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venerdì 2 agosto 2024

DEMON COPPERHEAD - Barbara Kingsolver

Voleva copiare tutti il libro sull'aquilone? No. Solo le parti che gli erano piaciute di più. 
"E poi cosa succede?"
Indicò la finestra e con la mano fece segno su, su.
"Fai volare l'aquilone?"
Fece sì con la testa. Disse che spesso, dopo aver letto un libro, avrebbe voluto ringraziare  chiunque l'aveva scritto, ma di solito erano morti. Sul suo libro c'era un nome che avevo già sentito. Shakespeare. Morto, evidentemente.
"Quindi è un po' come recitare il ringraziamento?"
Fece segno di sì. Proprio così. Però mia nonna aveva detto che non si faceva, in quella casa. Quanto meno non a Dio. Ringraziare Shakespeare e gli altri, a quanto pare, andava bene.

È passata più di una settimana da quando ho terminato la lettura di Demon Copperhead di Barbara Kingsolver (tradotto da Laura Prandino per Neri Pozza), ma ho voluto aspettare un po' di tempo prima di parlarne. Volevo lasciarlo sedimentare un po', vedere che effetto mi avrebbe fatto anche una volta finito, perché capisco se un libro mi è piaciuto davvero se continuo a tornarci in qualche modo, anche quando non lo sto più leggendo.

E ancora adesso, a distanza di diversi giorni, ogni tanto mi ritrovo a pensare a Demon e alla sua infanzia sfortunata: il padre morto prima che lui nascesse, una madre che vorrebbe prendersi cura di lui ma non riesce nemmeno a prendersi cura di se stessa, fino all'ingresso nel mondo delle famiglie affidatarie... un destino che lui affronta come può e con i mezzi che ha, cercando di rimanere il più possibile a galla aggrappandosi ai pochi punti fermi che ha: i vicini di casa, la famiglia Peggot, scalcagnata come la sua e che cerca però di prendersi cura di lui; la sua passione per i supereroi della Marvel, che gli consentono di trasformare ogni sua giornata in una lotta tra buoni e cattivi; se stesso.

Ma ripenso anche a Demon quando arriva nell'adolescenza, quando scopre di essere bravo in qualcosa e che forse forse qualcosa nel suo destino segnato può cambiare, deve solo arrivare la svolta, svolta vera. Con tutto ciò che ne consegue.

Demon Copperhead è un romanzone, che in alcuni punti ti massacra, per il dolore che racconta, e in altri ti fa anche un po' arrabbiare. In alcuni punti questa sua lunghezza si sente e, personalmente, ho trovato l'ultimo centinaio di pagine un po' sfilacciato, rispetto al resto. Ma forse perché ancor più sfilacciata, incredibilmente, è la vita di Demon, nella sua incapacità di concepire che anche per lui, volendo, le cose potrebbero andare bene.

Comunque Demon Coppehead è uno di quei libri che una volta letto non puoi dimenticare e che ogni tanto ti torna in mente, anche mentre stai facendo altro. Ed è l'ulteriore conferma di quando già avevo sostenuti in precedenza: i premi Pulitzer sono una vera garanzia.

martedì 4 luglio 2017

IL MIO NEMICO MORTALE - Willa Cather

Si può essere amanti e nemici allo stesso tempo, sai? Noi lo siamo stati... Un uomo e una donna si separano dopo un lungo abbraccio e vedono cosa hanno fatto l'uno all'altra.


