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lunedì 30 novembre 2015

November (books) rain

È passato davvero in fretta questo novembre. Sarà che ho fatto tante cose, anche se, guardando il blog, sembra quasi che io abbia solo e sempre letto.
I libri sono stati i veri protagonisti di questo spazio questo mese. Un po’ perché non ho avuto tempo di scrivere altro che non fossero le recensioni (per quelle il tempo lo trovo sempre, anche perché fatico a iniziare un nuovo libro se non ho prima parlato dell’ultimo letto), un po’ perché forse tutte le altre cose che ho fatto su questo blog c’entravano poco.

Ma partiamo dalle cose letterarie.
Il mese è iniziato con il tradizionale incontro annuale a Chivasso con Marco Malvaldi, che ha presentato Buchi nella sabbia, suo nuovo romanzo che ho prontamente letto e recensito. Gli incontri con Malvaldi sono sempre molto divertenti e, in questo caso, a dialogare con lui c’era Margherita Oggero, altra mia adorata scrittrice (a cui ho chiesto se, per favore, nella serie tv Provaci ancora, prof fa mettere definitivamente insieme Camilla e Gaetano… ha risposto di sì, ma non so se per davvero o solo per farmi contenta).
Il 5 novembre (Remember remember...) è poi uscita la mia seconda traduzione. Adesso, punta il tuo obiettivo di David Hieatt, pubblicato da Anteprima.
A sei anni esatti dalla laurea (ricorrenza che cadeva proprio il 9 di questo mese), posso finalmente dire che sì, faccio la traduttrice. Anche perché una settimana dopo mi è arrivata la terza, bella sostanziosa tra l’altro, ed è ciò che mi sta occupando un sacco di tempo ultimamente.


Poi, sempre in questo mese, si è finalmente delineato un progetto a cui io e Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri pensavamo da un po’. Solo un’idea all’inizio, nata da un semplice “che dici, proviamo a inventarci qualcosa?”, e che è sfociata in Una valigia di libri. Letture in giro per il mondo, un ciclo di incontri ospitati dalla libreria Sulla parola di Caluso, che durerà fino a giugno e che consisterà nel presentare libri di ogni continente. Si parte il 12 e devo dire che un po’ di emozione ce l’ho già adesso. Per tutti i dettagli vi rimando comunque al post apposito.




Tra le cose non letterarie, invece, da segnalare che sono andata a vedere Snoopy & Friends, il film dei Peanuts, che mi ha fatta commuovere tantissimo e la mostra di Monet a Torino, alla GAM, dove ho scoperto un mio nuovo quadro preferito, I tacchini.



Ma veniamo ora ai libri e alle recensioni. Tante letture, vi dicevo, e tutte abbastanza soddisfacenti.

Il mese è iniziato con La morte dei caprioli belli di Ota Pavel, pubblicato da Keller editore e tradotto da Barbara Zane, una bella raccolta di racconti ambientati al tempo della Seconda guerra mondiale in cui la guerra fa solo da inevitabile sfondo alle belle avventure della famiglia dell’autore.

Subito dopo è arrivato Paolo Cognetti con il suo Tutte le mie preghiere guardano verso ovest, un elogio a New York e al cibo, scritto come solo Cognetti sa scrivere (e chi ha letto altri libri di Cognetti capisce perfettamente che cosa intendo), pubblicato nella bella collana Allacarta di EDT.

Poi, La leggenda del trombettista bianco di Dorothy Baker, pubblicato da Fazi con la traduzione di Stefano Tummoli. Dorothy Baker, conosciuta soprattutto per il suo Cassandra al matrimonio, che qui romanza la vita di Leon Bix Beiderbecke, il più celebre trombettista solista americano degli anni '20, tramite Rick Martin, suo alterego letterario. Bello, anche se di musica non capite niente come me.

Ed ecco Buchi nella sabbia di Marco Malvaldi, l’ultimo suo romanzo, sempre pubblicato con Sellerio, in cui torna a dare il meglio di sé, come già aveva fatto con Odore di chiuso. Un giallo storico, in cui l’omicidio è solo un pretesto per presentare buffi personaggi e buffe situazioni. Da leggere, assolutamente.

Una bella scoperta è stata Il peso di Liz Moore, pubblicato da Neri Pozza con la traduzione di Ada Arduini. Una storia di solitudini e di paura di chiedere aiuto. Intenso, bello davvero.

E poi due salti in Sudamerica. Prima con È finito il nostro carnevale di Fabio Stassi, pubblicato da minimum fax, e poi con Il liberatore dei popoli oppressi di Arto Paasilinna, tradotto da Francesco Felici per Iperborea. Il primo mi è piaciuto di più del secondo, sicuramente, forse perché amo il modo di scrivere di Fabio Stassi. Entrambi comunque valevoli di lettura.

Il mese è proseguito con Panorama di Tommaso Pincio, pubblicato da NN editore, che fa una critica violenta del mondo letterario e non di oggi, attraverso il grandissimo personaggio di Ottavio Tondi, per poi concludersi di nuovo in Sudamerica e di nuovo con una raccolta di racconti, Il vento distante di José Emilio Pacheco, tradotto da Raul Schenardi e pubblicato da Sur, un’altra raccolta di racconti che però, devo dire, mi è piaciuta ma ho troppo breve perché diventasse indimenticabile.

E ora inizia dicembre e arriva finalmente il Natale! (Ma anche i bilanci annuali di lettura e tante altre belle cose). Spero che il vostro novembre sia stato altrettanto intenso e pieno di belle letture!

mercoledì 18 febbraio 2015

Due titoli, un solo libro: ma perché? #108


Ancora una volta, fin dalla prima lettura del titolo italiano, mi è stato evidente che non poteva corrispondere all'originale, perché davvero troppo simile ad altri già sentiti. Non avrei mai immaginato però che questo Una casa di acqua e cenere fossa l'alternativa scelta per non tradurre letteralmente No country. Sicuramente è una traduzione difficile, perché Nessun paese o Nessuno stato o Nessuna terra hanno, almeno per quanto mi riguarda, la stessa incisività, lo stesso potere evocativo dell'originale. Però forse avrei cercato comunque un titolo più corto (magari Nessuna casa, per salvare qualcosa dell'italiano?) e non avrei usato il corsivo di cui, ammetto, non riesco a capire molto il significato.
Stranamente invece le due copertine, seppur completamente diverse, mi piacciono allo stesso modo.



