Visualizzazione post con etichetta Adelphi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Adelphi. Mostra tutti i post

mercoledì 22 marzo 2017

LO DICIAMO A LIDDY? - Anne Fine

Tutte e quattro, del resto, si sarebbero sentite perdute senza i regolari giri per negozi e le cenette improvvisate, senza lo scambio incessante di libri, stufette elettriche e vestiti per le grandi occasioni. Da anni i loro telefoni squillavano in un girotondo di chiacchiere su suoceri, cognati, progetti di lavoro, ansie e vittorie. E non c'erano mai stati segreti.
Fino a quel momento.


Vi è mai capitato di sapere qualcosa di una persona, qualcosa di non proprio piacevole se non del tutto brutto, che potrebbe condizionare la vita di chi le sta accanto? Che si tratti di un parente, un amico o anche un semplice conoscente, il dubbio su che cosa sia meglio fare in questi casi viene sempre: farsi i fatti propri? Intervenire solo a un certo punto e se si ritiene davvero necessario? Rivelare tutto? 
E sei poi il segreto, in realtà, non è un segreto? E se poi la persona a cui lo riveli ti manda a quel paese?

Ho comprato Lo diciamo a Liddy? di Anne Fine, tradotto da Olivia Crosio e pubblicato in Italia da Adelphi, sullo slancio di un momento. Non conoscevo l’autrice, non conoscevo il libro, ma sono stata subito attirata dal titolo e dalla trama, che riporta la situazione descritta sopra.

Heather, Stella, Liddy e Bridie sono quattro sorelle, legatissime. Heather è quella più pragmatica, più sicura di sé e indipendente, meno sensibile e con una vita amorosa abbastanza travagliata. Stella è la più piccola, quella che tutte hanno sempre considerato meno intelligente, meno interessante e che ora ha trovato il suo mondo grazie a un marito e alla passione condivisa per gli oggetti per arredare la casa. Liddy è quella che tutti proteggono, quella un po’ più svampita, che ha avuto due figli da un uomo che poi è sparito ma senza che la cosa l’abbia toccata più di tanto. E Bridie è un’assistente sociale, di professione, ma anche un po’ tra le sorelle.
Liddy ha un nuovo fidanzato, adesso. Si chiama George ed è adorabile con lei e con i bambini. Sembra l’uomo perfetto, se non fosse che Stella ha saputo dalla donna che le pulisce la casa che forse quest’uomo non è così perfetto come sembra, ma nasconde un segreto agghiacciante. Stella lo dice a Heather e, dopo qualche mese, quest’ultima lo rivela a Bridie. Che decide, una volta che Liddy ha annunciato il matrimonio con George, che non si può nascondere una cosa simile alla propria sorella. Lo dicono a Liddy (non è uno spoiler, tranquilli, succede quasi subito), che però se la prende solo con Bridie.
Il beneficio del dubbio non è un omaggio che si regala a chiunque. Bisogna guadagnarselo, e in una famiglia lo si guadagna con l'amore. Quanto all'amore, non è né una parola né uno stato d'animo, ma un modo di trattare il prossimo. Il mondo brulica di gente che dichiara senza ritegno di amare Tizio e Caio, e poi li tratta come pezze da piedi.
Bridie è sconvolta da questa reazione. Sa che le altre tre sorelle continuano a sentirsi e vedersi e quella messa da parte è solo lei. Vive la situazione come un’ingiustizia che però, a poco a poco, la porta anche a prendere consapevolezza della sua famiglia, del rapporto con le sorelle e di come ognuna di esse l’ha sempre vissuto in modo diverso da come lo viveva lei, e soprattutto di come, concentrandosi sulla sua famiglia d’origine abbia un po’ messo da parte quella che ha creato con suo marito. Sembra essersi messa il cuore in pace, decisa persino a non partecipare al matrimonio e a non parlare più con nessuna delle sue sorelle, finché un'altra verità non viene a galla e la sua decisione vacilla.

Finché dal nulla, come un fulmine a ciel sereno, ritornò la rabbia. Accecante, devastatrice. E, per la prima volta in vita sua, Bridie capì come fosse possibile, per molti dei suoi assistiti, vivere di astio e di ripicche. L'amore era così debole. "Ci vuole così poco a farsi voler bene." Era vero? L'amore è un pappone insipido che sobbolle sul fuoco, sempre nutriente, sempre caldo. L'odio invece è una torre incrollabile, una colonna di fuoco. La sua mera energia incandescente può alimentare giorni e giorni di stizza, notti e notti di rancore. Fino a poco tempo prima, quando ascoltava quegli sfoghi di incontenibile malevolenza, aveva creduto che un giorno o l'altro l'odio si sarebbe consumato da sé, si sarebbe ridotto in cenere. Ora aveva aperto gli occhi: l'odio è imperituro, e non è mai un sentimento a metà.

