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martedì 23 maggio 2017

SALONE OFF 2017, ovvero di quella volta in cui ho presentato Antonio Manzini

Sabato mattina ho presentato Antonio Manzini alla Biblioteca civica Movimente di Chivasso. Un evento del Salone Off, in cui sono stata coinvolta grazie a Diego Bionda, presidente dell’Associazione Novecento (che a Chivasso ogni anno organizza il festival I luoghi delle parole), che, in cerca di qualcuno per presentare l’incontro un po’ all'ultimo minuto, ha pensato a me.

Vi devo confessare che per i primi minuti i miei pensieri sono stati: “oddio”, “mi sta prendendo in giro, dai”, “oddio”, “ma sarò in grado?”, “oddio”, “non lo voglio fare”, “oddio”, “che figata!”. Perché sì, c’è un piccolo particolare che Diego non sapeva ma che voi che seguite il mio blog e la mia pagina con maggior frequenza sì: ovvero che io adoro Antonio Manzini.

Io che guardo Antonio Manzini con sguardo adorante (©Barbara)

Dal momento in cui ho detto “sì, lo faccio” a quando mi sono seduta su quella poltroncina verde con lui accanto, sabato mattina in biblioteca, ho alternato momenti molto zen ad altri di agitazione più totale. Mi rendo conto sia un po’ sciocco: c’è chi fa presentazioni tutti i giorni, gli scrittori sono persone normalissime e non c’è alcun motivo di agitarsi. Però, ecco, io sono fatta così. E anche se, perdonatemi il gioco di parole, sapevo di sapere su Antonio Manzini tutto quello di cui avevo bisogno per presentarlo (avendo letto praticamente tutti i suoi romanzi e avendo una cotta pazzesca per il suo vicequestore Rocco Schiavone), avevo comunque paura di impappinarmi, di fare la domanda sbagliata, di parlare al microfono facendolo fischiare… tutte cose così.
E invece, con una voce un po’ tremante per i primi minuti che poi man mano è diventata più salda, sono riuscita a farlo: ho presentato Antonio Manzini!

(©Barbara)
Come avevo già avuto modo di scoprire assistendo come pubblico a sue presentazioni, lui è una persona fenomenale. Gli basta un la e parte a raccontare e far pendere dalle sue labbra chiunque lo ascolti.
La presentazione si è incentrata più che altro sul personaggio di Rocco Schiavone, sulla sua nascita, la sua evoluzione e il suo futuro, ma anche la sua trasposizione televisiva (con un Marco Giallini che lo stesso Manzini ha definito fenomenale). C’è stato poi spazio per domande su altri libri, soprattutto su Orfani Bianchi, pubblicato non da Sellerio come tutta la serie di Rocco Schiavone, ma da Chiarelettere. E quando si parlava di questo libro, l'autore si è un po' intristito, quasi incupito, lasciando intendere già solo a vederlo quanto caro gli sia il tema e quanto importante sia stato per lui scriverlo.
Poi però si è riso anche tanto, tantissimo. Quando si parlava di Rocco Schiavone e dei suoi personaggi di contorno, ma anche nelle frecciatine che lo scrittore ha fatto verso certe situazioni politiche italiane attuali o, semplicemente, quando ha raccontato qualche aneddoto nato da una domanda.

Questa foto, nonostante io abbia la bocca aperta, rispecchia perfettamente lo spirito della presentazione. E la trovo stupenda. (©Barbara)

L'incontro è durato quasi un’ora e mezza, tra le mie domande e quelle, tantissime, del pubblico, numeroso anche se era sabato mattina e non c’è stato molto tempo di pubblicizzare l’evento. Ed è davvero bello vedere un pubblico così partecipe e così interessato… non tutti gli scrittori riescono a far sentire così a loro agio le persone che sono lì per ascoltare, ulteriore dimostrazione di che persona splendida, almeno in queste occasioni, sia Antonio Manzini.