Myra Driscoll è stata cresciuta dal suo prozio, John Driscoll. Un uomo molto ricco e disposto a qualunque cosa per il bene della sua figlia adottiva, a cui non ha mai fatto mancare niente. Vestiti all'ultima moda, cavalli, feste sontuose a cui partecipa perfino la banda. Myra non potrebbe desiderare niente di più.
O forse sì: Oswald Henshawe, un giovanotto piacente e di belle speranze di cui la ragazza si innamora.
Al prozio di Myra, però, questo ragazzo proprio non piace, e pone alla figlia adottiva un ultimatum: o l'eredità o l'amore. E Myra non sembra avere alcun dubbio.
Dopo tanti anni, in quel paesino dell'Illinois da cui la ragazza è partita per non tornare più, di quella fuga d'amore ancora parlano tutti e il ricordo si accentua quando Myra decide di far visita per qualche giorno. Nellie, nipote di un'amica della donna, è molto incuriosita dalla figura di Myra Driscoll e dalla sua storia: quanto grande deve essere un amore per portarti a fare una scelta del genere?
Non più di tanto, sembra all'apparenza. Perché, trascorrendo del tempo con Myra e Oswald a New York, Nellie scoprirà che quella coppia che ha sfidato le convenzioni sociali del passato forse non è poi così felice come ci si aspetterebbe ma che, come tutte le coppie, nasconde gelosie, irritazioni, segreti e malumori.
«Ma sono stati felici, alla fine?», le chiedevo talvolta.«Felici? Oh, sì! Come la maggior parte della gente».Che delusione, quella risposta. Il senso della loro storia era che avrebbero dovuto essere molto più felici degli altri.

Nellie si renderà conto ancor di più di questa apparente infelicità anni dopo, quando ritroverà Myra e Oswald in condizioni economiche e di salute difficili, sempre vicini e insieme, ma ancor più lontani. Come se gli anni e il tempo che passa avessero cancellato definitivamente quanto di felice c’era stato tra loro. Se mai davvero c'è stato.

È questa la trama di Il mio nemico mortale di Willa Cather, appena ripubblicato da Fazi editore con la traduzione di Stefano Tummolini (il romanzo, in passato, è stato pubblicato prima da Mondadori e poi da Adelphi con il titolo Il mio mortale nemico).

Il libro comparve per la prima volta nel 1926, quattro anni dopo il romanzo One of ours (pubblicato in Italia con il titolo Uno dei nostri da Elliot edizioni, con la traduzione di A.M. Paci) che fece vincere alla Cather il Pulitzer, e immagino che per l’epoca l’argomento trattato fosse abbastanza scottante: la fuga d’amore e la rinuncia a un’eredità, ovvio, ma soprattutto il racconto di una vita tormentata, di una donna forte e fragile al tempo stesso, che mette in discussione il concetto di amore e di felicità.

Perché Myra Driscoll è una donna forte, pronta a sfidare le convenzioni, a rinunciare a una stabilità economica per inseguire l’amore; ma è anche una donna gelosa e capricciosa, quasi crudele, con un’incredibile consapevolezza di sé. Ed è fragile, appunto, a tratti insicura, e, da malata, si lascia poi andare ai rimpianti e all'amarezza, guardando all'amore e alla vita con una patina di infelicità che non riesce a cancellare.

Il mio nemico mortale è un romanzo molto breve, solo novanta pagine, eppure al suo interno Willa Cather riesce a condensare tante, tantissime cose: al centro di tutto c'è la figura di Myra e il suo modo di rapportarsi con gli altri; ma c'è anche la riflessione sull'amore, sull'incapacità di essere felici, di accettare una vita normale e, soprattutto, c'è il tempo che passa e disattende le aspettative.
"Si perde tutto con l'età, anche la forza di amare".
Il mio nemico mortale è un romanzo molto intenso e molto, molto bello, che meritava proprio di essere riscoperto.

Titolo: Il mio nemico mortale
Autore: Willa Cather
Traduttore: Stefano Tummolini
Pagine: 90
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Fazi editore
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il mio nemico mortale
formato ebook: Il mio nemico mortale

mercoledì 22 luglio 2015

TUTTA LA LUCE CHE NON VEDIAMO - Anthony Doerr



Tutta la luce che non vediamo di Anthony Doerr ha vinto il Premio Pulitzer 2015 per la narrativa. Un premio di cui, a differenza di molti altri tutti italiani, mi fido ciecamente, perché finora non ho avuto nessuna delusione con i vincitori che ho letto.
Probabilmente se non avesse vinto il premio nemmeno ci sarei mai arrivata a questo libro. E altrettanto sicuramente non mi ci sarei poi avvicinata con così tante aspettative. 

