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mercoledì 13 aprile 2016

PaperAmleto e altre storie ispirate a William Shakespeare

Quest’anno ricorre il quattrocentenario della morte di William Shakespeare. Il 23 aprile 1616, infatti, si spegneva il drammaturgo più famoso di tutti i tempi. Anche chi non ha mai aperto un libro e a chi di teatro e di letteratura non importa assolutamente nulla, conosce William Shakespeare e sa citare almeno una battuta di una delle sue celebri tragedie. Un po’ perché alcune espressioni sono diventate di uso comune (una fra tutte “dubbio amletico”), un po’ perché dalle sue opere sono stati tratti in passato (e ancora oggi in realtà) moltissimi film, un po’ perché «ehi, Shakespeare è Shakespeare, tutti sanno chi è».
Molte sono state le iniziative lanciate per questo quattrocentenario: rappresentazioni teatrali, nuove uscite cinematografiche, gruppi di lettura delle sue opere, mostre, convegni e documentari. E poi anche PaperAmleto e altre storie ispirate a William Shakespeare uscito da pochissimo per Giunti, nella collana I capolavori della letteratura Disney.

Il mio Shakespeare Little Thinkers insieme alla raccolta in suo onore
Da bambina, come un po’ tutti credo, ero una grande divoratrice di Topolino. I miei genitori ci avevano anche regalato l’abbonamento, a me e a mio fratello, e per diversi anni abbiamo aspettato il mercoledì con ansia per poi litigare su chi aveva diritto a leggerlo prima. 
E ora, anche se siamo grandi, io e il mio compagno siamo di nuovo abbonati. 
Il Topolino e i fumetti Disney in generale hanno formato e ancora formano intere generazioni di ragazzini. Sembrano solo fumetti, vignette che van ben da leggere in bagno o in spiaggia, ma in realtà c’è molto, molto di più.
Il legame con la letteratura è presente da sempre. Mi ricordo che, sempre da bambina, per Natale un anno mi ero fatta regalare I promessi paperi, un’antologia che raccoglieva alcune storie ispirate ai grandi capolavori della letteratura italiana rivisitati in chiave paperosa e topolinosa. Poco dopo anche la PaperOdissea, il cui nome dovrebbe già dirvi tutto.
Potete immaginare quindi cos’abbia provato l’altro giorno quando, entrando per caso in libreria, mi sono trovata di fronte PaperAmleto. Mi è bastato vedere la copertina per andare alla cassa e comprarlo (una delle cose belle di queste raccolte di fumetti è che sono molto curate esteticamente senza avere però dei prezzi folli. Questa nello specifico costa 9.90€).

Poi ieri sera ho finito il libro che stavo leggendo e, nell’attesa di decidere cosa iniziare dopo, mi sono messa a sfogliare questo volume. Sono partita da Brigitta e il sogno di una notte di mezza estate e ho finito per leggere tutte e cinque le storie che lo compongono: PaperinAmleto principe di Dunimarca (che è una storia del 1960), Paperon Bisbeticus Domato (del 1998), Paperino Mercante di Venezia (del 1982) e L’amorosa istoria di Papero Meo e Gioietta Paperina (del 1977).

Credo sia inutile dire che mi sono divertita un sacco. Certo, le tragedie sono adattate per un pubblico di ragazzini (in sostanza, a parte uno di indigestione, non muore mai nessuno) e semplificate all’inverosimile. Però devo dire che tutto funziona comunque alla perfezione e in perfetto stile Disney. A parte La bisbetica domata, ho ovviamente già letto tutte le opere originali a cui queste storie si ispirano e devo dire che certe modifiche mi hanno fatto davvero sorridere (ero un po’ preoccupata di come avrebbero rappresentato Paperino Mercante di Venezia e quella libbra di carne attorno a cui ruota tutta l’opera shakesperiana).

È una raccolta di storie molto bella questa PaperAmleto e altre storie ispirate a William Shakespeare. Alcune, ovviamente, sono molto vecchie e un po’ si vede, sia dal tratto dei disegni sia dal linguaggio dei vari personaggi. Quindi non sono sicurissima che un bambino queste le apprezzerebbe. Però per i bambini un po’ più lungimiranti è sicuramente un buon primo approccio alle opere shakespeariane e a un grande della letteratura mondiale (grazie anche alla biografia dell’autore messa in calce al libro… due paginette fatte davvero molto bene!). 
Per gli adulti e gli amanti di Shakespeare, che sanno non prendersi troppo sul serio e che da bambini amavano il Topolino, è invece un gran bell'omaggio, una piccola e divertentissima perla che, secondo me, lo stesso Shakespeare avrebbe apprezzato molto.

"Confermo, apprezzo"
Concludo con tre informazioni: la prima è che il 23 aprile del 1616 è morto un altro grande della letteratura mondiale, Miguel de Cervantes (sì, lo so, qualcuno dice che in realtà lui sia morto il 22, ma preferisco immaginare che si siano dati appuntamento e siano morti lo stesso giorno). So che esiste una versione Disney anche del Don Chisciotte e spero che Giunti la riproponga presto.

La seconda è che ho già in casa anche il secondo volume della collana I capolavori della letteratura, ovvero Paperino e I tre moschettieri, che leggerò sicuramente a breve anche se devo confessarvi (qui, con un po’ di vergogna) che di Alexandre Dumas non ho mai letto nulla.

La terza è che, proprio in onore della morte di Shakespeare e Cervantes, il 23 aprile è La giornata mondiale del libro e del diritto d’autore. Molti di voi lo sapranno già, ovviamente. Ma quale occasione migliore per regalare un libro (o un fumetto paperoso)?

Titolo: PaperAmleto e altre storie ispirate a William Shakespeare
Pagine: 193
Editore: Giunti editore - I grandi capolavori della letteratura Disney
Prezzo di copertina: 9,90€
Acquista su Amazon:

giovedì 27 agosto 2015

QUASI ARZILLI - Simona Morani

I libri con protagonisti anziani vanno un po’ di moda, ultimamente. Sdoganati dal successo di Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Jonas Jonasson, molte case editrici hanno pubblicato almeno un romanzo con questo tema negli ultimi anni. Non che ci sia niente di male, sia chiaro, perché, rispetto ad altre mode, danno voce a persone e contesti che spesso voce non ce l’hanno. Il rischio della ripetitività, però, è molto alto e di conseguenza lo è la necessità di scrivere qualcosa di davvero originale, per riuscire a non creare nel lettore quella sensazione di già letto.
Io ne ho letti molti, di libri con anziani protagonisti. E i miei preferiti sono sicuramente quelli italiani. La banda degli invisibili di Fabio Bartolomei, primo fra tutti. Forse perché li sento più vicini, forse perché a volte in quelli stranieri le situazioni sono talmente tanto assurde che è un po’ più difficile appassionarcisi.

Quasi arzilli di Simona Morani, pubblicato quest'anno dalla casa editrice Giunti, mi ha attirato fin dalla prima volta che l’ho visto in libreria, complice sicuramente la copertina davvero ben riuscita e la citazione tratta dal Paradiso degli orchi di Pennac piazzata in apertura.



Il libro racconta di un gruppo di anziani amici che è solito ritrovarsi al bar La Rabla, in un paesino nel cuore dell’appenino reggiano: c’è Ettore, che non ha mai avuto una donna, ha difficoltà a dormire e visita tutti i giorni il medico del paese; c’è Riccardo, con il suo sacchetto intestinale sfoggiato con orgoglio in ogni occasione, anche quelle meno consone; c’è Cesare che si rifugia al bar ogni volta che può per sfuggire alle angherie della moglie Irma; c’è Basilio e il suo orgoglio partigiano; c’è Gino, il novantaseienne Gino, che una guida spericolato un ape car per le vie del paese, sebbene non ci veda più niente. E prima c’era anche Ermenegildo, ma da poco se n’è andato, gettando il gruppo di amici nello sconcerto. Ettore, soprattutto, sembra quello più colpito dalla notizia. La vita comunque deve continuare e il gruppo di amici si ritrova sempre al bar di Elvis, a bere sambuca e a scommettere su per chi stanno suonando a morto le campane. Finché non giunge la notizia che sta per aprire in paese Villa Cipressi, una nuova casa di riposo. E pare proprio che il giovane e solerte vigile urbano comunale Corrado voglia spedirci tutta la combriccola del bar La Rabla. Che non è che si faccia proprio prendere facilmente.