Titolo originale: No country
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Una casa di acqua e cenere
Autore: Kalyan Ray
Traduttore italiano: F. Toticchi
Editore italiano: Nord

mercoledì 11 febbraio 2015

Due titoli, un solo libro: ma perché?#107

 


«Uh guarda, un libro ambientato in una libreria! Ma cavolo, dal titolo si capisce! Meglio se lo specifichiamo, che se no poi i lettori appassionati di libri che parlano di libri magari non se n accorgono e non non lo comprano! E poi che ci mettiamo, un faccione o una ragazza di spalle?»
«La ragazza di spalle, il faccione lo abbiamo messo l'ultima volta»
«Hai ragione!Stavo per sbagliarmi».

Ed è così che The moment of everything (letteralmente "Il momento di tutto") di Shelly King è diventato Tutta colpa di un libro.

Titolo originale: The moment of everything
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Tutta colpa di un libro
Autore: Shelly King
Traduttore italiano: Lo sto cercando disperatamente ma non riesco a trovarlo, troppo faticoso metterlo nella pagina del libro sul sito o su Il Libraio, quando viene presentato? EDIT delle 11.40: dalla regia mi informano che la traduttrice è Roberta Scarabelli. 
Editore italiano: Garzanti

lunedì 2 febbraio 2015

Riflessione sconclusionata su sogni e lavori, direttamente dal divano.

Questo post non parlerà di libri. E spero che mi perdonerete se per una volta uscirò dall'argomento principale di questo blog per parlarvi un po' di me. Ok, in realtà ogni volta che vi parlo di un libro che ho letto vi parlo un po' di me. Ma questa volta lo farò direttamente.

È lunedì mattina e io sono a casa, seduta sul divano, dopo aver appena fatto colazione. Venerdì a quest'ora ero a lavoro. Il mio ultimo giorno in un'azienda in cui sono stata per cinque anni. 
"C'è crisi", "I vertici vogliono che riduciamo il personale", "Non posso licenziare chi ha un contratto a tempo indeterminato", "Mi spiace, non posso rinnovarti, ma teniamoci in contatto eh". 
È andata più o meno così, e sapevo che sarebbe andata più o meno così. Lo sapevo da circa cinque anni, in realtà, dal primo contratto a progetto rinnovato una volta, poi due, poi tre, poi trasformato un anno fa in determinato, sempre con la promessa dell'inserimento in azienda. Scema io a esserci cascata, ma la comodità, la vicinanza a casa, il lavoro, di traduzione prima, di web dopo, che tutto sommato nemmeno mi dispiaceva (sull'ambiente preferisco non esprimermi), il "non vorrai mica lasciare un lavoro ora, che c'è crisi e chissà quando ne trovi un altro"... insomma, mi sono fermata lì, aspettando con ansia ad ogni rinnovo che diventasse quello definitivo e rimanendoci un po' male ma poi nemmeno troppo ogni volta che non è stato. Fino appunto al rientro dopo le feste di Natale, in cui era evidente fin da subito, da quel "magari insegna a lui a fare questo, magari insegna a lei a fare quest'altro", che non mi avrebbe rinnovato.

La mia piantina a lavoro,
 quando le ho detto che ce ne saremmo andate
E venerdì, quindi, sono uscita definitivamente da quell'ufficio. Con un po' d'ansia, certo, che non sono mica così pazza da non sapere che adesso non sarà esattamente una passeggiata trovare qualcosa di nuovo.  Con la consapevolezza che forse un figlio dovrà aspettare ancora un po' e anche quella bella sensazione (che è bella, inutile negarlo) di poter finalmente dire "ok, ora sono sistemata".
Ma, devo ammettere, che c'è stato anche un sospiro di sollievo. Un po' perché in quell'ambiente stavo impazzendo, tra colleghi con cui non ho mai del tutto legato e scelte direzionali spesso non del tutto comprensibili (hey, colleghi e dirigenti, se state leggendo, nulla di personale eh... che lo sapete benissimo anche voi qual era la situazione lì dentro). Un po' perché compio trent'anni quest'anno ed è ora che decida davvero cosa voglio fare della mia vita. È ora che prenda coraggio e almeno ci provi a inseguire il sogno di vivere di traduzione, di editing, di libri o di scrittura (no, non voglio di colpo diventare scrittrice, che non sarei in grado, però su blog e giornali mi piacerebbe un sacco). È ora che ammetta, a me stessa e agli altri, che quel lavoretti di editing che faccio, quella prima traduzione che mi è stata commissionata proprio prima di Natale, mi danno una soddisfazione che là dentro, in questi cinque anni, forse ho provato solo un paio di volte (sebbene con lo stipendio che prendevo là dentro ci potevo vivere e stravivere, con questi lavoretti di editing e traduzione, per il momento, no).