Lo diciamo a Liddy? mi è piaciuto tantissimo, per il modo in cui Anne Fine prende questa famiglia, queste quattro sorelle all’apparenza legatissime, e distrugge le loro certezze, e per come gioca con la caratterizzazione di ognuna di esse. Ho provato una forte empatia nei confronti di Bridie: il suo modo di vedere e di vivere tutto quello che fa, con così tanto coinvolgimento e così tanta passione, mi ha fatto quasi tenerezza, così come ho adorato la sua evoluzione nel corso del libro, il suo prendere consapevolezza, il suo alternare decisioni risolute a dubbi enormi, e la sua decisione finale. 
E avrei preso a schiaffi (dai su, tra sorelle si può fare) le altre tre sorelle. Tutte e tre, per come si sono comportate in passato e forse ancor più nel presente.

È un libro sui legami famigliari, sulle apparenze, sui rancori che si accumulano quando si decide di non parlare e di non confrontarsi. Un libro a suo modo divertente, che porta il lettore all’interno di questa famiglia, lasciando costantemente il dubbio se debba ridere o indignarsi. Io ho fatto entrambe le cose (anche se forse mi sono un po’ più arrabbiata, che divertita) e ne è valsa davvero la pena.

E voi, lo direste a Liddy?


TITOLO: Lo diciamo a Liddy?
AUTORE: Anne Fine
TRADUTTORE: Olivia Crosio
PAGINE: 190
EDITORE: Adelphi
ANNO: 1999
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Lo diciamo a Liddy? Una commedia agra

martedì 1 marzo 2016

Se febbraio non febbreggia, marzo campeggia... che non so cosa voglia dire, quindi, nel dubbio, leggo!

Ed ecco che siamo già arrivati al 1° marzo. Non so per voi, ma questi primi mesi dell'anno stanno passando velocissimi e, devo dire, ne sono molto contenta. L'autunno e l'inverno non mi piacciono molto, soprattutto quest'anno che non si è visto nemmeno un fiocco di neve. Preferisco vedere i fiori che sbocciano e sentire arrivare il caldo. E poi, con l'arrivo della primavera arrivano anche le fiere del libro (Bookpride, Salone del Libro, La grande invasione...). Insomma, per fortuna siamo già al 1° marzo!

Febbraio è stato un mese molto ricco. Non tanto di letture, in quanto mi sono fermata a quota sette libri letti (che sono tante, sicuramente, ma meno del mio solito), ma di molte altre cose. E partiamo proprio da quelle.

Il mese è iniziato con il confronto tra un libro originale e la sua versione distillata. Un lavorone di due giorni e molte imprecazioni, che ho riassunto nel post: "Di quella volta in cui ho comprato un libro distillato (e poi l'ho confrontato con l'originale)"
Querele per fortuna ancora non me ne sono arrivate e sono davvero contenta di essermi tolta la curiosità di sapere quanto triste poteva essere quest'operazione.

Poi, io e il lettore rampante siamo andati in gita a Verona per San Valentino. Non ho scritto nessun post a proposito, ma di cose letterarie ne abbiamo fatte un sacco anche lì. (Come potete immaginare, c'erano Romeo e Giulietta ovunque). Tra l'altro, proprio a Verona ho finalmente incontrato dal vivo alcune persone che ho sempre e solo conosciuto in rete: Cristina del blog Athenae Noctua e Elisa e Alessandro di Di questo libro e degli altri. Che bello scoprire i nostri visi al di là dello schermo!

Io e il buon vecchio William a Verona
Parlando sempre di lettore rampante, ho cercato di rubargli il bancomat in una nuova puntata di Casa Rampante.

Il 20 febbraio si è tenuto il secondo incontro di Una valigia di libri, questa volta dedicato agli scrittori e ai romanzi europei. Come credo di aver già detto e scritto in ogni occasione possibile, è stato davvero bellissimo. Tanta gente, un clima perfetto (grazie all'ospitalità della Libreria Sulla parola, che è un piccolo angolo di paradiso libresco) e tantissimi consigli arrivati. Non vedo davvero l'ora che sia il 19 marzo per il terzo incontro.