Quasi arzilli è un libro a tratti molto divertente, a tratti molto dolce, a tratti molto triste. È molto bello il rapporto tra questo gruppo di amici e il modo in cui le caratteristiche di ognuno sono sviluppate. Soprattutto il personaggio di Gino, con la sua fantastica Apecar, e quello di Ettore, forse il più riflessivo del gruppo e che, nonostante l’età, proprio non vuole rinunciare al suo sogno d’amore e ad aiutare gli altri. Ma bello è anche il rapporto di coppia tra Cesare e Irma e la bella relazione tra il rosso Basilio e la nipote che lo adora. Non sono anziani soli, perché anche quando non hanno parenti accanto (o ce li hanno solo d’estate) hanno loro stessi, pronti ad aiutarsi, a gioire e a soffrire tutti insieme.
Leggendo Quasi arzilli si sente l’affetto che Simona Morani prova nei confronti delle persone che le hanno ispirato questo libro e questi personaggi. E sono tanti i temi che sceglie di trattare, dall’amore all’amicizia, dal rapporto genitori-figli alla solitudine e la morte. Forse addirittura un po’ troppi, per l’esiguo numero di pagine del libro.

Nel complesso, comunque, è un libro divertente e commuovente, scritto bene e molto piacevole da leggere. E soprattutto non c’è quell'effetto di ripetitività che, come si diceva all'inizio, spesso affligge i romanzi di questo filone. Insomma, se vi piace il genere e avete voglia di ridere e piangere un po’, Quasi arzilli fa decisamente per voi.

Titolo: Quasi arzilli
Autore: Simona Morani
Pagine: 175
Editore: Giunti
Anno: 2015
Acquista su Amazon:
formato brossura:Quasi arzilli
formato ebook: Quasi arzilli

venerdì 26 giugno 2015

LE ANATRE DI HOLDEN SANNO DOVE ANDARE - Emilia Garuti



Per poter recensione in modo onesto di Le anatre di Holden sanno dove andare di Emilia Garuti, devo innanzitutto fare due piccole premesse personali.

La prima è che tra una settimana compio trent'anni e, per quanto io mi senta ancora ragazzina dentro e mi sembri ieri che io abbia preso la patente, è innegabile che un certo distacco verso tutte quelle cose che si fanno a diciotto-venti c’è.  Si cresce e cambiano, ovviamente, le priorità.
La seconda cosa è che la mia vita tra i sedici e i vent'anni è stata un po’ atipica. Facevo su e giù tra un ospedale e l’altro per seguire mio padre; ero dovuta diventare indipendente molto in fretta perché i problemi in casa erano altri e ben più gravi di quelle che potevano essere le turbe di un adolescente; non avevo tanti amici (più per colpa mia che per colpa loro, in realtà); studiavo un sacco, forse per distrarmi e per non dare ulteriori problemi; e ho dovuto scegliere l’università praticamente da sola (chiedendo a mio padre, ormai verso la fine, di alzare un braccio o l’altro se era o meno d’accordo con le mie scelte). Insomma, non posso certo definire la mia post adolescenza un periodo normale. (Ci sono state anche cose belle, ovviamente, perché nel male e nel dolore a volte ci sono anche quelle).
Ecco, credo che queste due premesse siano fondamentali per comprendere come mai Le anatre di Holden sanno dove andare non mi sia piaciuto.

Il libro, scritto in forma di diario, racconta la storia di Willelmina, che da tutti sa fa chiamare Will perché il nome originale è davvero terribile.  Will ha appena finito le scuole superiori e deve decidere che università frequentare. Come tutte le ragazze e i ragazzi della sua età, insomma. Solo che lei nel mentre va anche da una psicologa, da cui i genitori l’hanno mandata per cercare di risolvere alcuni suoi “problemi” emotivi. Di seguirla loro non ne hanno alcuna voglia, sono troppo impegnati a fingere di essere una famiglia perfetta in pubblico e a odiarsi dopo. Ma sta psicologa a Will non è che stia poi così simpatica, forse proprio perché vuole aiutarla. Un giorno, però, nella sala d’aspetto incontra Matteo, che ha anche lui i suoi problemi, ma che sembra volersi occupare anche di quelli di Will. E insieme, forse, riusciranno a guarire entrambi. 

Per la maggior parte della lettura avrei voluto prendere la protagonista a schiaffi. O darle almeno un qualche scossone. Perché è vero che ognuno reagisce ai problemi in modo diverso, è vero che la paura può colpire chiunque in ogni momento e toglierci il fiato, anche per cose stupide, così come è vero che scegliere l’università, se non si hanno tanto le idee chiare, è un momento importante e difficile. Però, che cavolo, a diciannove anni si dovrebbe essere in grado di sopportare tutto questo. Soprattutto considerando che Will è tutto fuorché sola. È vero, i genitori non la seguono (non che lei abbia mai provato a parlarci veramente), ma ha tante amiche che la cercano, con cui esce, ma che ai suoi occhi hanno la colpa di sapere già cosa fare nella loro vita.
Il linguaggio è sicuramente fresco e spontaneo, in alcuni punti anche molto intelligente. Devo dire, però, che da come era stato lanciato, un romanzo che, come dice la quarta, non vuole “scadere negli stereotipi della giovinezza,  da questo libro mi aspettavo qualcosa di meglio, qualcosa di più. Di molto di più.  Gli stereotipi ci sono tutti, secondo me. La ragazza contro. La ragazza che si sente incompresa. La ragazza che ha problemi con i genitori. La ragazza che sa tutto di letteratura eppure non sa cosa fare della sua vita, etc… etc.. etc… 

Ma ora devo riportare alla mente le mie due premesse. Sto invecchiando e non ho avuto una post -adolescenza normale. Quindi non lo so se i giovani di oggi sono così e se il libro a loro, reale target, potrebbe piacere oppure no. Non so, insomma, se sia un problema mio o un problema del libro. 

So, però, che a me non è piaciuto e, soprattutto, che Il giovane Holden io, per un libro così, non lo avrei disturbato.

Titolo: Le anatre di Holden sanno dove andare
Autore: Emilia Garuti
Pagine: 141
Editore: Giunti editore
Acquista su Amazon:

mercoledì 3 giugno 2015

IL LIBRO DI JULIAN. A WONDER story - R.J. Palacio



Voi lo avete letto Wonder di R.J. Palacio? Quel  bel romanzo per ragazzi che racconta la storia di August, Auggie per gli amici, un  ragazzino da una malattia congenita che comporta la deformazione di parte del viso. In quel romanzo, ci viene raccontato quando il ragazzino, di un’intelligenza e ironia fuori dal comune, entra per la prima volta a scuola, dopo aver sempre studiato a casa. Si vedono le reazioni dei compagni e dei loro genitori, le difficoltà che si ritrova ad affrontare ma anche le belle cose che piano piano, passata la diffidenza, gli succedono. E parla, ovviamente, di bullismo. Quello che Julian gli infligge.
Un libro intenso nella sua semplicità, per ragazzi ma anche per adulti, che aveva una particolarità. Ogni capitolo infatti era narrato da un personaggio diverso, così da offrire più punti di vista sulla vicenda. L’unico a non intervenire mai era proprio Julian, il bullo, il bambino “cattivo”, con i genitori sempre pronti a difenderlo, che tanto ha tormentato Auggie. R.J. Palacio ha detto di non averlo voluto inserire per non dare troppa voce e troppo spazio al bullismo, e per non offendere i sentimenti dei lettori con problemi simili a quelli di Auggie. Poi però ha cambiato idea, e ha scritto Il libro di Julian.

