosi e viziatissimi possano essere, i gatti sanno sempre quando i padroni hanno bisogno di loro.

"Poi un giorno, a tradimento, ma liberatorie, erano tornate le lacrime, i singulti, i gemiti, e lei, la micia nera ancora piccolina e da pochi mesi raccolta dalla strada, aveva capito che era giunto il momento.Magica e misteriosa come tutti i gatti, soprattutto se neri, lo aveva sempre saputo, forse già da quando si era rifugiata spaurita nel motore della macchina sotto casa mia, che aveva un ruolo da svolgere, che sarebbe dovuta intervenire, un certo giorno.Era accorsa dritta dritta sulle sue quattro zampine e con un balzo leggero mi aveva raggiunta sul divano nel bow-window dove io, arrotolata su me stessa, singhiozzavo. Non mi aveva lasciato alternativa, aveva preso la situazione fra le zampette e aveva cominciato a leccarmi le mani, il viso, le lacrime, facendo le fusa che sembrava un motorino e contemporaneamente il pane sulla mia pancia.E io non avevo potuto far altro che smettere di piangere e soffiarmi il naso: Micioara, così piccola, così gatto, aveva scacciato i diavoli e domato la tempesta"

Dall’altro c’è tutto l’aspetto sessuale che, devo confessarvi, un pochino mi ha disturbato. Ma forse più per il linguaggio usato dall'autrice, molto schietto e diretto e a volte un po’ volgare, completamente diverso dagli stili che solitamente vengono impiegati per parlare di animali, e di gatti in particolare. Soprattutto all'inizio, la lettura è stata un po’ destabilizzante. Perché sì, si vede benissimo quanto amore ci sia verso Micioara (il nome, tra l’altro, mi fa impazzire) e poi anche verso Giuda e i gatti in generale, però certi epiteti rivolti a un animale domestico li ho trovati un po’ eccessivi (Luna, la gatta del mio compagno, al massimo massimo si becca un “brutta!”).

Sesso, amore e croccantini è sicuramente un libro divertente, ricco di ironia e autoironia, velate da una malinconia di sottofondo quando qua e là l’autrice lascia trapelare qualcosa della sua vita. E poi racconta un aspetto della vita dei gatti che esiste ma che forse non si considera più di tanto. Però, ecco, bisogna approcciarsi alla lettura sapendo che non sarà la classica lettura sui gatti e la loro tenerezza. In questo modo, si riuscirà sicuramente ad apprezzare di più anche la trama.


TITOLO: Sesso, amore e croccantini
AUTORE:  Flavia Borelli
PAGINE: 189
EDITORE: Fazi
ANNO: 2016
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Sesso, amore e croccantini
formato ebook:Sesso amore e croccantini

lunedì 3 aprile 2017

LA SAGA DEI CAZALET vol. 4: Casting off (Allontanarsi) - Elizabeth Jane Howard

She had a secret fear that once you were possessed by some strong feeling you will have it for life.

Giovedì 20 aprile arriva in libreria Allontanarsi, il quarto volume della saga della famiglia Cazalet della scrittrice inglese Elizabeth Jane Howard. Sempre pubblicato da Fazi editore, sempre con la traduzione di Manuela Francescon e sempre con le bellissime copertine con le illustrazioni di Tom Purvis, come i tre romanzi precedenti: Gli anni della leggerezza, Il tempo dell'attesa e Confusione.



Molti di voi non vedono l’ora, e io stessa devo ammettere che non avevo ancora finito il volume precedente, Confusione, che già provavo un forte senso di nostalgia per le avventure di questa numerosa famiglia. Una nostalgia talmente tanto forte che a gennaio, complice anche un’imperdibile offerta online, ho deciso di comprare tutti e cinque i volumi in lingua originale. 
Eppure, una volta ricevuti, ho aspettato a tuffarmi tra le pagine di Casting off. Perché sì, certo, c’erano la nostalgia e la curiosità, ma anche la triste consapevolezza che dopo questo e dopo All Change, dovrò salutare definitivamente la famiglia Cazalet. E so già che sarà un grande, grandissimo trauma.