Il mese si è concluso con la bella intervista sul blog Impression chosen from another time, in cui racconto come è nata La lettrice rampante e altre amenità. Grazie ancora per l'ospitalità! (E voi, se ancora non la conoscete, cosa state aspettando?)

E ora veniamo ai libri. Sette sono state le mie letture questo mese. Tante, rispetto alla media nazionale, ma in leggero calo per i miei standard. Una scelta voluta, in realtà, perché mi sono resa conto che stavo diventando un po' una macchinetta e questo mi portava a godermi un po' meno quello che stavo leggendo. Quindi la parole d'ordine da questo mese è «lentezza» (per quanto mi sia possibile, ovviamente).

I libri letti questo mese, meno uno.
Sette letture, dicevamo, e tutte davvero molto belle:

I VENERDI' DA ENRICO'S  di Don Carpenter: pubblicato in Italia da Frassinelli con la traduzione di Stefano Bortolussi, è un libro che parla di libri, certo, ma soprattutto di scrittori e di quanto sia difficile soddisfare le aspettative, soprattutto se autoimposte.

LA PROPRIETA' TRANSITIVA di Nelson Martinico e Federico Ligotti : pubblicato da edizioni Spartaco, è un romanzo utopico in cui il nostro paese, schiacciato da anni di corruzione e raccomandazioni, finalmente vede un po' di luce quando viene eletto come presidente del consiglio un ex trans, grande idealista e sognatore.

UN COMPLICATO ATTO D'AMORE di Miriam Toews: l'unico libro della Toews pubblicato non da marcos y marcos ma da Adelphi, con la traduzione di Monica Pareschi. Eh niente, io amo questa autrice e non c'è molto altro da aggiungere.

I GATTI NON HANNO NOME di Rita Indiana: pubblicato in Italia da NN Editore con la traduzione di Vittoria Martinetto, il libro è un viaggio in Sudamerica, ma soprattutto nella testa di un'adolescente alle prese con la scoperta di se stessa e della vita.

IL PORTO DEI SOGNI INCROCIATI di Björn Larsson: un libro di sogni e di mare, pubblicato da Iperborea con la traduzione di Katia de Marco.

LA TRAMA DEL MATRIMONIO di Jeffrey Eugenides: un romanzo che parla d'amore e di quanto a volte possa essere difficile. Pubblicato da Mondadori con la traduzione di Katia Bagnoli e, per me, più bello di Middlesex.

COME ACCADDE CHE THOMAS LECLERC 10 ANNI 3 MESI E 4 GIORNI DIVENNE FULMINE TOM E SALVO' IL MONDO di Paul Vacca: un libro sull'autismo con un protagonista che è un piccolo supereroe.  Edito da Edizioni Clichy con la traduzione di Tania Spagnoli e Federico Zaniboni.


E il vostro febbraio come è andato?

venerdì 12 febbraio 2016

UN COMPLICATO ATTO D'AMORE - Miriam Toews

Mi hai insegnato che certe persone se ne vanno e altre no e quelle che se ne vanno sono sempre più fiche di quelle che rimangono e io sono una di quelle che rimangono perché tu sei una di quelle che se ne sono andate e c'è un vecchio seduto in una casa vuota in giacca e cravatta che non ha più nessuno tranne me, grazie tante eh, grazie davvero.



Quando arrivi alla fine di libri come Un complicato atto d'amore di Miriam Toews, pubblicato in italiano da Adelphi edizioni con la traduzione di Monica Pareschi, non puoi fare altro che fermarti un attimo, stringere forte il libro tra le mani e riprendere fiato.
Credevo davvero che il suo apice questa scrittrice canadese lo avesse raggiunto con In fuga con la zia, libro che avevo letto e amato qualche anno fa. Tutti gli altri suoi romanzi che ho letto erano sì belli (e quando dico tutti, intendo proprio tutti), ma mai come quello.
In molti mi avevano detto di aspettare a dare il mio giudizio. Di aspettare a consacrare quel libro come il mio preferito perché me ne mancava ancora uno. Questo che consideravo un outsider, perché pubblicato da un editore differente dalle colorate copertine marcos y marcos a cui questa autrice mi aveva abituata.
E ora che l’ho finito, che l’ho stretto forte e ho ripreso fiato, ne capisco perfettamente il motivo.