E quindi boh, sono qui sul divano, chiedendomi che cosa devo fare ora. Correre in agenzia a cercare un lavoretto, magari part time, che mi consenta di avere del tempo libero da dedicare alla mia passione, magari frequentando anche qualche corso specifico, oltre a limitarmi a fare quello che faccio già? Cercare un lavoro full time e continuare a tradurre ed editare "per arrotondare", finché troverò il coraggio di dire "ok, posso vivere solo di questo"? Invadere le case editrici di cv implorandole di farmi provare (case editrici, se state leggendo, vi chiedo già scusa per le valanghe di mail che riceverete a breve da parte mia... non sono psicopatica, solo molto entusiasta)?
Sono un po' spaesata, devo ammetterlo. Forse perché per quanto poco apprezzata, un'abitudine è pur sempre un'abitudine e quando viene a mancare un po' destabilizza. Forse perché ho un po' paura. Di non trovare altro, di trovare qualcosa che non mi piace, di non essere capace di trasformare il mio sogno in realtà. O di dover accettare tanti, troppi compromessi per riuscire a farlo e di non sapere scegliere quali valga davvero la pena di fare.
Ci pensavo l'altro giorno, quando una mia collega mi ha chiesto: "resterai qui o te ne andrai?". Beh, a me piacerebbe restare qui, devo essere sincera (magari non proprio qui qui in Canavese, anche se nemmeno questo mi dispiacerebbe, però mi rendo conto che sarebbe forse chiedere un po' troppo, però ecco di non dovermi allontanare troppo, quello sì). Forse è folle, considerando che ho studiato lingue e dovrei avrei come sogno quello di vivere all'estero. Eppure, no, ammetto di non averlo quel sogno. Mi piace viaggiare, per lavoro e per vacanza, e ho adorato i quattro viaggi all'estero che in quest'ultimo anno di lavoro ho avuto la fortuna di fare. Alcuni avrei anche voluto fossero durati di più. Però mi piace anche tornare a casa. È così sbagliato? Mi beccherò della bambocciona per questo?

Ok, ora mi fermo con questo sproloquio. E vi chiedo ancora scusa per questo post un po' sconclusionato un po' di sfogo, da cui non ricaverete credo niente. Ma avevo bisogno di mettere per iscritto i miei pensieri e di condividerli con qualcuno.E chi meglio di voi, o adorati lettori del mio adorato blog, fonte di una delle mie più grandi soddisfazioni nella vita? 
Bene, ora vado ad aggiornare il cv.

mercoledì 28 gennaio 2015

Due titoli, un solo libro: ma perché? #105


Per la puntata di questa settimana ringrazio tantissimo Chiara per avermi scritto e avermi segnalato un ennesimo, e ancora una volta sconvolgente, cambio di titolo, accompagnato questa volta anche da uno sconcertante cambiamento di copertina.

"Ciao! Volevo segnalarti un libro che ho appena letto in originale: "Tell the wolves I'm home" di Carol Rifka Brunt.Oltre a essere un romanzo che personalmente ho apprezzato molto, si tratta di un meraviglioso esemplare di "due titoli, un solo libro". Infatti in italiano è stato tradotto con "Promettimi che ci sarai", con copertina altamente fuorviante, dal momento che protagonisti della storia sono una ragazzina di 14 anni e due persone speciali nella sua vita: lo zio e il suo compagno, omosessuali e malati di AIDS. I tema dei lupi è ricorrente, e il titolo del libro ha anche un significato preciso... che non ti anticipo nel caso decidessi di leggere il libro".
Dalle parole di Chiara, il romanzo sembra molto forte, almeno nell'argomento. E cosa fa la Piemme (sì, di nuovo lei)? Anziché tradurre letteralmente l'originale con un fattibilissimo e sensatissimo "Dì ai lupi che sono a casa", opta per un titolo, Promettimi che ci sarai, che non c'entra nulla e che, soprattutto, non attira per nulla. Non contenta, lo piazza su una copertina decisamente fuorviante, oltre che già vista, che richiama l'originale solo perché le foglie dell'albero formano un lupo.
Se avessi visto questo libro su uno scaffale di una libreria, con questo titolo e questa copertina, lo avrei classificato immediatamente come un romanzo rosa, magari per ragazzi. Mai avrei potuto pensare che trattasse temi tanto importanti (che poi magari li tratta comunque male, anche se stando a quanto mi ha detto Chiara direi di no, ma in ogni caso non sembra un libro leggero e spensierato, ecco).


Titolo originale: Tell the wolves I'm home
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Promettimi che ci sarai 
Autore: Carol Rifka Brunt
Traduttore italiano: L. Piussi, L. Prandino
Editore italiano: Piemme

mercoledì 14 gennaio 2015

Due titoli, un solo libro: ma perché? #103

Ogni tanto mi capita di andare a cercare, su wikipedia o sua altre fonti, informazioni sugli autori che non ho mai letto ma che so che dovrei leggere.  Sono molte le lacune letterarie che prima o poi dovrei decidermi a colmare e informarmi sugli autori mi sembra un modo per avvicinarmi a quel momento, o almeno per poter dire "No, non l'ho letto, ma sto per farlo!".

Tra queste lacune da colmare c'è sicuramente William Faulkner con il suo L'urlo e il furore. Lo so, che dovrei leggerlo, ma allo stesso tempo e per qualche motivo non ho mai il coraggio di farlo.
Mentre mi documentavo sull'autore e sulle sue opere, mi è saltato all'occhio un titolo in particolare, che si merita sicuramente una puntata di questa rubrica.
Sto parlando del suo primo romanzo, SOLDIERS' PAY, pubblicato per la prima volta nel 1926.




Così di primo impatto, sembra impossibile immaginare che la traduzione letterale del titolo di questo libro possa aver causato dei problemi, in quanto Soldiers' pay significa semplicemente, La paga dei soldati.

