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martedì 15 maggio 2018

Il mio SalTo 2018

La trentunesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino si è conclusa ieri sera ed eccomi a tentare di raccontarvi com'è stato. Dico tentare, perché è sempre difficile riuscire a trasmettere all'esterno quello che si vive là dentro.



Pare sia stata, come sempre, un’edizione di successo. L’edizione dei record, la chiamavano già ancor prima che iniziasse, per via di un overbooking che sicuramente fa piacere dal punto di vista della voglia di partecipare ma che ha penalizzato quei poveri editori (paganti) che sono finiti nel Padiglione 4, il tendone surriscaldato creato in extremis per ospitare tutti. 
A parte questo problema, ben evidente a tutti, il Salone è grossomodo sempre uguale. Anche il numero di visitatori, stando al comunicato stampa ufficiale di chiusura, non è poi variato di molto: l’anno scorso erano stati 143.815 i visitatori unici, quest’anno sono stati 144.386. Numeri belli alti, per un paese in cui si dice che i libri non interessano a nessuno... bisogna poi solo capire se agli ingressi corrispondono anche le vendite da parte degli editori, ma dubito che si verrà mai a sapere.

È cambiata un po’ la disposizione degli stand, per fare posto ai grandi editori che, dopo il forfait dell’anno scorso, sono ritornati nei padiglioni del Lingotto. Non sono invece cambiate le code, né quelle per la sicurezza (ingestibili solo i primi giorni, in realtà, perché io il sabato e la domenica sono entrata senza alcun problema e con un’attesa massima di dieci minuti) né quelle per gli eventi (che, almeno nel mio caso, fungono un po’ da selezione naturale e stabiliscono il vero grado di interesse per quell'evento: c’è coda e ho voglia di farla? Quell'evento per me è imperdibile. C’è coda e uff, che palle! Vabbé, faccio altro).

Eppure, pur essendo tutto sommato un’edizione uguale a tutte le altre, devo ammettere che quest’anno ho provato un po’ meno entusiasmo del solito. Forse perché è un periodo che lavoro un po’ troppo e sono un po’ stanca, ma quest’anno l’atmosfera del Salone, anche una volta dentro, passato il primo istante di “finalmente eccoci qui”, l’ho sentita meno. E, in generale, credo che ci fosse un po’ meno vivacità da parte di tutti.

In ogni caso, ho assistito a eventi molto belli (pochi, ma buoni) e soprattutto, e questo sì che mi è piaciuto!, ho chiacchierato, riso, scherzato e abbracciato tante, tantissime persone. Alcune che vedo ogni anno solo al Salone, altre che non vedevo da tanto, altre ancora a cui finalmente sono riuscita a dare un volto dopo tante interazioni virtuali. Mi ripeterò, lo so, ma la cosa più bella del Salone è soprattutto questa: le persone. I saluti e i sorrisi al volo in mezzo ai corridoi, ma anche le chiacchiere in coda o appoggiati devastati a una colonna. Le foto, le battute, le risate, i pettegolezzi, i “come va?”, i “che bello conoscerti!”, i caffè, i barattoli di pesto e i saluti impacciati che però fanno sempre un immenso piacere. 
 E ve lo dico da timida e insicura, da ragazza che prima di trovare il coraggio di avvicinarsi e salutare qualcuno ci deve pensare un po’, a volte troppo al punto che poi quel qualcuno da salutare non c’è più (un esempio tra tutti: sono rimasta dieci minuti buoni allo stand delle edizioni e/o a fissare Eric-Emmanuel Schmitt e cercare il coraggio di avvicinarmi e salutarlo e chiedergli l’autografo. E poi niente, sono scappata).

Ma parliamo un attimo degli eventi a cui ho assistito. Quest’anno l’unico per cui ho deciso che valeva la pena davvero fare la coda è stato Fernando Aramburu. Sarà che ero in buona compagnia (ciao Veronica, è stato un vero piacere!), sarà perché ho amato Patria come era tanto tempo che non amavo un libro… non lo so, però l’ho fatta volentieri e la rifarei ancora adesso. Credo sia stato uno degli incontri più belli a cui abbia mai assistito in tutti questi anni di Salone. Si è parlato di ETA, ovviamente, ma anche del ruolo che la letteratura e gli scrittori in generale dovrebbero avere nel raccontare le storie, soprattutto quando si tratta di fatti reali: secondo Aramburu non devono tanto concentrarsi e interessarsi al “cosa”, perché il cosa si trova in tutti i libri di storia, ma al come, per dare veramente voce a chi un periodo storico l’ha vissuto sulla sua pelle. (Tra l'altro al pomeriggio proprio Aramburu con il suo Patria ha vinto il Premio Strega Europeo)
Paolo di Paolo, Fernando Aramburu e Maria Ida Gaeta. In piedi, l'interprete nella lingua dei segni, una cosa molto bella di questa edizione del Salone. 

Il giorno precedente, il sabato, ho partecipato insieme a un gruppo di adolescenti all'incontro con il fumettista Sio, che da quando scoperto ogni mattina è quasi sempre il fautore della mia prima (e a volte anche unica) risata quotidiana. Lui è esattamente come i suoi fumetti: apparentemente demenziale e assurdo ma in realtà geniale.