Julian è un bambino un po’ viziato, un leader nato, sempre accontentato in tutto dai suoi genitori. Ha però un piccolo segreto, che lo accompagna da quando era piccolino: di notte gli capita di essere tormentato da incubi terribili, con mostri deformi, che gli lasciano addosso un senso di ansia e angoscia.  Incubi che sembravano essere passati, finché non gli viene chiesto di fare da tutor a questo nuovo bambino che arriva nella scuola. August, appunto.  Per combattere questa sua paura,  riesce a fare solo una cosa: prenderlo in giro, isolarlo, chiamarlo “scherzo della natura”,  fino ad arrivare a scrivere dei bigliettini con minacce di morte, che costringono il preside a sospenderlo. I genitori di Julian, infuriati, lo difendono e accusano la scuola di non aver gestito al meglio l’ingresso del nuovo ragazzino, di aver fatto favoritismi e di non rispettare gli altri.
Ci vorrà l’intervento della nonna francese di Julian, che gli racconterà una storia che non ha mai raccontato a nessuno, sul suo passato durante l’occupazione nazista e su chi l’ha aiutata a salvarsi, per far prendere consapevolezza al bambino di avere sbagliato e ai genitori di avere un tantino esagerato.

Anche Il libro di Julian è, ovviamente, un romanzo per ragazzi. Forse anche un tantino di più di quanto non lo fosse Wonder, perché non va poi così a fondo nel raccontare le motivazioni di Julian e la follia (non mi viene altro termine, scusate) dei suoi genitori. Ed è una scelta comprensibile, perché l’argomento è difficile da affrontare con i termini giusti, senza offendere nessuno, visti quanti bambini bulli e quanto genitori che li giustificano senza se e senza ma ci sono al mondo.

Da lettrice adulta, però, ho avuto l’impressione che questa scelta, questo andarci così cauti, penalizzi un po’ il messaggio che il libro vuole trasmettere, arrivando a dare a volte l’impressione che si giustifichi i gesti di Julian e dei suoi genitori.
Certo, un bambino non è cattivo a prescindere ma succede qualcosa perché lo diventi. Così come i genitori che le danno tutte vinte ai figli e che li difendono sempre e comunque è perché cercano ad ogni costo di fare il loro bene, e sono disposti a calpestare chiunque per ottenerlo. Però questa è una visione davvero troppo semplice. Forse a R.J. Palacio è mancato un po' di coraggio, per andare davvero a fondo in un argomento così complesso. Ed è un peccato, perché di libri che affrontano il tema del bullismo ce ne sarebbe proprio bisogno, di questi tempi.

In ogni caso, il libro è scorrevole e piacevole da leggere. Soprattutto nella parte finale, quella che chi ha letto Wonder ancora non conosceva, quando Julian parla con sua nonna e finalmente prende consapevolezza di sé, di quello che ha fatto, ma anche della vita in generale. 

La cosa buona della vita Julian è che qualche volta possiamo rimediare ai nostri errori. Impariamo, dai nostri errori. Miglioriamo.

Insomma, è un libro carino, molto lontano da quanto mi era piaciuto Wonder, ma comunque godibile, soprattutto se da adulti riuscite a leggerlo come se foste bambini, senza pensare troppo.
Sarei davvero curiosa, ora, di vedere le reazioni di bambini bulli e genitori sempre pronti a difendere i propri figli di fronte a questa lettura. 

Titolo: Il libro di Julian
Autore: R.J. Palacio
Traduttore: Alessandra Orcese
Pagine: 125
Editore: Giunti editore
Acquista su Amazon:

lunedì 18 maggio 2015

#GiuntialSalTo, ovvero una giornata al Salone del libro in compagnia di Giunti Editore

Prendete un gruppo di blogger, ognuna di esse dotata di smartphone o di Tablet. Prendete una casa editrice, la Giunti editore, e il suo stand presso la fiera dell’editoria più grande d’Italia, il Salone internazionale del libro di Torino. Aggiungeteci una serie di incontri con gli autori e un hashtag, #GiuntialSalTo, con cui condividere con il popolo di twitter questi incontri. 
Il mio primo giorno al Salone del Libro di Torino si può riassumere con questi semplici elementi. Nella giornata d’apertura, giovedì 14 maggio, sono stata invitata a seguire su twitter e i social network l’attività della casa editrice Giunti.

L’invito è stato per me un’immensa gioia, ma, devo ammettere, all'inizio anche fonte di un po’ di paura: e se non c’è campo? E se sbaglio gli hashtag? E  se twitto cose sceme? E se la batteria del cellulare si scarica? 
Fortunatamente non è successo nulla di tutto questo. Dentro al Salone la rete funzionava, dopo un paio di errorini, ho imparato a scrivere #SalTo invece di #Salto, la batteria del telefono ha retto molto più di quanto immaginassi (sono riuscita ad avvisare a casa la partenza dal Salone, prima che morisse) e twittare in diretta mi ha divertito molto.
E ora sono qui, a raccontarvi senza limiti di 140 caratteri, come è stata la mia giornata all'insegna di #GiuntialSalTo.

Il primo incontro a cui ho assistito è stato con Silvia Vecchini che, presso la spazio OpLab all’interno del BookStock Village, ha presentato a una classe delle scuole medie il suo Le parole giuste.
Un libro che parla di dislessia e dei problemi che i ragazzini di oggi si ritrovano ad affrontare: la protagonista è Emma, ha delle serie difficoltà a leggere e scrivere, ma non vuole dirlo ai suoi genitori, che già devono affrontare un problema ben più grande. Il padre di Emma, infatti, dovrà sottoporsi a un trapianto di rene e, vista la mancanza di un donatore compatibile, i genitori optano per una scelta difficile e pericolosa.  
Emma sa della situazione, ma non si rende forse conto di quanto sia grave, anche perché i suoi genitori credono che non sia ancora il caso di consultarla. La ragazzina, che si ispira a una ragazzina amica diSilvia Vecchini, lotta quindi con il suo problema, ma anche con il mondo circostante e le difficoltà che presenta. Finché non viene inserita in un gruppo di recupero per ragazzi con problemi dell’apprendimento, in cui, dopo una reticenza iniziale, a poco a poco prenderà consapevolezza che le sue difficoltà non dipendono da lei.

Silvia Vecchini 
La cosa più bella in assoluto di questo incontro con Silvia Vecchini  è stato vedere questa classe di ragazzini, più o meno coetanei della protagonista, seduti per terra attorno a lei ad ascoltarla attenti e interessati. Non so se loro avessero letto il libro prima di incontrarla. Io sicuramente no. Però sono sicura che, come me, molti di loro una volta alzatisi abbiano avuto voglia di tuffarsi in Le parole giuste. E che si siano sentiti in qualche modo un po’ meno soli.

Dopo la presentazione di Silvia Vecchini, e un lungo giro di acquisti per il Salone, ci siamo ritrovati tutti presso lo stand Giunti, accolti, oltre che dallo staff, da un gigantesco C1P8 in compagnia di uno Stormtrooper. Eh sì, con l’acquisizione della Lucas Art da parte di Disney, tutto il merchandising di Guerre Stellari è passato alla Giunti. Per la gioia mia e di tutti gli appassionati di cavalieri jedi.