Il pubblico in biblioteca (© Diego Bionda)

Sono contenta, davvero. Di non aver ceduto al panico e aver detto “sì, lo faccio” nonostante l’ansia. Sono contenta di come è andata e di aver parlato così da vicino con uno dei miei scrittori preferiti, autore di uno dei personaggi letterari di cui sono più innamorata.
Concludo ringraziando ancora una volta Diego e l'Associazione Novecento, la Biblioteca di Chivasso e il Salone OFF, che mi hanno permesso di essere lì. Ma anche tutti coloro che hanno partecipato, la mia amica Barbara per le foto e il sostegno morale, e tutti coloro che poi mi hanno scritto o mi hanno chiesto come è andata subito dopo e nei giorni successivi.
E ora, devo ammettere, non vedo l'ora di rifarlo.

©I Luoghi delle Parole

PS: che faccio? Ve lo dico che a luglio esce il romanzo nuovo con protagonista Rocco Schiavone? Ma sì dai, ve lo dico!

martedì 16 maggio 2017

SalTo 2017: piccolo aggiornamento

Ovvero, di quella volta in cui alla lettrice rampante venne proposto di presentare Antonio Manzini e lei, ovviamente, disse sì. 


Devo aggiungere altro? 

(Comunque a parte il sabato mattina, per sopraggiunti impegni abbastanza fighi e abbastanza ansiogeni, per la mia presenza al Salone rimangono validi i giorni e le date che ho indicato nel post di ieri... quindi venerdì nel tardo pomeriggio, sabato pomeriggio e tutta domenica. Così come rimane valido l'invito a vederci se ci siete!)

mercoledì 25 novembre 2015

UNA VALIGIA DI LIBRI | Le istruzioni per partire con noi

Era da un po’ di tempo che pensavo se sarebbe stato possibile in qualche modo far diventare reale quello che faccio qui sul blog. Non che qui non sia reale o che lo stare dietro uno schermo mi abbia stufata, anzi! È una manna per noi timidi, soprattutto se dotati di r moscia, poter comunicare con così tanta gente per iscritto, senza rischiare di impappinarsi o di arrossire.
Però, al tempo stesso, mi sarebbe sempre piaciuto poter conoscere anche dal vivo altri lettori e  provare a condividere con loro, davanti a un caffè o a dei biscotti, la nostra passione per i libri.
Ho espresso questo mio pensiero a Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri. Eravamo in un bar e avevamo davanti una cioccolata, un cappuccino e una decina di libri da scambiarci.
Ben presto ci siamo rese conto che l’idea di provare per una volta ad abbandonare gli schermi del pc e organizzare qualcosa di fisico era condivisa.
Bisognava solo trovare un posto e, soprattutto, decidere che cosa organizzare.

In entrambi i casi, devo dire, è stato facile trovare una soluzione. È bastato un secondo incontro, davanti a due tazze di cioccolata calda giganti, per fissare le “regole” di questi incontri, e un salto a Caluso in una piccola e accogliente libreria arancione, la libreria Sulla parola, la cui proprietaria, Stefania, anziché cacciarmi per il mio smodato entusiasmo, si è lasciata coinvolgere e ha accettato ben volentieri di fare da terza mente, nonché da casa, per questo nostro progetto.

Il risultato? Eccolo qui:



Che cos’è?
Una valigia di libri è un ciclo di incontri per presentare libri di tutto il mondo. Ogni incontro avrà un continente come filo conduttore (a parte il primo, che sarà dedicato all'Italia) e ogni partecipante dovrà portare un libro scritto o ambientato o comunque che abbia attinenza con quel continente e presentarlo agli altri partecipanti. Io, Claudia e Stefania faremo ovviamente lo stesso.
Lo scopo è quello di far conoscere nuovi libri e nuovi autori.
Non è quindi il solito gruppo di lettura. Ci avevamo pensato, in realtà, ma nessuna di noi si trova molto a suo agio con questo genere di attività. Non ci piace leggere a tempo, né tanto meno cose che magari ci sono state imposte da altri (ed è difficile scegliere i libri giusti da far leggere a persone diverse). Quindi abbiamo pensato che ognuno potesse scegliere di volta in volta quale libro fosse il suo protagonista. 
Ovviamente, pur tenendosi in una libreria, gli incontri sono tutti a ingresso assolutamente gratuito e senza alcun obbligo d’acquisto.