Un complicato atto d’amore è la storia di una famiglia mennonita, i Nickel. Un marito e una moglie, diversissimi tra loro ma che si amano da impazzire, e due figlie, Tash e Nomi, educate secondo i rigidi principi che quella strana setta religiosa e quello strano paesino sperduto in mezzo al niente, ma circondato d’America, richiede loro. 
Ma Tash a un certo punto si ribella, riportando in luce anche i dubbi che anche la madre ha sempre avuto ma ha messo a tacere per amore. Solo Nomi, la sorella più piccola, sembra resistere alle tentazioni, un po’ perché subito non capisce, poi per amore di quel padre, burbero e sempre in giacca e cravatta anche mentre svolge i lavori più umili, che non può rimanere solo. Ma poi anche lei cresce e inizia a opporsi a questa strana vita, a questa comunità pronta ad allontanarti non appena compi qualcosa di “diverso”, qualcosa contro il volere di Dio, non appena mostri un barlume di felicità. Si ribella, ma non si muove, sa di non poterlo fare. Fino a quell’ultimo, complicato, disperato e potentissimo atto d’amore che qualcuno mette in atto per salvarla.

Se avete già letto altri romanzi di Miriam Toews, qui ritroverete il suo stile incredibile, che a tratti potrebbe sembrare troppo colloquiale e confuso ma che, in realtà, è perfetto per le vicende che racconta, perché va dritto al punto e colpisce dove deve, come un pugno. Ritroverete i suoi temi: quello della famiglia, dell’amore tra sorelle, del bisogno di fuggire, di ribellarsi a un destino che sembra segnato e a quella strana setta religiosa, i mennoniti, in cui l’autrice è effettivamente cresciuta e da cui poi è fuggita.
Ma ci troverete ancora di più: il coraggio e la disperazione di una ragazzina, combattuta tra quello che le hanno insegnato e quella che scopre essere la vita vera, tra l’amore per la sua famiglia e l’odio per quello che, per salvarsi, le hanno fatto. 
Avere il mal di mare in mare non è la stessa cosa che avere nostalgia di casa a casa

Un complicato atto d’amore è un libro bellissimo. Non saprei come altro definirlo. E Nomi, questa ragazzina ribelle e, nei suoi gesti provocatori a volte un po’ buffi, tenerissima e dolcissima, che in prima persona ci racconta tutta la sua storia è sicuramente un personaggio indimenticabile.

Siamo corsi dritti in Main Street e siamo saliti in cima alla scala antincendio del silos per il foraggio. Era il punto più alto del paese, e lì ci siamo baciati furiosamente sperando che qualche agricoltore al lavoro di primo mattino ci vedesse stagliati contro il sole nascente e si esaltasse all’idea che la felicità era possibile anche in un posto senza bar e senza treni.

Mi è piaciuto questo libro, mi è piaciuto proprio tanto. E ha consolidato Miriam Toews nella posizione di una delle mie scrittrici preferite in assoluto (si litiga il primo posto con Elizabeth Strout, scalzandosi a vicenda ogni volta che leggo un libro dell’una o dell’altra).

E allora, che state aspettando a leggere Un complicato atto d’amore, o uno qualsiasi degli altri romanzi di questa donne, e, soprattutto, a conoscere questa grande, grandissima autrice?


Titolo: Un complicato atto d'amore
Autore: Miriam Toews
Traduttore: Monica Pareschi
Pagine: 276
Editore: Adelphi
Prezzo di copertina: 16,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura:Un complicato atto d'amore

