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sabato 30 dicembre 2023

IL 2023 in un post

Il 2023 sta ormai volgendo al termine. Un anno che non ho amato particolarmente, se devo essere sincera. Non è successo niente di particolare, nel bene e nel male, eppure l'ho trovato molto faticoso. C'è stato qualche stress lavorativo che ancora devo imparare a gestire; qualche piccolo problema di salute (due volte il COVID, a cui ero miracolosamente scampata finora; un banalissimo intervento chirurgico da cui mi sono ripresa subito e senza alcun problema, ma che comunque c'è stato); l'estate più calda di sempre, che ci ha fatto vivere per una settimana praticamente chiusi in tavernetta, l'unica stanza della casa in cui si potesse respirare; il fatto di non aver tradotto nessun libro quest'anno, cosa che non mi succedeva da tantissimo tempo.
Tutte piccolezze rispetto ad altri anni ben più difficili... ma il 2023 non resterà tra gli anni da ricordare.
Qualche cosa bella c'è stata, ovviamente: abbiamo preso i nostri ritmi nella casetta nuova, a cui ci siamo abituati con molta più facilità di quello che avremmo mai immaginato (mi chiedo come abbia fatto a vivere finora senza una stufa a legna, per esempio) e in cui mi sembra già di vivere da tempo e non solo da poco più di un anno; abbiamo fatto molte gite, in posti bellissimi senza doverci allontanare troppo da casa (nota di merito al lago di Mergozzo, all'Abbazia di Staffarda, al Parco Faunistico La Torbiera e a Vendersi, il paese degli Spaventapasseri); abbiamo visto un sacco di campi di lavanda e distese di tulipani e ho persino dormito una notte in rifugio (il Rifugio Fontanamura, in Valsangone, vicino a Torino) con una mia amica, una di quelle cose che mai avrei immaginato di fare. 
Illustrazione di Gwen Van Knippenberg

E poi ho ricominciato a leggere dopo più di due anni in cui i libri non sempre riuscivano a darmi la gioia che mi hanno sempre dato. Non mi è ancora tornato del tutto l'entusiasmo per tutto il resto che ruota attorno a essi (no, nemmeno quest'anno sono andata al Salone del libro di Torino), però mi sembra già un grande passo avanti.
A questo proposito, ecco qui le mie migliori letture di quest'anno.


LE MEMORIE DI SVEN STOCCOLMA di Nathaniel Ian Miller, tradotto da Luca Briasco per Atlantide. È uno di quei romanzi che si iniziano con un po' di scetticismo: ma cosa avrà mai da raccontare un tizio solitario che, dopo essere rimasto sfigurato in un incidente in miniera, decide di andare a vivere in un fiordo sperduto dove non incontra mai nessuno? A volte va a trovarlo un uomo finlandese burbero e saggio che gli insegna a sopravvivere in una natura apparentemente ostile; a volte anche un geologo scozzese amante dei libri; e alla fine, semplicemente, il passato da cui è sfuggito. Impossibile non affezionarsi a Sven, a quest'uomo che vorrebbe fuggire dal mondo ma che il mondo, in qualche modo, trova sempre.


LA MASNÀ di Raffaella Romagnolo, finalmente ripubblicato quest'anno da Mondadori dopo anni di fuori catalogo. Aspettavo con ansia la nuova edizione di questo primo romanzo di Raffaella Romagnolo, un'autrice che ho imparato ad amare negli anni e che ogni suo nuovo libro non mi delude mai. È la storia di tre donne, nonna, madre e figlia, che passano dalla vita contadina a quella di città sempre dietro ai voleri di un uomo che sembra governare il loro destino. Uno spaccato della questione femminile in Italia nella metà del '900, e della lotta della più piccola che cerca di vivere ciò che sua madre e sua nonna non hanno potuto.


LA NOTTE ROSSA di Rebecca Godfrey, tradotto da Fabio Bernabei per NN editore. Il romanzo racconta una storia vera: la scomparsa e poi il ritrovamento del cadavere della quattordicenne Reena Virk, per il cui omicidio vengono indagati un gruppo di suoi coetanei che, prima di ucciderla, l'hanno massacrata di botte. È un libro molto forte, che porta inevitabilmente a interrogarsi sull'adolescenza e su quanto oltre si possa spingere il disagio giovanile, lasciando attonito chiunque vi assista.