Dove?
Alla Libreria Sulla parola di Stefania, a Caluso, un piccolo e ridente paesello nel Canavese in provincia di Torino. Si trova a 10 km circa da Chivasso, e quindi dall’autostrada Torino-Milano, a circa 5 km dal casello di San Giorgio dell’autostrada Torino-Aosta, e ha pure una stazione dei treni.
Eventualmente quindi si potrebbe organizzare un qualche servizio navetta (“Lettore rampante, vai a prendere quattro lettori alla stazione e portali subito qui”).

Quando
Un incontro al mese, da dicembre fino a giugno nel 2016. Gli incontri si terranno il sabato pomeriggio, alle 16, e dureranno un paio d’ore, anche a seconda della partecipazione e dei libri presentati.
Si inizia sabato 12 dicembre, con l’incontro di presentazione del progetto e si prosegue poi così:

16 gennaio 2016: Viaggio in Italia

20 febbraio 1016: Viaggio in Europa
Marzo 2016: Viaggio in Sud America
Aprile 2016: Viaggio in Asia
Maggio 2016: Viaggio in Nord America e Canada
Giugno 2016: Viaggio in Africa e Oceania

Per ora abbiamo fissato le date solo dei primi due incontri, perché ci rendiamo conto quanto possa essere complesso sapere oggi se un sabato di aprile ci siete oppure no. Man mano quindi decideremo tutti insieme le date successive.

Che cosa dovete portare?
Voi stessi e un (o più, ma senza esagerare) libro scritto da un autore o ambientato nel continente del giorno da presentare agli altri partecipanti. Non saremo poi così fiscali, quindi se trovate un collegamento tra il continente e il libro che presentate che va oltre autore o ambientazione per noi va benissimo.
Noi tre faremo lo stesso. E, già che ci siamo, magari portiamo anche la merenda.

E se siete troppo distanti e non potete venire?
Ecco, abbiamo pensato anche a questo. Sappiamo che la distanza per molti può essere un problema, e che non tutti possono riuscire a partire e venire fino in Canavese.
Abbiamo deciso allora di fare qualcosa in parallelo anche sui nostri blog. A inizio mese sia io sia Claudia annunceremo quale sarà il continente del mese e voi avrete la possibilità di presentare il vostro libro e il vostro autore. Che poi noi cercheremo di condividere anche con i partecipanti agli incontri fisici.

Qualche giorno dopo l’incontro, pubblicheremo entrambe un post di resoconto, con i suggerimenti dati dai presenti agli incontri e da voi.

Bene, direi che più o meno vi ho spiegato tutto. Se avete dubbi, curiosità o altro, potete chiedere a me direttamente qui sul blog o sulla pagina Facebook, oppure a Stefania nella pagina fb della libreria Sulla parola, o a Claudia sul suo bel Il giro del mondo attraverso i libri.

E ora, si parte!