Eppure qualcosa è successo. La prima traduzione italiana, a opera di Massimo Alvaro, è comparsa nel 1953 per la casa editrice Garzanti, con il titolo LA PAGA DEL SOLDATO



C'è stato un evidente errore di comprensione da parte di chi ha tradotto il titolo, che ha fatto confusione con la "s" e l'apostrofo del genitivo sassone inglese, trasformando i soldati, plurale, in soldato, singolare (il genitivo sassone al plurale vuole che la s sia attaccata alla parola precedente e l'apostrofo sia immediatamente dopo, mentre al singolare c'è l'apostrofo e poi la s... non so se mi sono spiegata).
Questo errore si è trascinato per anni da un'edizione e all'altra fino al 1986, quando Garzanti ha commissionato una nuova traduzione a Mario Materassi, in seguito ripubblicata da Adelphi nel 2008, che ha corretto il titolo in LA PAGA DEI SOLDATI



Sicuramente i mezzi a disposizione di un traduttore negli anni '50 erano ben diversi da quelli di oggi, così come lo era la conoscenza approfondita della grammatica e della lingua. Certo, fa strano che a nessuno, prima di mandare in stampa il libro, sia venuto il dubbio che ci fosse qualcosa che non quadrasse ma, soprattutto, che questo errore si sia mantenuto fino al 1986.

mercoledì 17 dicembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #102 Speciale Natale

Considerando che questa potrebbe essere l'ultima puntata della rubrica di confronto tra titoli prima di Natale (che mercoledì prossimo è la Vigilia e non so se avrà tempo di scriverla), ho deciso di dedicarla proprio a questa ricorrenza. Che in questo periodo alcune case editrici danno il meglio di loro, tirando fuori romanzi ad hoc (o non proprio ad hoc, ma cambiando il titolo per farli diventare tali) per chi vuole immergersi nello spirito natalizio ma rabbrividisce a sentir parlare del Canto di Natale di Dickens.

Ne ho selezionati quattro, tutti usciti di recente, ma sicuramente ce ne sono anche molti altri (ma il mio amore per il Natale sarebbe scemato improvvisamente se avessi fatto una ricerca più lunga di questa).
Il primo è Eine wundersame Wehnachtsreise di Corina Bomann, tradotto in italiano da Sara Congregati per la casa editrice Giunti e uscito con il titolo Un sogno tra i fiocchi di neve


Letteralmente il titolo originale si potrebbe tradurre con Un meraviglioso viaggio di Natale. Difficile capire perché sia stato cambiato, in quanto perfettamente traducibile e, soprattutto, in tema natalizio. Forse la neve fa più effetto, non lo so.

Il secondo libro è Calling Mrs Christmas di Carole Matthews, tradotto in italiano da C. Serretta per la casa editrice Newton Compton, che gli ha dato il titolo Appuntamento sotto l'albero



 Letteralmente l'originale si potrebbe tradurre con Chiamando la sig.ra Natale (ok, è terribile, forse avrei lasciato Mrs. Christmas anche in un'ipotetica traduzione italiana, ma parlando di traduzioni letterali bisogna andare fino in fondo). Sicuramente in italiano il titolo andava cambiato. Da valutare se il cambiamento avrebbe dovuto essere necessariamente così drastico da diventare Appuntamento sotto l'albero (per non parlare della triste copertina con l'albero di natale fatto di scarpe e vestiti, completamente diversa rispetto all'originale)

Rimaniamo in casa Newton Compton con Christmas at Claridge's di Karen Swan, tradotto da L. Faspi e reso in italiano con Natale a Londra con Amore.

Il titolo italiano sembra quello di un cinepanettone. Lo trovo molto brutto, oltre che poco scorrevole (non so voi, io arrivo a Londra e mi incaglio, come se la parte "con amore" non ci volesse proprio rientrare). Letteralmente l'originale si tradurrebbe con Natale al Claridge, che è il lussuoso hotel londinese in cui lavora la protagonista. Capisco che Natale in hotel o Natale in albergo avrebbero forse amplificato ancor di più l'effetto "titolo da film demenziale di Natale", però si poteva sicuramente pensare a qualcosa di meglio, se proprio non si poteva tradurre letteralmente.

L'ultimo libro di questo Speciale Natale è Sleigh Bells in the snow di Sarah Morgan, pubblicato in Italia dalla casa editrice Harlequin Mondadori con la traduzione di Roberta Marasco e il titolo Mentre fuori nevica

Il titolo originale, traducibile letteralmente con Campane della slitta nella neve,  fa riferimento a una strofa della celebre canzone White Christmas, scritta da Irving Berling nel 1943:

I'm dreaming of a white Christmas 
Just like the ones I used to know 
Where the treetops glisten 
And children listen 
To hear sleigh bells in the snow.

La traduzione letterale del titolo, effettivamente, non avrebbe avuto poi molto senso. Si poteva forse valutare la sostituzione con una canzone natalizia italiana (anche se al momento non me ne vengono in mente), ma anche in questo caso sarebbe stato un po' rischioso. Condivido abbastanza il titolo scelto dalla casa editrice, che lascia il riferimento alla neve. E per una volta, anche la copertina italiana si rivela migliore dell'originale.

Bene, mi fermo qui, che per quanto io ami il Natale, a leggere sti titoli mi è quasi venuta la nausea. Buon natale a tutti!

mercoledì 10 dicembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #101


Dai su, era da qualche settimana che non parlavo di un romanzo Garzanti. E recupero, grazie alla segnalazione di Cristina, con un libro che incarna perfettamente tutte le mie battaglie, perse, contro i titoli sempre uguali. The map of true places di Brunonia Barry, letteralmente traducibile con "la mappa dei luoghi veri", diventa La ragazza che rubava le stelle. Effettivamente la traduzione letterale del titolo originale non suona poi così bene ma, anziché pensare a un titolo che potesse avere più o meno lo stesso senso, la casa editrice ha fatto ricorso alla solita "Ragazza che..." fa qualcosa. Nello specifico qui ruba le stelle (come faccia, di preciso, non lo so)

A questo si aggiunge poi la copertina, con la solita figura di spalle (ricorrente tanto quanto i faccioni, sulle copertine Garzanti) che guarda verso l'infinito. C'è da dire che l'originale è molto simile, e addirittura un meno poetica di quella italiana, che sarebbe anche bella, se non fosse che si è già vista e rivista. 


Titolo originale: The map of true places
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: La ragazza che rubava le stelle
Autore: Brunonia Barry
Traduttore italiano: Alba Mantovani
Editore italiano: Garzanti

mercoledì 26 novembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #99

Per la puntata di questa settimana ringrazio tantissimo Valentina del blog Peek a Book, per avermi fornito una  bella segnalazione, che merita di essere condivisa.