Il fumettista Sio che presentava "La Genda sCOMIX"
Sempre il sabato, sono andata a un incontro alla libreria La Luna’s torta durante il quale la casa editrice NN si è presenta e ha raccontato la sua storia. L’evento faceva parte del programma del Salone OFF, gli eventi collaterali al Salone che si tengono ogni anno in giro per Torino proprio negli stessi giorni. E, devo ammettere, non sono ancora così convinta che sia una buona idea. Se sono dentro al Salone devo uscire, spostarmi per la città e poi magari rientrare (e se non si ha il pass, pagare di nuovo il biglietto) se voglio assistere a un altro evento interno al Salone. Mi sembra un metodo un po’ dispersivo, che va a discapito degli eventi OFF, ovviamente.

La domenica, invece, oltre al già citato Aramburu, ho partecipato all’incontro con Tristan Garcia, scrittore francese pubblicato in Italia da NN editore, di cui sta per uscire il nuovo romanzo: 7. Una sala piena, anche in questo caso, pur essendo uno scrittore forse non così conosciuto. Ed è stato bello e interessante.
Poi sono andata alla presentazione di Kaiser di Marco Patrone, edito da Arkadia edizioni, e a quella di Holden & Company. Peripezie di letteratura americana da j.d. Salinger a Kent Haruf di Luca Pantarotto, ovvero mio marito, che è stato presentato in anteprima proprio al Salone ma che ufficialmente uscirà, per aguaplano, il 22 maggio.



Alla fine sono tornata a casa con cinque libri. Sono pochi, mi rendo conto, ma poco è anche al momento il mio tempo per leggere, mentre molto alta è la pila di libri in attesa. Però, insomma, pochi ma direi molto buoni:



E ora non ci resta che aspettare l’edizione dell’anno prossimo che, salvo imprevisti, si terrà dal 9 al 13 maggio.

lunedì 2 gennaio 2017

LE ENTUSIASMANTI AVVENTURE DI MAX MIDDLESTONE E DEL SUO CANE ALTO TRECENTO METRI - Tito Faraci & Sio


Non ricordo esattamente quando mi sono imbattuta per la prima volta in Scottecs, il fumetto nato dalla penna di Sio. So però che è solo da un anno a questa parte che le sue strisce mattutine sono diventate un appuntamento quotidiano. Entro in Facebook al mattino e tra le prime cose che cerco ci sono i suoi buffi e stilizzatissimi personaggi e, soprattutto, le sue vignette nonsense. Le adoro. 
Adoro la loro totale assenza di logica e il modo in cui questa assenza le rende così divertenti. Mi è capitato di stare a fissarle per qualche minuto prima di riuscire a capirle del tutto, per poi concludere con “non so se questo sia un pirla o un genio”. Ma ridere, be’, ho sempre riso un sacco.

Quando ho saputo che Sio avrebbe pubblicato per Feltrinelli un libro insieme a Tito Faraci, uno degli sceneggiatori storici di Topolino, la curiosità è stata tanta, tantissima, unita però a un po’ di scetticismo. Si tratta di un fumetto? Di un romanzo? Di una storia completamente priva di senso? Ci avrei capito qualcosa? E, soprattutto, mi avrebbe fatto ridere come le vignette quotidiane?
Quando ho aperto per la prima volta Le entusiasmanti avventure di Max Middlestone e del suo cane alto trecento metri e ho letto la grandissima citazione di Jonathan Coe riportata nell'esergo, in effetti, ho riso. Tantissimo. E ho continuato a ridere fino all’ultima pagina.
La grandissima citazione di Jonathan Coe in esergo al libro

Il libro inizia con una piccola lezione su come interpretare correttamente la sceneggiatura di un fumetto. Nella pagina di sinistra ci sono le spiegazioni di Tito Faraci, in quella di destra i disegni esplicativi di Sio (o meglio, interpretati “alla Sio”). 
Una volta capita la differenza tra “primo piano”, “piano americano”, “figura intera”, “mezzo busto”, “campo lungo”, “campo lunghissimo” e tutte le altre nozioni di sceneggiatura, si passa alla storia vera e propria: protagonista è Gregory Rosboff, un contadino del Wisconsin che parte in cerca delle radici della sua famiglia e si ritrova non si sa bene come in Russia, nel bel mezzo di un complotto per rovesciare lo zar. In questa sua avventura farà la conoscenza di tutta una serie di buffi personaggi, alcuni gentilissimi, altri cattivissimi, e una santa. E, a rendere ancor più strane le cose, c’è un libro dal titolo strano, che spunta spesso nei momenti più impensabili.

Le entusiasmanti avventure di Max Middlestone e del suo cane alto trecento metri è un libro non semplicissimo da leggere, per questa alternanza tra testo scritto e sua rappresentazione, che bisogna confrontare immediatamente (leggete le parole di Tito Faraci, poi guardate le vignette di Sio, quasi riga per riga), ma, una volta che si è capito il meccanismo, è davvero divertente. Io ho riso davvero tanto, a volte di gusto, a volte con un attimo di ritardo, quasi sempre pensando “non so se questo sia un pirla o un genio”.

Certo, per apprezzarlo dovete essere amanti del nonsense e dell’assenza di logica, ed essere persone che, come me, si divertono con le cose un po’ sceme. Se lo siete, be’, questo libro vi piacerà sicuramente.


Titolo: Le entusiasmanti avventure di Max Middlestone e del suo cane alto trecento metri 
Autore: Tito Faraci & Sio
Pagine: 116
Editore: Feltrinelli
Prezzo di copertina: 14€
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