PICCOLE UMANE DEBOLEZZE di Megan Nolan, tradotto da Tiziana Loporto, sempre per NN editore. Avevo già letto il primo romanzo di questa autrice, Atti di sottomissione: mi era piaciuto, ma senza riuscire a colpirmi del tutto. Questo secondo libro, invece, è stata una folgorazione. È di nuovo la storia di un disagio, giovanile e famigliare in questo caso: viene ritrovato il corpo di una bambina di tre anni e tutto lascia intendere che a ucciderla sia stata Lucy Green, che di anni ne ha dieci. Nessuno della famiglia di Lucy si è più preso cura di lei, dopo la morte della nonna. Ma adesso che tutti i riflettori sono puntati su di loro e l'accusa che pende sulle spalle di Lucy è così terribile, non si può più fare finta di niente. Un libro a tratti straziante, scritto benissimo e che ancora una volta ti costringe a riflettere sul significato di famiglia, di amore, di prendersi cura.



DALL'ORTO AL MONDO di Barbara Bernardini, pubblicato da Nottetempo. Da quando abbiamo lasciato l'appartamento per trasferirci in una villetta a schiera, abbiamo scoperto le gioie del giardino (per me è stata una ri-scoperta, in realtà, perché sono nata e cresciuta in campagna): abbiamo piantato due nuovi alberi, un ciliegio giapponese e un pesco; abbiamo trapiantato tre piantine di rose e miracolosamente resuscitato quelle che abbiamo trovato qui; tagliamo il prato e potiamo le piante. Non ci siamo ancora lanciati sull'orto, ma è di quelle cose che prima o poi vorremmo fare. Questo libro di Barbara Bernardini racconta proprio le gioie del prendersi cura della terra, coltivando prodotti e imparando cose nuove da chi la terra l'ha sempre coltivata. Un piccolo manuale di resistenza ecologica, come dice il sottotitolo, che al nostro mondo così bistrattato non potrebbe fare che bene.

Ci sono stati altri libri che mi hanno conquistata (segnalo, per esempio, il Piccolo manuale illustrato per cercatori di fiori, edito da Il saggiatore, ma anche, proprio in questi ultimi giorni, Baurmganter di Paul Auster), ma questi cinque sono quelli che più di tutti hanno lasciato un segno e che rimarranno con me negli anni a venire.

Che cosa augurarsi per il 2024? Spero sia un po' meno faticoso di questo suo stancante predecessore. Di ricominciare a tradurre, che è forse la cosa che mi è mancata di più in assoluto, ma anche di imparare a gestire meglio qualsiasi genere di stress lavorativo. Di non prendermi nuovamente il covid, ma se proprio devo che sia leggero come queste altre volte. Di visitare altri posti nuovi e bellissimi e di fare altre cose per la prima volta. Ma spero soprattutto che sia il più possibile sereno e felice, per me e per tutte le persone a cui voglio bene e, più in generale, per tutti quanti, sebbene il mondo là fuori faccia ogni giorno un po' più paura.
E ovviamente di continuare a leggere!

martedì 11 aprile 2023

SPARE - Prince Harry

(Queste considerazioni sono state pubblicate sulla pagina Facebook del blog, ma ho deciso di riportare piano piano tutte le recensione fatte di là anche qui, così da non perderle e ritrovarle più facilmente nel tempo)


Ho terminato Spare di Prince Harry (che poi chissà perché in italiano hanno lasciato Prince, anziché tradurre come è stato fatto in altre lingue), tradotto da Sara Crimi, Manuela Faimali, Valeria Gorla e Laura Tasso per Mondadori.

Ed ecco un po' di considerazioni, DEL TUTTO PERSONALI:

- è una lettura scorrevolissima, io ho potuto dedicargli un po' di tempo, ma anche se lo avessi letto solo nei ritagli non credo che ci avrei messo molto di più. Ed è scritto molto bene, in ogni sua parte, con una certa attenzione ai dettagli e una certa cura nelle descrizioni. Ribadisco che Moehringer sa il fatto suo e bravo Harry a scegliere (ok, ovviamente potendosi permettere economicamente di farlo) di affidarsi nella scrittura a qualcuno che sa cosa sta facendo e lo sa fare bene.