Ma la vita del lettore è fatta anche di queste cose e quindi, via, torniamo a Home Place, torniamo nella Londra del Secondo dopo guerra e vediamo come se la stanno cavando i vari membri della famiglia.
Come procede il matrimonio di Louise con il pittore Michael Hadleigh (e la di lui madre)? E Rupert e Zoe come stanno vivendo il miracoloso ritorno di lui dalla guerra, dopo che era stato dato disperso in Francia per anni? E Polly e Clary come se la stanno cavando nella loro vita londinese? Edward, invece, ha preso una decisione riguardo al suo matrimonio con Villy e alla sua relazione con Diana? E Rachel ha finalmente deciso di lasciarsi andare all’amore per Sid? E il Generale e la Duchessa come stanno affrontando il peso degli anni? Ma, soprattutto, come diavolo fa l’intera famiglia a sopravvivere senza Archie?

Non voglio dirvi niente della trama del libro, perché vi rovinerei la sorpresa e il gusto di scoprirlo. Può sembrare una frase fatta o, in qualche modo, comoda. Ma chi conosce la saga dei Cazalet, chi si è già lasciato conquistare dalla penna di Elizabeth Jane Howard e ha seguito le vicende degli anni e dei volumi precedenti, sa quanto ogni piccolo fatto, ogni piccolo accadimento, anche quello all’apparenza più insignificante (e la narrazione delle vicende è davvero molto, molto particolareggiata), contribuisca alla grandezza e alla bellezza di questi libri.

Una saga famigliare con tanto gossip, mi è capitato diverse volte di definire così la storia dei Cazalet nel corso della lettura dei volumi che la compongono. E, in effetti, in Allontanarsi ci sono funerali, matrimoni, divorzi, storie d’amore appassionate e grandi delusioni, furiose litigate e impacciate dichiarazioni d’amore, colpi di scena e racconti di noiosi ménage famigliari. A far da sfondo, una Londra che sta facendo i conti con la fine di una guerra, con quello che è rimasto e quello che è andato perduto, e con il disperato bisogno di ricominciare a vivere.

Leggendo Allontanarsi, ma anche i tre libri precedenti, mi sono chiesta spesso come abbia fatto Elizabeth Jane Howard a creare tutto questo. Come abbia fatto a caratterizzare così bene ogni singolo personaggio, ogni intreccio e sottotrama, senza mai diventare banale o prevedibile (o magari facendolo a volte, ma in un modo che non infastidisce, ma semplicemente ci si aspetta perché è così che va la vita). E, soprattutto, come riesca a catturare così tanto l’attenzione del lettore, anche dopo così tante pagine. 

Eh sì, perché io inizio questi libri e non riesco a metterli giù. Forse perché ho un animo curioso (vabbè, diciamo pettegolo) che in libri come questo ha la possibilità di sfogarsi senza alcuna remora e controllo (al punto che spesso, leggendo, mi sono lasciata andare a esclamazioni molto sentite nei confronti di un personaggio o di un comportamento). Oppure, semplicemente, Elizabeth Jane Howard è maledettamente brava a scrivere.
Ora ne rimane solo uno. E, di nuovo, sono combattuta tra il leggerlo subito e l’aspettare, tra la nostalgia e la curiosità, tra la voglia di sapere e la tristezza del dover dire addio definitivamente a dei personaggi che ho tanto amato. 

Come credo di aver già detto nelle recensioni dei romanzi precedenti, chi ancora non conosce la famiglia Cazalet, secondo me, dovrebbe proprio rimediare. Chi invece la conosce già... coraggio, che il 20 aprile arriva presto.


Titolo: La saga dei Cazalet - Allontanarsi
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon.
Editore: Fazi editore
Anno: 2017
Pagine: 670

venerdì 15 aprile 2016

LA SAGA DEI CAZALET vol.2: Il tempo dell'attesa - Elizabeth Jane Howard

«Ho capito cosa vuoi dire. È una specie di trappola. Uno non dice le cose alle persone a cui vuole bene. Invece io penso che più vuoi bene a qualcuno, più dovresti dirgli tutto, anche le cose brutte. Credo che dirsi le cose sia il più grande gesto d'amore»

I Cazalet sono finalmente tornati. Dopo Gli anni della leggerezza, infatti, è approdato ieri in libreria, sempre con Fazi editore e con la traduzione di Manuela Francescon, Il tempo dell’attesa, secondo volume della saga della scrittrice inglese Elizabeth Jane Howard. 
Una saga che, grazie al cielo, si compone di ben cinque libri. Dico grazie al cielo, perché, dopo aver terminato questo nuovo capitolo ho subito sentito la mancanza della grande famiglia Cazalet. Come se avessi salutato qualcuno della mia, di famiglia, sapendo che per mesi sicuramente non l’avrei potuto rivedere.