giovedì 11 dicembre 2014

Di autori, relatori e di presentazioni di libri non proprio ben riuscite

©Davor Pavelić
L’altra sera nella cittadina vicino al paese in cui vivo c’è stata la presentazione dell’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio.  Sarei dovuta andare, ma tra che non ero tanto in forma e che c'era Masterchef in TV, dopo un po’ di indecisione, alla fine ho deciso di rimanere a casa.  Sbagliando forse, perché avrebbe potuto essere la volta buona per togliermi dalla mente i brutti ricordi dei miei incontri precedenti con questo autore. Il primo era stato al Circolo dei Lettori di Torino l’anno scorso: l’autore presentava il suo precedente romanzo in compagnia di una relatrice semplicemente imbarazzante. E non lo dico perché sono pignola, era stata una sensazione comune. 
Il secondo incontro in realtà non c’è stato, ma avrebbe potuto, se solo Carofiglio non fosse stato in ritardo di mezz'ora all'appuntamento fissato alle otto di sera al Salone del Libro. Abbiamo aspettato cinque, dieci, quindici minuti, poi alla fine ce ne siamo andati. Dopo queste due esperienze, unite al fatto che gli ultimi romanzi sono francamente pessimi, devo ammettere, nei confronti di questo autore ho un po’ di titubanze, che mi hanno spinta a rimanere a casa l’altra sera.

Eppure a me andare alle presentazioni dei libri piace molto. Mi piace vedere dal vivo gli autori, mi piace sentirli raccontare le curiosità relative al libro e rispondere alla domande che vengono loro rivolte dal relatore o dal pubblico, e mi piace anche il momento degli autografi, sebbene la mia timidezza mi porti ad arrivare davanti all’autore o autrice di turno con la faccia tutta rossa, la sudorazione a mille e nulla di interessante da dire. Ci provo eh, e il più delle volte mi ritrovo coinvolta in bizzarri siparietti, a volte divertenti (certo non per merito della mia bravura), a volte imbarazzanti.

Alle presentazioni quindi, se posso fisicamente e logisticamente, ci vado sempre volentieri. Il problema è che mi è capitato spesso di uscirne delusa. E il più delle volte è colpa del relatore.  Perché non tutti sono capaci di parlare in pubblico, di interagire con una persona di fronte ad altre persone, di tenere desta l’attenzione e di esaltare al punto giusto lo scrittore o la scrittrice che sono chiamati a presentare. Così come non è detto che uno scrittore sia necessariamente anche un buon oratore, anche chi lavora in altri ambiti della cultura, dal giornalista al presidente di uno dei più importanti circoli di lettori di una grande città, non è detto che davanti al pubblico riesca a dare il meglio di sé. Anzi.

Sono diverse le situazioni che si possono creare: mi è capitato di vedere relatrici flirtare con gli autori che stavano presentando; relatori che parlano per più di dieci minuti prima di dare finalmente la parola all’autore, vero oggetto dell’interesse del pubblico (e in un incontro di meno di un’ora, questo tempo è, onestamente, abbastanza sprecato); relatori che non hanno letto il libro che stanno presentando e inventano di sana pianta, arrabbiandosi poi se vengono corretti (“l’ispettore Guerrieri”), relatori che fanno domande che capiscono solo loro o che non se ne sono preparate abbastanza, o che le fanno senza poi ascoltare la risposta.
Tutte queste situazioni, per quanto mi riguarda, hanno una certa ripercussione sull’esito finale della presentazione, provocando un  senso di insoddisfazione nel pubblico, al punto da spingerlo, nei casi più estremi, a non acquistare o leggere più nulla dell’autore in questione, o comunque a sviluppare nei suoi confronti una certa antipatia. 

Sicuramente non è colpa dell’autore o dell’autrice, se chi gli è stato messo accanto, in quel momento o sempre, non è in grado di gestire la situazione. Certo, dovrebbe stare a lui risolvere il problema, emergere e far vedere comunque la sua bravura anche nei momenti di, chiamiamola, difficoltà. Ma in tutte le presentazioni a cui ho assistito non mi è mai capitato di sentire un autore dire al suo presentatore “ehy, ma che cavolo stai dicendo?”. Un po’ perché non c’è la confidenza, un po’ perché non starebbe poi così bene, sebbene spesso siano visibilmente imbarazzati.