- l'autobiografia si compone di tre parti, più un epilogo immagino aggiunto all'ultimo momento dedicato alla morte della regina. La prima parte percorre gli anni dell'adolescenza di Harry, da un attimo prima della morte di Diana fino alla scelta ormai ventenne di entrare nell'esercito, dopo una carriera scolastica non poi così brillante. Nella seconda ci sono gli anni dell'esercito, la carriera militare, i fidanzamenti con Chelsy e Cressida, il matrimonio di William e Kate, tutto ciò, insomma, che c'è stato prima di Meghan. E la terza ovviamente è dedicata agli ultimi anni, dall'arrivo di Meghan fino alla decisione di mollare tutto.
La parte più interessante, per quanto mi riguarda, è stata la prima, che ho trovato in alcuni punti davvero molto curiosa, e in altri davvero molto toccante. Nella seconda è dove si concentrano il maggior numero di cavolate fatte da Harry (sei un po' un salame, perdonami se te lo dico) ma anche tutto il racconto del suo impegno con i reduci di guerra e la sua frustrazione nel non riuscire a trovare davvero la sua strada. Nella terza ovviamente c'è Meghan, ovunque.

- non ho trovato i grandi attacchi alla corona che il lancio del libro aveva fatto presagire. Se la prende perlopiù con Camilla, per cavalcare a distanza di anni la rivalità con Diana, e con William, da cui si dichiara più e più volte non capito, senza che però si interroghi mai se per William non sia reciproco. Ho trovato imbarazzanti le pagine sul matrimonio tra William e Kate, onestamente (*******SPOILER: perché con tutto quello che aveva da raccontare ribadire così tanto di aver avuto il pene congelato mi sembra una cosa più da adolescenti che da adulti, quasi un dispetto verso il fratello. FINE SPOILER*******), così anche come quelle delle discussioni tra fratelli, che tendono a risolversi sempre con Harry che liquida il tutto con "William è geloso di me e si mette in competizione".

Carlo da questa autobiografia mi sta ancor più simpatico (lo avevo rivalutato molto scoprendo la sua infanzia e la sua adolescenza in The Crown, a dir la verità), perché ha cercato a modo suo di fare il padre pur non essendone particolarmente portato e pur senza aver mai ricevuto particolare affetto dal suo, di padre. Harry stesso con lui è molto indulgente, e anzi alcuni degli aneddoti del loro rapporto sono tra i più belli del libro.

La critica a Kate è invece piuttosto blanda, in realtà, e si riduce a uno scontro di culture tra lei e Meghan: la fredda inglese contro l'espansiva e solare americana. Ancora non si è capito chi abbia fatto piangere chi al matrimonio di Meghan, ma devo dire che trovo l'accusa, da un lato o dall'altro, abbastanza ridicola a prescindere (io mi lagnavo di chi mi faceva piangere all'asilo e alle elementari, credo, poi basta).

Comunque tutte le rivelazioni "scabrose" sono cose già emerse in passato nelle varie interviste, documentari, etc etc... sempre e solo da Harry e Meghan, quindi il legittimo dubbio sulla loro veridicità rimane, e soprattutto sono sempre accompagnate dalla solita tendenza alla lagna di Harry, che pervade tutto il libro.

- a uscirne male sono sicuramente la stampa inglese e i paparazzi, con la loro ricerca ossessiva dello scoop, anche a costo di inventarselo di sana pianta, e della foto, anche nei momenti meno opportuni, fomentando incomprensioni e fornendo una visione un po' distorta della realtà. Al tempo stesso però traspare anche l'ossessione stessa di Harry nei loro confronti, che a volte si risolve in modi un pochino ridicoli (nei soprannomi che gli dà, nel commentare che scrivono male, etc etc...) e anche un pochino ingenui.