Inoltre, mi offre lo spunto per nominare almeno una volta su questo blog Patrick Modiano, scrittore francese vincitore del Premio Nobel per la Letteratura del 2014, nonché, per quanto mi riguarda, illustre sconosciuto. So che ha scritto diversi romanzi, in Italia pubblicati da Guanda, Einaudi e Lantana, ma al momento, ammetto la mia ignoranza, non sarei in consigliarvene nemmeno uno (anzi, se ne consigliate voi uno a me, mi fa te un favore!).
Tra le varie cose che non sapevo di questo scrittore c'è che ha scritto anche un libro per bambini CATHERINE CERTITUDE



Il romanzo, con le illustrazioni di Jean-Jacques Sempé, è uscito in Francia nel 1988 e racconta la storia di Caterina, aspirante ballerina con seri problemi di vista che la obbligano a indossare sempre gli occhiali. La bambina se li toglie solo per ballare e ha la possibilità così di vedere il mondo in modo completamente diverso.

Il romanzo è stato tradotto in italiano da Giulio Lughi per la casa editrice Einaudi nel 1993, con il titolo SOGNI SENZA OCCHIALI


Il titolo italiano è stato quindi cambiato, forse perché non piaceva l'idea di tradurre letteralmente il nome proprio della protagonista (cosa che, teoricamente, non andrebbe mai fatta), ma nemmeno quella di lasciarlo in originale, essendo un romanzo per bambini (e considerando che eravamo all'inizio degli anni '90, in cui la tendenza ad italianizzare il tutto era ancora in uso). Einaudi ha quindi preferito far leva sulla caratteristica principale della protagonista, il fatto che porti gli occhiali e di come il suo mondo cambi quando se li toglie.

Nel 2014, però, esce una nuova versione del romanzo, tradotta da Maria Vidale per la casa editrice Donzelli, con un nuovo titolo: CATERINA CERTEZZA


A differenza di quanto fatto da Einaudi, in questa versione viene tradotto letteralmente il titolo originale: Catherine Certitude diventa quindi Caterina Certezza.
Dal punto di vista del titolo, forse, la scelta di Donzelli è migliore, in quanto fedele all'originale. Però da un lato suona sicuramente un po' strano trovare una bambina con nome e cognome italiani in un'opera ambientata a Parigi, dall'altro c'è il rischio del cambio di titolo di un'opera già tradotta.

La segnalazione di Valentina deriva proprio da questo: una sua conoscente ha preso Sogni senza occhiali e Caterina Certezza in biblioteca, convinta fossero due libri diversi.

Voi che titolo avreste scelto?

mercoledì 19 novembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #98


«Scusami, ma tu A Good American come lo tradurresti?»

«Beh, non mi sembra ci siano così tante alternative, no? "Un buon americano" o "una buona americana", dipende un po' se stiamo parlando di uomo o di una donna».
«Eh, è quello che ho pensato anche io. Solo che poi mi è venuto il dubbio che avesse, che so, qualche significato nascosto o gergale».
«Perché ti è venuto il dubbio?»
«Perché ho visto come è stato reso il titolo in italiano».

Questo è il dialogo avvenuto poche ore fa tra me e una mia amica. Ho visto questo libro, La locanda del tempo e dell'amore di Alex George, edito da Frassinelli con la traduzione di L. M. Cantarelli, online, mentre curiosavo tra i libri consigliati per Natale nei vari store online. Un titolo strano, che si vede lontano un miglio non possa essere quello originale. Ho allora cercato la versione inglese e scoperto che si intitola appunto A Good American. Un buon americano o una buona americana (non conosco la trama, quindi non so dire se sia declinato al maschile o al femminile). Facilissimo da tradurre. E completamente diverso in italiano. Capite anche voi perché mi è venuto qualche dubbio, no?
Oltre al titolo quasi da denuncia (perché piazzare "l'amore" in copertina, che in qualche modo classifica il romanzo in una determinata tipologia di genere a cui magari la trama nemmeno corrisponde?), la Frassinelli non ha avuto pietà nemmeno per la copertina. Avrebbero potuto limitarsi alla tromba. Ancora ancora avrei accettato anche quella specie di bolla che dalla tromba esce. Ma la donna di profilo, perché?


Titolo originale: A Good American
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: La locanda del tempo e dell'amore
Autore: Alex George
Traduttore italiano:  L. M. Cantarelli
Editore italiano: Frassinelli

mercoledì 12 novembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #97


Ancor prima di parlarvi, nel bene o nel male, del cambio di titolo di questo libro, devo confessarvi che la copertina italiana, sebbene sia molto diversa dall'originale, mi fa impazzire. Sarà che ho un debole per i peluche (vedi ultima recensione), ma la prima volta che ho visto questo libro di Maddie Dawson in libreria, con quel panda lì seduto, stavo per comprarlo a scatola chiusa. Poi però ho letto la quarta, il titolo originale e ho deciso che forse era il caso di aspettare ancora un po'.
Il titolo originale, The opposite of maybe, letteralmente si può tradurre con "Il contrario di forse". Che suona effettivamente un po' strano, nella nostra lingua. Come la Giunti abbia fatto, da questa stranezza, ad arrivare a Non c'è niente che non va, almeno credo, onestamente non riesco nemmeno a immaginarlo. Però, per quanto sia sempre una fervente sostenitrice dei titoli originali e sia contraria a ogni cambiamento, soprattutto se tanto evidente, devo ammettere che il titolo italiano non mi dispiace più di tanto. Ma forse è colpa del panda, che mi distrae.

Titolo originale: The opposite of maybe
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Non c'è niente che non va, almeno credo
Autore: Maddie Dawson
Traduttore italiano:  Roberta Zuppet
Editore italiano: Giunti

mercoledì 29 ottobre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #96


Questa volta non so davvero se ridere o piangere. È terribile il titolo italiano, con la solita struttura della frase (ma un "In cerca di me" o un "Cercandomi"era troppo difficile?) e ancor più terribile la copertina, ennesimo esempio della scarsa fantasia e della standardizzazione che ormai si trova in certi tipi di libro.
Possibile che nessuno si ribelli?