All'interno dello stand abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Beatrice Fini e Donatella Minuto, rispettivamente direttrice editoriale ed editor della casa editrice.
Parlare con Beatrice Fini mi ha permesso di scoprire qualcosa in più sulla linea editoriale e sulla “politica” della casa editrice al momento della scelta dei libri da pubblicare. 
Il passato di Giunti è legato alla saggistica. Quando è nata, c’era solo una collana dedicata alla narrativa, la Astrea, ed era prettamente femminile: si pubblicavano scrittrici di un’epoca passata, interessate soprattutto alla condizione delle donne (e in casa ho effettivamente qualche volume di questa collana, tra cui ricordo con piacere Il tempo delle farfalle di Julia Alvarez o Inseguendo l’amore di Nancy Mitford). 
Dopo vent'anni questa collana è stata chiusa, perché ha forse esaurito un po’ il suo scopo iniziale, ma la narrativa Giunti si è espansa, continuando però ad essere indirizzata verso le donne. "Crediamo nelle donne che fanno il bilancio tra i ruoli, mamma, donna, manager” e che sono anche grandi lettrici.
Sono loro (anzi, siamo noi) quelle che leggono di più in Italia e quindi ogni editore dovrebbe avere una collana a loro rivolta. Da lì è nata la collana A, in cui viene pubblicata principalmente narrativa straniera, con un ottimo rapporto qualità prezzo e una certa riconoscibilità (fondamentale per creare una fidelizzazione del lettore, certo, ma anche un’identità per l’editore).
Beatrice Fini ha presentato anche le altre collane: la M, dedicata ai thriller e alla narrativa di genere, con un occhio attento anche verso il noir italiano, e quella di “letteratura di qualità”  (“che è una brutta definizione, perché noi crediamo nella qualità e nel valore di ogni singolo libro che pubblichiamo, ma è il modo in cui la chiamiamo noi per capirci”), gestita da Benedetta Centovalli, in cui si cerca di valorizzare gli esordienti da un punto di vista non solo di trama, ma anche di temi e di stili (e tra questi si segnala ad esempio Clara Sereni, con il suo Via Ripetta 155, e di cui a breve la Giunti ripubblicherà anche le opere passate).
In Giunti fondamentale è il riscontro dei lettori. Un riscontro che ottengono grazie alle opinioni che arrivano direttamente dalle loro libraie (sì, perché la maggior parte delle librerie Giunti sono gestite da donne), ma anche dal confronto diretto con i lettori tramite i social network e i blog. Confrontarsi con il pubblico è importante, fondamentale per un editore, perché la lettura deve essere un piacere e “risponde alle esigenze di chi legge”. 
La chiacchierata con Beatrice Fini si è conclusa con la fatidica domanda “Siamo ancora più un popolo di scrittori che di lettori? E cosa si può fare per cambiare questa tendenza?”. Lei ha risposto “sì, abbastanza”, ed è sufficiente vedere i dati di lettura e l’impressionante numero di manoscritti che arrivano ogni giorno sui tavoli degli editori, ma anche il numero di opere autopubblicate. Per cambiare la tendenza bisogna partire dai bambini, dalle scuole, svecchiando un po’ il sistema in cui certi libri vengono spiegati, evitando imposizioni e schede di lettura, che tolgono tutto il piacere della lettura.

Poi è arrivato il turno di parlare con la editor Donatella Minuto, che ha raccontato del libro Le anatre di Holden sanno dove andare, di Emilia Garuti
Ammetto che la prima volta che ho visto il titolo ho storto un po’ il naso. Vuoi perché per me Salinger e il suo Il giovane Holden sono mostri sacri, vuoi perché l’autrice del libro è molto giovane (sì, lo so, questo è un mio pregiudizio… che a breve spiegherò come mi è stato smentito), ho davvero temuto che in Giunti fossero impazziti. E come me credo molti altri amanti di Holden. 
Parlando con Donatella Minuto, però, ogni cosa è andata al suo posto e ho capito che il titolo un senso ce l’aveva eccome, oltre a dimostrare un grande rispetto e una grande conoscenza di Salinger da parte di questa giovane autrice. 
La protagonista di Le anatre di Holden sanno dove andare parla del disagio dei diciottenni di oggi, di quelli che non seguono le mode e gli stereotipi e si trovano un po’ nel panico nel momento di dover crescere e prendere decisioni. La protagonista, Willelmina, odia tutti, non riesce a trovare il suo posto nel mondo. Il suo mito è proprio il giovane Holden e lei, che si sente così spaesata e in difficoltà, dice che persino le anatre del lago ghiacciato di Central Park, la cui sorte tanto preoccupa Holden, sanno dove devono andare a svernare. Solo lei è così persa e senza meta. Finché i suoi, preoccupati, non decidono di mandarla dallo psicologo e qui farà la conoscenza che cambierà la sua vita.
Il romanzo è arrivato in Giunti via mail, direttamente dall'autrice. E subito si sono accorti del suo potenziale, della sua forza, della sua incredibile ironia e della voglia di raccontare le difficoltà dei giovani di oggi senza lasciarsi andare a inutili stereotipi.
Ho chiesto se la giovane età si sentisse, al momento della lettura ma anche al momento del lavoro di editing. E Donatella Minuto mi ha risposto che sì, un po’ si sente, perché è una scrittura fresca e briosa, ma allo stesso tempo intelligente e ironica, grazie anche al fatto che la giovane Garuti è una grande lettrice e una grande amante dei film. 

La giornata con #GiuntialSalTo si è poi conclusa con l’incontro, presso il Caffè letterario, con Paola Capriolo che, in compagnia di Elena Lowenthal e Lorenzo Mondo, ha presentato il suo Mi ricordo.

Lorenzo Mondo, Paola Capriolo e Elena Lowenthal al Caffè letterario
Il libro, che ha come protagoniste due donne in due momenti diversi della storia, ruota intorno alla frase di Dostojevsky “La bellezza salverà il mondo”, che lega un po’ tutti i temi del libro: la tragedia, le persecuzioni razziali, il ritorno fisico e sentimentale in un luogo ma anche semplicemente nel proprio passato, e il ricordo, con tutte le sue contraddizioni di necessità di vita ma anche di fonte di dolore e sofferenza.
Lorenzo Mondo ha definito Mi ricordo di Paola Capriolo, questo romanzo “una delle prove più alte della sua narrativa” , a cui la scrittrice ritorna dopo anni di silenzio. E non per niente è candidata al premio Campiello.

Concludo questo lungo resoconto, ringraziando le altre blogger mie compagne in questa avventura e la Giunti per l’opportunità che ci ha dato di essere con loro al #SalTo15. È stato davvero un piacere!

giovedì 22 gennaio 2015

IL TEMPO BAMBINO - Simona Baldelli

Non è semplice parlare di Il tempo bambino di Simona Baldelli. Così come non è semplice leggerlo. Ci va tempo per entrare nella storia, ci va tempo per capirla, ci va tempo per accettarla. 
Già, il tempo, la chiave di tutto romanzo. La chiave della vita di tutti. 

Mr. Giovedì di mestiere aggiusta orologi. Il loro ticchettio gli da’ sicurezza, gli da’ tranquillità. Quella sicurezza e quella tranquillità che nella vita non ha mai avuto e che ancora oggi non riesce ad avere. La sua esistenza è popolata di fantasmi. Quello della madre che non lo ha mai voluto, che non lo ha mai accettato. Che lo perseguita. Quello della bambina con l’occhio malato, che quando erano entrambi piccoli, per un momento gli ha lasciato vedere il lato più intimo di sé. 
Quello della sua passione per le bambine, a cui non vorrebbe mai fare del male, ma allo stesso tempo sa che i suoi pensieri sono male. Finché a sconvolgergli la vita arriva la Regina, una bambina che si crede già adulta, che vorrebbe già esserlo, forse per affrontare meglio quello che la vita le ha messo davanti. Una bambina raccattata sullo zerbino di casa in una sera di pioggia e che riesce a portare nella vita di Mr. Giovedì un po’ di pace, un po’ di amore prima, ma anche dolore poi, perché il loro tempo insieme, ancora una volta, è limitato.

È un romanzo in bilico tra il reale e il fantastico, che si mescolano nella vita di Mr. Giovedì e nella testa del lettore, che fatica a capire quale sia l’uno e quale sia l’altro. E deve essere così per forza, perché altrimenti non riuscirebbe a digerire una storia che parla di violenza, di turbamenti, di perversioni, argomenti che tutti sappiamo esistere ma che spesso ignoriamo. 
Cosa c’è nella mente di una madre che odia suo figlio? Cosa c’è nella mente di un uomo attratto dalle bambine? 
Perché sì, se semplificassimo all'estremo, Mr. Giovedì è un pedofilo, anche se forse nemmeno se ne rende conto. Perché dentro la sua testa lui vuole solo stare bene e fare del bene, dare quell'affetto che lui non ha ricevuto, per colpe sicuramente non sue. E il lettore, o almeno io, si trova lì, a provare al tempo stesso tenerezza per quest’uomo e la sua solitudine, la sua tristezza, i suoi turbamenti e le sue ossessioni, ma anche un po’ di ribrezzo.

Il tempo bambino è un libro difficile, vi dicevo. Difficile da scrivere, ne sono sicura, da leggere, da recensire. E’ un libro che fa male. Non un pugno diretto nello stomaco, no. 
Ma una pressione costante, che all'inizio quasi non noti ma che via via diventa sempre più fastidiosa e alla fine tu non capisci se senti male solo fuori o anche dentro.