- Ma per quanto mi riguarda, chi ne esce peggio di tutti è Harry stesso. Sembra assurdo, visto che il libro racconta la sua vita dal suo punto di vista, eppure questa tendenza alla lagna, a dichiararsi incompreso da tutti, a non capire che è normale il rapporto tra fratelli a dieci anni sia diverso rispetto che a trenta (le pagine in cui dice che William e Kate non lo invitano mai a cena e quindi lui si sente messo da parte sono quasi patetiche), che si debba evolvere per forza di cose, è a tratti imbarazzante. Ho detto più e più volte che secondo me avrebbe bisogno di andare da uno psicologo bravo che lo aiuti a rielaborare il lutto della madre, perché dopo tanti anni si deve imparare a gestire quel dolore (lo so che non si supera, ma avanti si deve andare), e poi scopro che dallo psicologo ci va, prima da uno consigliato di William (ma ovviamente non ci si trovava) e poi finalmente da uno consigliato da Meghan che, guarda caso, finalmente lo sblocca. Lo sblocca a tal punto da scrivere un'autobiografia di 520 pagine in cui la madre viene nominata praticamente in tutte, anche quando non c'entra nulla. Ed è un peccato, perché sembra non rendersi conto di avere anche tante cose interessanti e belle da raccontare, e non solo recriminazioni.

- su Meghan preferisco davvero non commentare.

È valsa la pena leggere questo libro? Sì, devo dire di sì, l'ho trovato ben scritto e con alcuni aneddoti davvero interessanti e curiosi sulla vita di corte e su come funzioni la vita di un membro della famiglia reale. È una visione del tutto parziale, ovviamente, ma in molte parti Harry riesce a non lasciarsi sopraffare dalla voglia di lagnarsi e raccontare un dietro le quinte che mi ha sempre incuriosito.

Ho cambiato la mia opinione su Harry e Meghan? No, anzi mi stanno ancora più antipatici. O meglio, Harry mi fa un po' tenerezza perché mi sembra ancora adesso completamente smarrito, come lo è stato per buona parte della sua vita, e che non sappia bene come si sia ritrovato nella situazione in cui è né come fare a uscirne.

Ho buttato via 25 euro (che era un po' la preoccupazione di molti, nei vari commenti)? No, ho acquistato libri molto ma molto più brutti e inutili di questo, che mi hanno lasciato molto, molto meno.

La Letteratura morirà dopo la pubblicazione di Spare (altra preoccupazione molto comune)? No, sono sicura che la letteratura sia salva e anzi mi fa davvero piacere sapere che nel mondo un sacco di persone, che magari di solito non leggono grazie alla curiosità verso il principe Harry stiano leggendo una storia scritta da un premio Pulitzer, che magari li porterà a leggere altri libri di questo autore (consiglio Open, la biografia di Agassi, ma soprattutto Il bar delle grandi speranze)

sabato 2 febbraio 2019

Leggendo a gennaio: Korn, Manzini, Backman, Saramago... per tacer di Tom Gauld

Gennaio è stato un mese lunghissimo. I sei giorni di ferie con cui è iniziato sono diventati un ricordo già dal primo giorno di rientro al lavoro e, adesso che finalmente il mese e finito e ne è iniziato uno nuovo, se mi guardo indietro mi sembra che siano passati secoli da quando il 2019 è iniziato.
Eppure no, è durato solo trentuno giorni, come sempre e come fanno tanti altri mesi dell’anno. E ne sono passati poco più di quindici dall’ultima volta in cui ho pubblicato un post qui sul blog. Mi ero ripromessa che nel nuovo anno avrei tentato di aggiornarlo più spesso ma, come potete ben vedere, mi sa che il mio intento è già miseramente fallito.
E mi dispiace molto, soprattutto perché in questo mese ho letto tanto e tante cose belle. Per questo ho deciso di fare un post cumulativo, per raccontare in breve le letture che mi hanno accompagnato in questi lunghissimi trentun giorni appena trascorsi e a cui non sono purtroppo riuscita a dedicare un post singolo (quindi no, qui non ribadirò quanto poco mi abbia convinto La misura dell’uomo di Marco Malvaldi, perché lui si è meritato una recensione tutta sua).
Eccoli qua:


Partiamo con quella meraviglia di Figlie di una nuova era di Carmen Korn, primo volume di una trilogia portato qui in Italia da Fazi editore e tradotto da Manuela Francescon e Stefano Jorio. Protagoniste sono quattro donne, di origini e classi diverse, che vivono ad Amburgo nella prima metà del ‘900 e i cui destini si incroceranno con l’arrivo della guerra e delle varie vicende personali che si ritroveranno a vivere. Henny e Kathe sono amiche da sempre e ora, insieme, stanno studiando per diventare ostetriche; Ida è la rampolla di una buona famiglia, abituata agli agi e ai lussi e disposta a tutto pur di averli, forse anche a sacrificare l’amore; Lina è sopravvissuta alla Prima guerra mondiale insieme al fratello grazie ai genitori, morti di fame per permettere a loro due di sopravvivere. Mentre le loro vicende personali proseguono, tra amori clandestini, desiderio d’indipendenza, impegno politico e tante decisioni sbagliate (Henny, porca miseria!), sullo sfondo scorre la storia del ‘900, con l’avvento del nazismo e tutto ciò che porterà con sé. Era da tanto che un libro non mi prendeva così tanto, che non mi ritrovavo tanto immersa in una storia e nei suoi intrecci. Non vedo l’ora che esca il secondo volume, perché una volta girata l’ultima pagina, queste donne di Amburgo già mi mancavano parecchio.
Henny tese l'orecchio. Le sembrava di aver sentito salire dal cortile, fino al secondo piano, un suono venuto dal passato, come un rintocco di campana o il verso di un merlo. Le vennero in mente i sabati della sua infanzia. Sabati estivi. L'acqua che scintillava nella cisterna. Il ribes bianco che le lasciavano cogliere dai rovi addossati al muro di cinta, il profumo della torta che sua madre aveva già messo in forno per la domenica. Suo padre, appena tornato dall'ufficio, che fischiettava mentre si liberava della cravatta e si sbottonava il colletto della camicia.
Henny andò alla finestra, l'aprì e stette ad ascoltare il suono che aveva risvegliato in lei quella serie di immagini. Il cigolio della vecchia altalena.
Era ottobre quando è uscito Fate il vostro gioco di Antonio Manzini. Ne avevo parlato come un romanzo di transizione, dopo due libri carichi di emozioni e tensioni. Mi era sembrato quasi un libro sospeso, finito un po’ troppo bruscamente... ed ecco svelato l’arcano: il 10 gennaio, infatti, è uscito Rien ne va plus, un’altra avventura del vicequestore Rocco Schiavone. No, Manzini non ha scritto un romanzo in tre mesi. Semplicemente Fate il vostro gioco e Rien ne va plus sono lo stesso libro, diviso in due per questioni verosimilmente di lunghezza, ma anche (e soprattutto, forse) per far contenti i fan, non costretti ad attendere il solito anno tra una puntata e l’altra. In Rien ne va plus tutte le cose che mi avevano lasciato perplessa di Fate il vostro gioco un po’ si chiariscono: da un lato continuano le vicende personali di Rocco, tra il rimpianto per Caterina e le rivelazioni sempre più pericolose di Baiocchi, che rischiano di mettere il nostro vicequestore preferito in una posizione terribile; dall’altro c’è un portavalori del casinò di Saint Vincent che misteriosamente sparisce e Rocco capisce subito che c’è un collegamento con la morte del ragionier Favre; ma soprattutto che c’è qualcosa di molto, molto più grande dietro. Intanto si consolida il rapporto con Gabriele, Lupa è sempre più coccolosa e Rocco (che sì, ora ha inevitabilmente la faccia di Marco Giallini, ma va benissimo così) ha ancora tanti fantasmi a perseguitarlo. Non vedo l’ora che esca il prossimo.