Le presentazioni più belle, secondo me, sono quelle in cui tra autore/autrice e relatore/relatrice si crea un certo feeling. Un feeling dettato magari da un’amicizia precedente che si riflette anche nella chiacchierata pubblica, o da quella naturale predisposizione che certe persone sviluppano nei confronti di alcune e non di altre, o ancora da una vicinanza letteraria (la presentazione di John Niven fatta da Marco Rossari, suo traduttore, è stata una delle presentazioni più belle in assoluto a cui abbia assistito) Sono le presentazioni da cui imparo di più, da cui esco più soddisfatta e che, se vediamo il lato commerciale della cosa, mi spingono più facilmente verso l’acquisto del libro presentato, se già non l’ho letto, o di altri che vengono citati sul momento.

La cosa buffa è che l’impressione su uno stesso autore può cambiare in base a chi lo presenta. Mi vengono in mente le tre presentazioni di Marco Malvaldi a cui ho assistito (sì, lo so, è quasi stalking). La prima a Orbassano, due anni fa, durante la festa del libro. L’incontro era fissato alle sei e mezza di una domenica pomeriggio, subito dopo la premiazione dei cosplay (massimo rispetto per i cosplay eh, però diciamo che il momento per l’autore non era esattamente propizio). Ed  è stato un incontro piatto, in cui era evidente che chi presentava non avesse letto il libro in questione. Malvaldi, per quanto bravo, non ha potuto fare molto al momento della presentazione, però si è poi ripreso dopo, quando il relatore se n’è andato e le dieci persone presenti all’incontro si sono avvicinate per gli autografi. Ha iniziato a raccontare aneddoti della sua vita, e nello specifico di suo nonno, che mi hanno fatto tornare il buonumore dopo una presentazione non del tutto esaltante. Il secondo incontro, invece,  l’anno scorso a Chivasso durante la rassegna I luoghi delle parole, è stato meraviglioso. Malvaldi conosceva bene i suoi relatori, i librai della libreria Therese di Torino, e tutti insieme sono riusciti a trasformare la presentazione di un libro in qualcosa di più. Mi è piaciuta talmente tanto che sono tornata anche quest’anno e di nuovo mi sono divertita tantissimo.

Presentare un libro non deve essere facile. Non è facile per l’autore che, come dicevamo prima, non sempre si trova a suo agio davanti a un branco di sconosciuti che lo ascoltano anziché leggerlo, e che spesso si ritrova a rispondere a domande o troppo banali o troppo difficili, senza sapere quale può essere la reazione di chi ha di fronte. E non lo è nemmeno per i presentatori, sicuramente, che spesso si ritrovano spinti all’ultimo su un palco a presentare una persona che non hanno mai incontrato prima (sulle pagine forse sì, ma non è detto nemmeno quello). 
Però, almeno per quanto riguarda la mia esperienza non poi così vasta di presentazioni, il problema  principale con i relatori è stato di troppa spavalderia, che li ha portati a mettere in ombra l’autore e il libro che stavano presentando, concentrandosi più sul far vedere quanto loro ne sapevano che non su i veri protagonisti della serata. Ed è davvero un peccato.

Concludo con quelle che forse avrebbe dovuto essere una premessa, ma che vedo bene anche alla fine. Mi è capitato solo due volte di vestire i panni di relatrice e, se ci penso, ancora sono stupita di esserci riuscita. La prima è stata al Salone del Libro (così, giusto per iniziare in modo tranquillo) e devo ammettere che se non ci fosse stata un’altra relatrice accanto a me sarebbe stato un vero disastro. La seconda è andata un pochino meglio, ma forse non di molto.  E questo dimostra, in piccolo, quanto ho cercato di dire nel post: ovvero che puoi essere bravo a scrivere, puoi avere una cultura immensa, puoi amare i libri come nessun altro, ma poi, quando Sali su un palco e hai accanto a te una persona che aspetta che tu la aiuti nel presentare il suo lavoro, ci va anche altro, una faccia tosta, una spigliatezza, una bravura che, ovviamente, non tutti possiamo avere.