Simona Baldelli è stata brava a scrivere un romanzo così, a creare questi personaggi e a suscitare queste strane emozioni nel lettore. Brava e anche coraggiosa, sicuramente. Per cui armatevi della consapevolezza che poi starete male (e un po', se siete ossessionati come me, della consapevolezza che troverete un tantino irritanti le d eufoniche usate anche quando non necessarie), e leggetelo, perché merita davvero.


Titolo: Il tempo bambino
Autore: Simona Baldelli
Pagine: 240
Editore: Giunti
Anno: 2014
Acquista su Amazon:
formato brossura: Il tempo bambino
formato ebook:Il tempo bambino

mercoledì 12 novembre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #97


Ancor prima di parlarvi, nel bene o nel male, del cambio di titolo di questo libro, devo confessarvi che la copertina italiana, sebbene sia molto diversa dall'originale, mi fa impazzire. Sarà che ho un debole per i peluche (vedi ultima recensione), ma la prima volta che ho visto questo libro di Maddie Dawson in libreria, con quel panda lì seduto, stavo per comprarlo a scatola chiusa. Poi però ho letto la quarta, il titolo originale e ho deciso che forse era il caso di aspettare ancora un po'.
Il titolo originale, The opposite of maybe, letteralmente si può tradurre con "Il contrario di forse". Che suona effettivamente un po' strano, nella nostra lingua. Come la Giunti abbia fatto, da questa stranezza, ad arrivare a Non c'è niente che non va, almeno credo, onestamente non riesco nemmeno a immaginarlo. Però, per quanto sia sempre una fervente sostenitrice dei titoli originali e sia contraria a ogni cambiamento, soprattutto se tanto evidente, devo ammettere che il titolo italiano non mi dispiace più di tanto. Ma forse è colpa del panda, che mi distrae.

Titolo originale: The opposite of maybe
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: Non c'è niente che non va, almeno credo
Autore: Maddie Dawson
Traduttore italiano:  Roberta Zuppet
Editore italiano: Giunti

venerdì 29 agosto 2014

DALLA PARTE DI BAILEY - W. Bruce Cameron

Un libricino leggero leggero, una storiella tutto sommato divertente e coinvolgente, anche se non scritta con una prosa eccelsa, ideale da leggere in spiaggia, soprattutto se i vostri vicini di ombrellone hanno due cagnolini seduti accanto a loro (due cagnolini buffissimi, tra l'altro, uno iperattivo e l'altro invece calmissimo e rilassatissimo).

Se dovessi riassumere in poche righe  la mia opinione su Dalla parte di Bailey credo che direi più o meno così. E forse aggiungerei anche che la forza del romanzo sta prima di tutto nella copertina, decisamente accattivante, e nella capacità che l'autore ha di far leva sui sentimenti. in particolare dei proprietari di animali. Se la copertina non vi ispira e i cani non vi piacciono, non credo che questo libro possa fare per voi.

Protagonista è Bailey, un cane davvero speciale. O meglio, tanti cani diversi: un bastardino prima, un golden retriever poi, un cane poliziotto e, per finire, un labradror nero. Perché ogni volta che muore, per naturale corso della vita o per cattiveria umana, rinasce come cane nuovo, ricordandosi però tutte le esperienze del passato. Soprattutto di quella con Ethan, con cui ha vissuto tanti anni  e tante avventure, quella che gli ha fatto conoscere l'amore e la forza che questo può avere.

L'espediente narrativo delle rinascite è originale, anche se forse in alcuni casi un po' troppo sbrigativo  e poco approfondito (soprattutto nella storia iniziale). E altrettanto originale è la scelta di affidare la narrazione direttamente al cagnolino, che in prima persona ci racconta le sue avventure, i suoi pensieri, le sue reazioni e i suoi sentimenti di fronte a quello che la vita, anzi tutte le sue diverse vite, gli mettono di fronte.

Insomma, non è sicuramente un capolavoro della letteratura. E sicuramente ci sono qua e là diverse pecche narrative (ma cosa pretendete? è la narrazione in prima persona di un cane, non può che essere scritto "da cani"... ok, la smetto) che un lettore un po' più accorto percepisce. Ma l'intento dell'autore non era sicuramente vincere il Nobel e il romanzo riesce perfettamente nell'intento di divertire il lettore e di farlo appassionare alla sua storia.
Sicuramente, se avete o avete avuto in passato un cane, se vi sconvolgete ogni volta che sentite al tg o leggete sul giornale delle cattiverie che noi umani a volte siamo capaci di compiere nei confronti di questi buffi animaletti pelosi, non potrete non affezionarvi a Bailey in tutte le sue reincarnazioni, sorridere  e versare qua e là qualche lacrimuccia. 
Se invece, come dicevo già all'inizio, questi argomenti non vi toccano in alcun modo o state cercando una storia un po' più profonda, potete tranquillamente passare oltre.


Titolo: Dalla parte di Bailey
Autore: W. Bruce Cameron
Traduttore: Duccio Viani
Pagine: 320
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Giunti
ISBN: 978-8809776968
Prezzo di copertina: 5.90 €
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formato brossura: Dalla parte di Bailey. Una storia per umani
formato ebook: Dalla parte di Bailey

lunedì 4 agosto 2014

DONNE DAGLI OCCHI GRANDI - Ángeles Mastretta

Ogni volta che leggo un libro scritto da un'autrice sudamericana, non posso fare a meno di pensare che queste scrittrici abbiano, almeno nel nostro paese, una visibilità troppo limitata rispetto alla loro bravura. C'è la Allende, che le copre un po' tutte, senza che mi sia mai stato ben chiaro il motivo (soprattutto considerando che la Allende degli ultimi anni è diventata, per me, quasi illeggibile). Arrivano i suoi romanzi, in ogni formato ed edizione, a discapito di molti altri,  altrettanto se non addirittura più meritevoli, che invece rimangono a lungo sconosciuti ai più. 

Ángeles Mastretta è messicana ed è una di queste autrici che, per loro sfortuna, risentono dell'ombra gettata dalla Allende. Ne avevo già avuto l'impressione con Male d'Amore e l'Emozione delle cose. Una scrittura bella, scorrevole, molto sudamericana, che racconta storie forti e intense, mai banali, che però non tutti arrivano a scoprire. 

Con questo Donne dagli occhi grandi ne ho avuto la conferma. Qui l'autrice ci parla di donne e ci parla d'amore e passione, ma anche di amicizia, paura e morte. E lo fa attraverso tanti piccoli racconti, ognuno con protagonista una donna diversa, che si ritrova ad affrontare quello che la vita le mette davanti. Dalla passione sfrenata alle delusioni d'amore. Dai matrimoni felici a quelli di convenienza. Dalla voglia di ribellarsi all'obbligo di obbedire a convenzioni e imposizioni familiari. Dalla paura di vivere a quella di morire. 
Attraverso queste donne, queste zie,  Ángeles Mastretta offre uno spaccato della società messicana e di un epoca, da un punto di vista prettamente femminile, senza però mai scadere nello sdolcinato o nel melenso. Sono donne forti, intelligenti (e che come succede e alla zia Daniela, si innamorano come  "s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota"), che combattono ogni giorni per essere se stesse.

Certo, alcuni racconti sono davvero troppo sbrigativi e le loro protagoniste avrebbero forse meritato un po' di spazio in più. Di altri, invece, non si riesce sempre a cogliere perfettamente il senso. Ma sui trentasette racconti che formano questa raccolta, la maggior parte mi sono piaciuti e mi hanno emozionare. Sono belle, tutte queste donne dagli occhi grandi, come lo sono un po' tutte le donne che lottano, amano e vivono davvero. 
Insomma, una lettura piacevole, scorrevole e a tratti molto intensa, che, nonostante qualche punto debole, mi sento davvero di consigliare. Soprattutto se amate la letteratura sudamericana e siete un po' stufi di sentire parlare sempre e solo degli stessi autori.

Titolo: Donne dagli occhi grandi
Autore: Ángeles Mastretta
Traduttore: Gina Maneri
Pagine: 176
Anno di pubblicazione: 2005
Editore: Giunti
ISBN:9788809787803
Prezzo di copertina: 5,90€
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formato brossura: Donne dagli occhi grandi

sabato 3 maggio 2014

BENVENUTI IN CASA ESPOSITO- Pino Imperatore

Una delle mie filosofie di vita è che bisogna sempre cercare di sdrammatizzare, di ridere delle cose che ci fanno più paura. Solo ridendo, solo mettendo in luce l'assurdità delle cose, si riesce in qualche modo a esorcizzarle, a combatterle e, in alcuni casi, persino a sconfiggerle Una filosofia che ovviamente non sempre riesco a seguire ma che mi è stata utile in alcuni periodi bui della mia vita.