Ho scoperto Fredrik Backman qualche anno fa con il suo romanzo d’esordio, L’uomo che metteva in ordine il mondo. Me ne ero follemente innamorata: avevo adorato il modo in cui tratteggiava i suoi personaggi e il suo stile, con quella capacità che non tutti hanno di raccontare anche le cose più tristi nel modo più buffo e dolce possibile (il dolore resta sempre, ma diventa più affrontabile). L’amore si è poi consolidato con Mia nonna saluta e chiede scusa, dove compare per la prima volta il personaggio di Britt-Marie, che si è poi meritata un romanzo tutto suo: Britt-Marie è stata qui (pubblicato da Mondadori con la traduzione di Andrea Stringhetti).
Britt-Marie è una donna un po’ scontrosa, incapace di uscire dalla gabbia delle imposizioni sociali e del “chissà cosa direbbero gli altri”. Ha sempre vissuto per il marito e per i figli di lui, tenendo la casa impeccabile e sacrificando se stessa, ricevendo in cambio solo recriminazioni e prese in giro.

Alla fine desiderava solo un balcone e un marito che non camminasse sul parquet con le scarpe da golf, che qualche volta mettesse la camicia nel cesto della biancheria senza bisogno di ricordarglielo e che ogni tanto dicesse che la cena era buona senza bisogno di chiederglielo. Una casa. Figli non suoi ma che vengono lo stesso a Natale. O almeno cerchino di far finta di avere un motivo per non venire. Un cassetto delle posate sistemato in modo corretto. Finestre da cui si possa vedere il mondo. Qualcuno che si accorga che si è sistemata i capelli con particolare cura. O che almeno faccia finta di accorgersene. O che almeno le permetta di continuare a fingere. 
Qualcuno che una volta ogni tanto torni in una casa con il pavimento pulito e la cena calda in tavola e veda i suoi sforzi. Perché le persone sono come le cene. Devono avere un senso. "Che bella pettinatura". È una frase che ha senso.

Forse un cuore si spezza solo quando si esce da una stanza d'ospedale con camicie che puzzano di pizza e di profumo, ma tutto si spezza più facilmente se prima si sono formate delle crepe.

Però quando il tradimento del marito, che lei già conosceva, diventa di dominio pubblico decide che non può più sopportare e se ne va di casa. Alla ricerca disperata e ossessiva di un lavoro, accetta uno strano incarico a Borg, una comunità sperduta su cui la crisi ha picchiato molto duro. Tutti i negozi e le attività che ancora non sono chiuse chiuderanno a breve e il paesino sembra destinato a morire. Britt-Marie, con le sue fobie, la sua smania per le pulizie e la sua mentalità ingenua, riesce in qualche modo a far breccia nei pochi abitanti rimasti. Senza nemmeno capire come, si ritrova addirittura ad allenare la squadra di calcio dei ragazzi del paese e a prendersi cura di loro a modo suo. Sembra esserci una speranza per Borg, nonostante tutte le tragedie e le difficoltà che sta vivendo, e sembra esserci anche per Britt-Marie.
Nella caratterizzazione di questo personaggio forse Fredrik Backman ha calcato un po’ troppo la mano, perché nella prima parte è talmente insopportabile e talmente incredibile nelle sue ingenuità che vien quasi voglia di chiudere il libro. Una voglia che però poi passa, man mano che si procede con la lettura e si assiste al cambiamento di Britt-Marie e di tutte le persone attorno a lei. È un libro pieno di buoni sentimenti, di quelli che scaldano il cuore e fanno bene, perché, ancora una volta, mostra come anche nelle tragedie, nelle difficoltà e nei momenti brutti si possa (e si debba!) trovare qualcosa per cui vale la pena sorridere.

L’ultimo libro di gennaio è Le piccole memorie di José Saramago, tradotto da Rita Desti. Un libriccino comprato un po’ per caso (insieme a Diario di scuola di Pennac per prendere la coperta del lettore di Alice nel paese delle meraviglie) e che mi ha fatto ricordare ancora una volta quanto io voglia bene a José Saramago. In questo piccolo memoir, lo scrittore portoghese racconta alcuni aneddoti della sua infanzia: i rapporti con i genitori e con i nonni, gli anni di scuola e le amicizie nate tra i banchi, i personaggi bislacchi che ha incontrato nella sua infanzia e adolescenza, i ricordi del fratellino morto a tre anni... tante piccole cose, che forse alla produzione di Saramago non aggiungono nulla, ma che per chi già lo conosce e lo ha sempre adorato sono molto preziose. (Nel caso voleste iniziare a conoscerlo: consiglio Cecità, L’uomo duplicato e Lucernario... tenetevi Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Caino per quando avrete preso più in confidenza con il suo stile).