venerdì 5 dicembre 2014

Incontrando... Giorgio Fontana

Ieri pomeriggio sono andata alla presentazione di Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana al Centro Congressi Unione Industriale di Torino. In mia compagnia Thais, amica, ex compagna di università, nonché blogger di Solo libri belli. Memore dell’incontro passato con Diego De Silva sempre organizzato dal Centro Congressi Unione Industriale, l’avevo già avvisata che l’età media sarebbe stata di circa sessantacinque anni. Che non c’è nulla di male, anzi! Questi incontri letterari sono solitamente al pomeriggio di proposito, proprio perché ci vada solo un pubblico di pensionati (più qualche imbucato… anche se ieri eravamo davvero solo noi due, tant'è che non abbiamo influenzato in alcun modo la media dell’età). Ed è una cosa molto bella che spero vivamente esisterà ancora quando (se) andrò in pensione io. 

A presentare Giorgio Fontana c’era Bruno Quaranta, penna de La Stampa e in particolare di Tuttolibri, che già mi aveva creato qualche difficoltà alla presentazione di De Silva. Bruno Quaranta ha iniziato a presentare l’autore e il suo libro con un lungo monologo, letto da un foglio e quindi per nulla naturale (che va bene segnarsi qualcosa, ci mancherebbe, ma non tutto!) ricco di citazioni, paroloni che, onestamente, più che destare il mio interesse e la mia attenzione mi hanno lungamente distratto. Più lui parlava, più io pensavo “Sì, ma quando fai parlare l’autore?”.  



Dopo una decina di minuti buoni, finalmente, ecco che interviene Giorgio Fontana. La prima domanda che gli viene rivolta è relativa al suo concetto di felicità e come si possa intendere Giacomo Colnaghi, il magistrato protagonista del romanzo, un uomo felice. Lui ha risposto dicendo che non intende la felicità come uno stato di perenne godimento, ma che sta più nelle piccole cose: nell'essere innamorati della vita, nel farsi continuamente domande e interrogarsi, senza prendere per buone le cose, nei piccoli gesti quotidiani, come comprarsi il Topolino o fare le corse in bici con gli amici, anche a cinquantanni.
Da questa risposta si è poi entrati nel vivo del personaggio di Colnaghi: un magistrato cattolico di sinistra (sebbene sia un’espressione un po’ abusata), che vive la fede però a modo suo. Una fede intima, non sporcata da rituali e che spesso gli causa dubbi e incertezze, che derivano dalla difficoltà e dal tormento di trovare un punto di incontro tra giustizia divina e giustizia umana. Un ritratto che a Fontana è uscito effettivamente molto bene, anche considerando che lui è ateo.
Parlando sempre di Colnaghi, dal pubblico (che in questa sede non fa le domande a voce, ma tramite dei bigliettini… un sistema forse per abbattere quella timidezza che solitamente in queste occasioni si risolve in un “nessuno ha domande”) è stato chiesto se il padre di Fontana, che è un magistrato, abbia in qualche modo influenzato il personaggio.  L’autore ha risposto di no, che è stato utile sicuramente dal punto di vista tecnico, per acquisire informazioni su quel mondo, ma che non ci sono elementi di comunanza tra il magistrato Colnaghi e il magistrato Fontana. Se c’è qualche vicinanza, che però non si tratta di elementi autobiografici, è tra Colnaghi e Giorgio stesso: entrambi sono uomini di provincia, nati a Saronno, sebbene Colnaghi la ami e Fontana la odi; entrambi amano Milano e passeggiare per le sue vie e, “soprattutto”, entrambi sono interisti.

Un aspetto che è stato sottolineato molto, sia ieri durante la presentazione sia in tutte le interviste fatte all'autore che mi è capitato di leggere, è il fatto che Giorgio Fontana sia giovane. È nato nel 1981 (quindi ha 33 anni, che è giovane, certo, ma dal punto di vista letterario mi viene spontaneo domandarmi fino a che età si è considerati giovani), proprio l’anno in cui Morte di un uomo felice finisce.  Ha raccontato quindi di un’epoca che non ha vissuto direttamente ma di cui è in qualche modo figlio, ammettendo che secondo lui è più facile scrivere un libro di un periodo se si è nati dopo: certo, si ha una grande responsabilità storica (e non per niente ha dovuto studiare tantissimo per poter raccontare senza errori la storia) e si è ispirato a personaggi realmente esistiti, lasciando poi però che il personaggio acquisisse una sua storia personale, che fosse inserito nel contesto storico in modo fedele, ma che poi vi si potesse muovere tranquillamente all'interno.