giovedì 11 giugno 2015

FELICI I FELICI - Yasmina Reza

 Felices los amados y los amantes y los que 
pueden prescindir del amor.
Felices los felices
 C’è Borges all’inizio di questo libro. C’è la frase da cui è tratto il titolo, ma soprattutto quella che ne riassume alla perfezione il contenuto.  Felici gli amati e gli amanti e quelli che possono vivere senza amore. Felici i felici.
La cosa buffa è che dentro a questo bel libro di Yasmina Reza la felicità che c’è è solo apparente, dura poche righe in ogni racconto, giusto il tempo per presentare al lettore quello che in un mondo ideale dovrebbe essere ma non è.
Ci sono coppie sposate che non sanno se si amano o si odiano, ci sono figli problematici e genitori ammalati, ci sono mariti traditori che non sopportano che la propria moglie abbia un amante e giovani che ancora di amore non hanno capito nulla, ci sono coppie anziane che non si amano più e ricordi del passato che rimangono vivi anche dopo anni, donne che vogliono amare ma non hanno il coraggio e altre che sperano che presto arrivi qualcuno a cui appoggiarsi per poter camminare sicure. Ci sono gesti semplici, come guidare un’auto, che diventano difficilissimi se negli anni abbiamo deciso di non farlo più; e gesti difficili, come ricoverare un figlio in una clinica psichiatrica, che diventano semplici quando non si riesce a trovare nessun’altra soluzione. C’è amore, c’è odio, tradimento, amicizia, logoramento, apparenza, sofferenza, gioia, dolore. Vita.
Un giorno bisognerebbe studiarlo, questo particolare silenzio dei viaggi in macchina, della notte, quando si torna a casa dopo aver sfoggiato una serenità a uso e consumo degli altri, un misto di conformismo e autoinganno. Un silenzio che non può essere rotto neanche dalla radio, perché chi, in questa muta guerra di resistenza, avrebbe il coraggio di accenderla?
Yasmina Reza è brava a farci vedere tutto questo in tanti piccoli spaccati di quotidianità di vita di coppia. Tanti piccoli racconti, che possono essere a se stanti ma anche collegati tra loro, perché tra tutti c’è un legame: nei personaggi, che si chiamano tra una storia e l’altra, ma soprattutto in quella sensazione di apparenza e impotenza, di amore che c’è ma non si manifesta o che non c’è ma potrebbe esserci se solo lo si volesse.

“Non puoi essere felice in amore se non hai un talento per la felicità” dice a un certo punto uno dei protagonisti, che ama e odia la moglie al tempo stesso, che ha un’amante ma a casa torna sempre, rivolto a un suo amico, che la moglie la ama eccome, ma che si ritrova ad affrontare insieme a lei qualcosa di troppo grande e difficile.
Qui sono pochi gli amati e gli amanti felici, sono pochi quelli che possono prescindere dall'amore (ma c’è davvero qualcuno che può vivere senza amore?). Pochi i felici che sono davvero felici.

Felici i felici di Yasmina Reza è stata una vera sorpresa. Un libro molto bello, a tratti un po’ destabilizzante per quanto a fondo, nella sua semplicità, analizza l’amore e quella felicità che si presuppone dovrebbe lasciare, ma che troppo spesso invece non c’è.

Titolo: Felici i felici
Autore: Yasmina Reza
Traduttore: Maurizia Balmelli
Pagine: 165
Editore: Adelphi
Acquista su Amazon:
formato brossura: Felici i felici

domenica 17 maggio 2015

LE BRACI - Sándor Márai

È capitato molto spesso, da quando ho il blog e mi confronto più assiduamente con altri lettori, che alla domanda “cosa mi consigliate di leggere?” mi venisse risposto Le braci di Sándor Márai. Talmente tanto spesso che, per qualche strano fattore psicologico, ne ho sempre rimandato la lettura. Se me lo consigliano in così tanti, deve essere un bel libro. E io, con i libri quasi universalmente riconosciuti come belli, ho qualche problema.
Alla fine però, complice anche aver trovato il libro a un mercatino dell’usato a un prezzo veramente stracciato, ho ceduto. La tentazione era quella di non dire che lo stessi leggendo, di tenerla una lettura solo per me, così da non generare aspettative negli altri e non avere io complessi di inferiorità. Ma anche in questo caso ho lasciato perdere, perché qua e là c’erano delle frasi, degli spezzoni, anche solo delle parole, che meritavano di essere condivise con tutti.

Le braci di Sándor Márai racconta la storia di due uomini, talmente opposti, talmente diversi tra loro, che non potevano che diventare amici da ragazzi. C’è il generale, uomo ricco e fedele alle regole che gli sono state sempre imposte, a casa prima e nell’esercito poi, e c’è Konrad, povero e gracilino, amante dell’arte e della musica. La loro sembra un’amicizia forte e sincera che non spiega come, all’inizio del libro, li ritroviamo uno nell’attesa dell’altro, dopo quarant’anni di lontananza e di silenzi. Il loro è un incontro atteso ma al tempo stesso allontanato, perché metterà il punto finale a qualcosa di finito tanti e tanti anni prima.