Ho raccontato altrove come e perché mi chiamo Saramago. Che quel Saramago non era un cognome per parte paterna, bensì il soprannome con cui era conosciuta la mia famiglia nel paese. Che quando mio padre andò a dichiarare all'Anagrafe di Galeğa la nascita del suo secondo figlio, capitò che l'impiegato (si chiamava Silvino) fosse ubriaco (indignato, di questo lo avrebbe sempre accusato mio padre) e che, nei fumi dell'alcol e senza che nessuno si accorgesse dell'onomastico frode, decidesse, a suo rischio e pericolo, di aggiungere Saramago al laconico José de Sousa che mio padre voleva che fossi. E che, in questo modo, infine, grazie a un intervento a tutte le evidenze divino, mi riferisco, è chiaro, a Bacco, dio del vino e di coloro che eccedono nel berlo, non ho avuto bisogno di inventare uno pseudonimo, caso mai ci fosse stato un futuro, per firmare i miei libri.

Tra un romanzo e l’altro, a gennaio c’è stato tempo anche per i fumetti di Tom Gauld, in particolare di Baking with Kafka (esiste anche la versione italiana, In cucina con Kafka, pubblicata da Mondadori... ma se sapete l’inglese vi consiglio l’originale). Tutti gli appassionati di libri e di letteratura dovrebbero conoscere e leggere le vignette di Gauld: fanno ridere e fanno riflettere, ma soprattutto dimostrano quanto si possa amare il mondo dei libri senza prendersi mai troppo sul serio, perché gli scrittori famosi ma anche i personaggi dei libri sono prima di tutto esseri umani.

Source: https://bit.ly/2S8aIID


martedì 23 ottobre 2018

LA BAMBINA OVUNQUE - Stefano Sgambati

In effetti da quando la ginecologa ha pronunciato la frase "Da adesso può nascere in qualsiasi momento" sono precipitato, e c'era da aspettarselo, in un abisso di letture e riletture delle più svariate sintomatologie: fosse per me mia moglie dovrebbe già essere ricoverata, osservata da dodici o tredici medici ventiquattro ore su ventiquattro, intubata e il suo organismo invaso di sostanze psicotrope calmanti, la sala d'attesa dell'ospedale gremita di parenti e amici, troupe televisive, giornalisti; invece è uscita.
Mia moglie è uscita
Per la precisione prima è uscita la pancia, poi mia moglie, che mi pare la segua:  segue una pancia enorme che contiene nasconde protegge nostra figlia, la persona qualunque che piegherà il piano inclinato del mondo.


I libri come La bambina ovunque di Stefano Sgambati, uscito a settembre per Mondadori, sono molto difficili da recensire. 
Potrei buttarla facilmente sulla tenerezza, che è uno dei sentimenti predominanti che si prova durante la lettura e anche una volta concluso il libro. La tenerezza di una coppia che si innamora e a poco a poco si scopre a vicenda; la tenerezza di un marito e di una moglie nella loro quotidianità, fatta di differenze caratteriali, a volte incomprensioni, a volte discussioni, e sempre amore; la tenerezza di un padre che non sa bene quale sia il suo ruolo (se davvero ne ha uno) durante i nove mesi di gravidanza di sua moglie; e la tenerezza dello stesso padre quando la bambina nasce e lui ancora non sa bene che farne; e infine la tenerezza del padre cresciuto, che guarda la figlia e quel che è diventata.