Fontana ha poi parlato della stesura dell’altra parte del romanzo, quella ambientata all'epoca della resistenza, in cui il protagonista è il padre di Colnaghi, Ernesto, dicendo che è quella che gli è piaciuto di più scrivere, (insieme alle descrizioni di Milano, che  sono anni che nessuno scrittore descrive più bene), avendo per quel periodo un interesse personale, alimentato poi dai racconti del nonno e da memorie orali della sua zona.

Una delle domande più belle è stata “Come si fa a scrivere un libro così?”. Lui ha risposto “Leggendo tanto, buttando tanto, riscrivendo tanto” e poi ha citato Paolo Cognetti, che dice che scrivere è come mangiare un crostaceo: ci si sporca tanto le mani e si butta via tanto per arrivare allo scheletro, alla parte buona.

Sul finale Fontana, dopo aver ammesso che il libro gli ha lasciato un’enorme stanchezza fisica ma anche esistenziale, ha parlato dei suoi autori di riferimento: scrittori della narrativa americana, tra cui Bernard Malaud, Don De Lillo, Powers e, “ovviamente”, Hemingway; scrittori della narrativa europea, tra cui Joseph Roth e Stig Dagerman; e poi, su tutti, Frank Kafka che per lui è “tutto quello che uno scrittore dovrebbe essere”.
E tra gli italiani? Dino Buzzati con Un amore, Giovanni Arpino con Randagio è l’eroe, Luciano Bianciardi con La vita agra e Giovanni Testori con Il ponte della Ghisolfa.

A fine presentazione è stato poi il momento degli autografi e, come al solito, mi sono fatta riconoscere. Quando gli ho dato il libro, infatti, è avvenuto più o meno questo dialogo:

“Ciao!” 
“Ciao!”
“Sono Elisa… il libro è molto bello, davvero, ma quanto mi hai fatto penare con sti due punti”
“Ah, eh lo so, me lo hanno fatto notare in molti, ma io li uso così, il mio stile è quello. E comunque li usava anche Manzoni”
“Beh, anche Manzoni mi avevo fatto penare eh.  Ci va un po’ per abituarcisi… però il libro è davvero molto bello, bravo!”
“Grazie”

(ammetto che dopo mi è venuto il dubbio che si sia offeso. Spero vivamente di no, ma del suo bislacco uso dei due punti dovevo proprio dirglielo!)



L’impressione generale che ho avuto di Giorgio Fontana è di uno scrittore molto colto, molto preparato e sicuro della sua penna, ma anche molto modesto e umile (dal fatto, ad esempio, che nonostante il successo del romanzo, la vincita del premio Campiello e tutte le proposte che sono seguite, ancora non se la senta di lasciare definitivamente il suo lavoro principale in un’azienda informatica). Ha messo in luce poi un aspetto su cui spesso ho riflettuto riguardo alle presentazioni dei libri, ovvero che gli scrittori sono persone che si chiudono in una stanza a scrivere e che quindi per alcuni di loro è molto difficile trovarsi di fronte a tutte queste persone, questi lettori arrivati lì per sentire quello che hanno da dire. È bello, emozionante, ma anche faticoso. Lui, ieri, è stato davvero molto bravo.

Diverso, almeno per me, è il discorso del relatore, che ha davvero il potere di influenzare, in meglio ma anche in peggio, la presentazione di un libro e la voglia o meno di leggerlo.
 Ma questo argomento, prima o poi, avrà un post tutto per sé.