La trama è poi tutta qui. Nel corso del libro scopriamo come i due si sono conosciuti e come sono diventati amici e poi, in un lungo monologo del generale, quello che è successo dopo, che cosa li ha fatti allontanare, che cosa è rimasto così tanto in sospeso da averli tormentati a lungo entrambi.
Questo lungo monologo, devo ammettere, mi ha creato qualche difficoltà. Non a livello di lettura, assolutamente, perché il libro è scritto molto bene e con il suo stile Sándor Márai riesce perfettamente a trasmettere quel senso di lunga attesa che il protagonista ha provato. A crearmi difficoltà è stato il contenuto.
Tutti siamo stati traditi da qualcuno nel corso della nostra vita (e, diciamo la verità, tutti almeno una volta, magari inconsapevolmente, magari perché non potevamo proprio farne almeno, abbiamo tradito qualcuno), tutti di questo tradimento abbiamo sofferto. Però, ecco, non credo che tutti abbiamo aspettato o aspetteremo quarant’anni per cercare di venire a capo, almeno con noi stessi, di questo tradimento e questa sofferenza. Non so, quando ho chiuso il libro il primo pensiero è stato che forse se i due protagonisti avessero fatto a botte, sarebbe stato tutto più facile per entrambi. Questo freddezza , questo dolore che pervade tutto il libro, perché le braci scaldano pochissimo ma se le tocchi il segno ancora te lo lasciano, per me sono stati inconcepibili, difficili da comprendere e, quindi, da accettare.

Questa mia visione diversa, che io sono convinta che un certo punto l’unica cosa che si possa fare sia lasciar perdere e andare avanti con la propria vita, per quanto triste e doloroso possa essere, mi ha reso difficile apprezzare a pieno il libro e il suo senso.
Capisco perché molti consiglino Le braci, perché mi rendo conto perfettamente della forza che può avere una storia così, ma al tempo stesso capisco anche quelle voci dal coro che a poco a poco sono spuntate quando ho detto che lo stavo leggendo e che hanno confessato di non averlo sopportato.
Personalmente, mi vedo di più nella seconda categoria, però sono comunque contenta di averlo letto e credo che lo consiglierei anche, perché utile per confrontarsi con se stessi verso un argomento che, come dicevamo prima, almeno una volta nella vita tocca tutti.

Titolo: Le braci
Autore: Sándor Márai
Traduttore: Marinella  D'Alessandro
Pagine: 181
Editore: Adelphi
Acquista su Amazon:
formato brossura: Le braci
formato ebook: Le braci (Gli Adelphi)

sabato 2 maggio 2015

LA LETTERA D'AMORE - Cathleen Schine

Io sono fermamente convinta che il mondo sarebbe un posto migliore se la gente scrivesse più lettere d’amore alle persone che ama. Se la gente avesse meno paura di esprimere cosa prova, di lasciarsi andare, di amare senza porsi troppi problemi di cosa direbbe la gente o il proprio buonsenso.

Da adolescente ero una grande scrittrice di lettere d’amore. Mi piaceva scrivere, mi piaceva mettere su carta le mie emozioni (forse perché a voce avevo e ho ancora qualche difficoltà a farmi capire veramente) e farle leggere  alla persona che, in quel momento e con la normale follia dei sedicenni, ritenevo la più importante nella mia vita. Poi sono cresciuta e ho smesso (per la gioia dei fidanzati di turno che non dovevano più sorbirsi le mie missive quasi quotidiane), però ne rimango una fervente sostenitrice.

Certo, preferisco le lettere d’amore con un mittente e un destinatario chiaro, e sicuramente anche io se avessi ricevuto una lettera d’amore inaspettata e criptica come quella ricevuta da Helen, la libraia protagonista di La lettera d’amore, questo bel romanzo di Cathleen Schine, avrei dato un po’ di matto. La mia curiosità sarebbe partita per la tangente e, proprio come lei, mi sarei messa a cercare il mittente in ogni persona che avessi incontrato: che sia stato  il goffo ventenne Johnny, assunto per l’estate a dare una mano in libreria, a scrivere quelle belle parole? Oppure George che, anche se ha una moglie, sicuramente si ricorda di quando da giovane con Helen flirtava eccome? Ma potrebbe anche essere opera di Lucy, che della libreria di Helen gestisce la contabilità, ad aver scoperto tardi la sua naturale inclinazione? Tutti o nessuno di loro? Helen vorrebbe ma non sa come fare a scoprirlo, come fare a capire chi è il mittente, chi è il destinatario, chi è che dell’amore riesce a esprimere così tanto, in poche parole.  E poi, è davvero così importante?

Come ci si innamora? Si casca? Si inciampa, si perde l’equilibrio e si cade sul marciapiedi, sbucciandosi un ginocchio, sbucciandosi il cuore? Ci si schianta per terra, sui sassi? O è come rimanere sospesi oltre l’orlo di un precipizio, per sempre?