La madre tamburella le dita in quel punto e il padre capisce, perché è un gioco che fanno da tantissimo tempo, "darsi appuntamento" vicino agli oggetti sui tavoli, dietro al bicchiere, accanto al coltello; perciò raggiunge con la sua mano le dita tamburellanti di lei, gliele copre con il palmo, stop, è tutto lì, non c'è altro, il più grande e semplice gesto di pace che si sia mai visto in una cucina, lei gli sorride, sono bellissimi, la panciona di lei tocca il bordo del tavolo, sono bellissimi, sono la cosa più bella che io abbia mai visto e per un po' non dicono niente, non c'è un'altra proposta di matrimonio da fare, soltanto quella mano sopra un'altra mano e la torta rustica un po' sbocconcellata nei piatti, un forno a microonde bianco, un kitchen-aid arancione grazie al quale il padre sta imparando la panificazione, e c'è un pezzo di scottex sul pavimento che la madre proverà più tardi a raccogliere, subito bloccata da lui, che le dirà "Lascia lascia", e così tutti i giorni, da quasi nove mesi e così sarà per sempre, ma a turno, aiutarsi, venirsi incontro, incantarsi.

Potrei altrettanto facilmente buttarla sul personale, visto che io e mio marito siamo più o meno coetanei di questo padre e di questa madre e anche a noi piaceva guardare Masterchef in tv finché c’era Cracco (il programma dei pacchi no, non l’ho mai sopportato invece, nemmeno come sottofondo). Di figli noi non ne abbiamo ancora, anche se è un argomento di cui ogni tanto si parla, che aleggia tra noi in modo più o meno serio (di solito con buffi accostamenti di nomi con il cognome), ma che, onestamente non sappiamo se e quando sarà. E nemmeno come, se dovremo anche noi affrontare quello che hanno affrontato i protagonisti di La bambina ovunque, tra FIVET, campioni di sperma e siringhe di ormoni schizzate sullo specchio del bagno.

E ogni tanto ci ritrovavamo svegli entrambi su un letto umido che sembrava una zattera e avevamo fatto da poco l'amore per la quattordicesima volta di fila nei Giorgi Giusti e di nuovo e sempre orbitava sopra di noi, a pochi centimetri dal naso, la sensazione misteriosa e inesplicabile che avessimo fallito ancora, che qualcosa tra me e mia moglie si opponesse.

Ma se mi limitassi a buttarla sulla tenerezza e sul personale, non credo riuscirei a rendere giustizia al libro, perché, al di là dell’empatia con i protagonisti, al di là delle proprie esperienze e della facile commozione di fronte quegli episodi quotidiani della vita di coppia che quasi la tengono su, in questo c’è anche tanto altro.

La bambina ovunque è un memoir ironico e sincero, che non edulcora nulla, in cui questo padre s’interroga su quale sia il suo posto, senza lasciarsi prendere dalle smancerie o dall'entusiasmo che ci si aspetterebbe necessariamente da chi sta per avere un figlio. Stefano ammette subito di non essere tanto convinto all'inizio, di farlo più per soddisfare il desiderio di maternità della moglie; racconta quanto sia stato difficile arrivarci, quanto imbarazzo abbia provato nel momento di fornire il suo contributo in un barattolino, quanto sia stato difficile accettare che quell'esserino minuscolo sia arrivato nelle loro vite per stravolgerle talmente tanto che nemmeno le terribili notizie in tv possono distogliere l’attenzione da quel fagottino inerte.

Mi è piaciuto forse un pochino meno il capitolo finale, quello in cui il memoir si trasforma in finzione e il padre guarda la figlia e com'è diventata. Per quanto dolce sia ritrovarla da grande in uno dei luoghi preferiti dell'autore, questa proiezione nel futuro attribuisce a questa bambina ovunque (che oggi di anni dovrebbe averne un paio) una certa "responsabilità" che non so quanto sia giusto che abbia.

In ogni caso, La bambina ovunque è un libro divertente e a tratti molto tenero, da cui è facile lasciarsi coinvolgere, soprattutto se si è vicini all'età dei protagonisti. Ma, soprattutto, è un libro molto vero, reale, che dà voce a quei pensieri che magari molti genitori, soprattutto padri, fanno quando stanno aspettando un figlio, senza aver però il coraggio di pronunciarli. E che poi, una volta che il figlio arriva, a poco a poco spariscono, sostituiti dall'amore, dalla scoperta, dal vedere un noi fatto di due, diventare di tre.


Titolo: La bambina ovunque
Autore: Stefano Sgambati
Pagine: 137
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Prezzo: 18,00
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formato cartaceo: La bambina ovunque
formato ebook: La bambina ovunque