Anche di cose di cui ci sembra impossibile poter ridere, bisognerebbe farlo.Come della Camorra, ad esempio. Quel sistema tanto profondo e radicato, a Napoli ma anche nel resto d'Italia, che sembra impossibile da fermare.

In Benvenuti in casa Esposito, Pino Imperatore cerca di fare proprio questo. Ridere della camorra, mettendone in evidenzia le assurdità e le debolezze. Lo fa presentandoci la famiglia Esposito appunto, il cui capofamiglia, Tonino, è orfano di un potente boss di camorra, ucciso in agguato poco tempo prima. Tonino potrebbe vivere di rendita, con il sussidio offertogli dal clan ogni mese, ma vorrebbe a tutti i costi far parte di quel sistema, imitare le gesta paterne. Peccato che sia troppo goffo, ingenuo, alla fin fine forse buono, per poterlo fare. Attorno a lui ha tutta la sua famiglia, che si rapporta con lui e con il suo essere camorrista in modo diverso. La moglie Patty, contenta di tutte le ricchezze e del poterle scialacquare, ma anche a suo modo innamorata del marito. I figli Tina, ragazza sveglia in conflitto con il padre per la sua appartenenza al clan e che vorrebbe una vita normale. Il figlio Genny, troppo piccolo per capire, che adora il padre semplicemente per quello che è. E ancora la madre, i suoceri, la signora delle pulizie, il coniglietto e l'iguana Sansone. Una famiglia che potrebbe anche essere normale, se non ci fosse la camorra alle spalle.

Leggendo il libro si ride molto, certo, ma si riflette anche molto. Sui rapporti all'interno dei clan, ma anche soprattutto all'interno delle famiglie dei camorristi, di come si vive questa situazione, di come si affronta la quotidianità, come si crescono i figli, come ci si rapporta con gli altri e, perché no, anche come si fa a ribellarsi.

Bisogna parlare delle cose, in ogni modo e in ogni forma, per poterle affrontare, per poterle esorcizzare. E non importa se un libro, due o tre materialmente non possono cambiare nulla. E' sempre meglio che stare zitti e fare finta di nulla.

Insomma, un libro da leggere. E non vedo l'ora di leggere anche il seguito!

Titolo: Benvenuti in casa Esposito
Autore: Pino Imperatore
Pagine: 256
Anno: 2013
Editore: Giunti
ISBN: 978-8809785229
Prezzo di copertina: 6,90€
Acquista su amazon:




venerdì 7 marzo 2014

HANNO AMMAZZATO LA MARININ - Nadia Morbelli

Genova è una città che mi piace molto. Adoro le sue vie strette strette, il suo affacciarsi sul mare, la lanterna illuminata dalla luce del tramonto, la focaccia con le cipolle e le trofie al pesto. Se non amassi Genova, non so se avrei mai letto questo libro, preso quasi a caso sugli scaffali di una libreria e comprato proprio perché ambientato nel capoluogo ligure. 
Poi leggendolo ho scoperto che non solo era ambientato a Genova, ma parlava anche di Ovada, Serravalle e persino Gavi, una zona che conosco e che frequento spesso, perché i miei genitori sono di quelle parti.
Le probabilità quindi che il libro mi potesse piacere erano molto, molto alte, così come alte erano le mie aspettative una volta scoperto tutto questo.. E non c'è niente di peggio che vedere le proprie alte, altissime aspettative disattese.

Hanno ammazzato la Marinin è un romanzo con tanto potenziale. La maggior parte del quale viene sprecato con un'evoluzione della narrazione frettolosa e spesso includente.
La protagonista Nadia, che poi è l'autrice stessa, è l'unica in casa nel suo condominio quando viene commesso un omicidio: hanno ammazzato la Marinin, appunto, un'anziana signora che si è trasferita a Genova dalla figlia una volta rimasta vedova e che ha già litigato con tutto il palazzo. Pare una rapina finita male, ma Nadia, per la sua curiosità, non crede a questa ipotesi e inizia a modo suo ad indagare. La Marinin è infatti originaria dello stesso paese dei genitori di Nadia e lì di voci strane sul passato della donna e di tutta la famiglia in generale ne corrono parecchie, basta solo aver voglia di stare ad ascoltarle. Nadia lo fa e arriva alla sua, giusta, conclusione.

Raccontandovi la trama mi rendo conto ancora una volta di quanto potenziale avesse questo romanzo. Poteva venire fuori un giallo carinissimo, divertente e intelligente, se solo l'autrice avesse approfondito un po' di più tutto. Ma proprio tutto. Il rapporto tra Nadia e il poliziotto che indaga sull'omicidio, ad esempio, avrebbe potuto generare molti equivoci ed essere sfruttato meglio, e invece (no, non ve lo dico, tranquilli)... Così come il movente dell'omicidio, i racconti del passato delle famiglie del paese, ma anche quelle del presente. Tutto troppo frettoloso, un po' troppo campato in aria, che si conclude quasi di colpo.
Sinceramente da un libro ambientato in parte a Genova e in parte nelle zone dei miei genitori mi aspettavo un po' di più. Mi aspettavo di più anche da un giallo, che, per quanto possa essere leggero, deve comunque riuscire ad appassionare e divertire.
Cosa che Hanno ammazzato la Marinin, purtroppo, non fa. Peccato.


Titolo:  Hanno ammazzato la Marinin
Autore: Nadia Morbelli
Pagine: 224
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Giunti
ISBN: 978-8809784451
Prezzo di copertina: 6,90 €

mercoledì 18 dicembre 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché?#62

Ultima puntata dell'anno della rubrica di confronto tra titolo originale e titolo tradotto! Eh sì, perché mercoledì prossimo è Natale e quello ancora dopo è il primo gennaio... e tra pranzi da preparare e bagordi da smaltire, non posso assicurare di trovare il tempo per fare ricerche e pubblicare il post. E poi un po' di pausa credo ci stia anche bene, per decidere se e come continuare con questa rubrica, per cercare nuovi titoli e nuovi spunti.

Il confronto di oggi sarà molto semplice e molto natalizio, visto che, come vi accennavo già ieri, quest'anno ho delle difficoltà a entrare nello spirito del periodo e sto cercando in ogni modo di risolvere il problema. E cosa c'è di meglio di un libro per tentare di farlo?
E' arrivato in libreria a fine ottobre, per la casa editrice Giunti e con la traduzione di Annalisa Di Liddo, il nuovo romanzo di W. Bruce Cameron CINQUE CUCCIOLI SOTTO L'ALBERO



Il romanzo racconta la storia di un uomo, Josh, rimasto da poco solo, che si vede affidati dal suo vicino di casa una cagnolina, Lucy. Nel retro del suo pick-up trova poi per caso uno scatolone abbandonato, da cui spuntano cinque cagnolini infreddoliti. Josh, con l'aiuto di Lucy e del canile locale, si prenderà cura di loro in attesa che qualcuno li adotti.

In romanzo in lingua originale ha però un titolo leggermente diverso, ovvero THE DOGS OF CHRISTMAS


La traduzione letterale del titolo sarebbe "I cani di Natale". Effettivamente, un titolo così non sarebbe suonato tanto bene in italiano, almeno per me. E tutto sommato credo che il titolo scelto nella lingua, visto anche il periodo natalizio e l'attrazione per quei piccoli animaletti pelosi, soprattutto quando cuccioli, sia abbastanza azzeccato e rispetti l'originale: "dogs" al plurale reso con "cinque cuccioli" (anche se in inglese non viene specificato che siano cuccioli) e il Natale reso con "sotto l'albero".