Prima di acquistare il libro, in un mercatino dell’usato, ho cercato online qualche commento. Da molti è stato liquidato come un Harmony pubblicato da Adelphi. Ho il sospetto che chi lo abbia definito così, proprio come Helen, di amore non abbia ancora capito niente.
La lettera d’amore del titolo, la lettera d’amore bellissima che Helen si ritrova in mano, altro non è che un pretesto: per parlare di questo sentimento, certo, ma anche di tutti i dubbi, le insicurezze, le paure, i dolori, ma anche le gioie, i coinvolgimenti, le passioni che questo può provocare. In chiunque e a qualunque età.  E del coraggio che ci vuole di cadere, inciampare, perdere l’equilibrio, sbucciandosi le ginocchia e il cuore vale la pena. A qualunque età.

La protagonista all'inizio è decisamente antipatica, nonostante gestisca una libreria e cerchi nei libri la soluzione ai suoi problemi. Però piano piano, leggendo, si scopre che la sua ostentata sicurezza nasconde qualcosa di più. Dolorosi ricordi del passato, amori in qualche modo traditi, da un padre che se n’è andato troppo presto o da un fidanzato che con la sua spavalderia ha impedito che lei realizzasse il suo sogno di andare Woodstock, e anche un po’ di solitudine, che la portano ad aver soprattutto paura di lasciarsi andare.

La lettera d’amore è un romanzo d’amore, ovviamente. Un bel romanzo d’amore. Ma per me è stato anche molto di più. Un tuffo nel presente, in quelle piccole cose che fanno grande un amore, lo sbucciare un'arancia o un allacciarsi le scarpe, pensando sempre all’altra persona, ma anche nel passato, con le cicatrici che certe sbucciate di ginocchia e di cuore mi hanno lasciato e che hanno portato ad altre cose, ad altri amori.
Ed è bellissimo, no?

Titolo: La lettera d'amore
Autore: Cathleen Schine
Traduttore: Domenico Scarpa
Pagine: 270
Editore: Adelphi
Acquista su Amazon:
formato brossura: La lettera d'amore

venerdì 20 febbraio 2015

LA FAMIGLIA KARNOWSKI - I. J. Singer

Ho sempre amato leggere le saghe familiari. Mi piace partire dall'inizio della storia di una famiglia e ripercorrere quello che i suoi membri hanno vissuto, ciò che è loro capitato, conoscere le persone che hanno incontrato, leggere dei loro turbamenti, dei loro amori, dei loro lavori e del mondo che attorno a loro ha influenzato il loro modo di essere. Può darsi che sia semplicemente perché ho un animo un po’ pettegolo e mi appassiono alla vita degli altri, realmente esistiti ma anche inventati. O forse, come mi piace pensare, è perché ognuno di noi potrebbe essere protagonista di una di queste saghe se solo si mettesse a guardare a ritroso nella sua famiglia e questo me le rende in qualche modo simpatiche e congeniali.

La differenza, ovviamente, è che non tutti poi saremmo in grado di scriverla, la storia di una famiglia. Che sia inventata o reale, bisogna saper scrivere, saper narrare, saper appassionare il lettore senza limitarsi ovviamente a una mera cronaca di eventi. Insomma, non tutti siamo I.J. Singer che, con il suo La famiglia Karnowski, è riuscito a creare una saga familiare strepitosa e appassionante.

Non ha tanto senso che io faccia un riassunto della trama (è un po’ come se vi chiedessero di fare un riassunto della vostra vita), vi basti sapere che protagonista è la famiglia Karnowski, ebrea di origine polacca, che si è trasferita a Berlino in cerca di successo. Il capostipite, David, è un mercante di legnami che nel mondo esterno un po’ nasconde il suo essere ebreo che però poi vive pienamente in casa. David e la moglie Lea, che di imparare il tedesco proprio non ne vuole sapere e che ama tutte le espressioni e le tradizioni ebree con cui è crescita, hanno un figlio, Georg, che cresce in questo dubbio tra il considerarsi tedesco ed ebreo. Un dubbio che diventa ancora più forte per Jegor, il figlio che nasce da Georg e Teresa, donna di pura razza ariana, che si ritrova a vivere la sua adolescenza nel periodo dell’ascesa del governo nazista. Jegor si sente tedesco, sebbene il suo cognome e il suo aspetto, scuro di capelli e con un grosso naso, renda evidente a tutti le sue origini ebraiche.  Un conflitto interiore il suo, che viene amplificato dalle angherie che è costretto a subire a scuola e che si sfoga verso il padre. E nemmeno la fuga negli Stati Uniti riesce a calmare il suo animo e i suoi turbamenti.