Titolo originale: Looking for me
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: La bottea dei sogni smarriti
Autore: Beth Hoffman
Traduttore italiano:  F. Merani
Editore italiano: Piemme

mercoledì 24 settembre 2014

Due titoli un solo libro: ma perché? #93

Puntata speciale questa settimana della rubrica di confronto tra titolo originale e traduzione. Speciale perché torno a parlare di una casa editrice che già una volta è stata protagonista di questa rubrica senza aver digerito troppo il mio commento, ma anche perché è uno di quei casi in cui uno stesso libro si ritrova ad avere ben tre titoli diversi.
Vediamo di partire dall'inizio. Nel luglio del 2010 esce THE HUNDRED-FOOT JOURNEY dello scrittore americano Richard C. Morais.
Il romanzo racconta la storia di Hassan Haji, cresciuto a Bombay proprio sopra il ristorante di suo nonno. Osservando il nonno e la nonna all'opera, ha imparato a cucinare e così, quando la famiglia si è trasferita prima a Londra e poi a Parigi, a lui è toccato il compito di mettersi ai fornelli nel ristorante che suo padre ha aperto. Ma la proprietaria del locale di fronte, Madame Mallory, non è contenta che il suo ristorante di classe venga invaso dall'odore della cucina indiana.

Il libro viene tradotto tradotto lo stesso anno, da F. Novajra, per la casa editrice Neri Pozza con il titolo MADAME MALLORY E IL PICCOLO CHEF INDIANO


E' evidente fin da subito la differenza tra l'originale e il titolo italiano. Se fosse stato tradotto letteralmente, avrebbe dovuto intitolarsi qualcosa come "Un viaggio lungo cento passi". Un titolo che, effettivamente, in italiano non suonava poi così, e che quindi si è scelto di modificare inserendo i due protagonisti: Madame Mallory con il suo nome proprio e Hassan Haji con un "piccolo chef indiano" (anche se immagino che per lavorare nel ristorante sia cresciuto...). Devo ammettere che, prima di scoprire il titolo originale, trovavo quello italiano molto curioso e affascinante (complice anche una stupenda copertina). E anche adesso, tutto sommato, pur essendo contraria a questi cambi di titolo, non lo trovo così male.

Ad agosto di quest'anno è uscito negli Stati Uniti il film tratto da questo libro. Ovviamente il titolo lì è rimasto uguale a quello del libro. In Italia arriverà invece l'8 ottobre e altrettanto ovviamente il titolo è diverso da quello del libro.



Eggià, il libro The Hundred-Foot Journey che in italiano era diventato Madame Mallory e il piccolo chef indiano, arrivato sui grandi schermi si è misteriosamente trasformato in AMORE, CUCINA E CURRY.
Che chi ha scelto il titolo italiano del film non abbia capito che è stato tratto dal libro di Morais? Mi sembra incredibile, onestamente. Forse ha pensato che un titolo un po' più idiota, con l'amore piazzato in bella vista, attirasse di più, Che fare, quindi, se non cambiarlo?

Già questo è sufficiente a farmi arrabbiare. Odio questi strani cambiamenti nelle trasposizioni cinematografiche. Trovo che creino solo confusione.

Ma, come se non bastasse, la Neri Pozza che ha fatto? Ha cambiato il titolo del libro, ovviamente! Quindi un libro uscito quattro anni fa ora ritorna in libreria, in edizione non tascabile ovviamente, con il titolo AMORE, CUCINA E CURRY e una nuova copertina, che non è l'originale, non è quella della prima versione italiana e non è nemmeno quella dei film. Perché?


(Per correttezza segnalo che all'interno della quarta di copertina viene detto che il romanzo è stato originariamente pubblicato con un altro titolo).

mercoledì 17 settembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #92



Approfitto di un'altra graditissima segnalazione di titolo cambiato, questa volta arrivata da Daniela di Un libro per amico, per la puntata di oggi.
Just what kind of mother are you? di Paula Daly racconta la storia di Lisa, madre di tre figli, a cui un giorno la sua migliore amica affida anche sua figlia. Che però, in un attimo di distrazione della donna, scompare nel nulla. 
Il titolo originale letteralmente si potrebbe tradurre con "Ma che razza di madre sei?". Longanesi evidentemente ha giudicato il titolo troppo forte e ha deciso di tradurlo con Da quando sei scomparsa, spostando così l'attenzione dalla madre alla figlia (che i bambini piccoli si sa, scompaiono da soli e di loro volontà). Ha poi cambiato anche la copertina, togliendo la bambina e sostituendola con delle rose gialle un po' sporche, che potrebbero voler dire qualunque cosa. 
Pur non avendo letto il libro e non avendo nemmeno intenzione di farlo in futuro, trovo l'originale molto più inquietante e più adatto alla storia che racconta. L'italiano è, come ormai sempre più spesso accade, banale e privo di coraggio, forse per non urtare troppo la sensibilità delle lettrici-madri. Che però non credo siano sceme e, soprattutto, che si divertano a farsi imbrogliare da un titolo.