E poi, quei due cuccioli nelle due copertine sono semplicemente adorabili! (Ve l'ho mai detto che ho un debole per i libri che parlano di animali, soprattutto se questi sono buffi e morbidosi?)

domenica 3 novembre 2013

L'EMOZIONE DELLE COSE - Ángeles Mastretta

Tutti abbiamo qualcosa da raccontare, anche se conduciamo la più piatta e monotona delle esistenze. Abbiamo un passato, più o meno emozionante, dei genitori che hanno vissuto qualcosa che li e ci ha condizionati, abbiamo una quotidianità fatta di abitudini ma anche di piccole cose che ogni tanto, per un istante, la sconvolgono. Abbiamo amici, fratelli, colleghi, vicini di casa, a cui succede sempre qualcosa. Certo, non tutti siamo in grado di raccontare queste piccole e grandi cose della vita che ci emozionano, ma ci sono, ci sono eccome.

Ángeles Mastretta in questo suo L'emozione delle cose ci racconta le sue, piccoli frammenti di passato, di presente, di vita quotidiana che in un modo o nell'altro hanno condizionato o condizionano la sua vita. Cose che l'hanno fatta sorridere e cose che l'hanno fatta e ancora la fanno stare male. Avrebbe dovuto scrivere un romanzo, questa era la sua intenzione originale, quello che un po' tutti le chiedevano, ma la sua mente era altrove, rivolta ancora alla morte della madre che fatica ad accettare. E quindi ha preso la penna e ha scritto quello che la sua mente le diceva di scrivere e di raccontare, per cercare in qualche modo di affrontare il lutto. Parte dal suo passato, dalle origini dei suoi nonni (quello paterno è di Stradella) e dei suoi genitori, parla dei lutti che hanno colpito la famiglia, ma anche dei momenti di gioia, racconta di lei che diventa grande, che si sposta in città, che inizia a scrivere, che si innamora e fa figli, fino ad arrivare al momento dell'addio.

E' un libro molto bello, molto dolce, fatto appunto di ricordi, di frammenti e di semplici parole che hanno un significato all'apparenza banale ma per l'autrice molto profondo. Come profondi sono gli stessi ricordi, gli stessi frammenti e le stesse parole che riguardano la nostra vita.
Avevo conosciuto quest'autrice quasi per caso un paio di anni fa, leggendo Male d'Amore, e già allora ero rimasta affascinata, dal suo modo di scrivere e di narrare, dal suo legame con il Messico, paese in cui è nata e in cui da sempre vive, e da come, anche quando parla solo di se stessa, riesca a renderlo protagonista. 
E, come mi succede sempre quando leggo libri di autrici sudamericane, mi ritrovo a pensare che purtroppo non sono conosciute come dovrebbero, che sono state offuscate, non si sa bene perché, dal successo di una sola (serve che faccia nomi?), che però non è più stata in grado di farmi emozionare come invece ci riescono altre scrittrici (Ángeles Mastretta, ad esempio, ma anche Julia Álvarez).

Insomma, un libro davvero bello, ben scritto, che ti aiuta a soffermarti di più sulle cose che ti capitano ogni giorno, sulle emozioni che ti fanno provare e che riempiono la tua vita. Da leggere!

"Non ho una biblioteca, ho un caos e il desiderio di un pomeriggio passato a guardare il mare con un libro tra le mani".
Titolo: L'emozione delle cose
Autore: Ángeles Mastretta
Traduttore: Eleonora Mogavero
Pagine: 272
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Giunti
ISBN: 978-8809781825
Prezzo di copertina: 14 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: L'emozione delle cose

lunedì 14 ottobre 2013

Interviste rampanti: Simona Baldelli

Protagonista dell'intervista rampante di questa settimana è Simona Baldelli,  scrittrice pesarese  il cui romanzo d'esordio, Evelina e le fate, pubblicato nel 2013 con la casa editrice Giunti, è stata finalista al Premio Calvino.

Il libro è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale in una paesino della provincia di Pesaro e racconta il dramma degli sfollati dal punto di vista di una bambina di cinque anni, che nonostante si renda conto di tutto il male e il dolore che la circonda non perde la sua innocenza e la sua semplicità. Un esordio notevole!
Ringrazio ovviamente Simona per aver accettato di rispondere alle mie domande.


immagine tratta dal sito della Giunti

Da bambina dicevi “da grande farò la scrittrice”?
No, no. Dicevo “voglio fare l’attrice”, e poi l’ho fatto davvero per più di dieci anni, occupandomi in seguito anche di regia e drammaturgia.

Il tuo romanzo d’esordio, Evelina e le fate, parla di guerra e di resistenza, argomenti ancora presenti nella letteratura italiana contemporanea, ma che tu hai presentato da un punto di vista differente, quello dello sguardo di una bambina. E’ stato difficile adattare la tua scrittura all’età della protagonista, per far si che risultasse credibile?
Sì, direi che la parte relativa al linguaggio è stata la più difficile. Avendo scelto di raccontare la storia attraverso lo sguardo di una bambina analfabeta di cinque anni, volevo usare solo parole e metafore che fossero credibili nella sua bocca e nei suoi pensieri e, contemporaneamente, creare una scrittura che non fosse “povera” per un lettore adulto.

Come sei stato scoperta (o come sei riuscita a farti scoprire) dalla casa editrice che ti ha pubblicato?
Sono stata finalista al Premio Italo Calvino 2012. Ormai le case editrici, specialmente le maggiori, corteggiano moltissimo gli esordienti del PIC. Io, personalmente, a 72 ore dalla cerimonia di premiazione, avevo già ricevuto proposte editoriali da cinque case editrici.

Qual è il tuo rapporto con i critici e con i book blog?
Buonissimo, leggo con curiosità recensioni e segnalazioni, specialmente sui blog, poiché sono più liberi di esprimere il loro pensiero in quanto non devono sottostare a “linee editoriali”. Sai meglio di me che le maggiori testate sono spesso collegate a case editrici… In più, per quel che riguarda il mio Evelina e le fate ho avuto solo ottime recensioni. Come posso, dunque, non volergli bene?

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
La più bella, che mi è spesso stata detta è che “il libro è un incanto”. Onestamente, di brutte non ne ho sentite…

Hai qualche mania come scrittrice? Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
Scrivo preferibilmente la mattina, molto presto, quando il cervello è ancora imbrigliato nei sogni. Credo che le prime ore del mattino mi aiutino ad avere una scrittura più immaginifica. 

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai avuto voce in capitolo nella scelta di quella del tuo libro?
Sì, la copertina l’ho costruita insieme alla direttrice della collana, Benedetta Centovalli, ed i grafici della casa editrice. So che di norma gli scrittori non hanno voce in capitolo sulle copertine, ma a Giunti sono attenti anche alle opinioni degli scrittori.

Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore ?
Allora, ammetto che sto per fare una sorta di “copia e incolla” con quanto rilasciato in un’altra intervista, ma sono cose nelle quali credo fermamente e poi, in fin dei conti, copio solo da me stessa… dunque: Leggere, leggere, leggere. Poi, salire sui mezzi pubblici per ascoltare la gente quando è stanca, arrabbiata, sconfortata e quindi parla senza filtri e difese (vengono fuori le verità più assolute), non avere mai idee preconcette e navigare a vista, mangiare cibi sempre diversi (le spezie, oh, le spezie!) e capire perché un vino è sempre diverso dall’altro, ascoltare molto e parlare il giusto; andare al cinema, camminare, possibilmente avere un animale in casa, aiutare gli amici. Provare ad occuparsi delle piccole cose in casa come cambiare un interruttore della luce che non funziona o sturare un lavandino. Ballare e cantare, meglio se contemporaneamente. Essere curiosi, curiosi, curiosi. Fare lavorare meno il cervello e più le mani, gli occhi, la bocca e le orecchie. I pensieri sono brutti da leggere, sanno di pistolotto fatto la domenica mattina da un prete svogliato. I pensieri non si vedono, le cose sì. Meno aggettivi e più sostantivi. Scrivere preferibilmente quando si è un po’ arrabbiati (non tristi, ché si è noiosi, ma arrabbiati!), scrivere quando si è felici, ma poi rileggere quando si è arrabbiati! fare leggere le proprie cose a poche e fidate persone, ascoltare tutti ma non dare retta a nessuno, tener conto delle opinioni ma fare di testa propria. La gente ama sentirsi parlare e non appena può dare un’opinione… infine, sperare nella fortuna. Certo, promuoversi da soli, bussare alle case editrici, alle agenzie, farsi conoscere attraverso blog et similia… ma è dura, dura, dura (a meno di avere tanti Santi in Paradiso…) mandare i propri scritti a festival e concorsi. E sperare di essere finalisti al Premio Calvino, perché allora, qualcosa succede davvero.

Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione?
Non mi sento di demonizzare chi sceglie l’autopubblicazione per cercare di emergere. Vorrei solo un po’ più di onestà da parte delle case editrici. Credo che sarebbe molto più rispettoso, non solo per gli scrittori ma specialmente per i lettori, se sulla copertina ci fosse una segnalazione che indica se il libro è stato acquistato dalla casa editrice oppure se lo scrittore ha pagato per essere pubblicato. 

Ad, esempio, una piccola casa editrice la Zero91, sta facendo una campagna di sensibilizzazione molto importante su questo argomento ed ha creato un logo, che qui ti allego, che potrebbe essere inserito sulle copertine dei libri che non sono stati pubblicati con il finanziamento diretto dello scrittore. Spesso i libri editi con il sistema dell’autopubblicazione, non hanno subito nessuna selezione, sono fatti a volte senza cura, non hanno avuto editing, correzione di bozze, sono pieni di errori, strafalcioni, non tutti, chiaro, ma la maggior parte sono così, poiché è chiaro che vengono pubblicati non perché un editore crede ed investe su un autore, ma perché rappresenta semplicemente un “business”. I lettori dovrebbero sapere tutto ciò. E poi scegliere.


Ebook o cartacei?
Personalmente preferisco i cartacei. Ma la lettura è una cosa talmente personale ed intima, che credo ognuno debba poter scegliere il suo “mezzo di comunicazione” ideale.

Qual è il tuo romanzo preferito, quello a cui sei più legata?
Aspetta primavera. Bandini di John Fante. Quando ho letto quel libro ho provato una specie di folgorazione, davvero e mi sono detta: voglio provarci anch’io! Riesci dunque ad immaginare l’emozione quando, lo scorso 23 agosto, ho ricevuto il Premio Letterario John Fante, e proprio dalle mani dei figli, Dan e Victoria? 

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Sarebbero tantissimi. Ne indico due: uno è Il birraio di Preston di Andrea Camilleri (non ha nulla a che fare con la serie di Montalbano) e l’altro è Il tempo è un dio breve di Mariapia Veladiano.

Hai letto le Cinquanta Sfumature?
No. Ma non per snobismo, è che proprio non me n’è venuta voglia. Io leggo un libro principalmente “per come” è scritto e non per “per quello” che racconta. E quel che avevo potuto leggere nei vari stralci pubblicati sulla stampa, non mi aveva granché incuriosita. E non mi è sembrato neppure particolarmente intrigante dal punto di vista dell’eros. Una roba da bistecche e salsicce, piuttosto. Nulla  a che fare, ad esempio, con la raffinatezza de L’amante di Lady Chatterley.

Qual è Il tuo colore preferito?
Il rosso. Ma proprio rosso, senza sfumature… 

giovedì 3 ottobre 2013

PERDUTAMENTE - Flavio Pagano

Qualche anno fa mia madre si è svegliata una mattina con un terribile mal di pancia. Abbiamo chiamato la guardia medica che le ha detto di prendere un farmaco. L'ha preso e poi si è beatamente addormentata, il mal di pancia sembrava passato e lei era più tranquilla. Quando si è svegliata, mi ha guardata e mi ha chiesto: "ma ho avuto un infarto?". Panico. "Ma mamma che stai dicendo? Avevi mal di pancia forte, nessun infarto". "Ah, ok". Dopo cinque minuti mi ha chiesto "Ma cosa mi è successo? Mi è venuto un infarto?". E così per mezz'ora, finché non siamo arrivati in ospedale, le hanno diagnosticato la fuoriuscita di un'ernia e una strana reazione tra il farmaco contro il mal di pancia e la pastiglia contro la pressione alta che prendeva da un po'. Due cose assolutamente non gravi, assolutamente transitorie che si sono risolte con un'operazione e qualche ora di stordimento totale.

Mi sono bastate quelle poche ore per capire quanto deve essere difficile la vita di chi ha l'Alzheimer e di chi vive con qualcuno che ha l'Alzheimer. Ci va pazienza, ci va coraggio, ci va una buona dose di ironia e la capacità di non lasciarsi abbattere e scoraggiare, anche se si sa che andrà sempre peggio.
Flavio Pagano in questo suo Perdutamente ci racconta la vita sua e della sua famiglia dal giorno in cui ha scoperto che la madre soffre di Alzheimer. Dal primo sintomo, una fuga alla stazione per andare non si sa dove conclusasi con la donna spaesata, in difficoltà, e via via verso il baratro, verso l'oblio. 
In questo libro ci viene raccontato il modo in cui la famiglia ha affrontato questo inesorabile declino: le lotte con l'Asl e l'INPS per la pensione di invalidità, il rapporto con la moglie, i figli e il fratello e il loro modo di affrontare la malattia, i momenti di lucidità e di gioia anche nel buio più nero, e la voglia di rendere il tutto meno doloroso per tutti, assecondando voglie e desideri e creando così situazioni esilaranti. E sullo sfondo c'è Napoli, con le sue contraddizioni e la sua incredibile bellezza.

Scrivere una recensione di un libro autobiografico è difficile. Soprattutto se questo libro autobiografico parla di una malattia terribile. Non si può dare un giudizio sulla trama, perché, come credo di aver già detto altre volte, è un po' come dare un giudizio sulla vita di chi questa trama l'ha vissuta sulla sua pelle e non mi permetterei mai di farlo. Il modo in cui Flavio Pagano e la sua famiglia ha affrontato la malattia della madre è esemplare, un po' come lo è quello di chiunque si ritrovi ad affrontare qualcosa di simile. Ci sono momenti di gioia e di divertimento, che magari da fuori potrebbero sembrare inopportuni. Ci sono i momenti di sconforto, la voglia di arrendersi, quella sensazione di non farcela più che diventa via via più forte e che prende il sopravvento su tutto il resto. E poi c'è l'amore, incondizionato, per chi sta soffrendo.

Eppure, sebbene io abbia riso, mi sia commossa e abbia provato una forte simpatia (ed empatia) per tutti i personaggi, dalla madre malata al domestico indiano, passando per il povero venditore porta a porta che viene buttato nella mischia, come libro, come tentativo di portare all'attenzione di tutti la malattia di Alzheimer e le sue terribili conseguenze, mi aspettavo qualcosa di più. Forse in certi casi bisognerebbe usare la propria vita e la propria esperienza come punto di partenza, prendendo spunto poi anche da altre famiglie e da altre persone che vivono la stessa condizione. Per dare ancor più risalto a tutti gli aspetti, tristi e meno tristi.
Questa è ovviamente un'opinione mia, che si scontra forse con il vero intento dell'autore di rendere omaggio a sua madre, alla sua famiglia e al modo in cui tutto è stato affrontato.

Da sottolineare e rimarcare, invece, sono i problemi a livello di punteggiatura. Non so se siano refusi, sfuggiti sia all'autore sia all'editor, né se sia io a essere eccessivamente pignola, ma troppe volte in questo testo ho trovato virgole dove non ci andavano, tra soggetto e verbo, in mezzo a frasi che non andavano spezzate (per fare un esempio: "l'idea di dover portare di nuovo mia madre fuori di casa, mi rendeva nervoso"). Scelte stilistiche, forse, ma che hanno reso la mia lettura a tratti difficoltosa, spezzando la fluidità della lettura.

Nel complesso comunque il romanzo non mi è dispiaciuto, anzi! I personaggi sono fantastici (e se lo sono così sulla carta, dal vivo devono esserlo ancora di più!) e il modo in cui la malattia è stata affrontata è encomiabile: si sorride, ci si commuove e si riflette molto (per non parlare della copertina, che trovo semplicemente meravigliosa!).
E poi mi è venuta una voglia matta di andare a Napoli.

Titolo: Perdutamente
Autore: Flavio Pagano
Pagine: 240
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Giunti
ISBN: 978-8809785656
Prezzo di copertina: 12 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Perdutamente
formato ebook: Perdutamente (Italiana)