Il tempo dell’attesa riparte un anno dopo Gli anni della leggerezza. Il volume precedente si era concluso con il discorso di Chamberlain del 1938, che garantiva che l’Inghilterra non sarebbe entrata in guerra. Un anno dopo, la Germania ha invaso la Polonia e gli uomini della famiglia Cazalet sono pronti ad arruolarsi e partire, se fosse necessario. 
A partire in realtà saranno sono solo in due: Edward, che coglie l’occasione al volo per allontanarsi dalla moglie Viola e poter finalmente essere più libero di vedere le sue mille amanti, e Rupert, costretto a lasciare la moglie Zoë e gli altri due figli, Clary e Neville, che patiscono tantissimo questa grande assenza. A casa resta solo Hugh, per occuparsi dell’azienda di famiglia, ma soprattutto della moglie e della figlia Polly, che da questa guerra è proprio terrorizzata. Tutti in qualche modo, comunque, cercano di darsi da fare, di aiutare come possono in questa precaria situazione: cucendo divise, accogliendo malati e bisognosi, o anche semplicemente aiutando tutti gli altri ad andare avanti.

Sono tanti i personaggi della famiglia Cazalet. Tanti sono gli intrecci, che ruotano attorno a Home Place. C’è chi è solo di passaggio, e chi invece è destinato a fermarsi più a lungo. La guerra c’è e si vede e si sente, eppure la vita deve comunque continuare e a Home Place effettivamente sembra non fermarsi mai, tra malattie, nuovi amori, sogni da inseguire, speranze e segreti. 

È difficile fare un vero e proprio riassunto di questo libro, come lo è, secondo me, un po’ di tutte le grandi saghe famigliari. Il lettore segue i personaggi nel corso degli anni, attraverso i racconti delle donne della famiglia, Loiuse Clary e Polly principalmente, ma anche tutte le altre, e partecipa alla loro vita, proprio come se ne facesse parte lui stesso. E quindi sì, proprio come mi era successo con Gli anni della leggerezza, anche in questo caso è come se fossi stata a Home Place, insieme a tutta la famiglia Cazalet, a seguire alla radio le notizie sulla guerra, a temere quando suonava la sirena per annunciare i bombardamenti, a mangiare cibo razionato e a oscurare vetri, a pormi domande, sulla guerra e sulla vita, ma anche a cercare comunque, per quanto possibile, di andare avanti con la quotidianità.

Il tempo dell'attesa mi è forse piaciuto ancor di più di Gli anni della leggerezza, libro che avevo già amato tantissimo. Non è semplice riuscire a tenere in piedi una storia con tutti questi personaggi, a farli incastrare perfettamente senza creare confusione, a coinvolgere così tanto il lettore da non riuscire a metter più giù il libro. Ed Elizabeth Jane Howard ci riesce invece in maniera incredibile, caratterizzando bene e andando bene a fondo di ogni singolo personaggio che introduce sulla pagina.

Certo, per amare questi volumi dovete sicuramente essere degli appassionati di saghe famigliari, o comunque avere la pazienza di aspettare che si crei la giusta famigliarità con i personaggi (occorre leggere un po' di pagine, ma l'albero genealogico a inizio libro aiuta tantissimo), per non rischiare di perdervi tra queste mille storie intrecciate. Io le saghe famigliari le adoro e Il tempo dell'attesa ha confermato quello che già avevo iniziato a sospettare con Gli anni della leggerezza: ovvero che quella della famiglia Cazalet è una delle più belle saghe famigliari che io abbia mai letto in vita mia.
E ora non mi resta che aspettare con ansia il terzo volume...

Titolo: La saga dei Cazalet - Il tempo dell'attesa
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon.
Pagine: 640
Editore: Fazi editore
Anno: 2016
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formato brossura:Il tempo dell'attesa. La saga dei Cazalet: 2