Tutta la luce che non vediamo è ambientato in parte in Francia in parte in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale. Da un lato abbiamo Marie-Laure, che è diventata cieca quando era bambina e che ora, a dodici anni, è costretta a lasciare Parigi insieme al padre per rifugiarsi a Saint-Malo, in Bretagna, a casa di un lontano zio. Insieme a loro viaggia qualcosa di importante, che il padre custodisce gelosamente. Dall’altro lato c’è Werner, che vive in un orfanotrofio della Germania nazista e adora montare, smontare e giocare con le radio insieme alla sorella. Un giorno la sua abilità viene notata ed entra a far parte della Gioventù hitleriana. Un addestramento difficile, violento, che un giorno neanche sedicenne lo porterà in guerra. Le vite di Marie-Laure e Werner corrono parallele. Entrambi si chiedono spesso chi siano i buoni e chi i cattivi. Entrambi sentono addosso la paura e la voglia di libertà. Finché, per un momento, le loro vite si incontrano.

Sì, è un altro, l’ennesimo forse, libro sulla Seconda Guerra Mondiale. Ed è difficile oggi avere ancora qualcosa da dire di originale su quel periodo. È difficile ambientare una storia in quegli anni senza risultare ripetitivo e dare l’impressione del già letto. Anthony Doerr riesce quasi completamente a superare questa difficoltà, offrendo un doppio punto di vista diverso dal solito. Quelli di due ragazzini di due fazioni contrapposte che non hanno mai nemmeno ben chiaro perché o per cosa stanno combattendo. Ci aggiunge la violenza dei campi di addestramento nazisti, in cui si viene addestrati a fare del male, e la poesia che solo la radio, i libri e il mare riescono a portare anche nei momenti più bui.

C’è quel quasi, però. Un quasi che per me è durato circa fino a metà libro. Ci ho messo un po’ a non trovare fastidioso questo continuo passaggio da un personaggio all'altro. L’intenzione era quella di mostrare la contemporaneità delle due storie, ma ho avuto un po’ di difficoltà a non perdermi in quelle mezze pagine, in quei capitoli troppo brevi. Quando la storia entra nel vivo, i capitoli si allungano, e forse Doerr acquisisce una maggiore sicurezza del suo stile e della sua bravura, tutto diventa più semplice, più scorrevole, più intenso.

Ho letto Tutta la luce che non vediamo principalmente di sera tardi e di notte. Non so se semplicemente per il caldo che mi impediva di riuscire a concentrarmi di giorno, o se per una qualche strana forma di empatia verso la cecità di Marie-Laure e le sue attività necessariamente notturne con il suo favoloso zio Etienne. O ancora, se è perché per leggere di un periodo così nero, così buio della nostra storia, è necessario che non ci sia luce fuori. 

Tutta la luce che non vediamo è un libro molto bello. Forse un po' lento nella prima parte, questo sì. Ma poi diventa un libro indimenticabile. L'ennesimo ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, sì. Ma uno dei pochi che racconta un punto di vista diverso. Assolutamente da leggere.

Titolo: Tutta la luce che non vediamo
Titolo originale: All the light we cannot see
Autore: Anthony Doerr
Traduttore: Daniele A. Gewurz e Isabella Zani
Pagine: 510
Editore: Rizzoli
Acquista su Amazon:


venerdì 12 dicembre 2014

IL CARDELLINO - Donna Tartt

Credo di avervi  già comunicato più e più volte il mio amore per gli scrittori e i libri che hanno vinto il premio Pulitzer. E’ un amore abbastanza recente, ma che aumenta in modo sconsiderato ogni volta che mi capita tra le mani uno dei libri premiati. 
Ammetto  però che di Il cardellino di Donna Tartt, che ha vinto il premio quest’anno, avevo un po’ paura. In parte per lo spessore, sicuramente, perché per leggere un libro con più di 600 pagine deve essere il momento giusto, o il rischio di rimanere incagliata a metà diventa molto alto. E poi ne avevo timore anche perché leggendo commenti e pareri, ancor prima di comprarlo in realtà, mi sono trovata di fronte a reazioni molto discordanti. C’è chi parla di un romanzo meraviglioso e chi di un romanzo carino, ma forse un po’ sopravvalutato, chi lo ha divorato in pochi giorni e chi lo ha abbandonato a metà, senza alcun rimpianto.
 Ho aspettato quindi arrivasse il momento giusto, non ho più letto commenti di altre persone e, via, l’ho iniziato. Nei primi due giorni ho divorato più di cinquecento pagine. E non perché leggo veloce, ma perché davvero non riuscivo a metterlo giù.

Il cardellino racconta la storia di Theo, che a soli tredici anni sopravvivere a un attentato terroristico in un museo di New York. Mentre sta uscendo, da solo e stordito, dal museo, decide portare con sé un quadro, Il cardellino appunto, perché non è sicuro che la madre, nella confusione delle esplosioni, sia riuscita a vederlo. La madre, però, a casa non torna più e Theo si ritrova così solo, con un padre in ritracciabile e dei nonni che non lo vogliono. Viene ospitato dalla famiglia di un suo compagno delle elementari, Andy. Una famiglia molto ricca in cui Theo si sente incredibilmente solo.  E poi passano gli anni, Theo cresce, ritrova suo padre e poi lo perde di nuovo, si innamora perdutamente e inizia a drogarsi e a bere, conosce  Boris, un ragazzo problematico e un po’ teppista, l’unico con cui però si sente davvero a suo agio, e impara il mestiere di antiquario. Il cardellino e il ricordo doloroso della madre rimangono negli anni il suo punto fisso. Poi però qualcosa va storto e Theo si ritrova immischiato in qualcosa di pericoloso e molto più grande di lui.

Potete immaginare anche voi quanto difficile possa essere riassumere la trama di un libro di novecento pagine. Succedono tante cose, grandi e insignificanti, che è inutile tentare di parlarvene. Onestamente, non so nemmeno dirvi che cosa mi abbia tenuta incollata così saldamente alle pagine di questo libro. Lo stile di Donna Tartt, certo, che riesce a rendere perfettamente la tristezza,  la solitudine e il ricordo che attanagliano e torturano Theo, ma anche a caratterizzare perfettamente tutto i personaggi che gli ruotano intorno. La trama, anche, molto più avvincente di quanto la quarta di copertina lascerebbe presagire. Ma anche qualcosa di più, in Theo e nel suo dolore, nel suo senso di colpa che lo sta a poco a poco annientando e che non sa come combattere. L’ho trovato molto vero, molto forte e commuovente.

Sicuramente anche con un centinaio di pagine in meno il romanzo sarebbe stato lo stesso molto bello, perché a volte si è dilungato un po’ troppo in momenti in cui non era necessario.
Non che abbia faticato a leggerle, per carità, però forse avrebbero potuto anche non esserci (così come il finale, proprio le ultime cinquanta pagine, avrebbero potuto essere, non so, diverse, più all’altezza di tutto il resto del romanzo… ma forse qualunque finale, dopo una storia così, sarebbe stato deludente).

Insomma, mi schiero dalla parte di chi ha amato il libro, di chi lo considera un capolavoro. E vorrei davvero stringere la mano a chi assegna i premi Pulitzer, perché fa davvero un grande, grandissimo lavoro per il mondo della letteratura.

Titolo: Il cardellino
Autore: Donna Tartt
Traduttore: Mirko Zilahi de' Gyurgyokay
Pagine:893
Editore: Rizzoli
Anno: 2014
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formato brossura: Il cardellino