Titolo originale: Just what kind of mother are you?
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Da quando sei scomparsa
Autore: Paula Daly
Traduttore italiano:  A. Biavasco; V. Guani
Editore italiano: Longanesi

mercoledì 10 settembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #91


Pensavi eh, cara Sperling & Kupfer che nessuno si sarebbe mai messo a tradurre dallo svedese letteralmente il titolo di questo tuo nuovo libro, ovvero La lettrice che partì inseguendo il lieto fine, per poi far notare a tutti quanto farlocco sia. E pensavi male. Dopo che  questo libro mi è stato gentilmente segnalato (non sia mai che io perda un titolo del genere, tanto ghiotto per questa rubrica) e ho visto quanto già sentito sembrava il titolo italiano, sono andata a cercare l'originale. Poi ho preso quel Läsarna i Broken Wheel rekommenderar, l''ho piazzato su google translator e sperato che non venisse fuori qualcosa di incomprensibile. E invece, il buon google per una volta non spara cavolate (o almeno credo) e mi comunica che letteralmente si tradurre con I lettori a Broken Wheel consigliano.
Che, manco a dirlo, trovo molto, ma molto più bello, perché non si limita a un'unica lettrice ma ne coinvolge tanti, che danno i loro suggerimenti e i loro pareri. E invece no, ancora una volta bisogna attrarre un certo tipo di pubblico, piazzandole addirittura in copertina. Cavolo, ma non siamo mica così sceme, noi lettrici!

Apprezzo invece la scelta di mantenere la copertina originale, davvero molto bella, e che quasi quasi riesce a farmi superare l'assurdità del titolo e farmi venire voglia di leggere il libro. Quasi.

Titolo originale: Läsarna i Broken Wheel rekommenderar
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco:La lettrice che partì inseguendo un lieto fine
Autore: Katarina Bivald
Traduttore italiano:  M. Podestà Heir, R. Nerito
Editore italiano: Sperling & Kupfer

mercoledì 3 settembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #90


Eh niente, proprio non ci riesce la Garzanti a mantenere i titoli originali. E così "La libreria", di Deborah Meyler, un titolo così breve, semplice eppure, per me, molto evocativo, diventa "Lo strano caso dell'apprendista libraia". Lungo e, soprattutto, che richiama immediatamente a Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon.
E già che ci siamo mettiamo anche una bella signorina in copertina, girata di spalle, con una lunga treccia e una maglietta vintage, che fa molto lettrice (sono sicura che se l'avessero messa da davanti anziché di schiena avrebbe avuto gli occhiali e le lentiggini).

Sicuramente questo titolo attirerà tante lettrici... ma di sicuro non me (sì, credo anche io che la Garzanti possa sopravvivere anche senza di me... e questa notizia mi riempie di gioia, perché così posso continuare a parlar male dei suoi titoli farlocchi senza sentirmi troppo in colpa).

Titolo originale: The Bookstore
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Lo strano caso dell'apprendista libraia
Autore: Deborah Meyler
Traduttore italiano: C. Marseguerra
Editore italiano: Garzanti

mercoledì 27 agosto 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #89

  

Stessa copertina, anche se con i colori un po' diversi. Stesso sottotitolo, tradotto abbastanza fedelmente. 
Ma allora perché non sono riusciti a fare la stessa cosa con il titolo? Perché anziché tradurre semplicemente con "Tracce di zampe al chiaro di luna", hanno dovuto scomodare il povero Calvino e il suo Se una notte d'inverno un viaggiatore? Perché, perché, perché?

(Potreste obiettare che io ho fatto la stessa cosa con il nome del blog. Però è ben diverso: il mio è un gentile omaggio, adattato tra l'altro. E soprattutto non avevo un titolo originale in un'altra lingua!)


Titolo originale: Paw tracks in the Moonlinght
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Se una notte d'inverno un gatto
Autore: Denis O'Connor
Traduttore italiano: B. Piccioli
Editore lingua originale: Constable
Editore italiano: De Agostini

mercoledì 16 luglio 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #86

Mi scuso per la pausa della scorsa settimana, ma tra una cosa e l'altra non ho avuto tempo di preparare il post. E piuttosto che fare le cose di fretta, ho preferito saltare, per tornare bella carica questa settimana.

Ed effettivamente per la puntata di oggi ho avuto l'imbarazzo della scelta. Merito anche del magazine inMondadori, recuperato sabato scorso in una libreria, che presenta tutte le recenti nuove uscite. Sfogliandolo sono sicura che noterete subito anche voi almeno dieci libri il cui titolo originale è stato sicuramente cambiato nella traduzione italiana. Ma non potevo parlarvi di dieci libri in una sola puntata, ovviamente. E quindi ho scelto quello che più di tutti mi ha lasciata senza parole... soprattutto perché non ho capito cosa voglia significare!

Il libro in questione è il secondo romanzo di Hannah Richell, da poco uscito per la Garzanti (giuro che non lo faccio apposta, davvero... sono loro che continuano a cambiare i titoli!), con la traduzione di Alba Mantovani e il titolo L'AZZURRO DEL CIELO NON RICORDA


Non starò a raccontarvi la trama, anche perché l'assurdità di questo titolo già da sola è riuscito a farmi passare la voglia anche solo di informarmi sul suo contenuto. Davvero, fatico a capire il senso di questa frase: voleva essere poetica, sicuramente. Sottolineare che succedono talmente tante cose al mondo che presto si dimenticano, che si può andare avanti, che domani è un altro giorno, etc etc però ecco... secondo me è venuto fuori un titolo intricato, complesso, poco immediato e palesemente diverso dall'originale (e poi, mi chiedo, quando il cielo è grigio invece che succede?)
Aprendo il libro e soffermandovi sulla pagina dei dati d'edizione, scoprirete che in originale si intitola in modo molto diverso, ovvero THE SHADOW YEAR


Letteralmente si può tradurre con "L'anno ombra". Che mi rendo conto non essere esattamente un bel titolo... però almeno se ne capisce il senso, oltre ad essere quello con cui l'autrice lo ha originariamente pubblicato. In italiano si sarebbe potuto rendere con "l'anno oscuro" o qualcosa di simile, ad esempio. Invece si cambia radicalmente, introducendo anche un colore, l'azzurro, che cozza con "l'ombra" (quindi qualcosa di oscuro, di buio) dell'originale. Capisco voler essere ottimisti e positivi, ma così secondo me si esagera.

La copertina invece questa volta è abbastanza simile, anche se cambiano i colori e compare anche il viso della signorina che si bagna i piedi.

mercoledì 2 luglio 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #85

Protagonista della puntata di questa settimana della rubrica di confronto tra titolo originale e sua traduzione è un libro fresco fresco di stampa.
Ancora una volta, mi è bastato vedere il titolo e la copertina per rendermi conto che quasi sicuramente si era di fronte all'ennesimo cambiamento arbitrario a fini puramente commerciali.

Il romanzo in questione è UNA PICCOLA LIBRERIA A PARIGI di Nina George, da poco pubblicato dalla casa editrice Sperling&Kupfer con la traduzione di V. Rancati

Protagonista è un librario, proprietario di una libreria galleggiante sulla Senna,  una sorta di Farmacia letteraria in cui vende i libri per curare qualunque sofferenza. Qualunque, tranne quella che ha causato a lui la scomparsa della sua fidanzata, che l'ha lasciato una mattina mentre lui dormiva con una semplice lettera che non ha mai avuto il coraggio di leggere. Quando l'aprirà, partirà per un viaggio in Provenza, in cerca di ricordi.

Il titolo originale del libro è però ben diverso. Il romanzo è infatti uscito in Germania nel 2013 come DAS LAVENDELZIMMER


Il titolo si può tradurre letteralmente come "La stanza color lavanda" (in realtà la mia personalissima traduttrice rampante dal tedesco, che ho consultato prima di scrivere qualche cavolata, dice che potrebbe tradursi anche come "La stanza della lavanda"). 

Vediamo quindi che nel titolo originale non compare Parigi, città che per questo genere di romanzi sta diventando inflazionata tanto quanto Tiffany. E non compare nemmeno il riferimento a una "libreria",   luogo magico per i lettori che nei titoli italiani viene spesso sfruttato, anche a sproposito, perché si sa  che è molto evocativo. 
La Sperling & Kupfer ha probabilmente pensato che non ci potesse essere nulla di meglio per attirare il lettore di piazzare Una libreria a Parigi? E mettiamole anche un aggettivo, già che ci siamo, così da non perdere il contatto con i titoli standardizzati che hanno invaso i nostri scaffali ultimamente.

Il titolo originale pone l'attenzione su un altro punto della trama, ovvero la ricerca dell'amata da parte del protagonista, ricerca che lo spinge fino in Provenza. Sicuramente nel romanzo la libreria c'è e svolge un ruolo non del tutto secondario, quindi il titolo italiano non è del tutto privo di senso. Però, ecco, dall'originale pare che il fulcro della storia non sia quello.

E poi sta donna di spalle circondata da pagine svolazzanti di libri in mezzo a un parco onestamente è inguardabile.

mercoledì 25 giugno 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #84

Credo che ormai abbiate capito che, se in un periodo mi fisso con un autore, ve ne parlerò continuamente, ovunque e il più possibile fino a naturale esaurimento di questa fissa. Quella di Moehringer pensavo mi fosse quasi passata, avendo esaurito i romanzi suoi da leggere (ok, manca ancora Open) finora pubblicati qui in Italia. E davvero ero convinta che per un po' non avrei più citato il suo nome se non per consigliarlo a chi me lo chiedesse esplicitamente. Però poi ieri chiacchierando di libri con una mia collega è venuto fuori di nuovo il suo nome, le ho consigliato i suoi libri, lei mi ha detto che uno lo aveva già letto e adorato e che, visto il mio entusiasmo, avrebbe sicuramente letto anche il secondo. Dopo questo dialogo mi è venuta di nuovo voglia di parlare di Moehringer. Fortuna vuole che i titoli dei suoi due libri pubblicati in italiano siano diversi dagli originali. E quindi ho una scusa più che valida per potervene parlare!

Il primo libro di Moehringer, giornalista americano che ha vinto il premio Pulitzer per un suo reportage, è THE TENDER BAR, pubblicato in lingua originale nel 2005 e poi tradotto in italiano da Annalisa Carena lo stesso anno per la Piemme, con il titolo IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE




Il romanzo è una sorta di autobiografia, in cui Moehringer racconta la sua infanzia e la sua giovinezza, ripercorrendo tutta la strada che lo ha portato a diventare un giornalista. Fulcro della sua infanzia è il bar Dickens, poi ribattezzato Publicans, in cui il ragazzino si rifugiava dai problemi di famiglia.

Ammetto di avere qualche difficoltà con la traduzione del titolo originale. Mi verrebbe da dire che si potrebbe tradurre con "il barista" (anche se sarebbe più "bar tender" che non "tender bar").
In ogni caso il titolo italiano è ben diverso. Si è scelto infatti di mantenere più evidente il riferimento letterario del locale, che, come abbiamo visto, si chiamava Dickens, adattando un titolo di questo scrittore, Grandi speranze. Una scelta che trovo abbastanza comprensibile e azzeccata, sebbene diversa dall'originale.

Nel 2012, più o meno in contemporanea con Open, esce in lingua originale il suo secondo libro SUTTON. La traduzione italiana arriva all'inizio del 2013, sempre per Piemme ma questa volta ad opera di G. Zucca, con il titolo PIENO GIORNO


Il libro racconta la storia di Willie Sutton, uno dei più famosi ladri d'America del '900.
Ovviamente il titolo originale riprende il cognome del protagonista, senza aver bisogno di ulteriori spiegazioni in quanto in America era conosciuto da tutti. In italiano invece si elimina questo riferimento diretto dalla copertina, probabilmente perché non si sarebbe capito e non avrebbe quindi attratto più di tanto l'attenzione del lettore. Si è scelto di utilizzare "Pieno giorno", in riferimento a una frase che il protagonista dice più di una volta all'interno del libro (non so voi, ma io mi esalto tantissimo quando durante la lettura arrivo al momento in cui si capisce il significato del titolo). Un cambiamento abbastanza drastico, certo, ma che trovo anche funzionare.

Che ne pensate?
E, soprattutto, cosa aspettate a leggere questi due bellissimi libri?