Ecco, ora immaginatevi questa storia amplificata in 490 pagine, scritte in modo eccelso. Arriverete a conoscere bene David e Lea, seguirete Georg nella sua professione di ginecologo e nel suo graduale innamoramento per Teresa, scoprirete quanto doloroso possa essere per un ragazzino non sapere chi è. Vi appassionerete tanto a questa storia e a questi suoi tre principali protagonisti e in più scoprirete come poteva essere la vita di un ebreo nella Germania dei primi quarant'anni del novecento e nel loro continuo dover fuggire, anche dopo essersi affermati.

Tutti mi avevano parlato di La famiglia Karnowski come di un capolavoro. Un termine che, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista, non si può associare a tutti i libri.
In questo caso, però, è una definizione perfetta.

Titolo: La famiglia Karnowski
Autore: I. J. Singer
Traduttore: Anna Linda Callow
Pagine: 494
Editore: Adelphi
Anno: 2014
Acquista su Amazon:
formato brossura:La famiglia Karnowski

lunedì 26 gennaio 2015

CORAL GLYNN - Peter Cameron

«E, va' a sapere come, fra loro è nata una storia d'amore, o un'amicizia. Lo so che è grottesco, ma è vero».
«A me non sembra affatto grottesco,» disse Coral «anzi ai miei occhi è molto logico».
«Davvero? Io lo trovo sconcertante».
«Sì, ma l'amore è sconcertante, ecco perché è assolutamente logico».

Se dovessi parlarvi di Coral Glynn di Peter Cameron in poche parole citerei semplicemente questa frase, lasciandovi poi il compito, e la curiosità anche, di scoprire che cosa effettivamente significa. Ma credo che il romanzo meriti una recensione più articolata, soprattutto se voi all'amore che fa fare un sacco di cose stupide non ci credete.

Coral Glynn fa l'infermiera a domicilio e arriva a casa Hart per assistere un'anziana signora malata terminale, lasciandosi alle spalle un precedente impiego che le ha segnato il fisico e l'anima. Qui conosce il Maggiore Clement Hart, figlio della donna e reduce di guerra, afflitto da dolori e bruciature che non ha mai voluto curare e, soprattutto, da una certa solitudine. Clement nota Coral Glynn e per qualche motivo sente che con lei potrebbe anche sistemarsi. Al punto che, quando la madre muore, le chiede, improvvisamente e contro ogni logica, di sposarlo. La donna, un po' titubante, accetta. A far da testimoni ai due ci sono i migliori amici di Clement, Dolly e Robin. Una coppia sposata da anni ma che forse coppia non lo è mai stata.Poi, però,  proprio al pranzo del matrimonio succede qualcosa che farà cambiare, altrettanto improvvisamente, tutta la situazione.

Coral Glynn è un romanzo d'amore. E anche se dell'amore passionale, sdolcinato e commuovente dei romanzi che di solito cadono sotto questa definizione non ha nulla, è impossibile definirlo in un altro modo. Racconta di tanti tipi di amore: di amori incomprensibili e illogici, di amori corrisposti e non corrisposti, di amori sbagliati, di amori violenti e di amori passionali, di amori per se stessi che a volte vengono a mancare e di amori per altri che non sempre sanno cosa farsene.
La cosa buffa è che tutto accade senza che si capisca come, in modo quasi sconcertante, se vogliamo riprendere la citazione iniziale. Clement che chiede a Coral di sposarla. Coral che accetta e poi è costretta ad andarsene. Dolly e Robin che un certo punto esplodono sebbene fin da subito si sapesse che non avrebbero potuto durare. Clement che ritorna a cercare Coral, Coral che si chiude, ancora una volta una porta alle spalle, per poi ritrovarci di colpo a dieci anni dopo, con tutti i tasselli andati al loro, giusto?, posto senza che il lettore sappia come. Sconcertante, eppure, pensandoci bene, anche logico. Perché, come dice bene Peter Cameron, "è meglio sbagliare per amore che astenersi per vigliaccheria". E' meglio che l'amore ci porti a fare cose senza senso e ai più incomprensibili, che lasciar perdere fin dall'inizio.

Pensandoci, questo Coral Glynn è forse il migliore romanzo che abbia letto di Peter Cameron, persino più di Quella sera dorata, che avevo definito un romanzo quasi perfetto. Forse per il personaggio di Coral (ok, e anche per quello della domestica di casa Hart), forse per l'ambientazione anni '50 così ben riuscita. O forse, anzi sicuramente, per il tema, per l'amore che tutto consente, e che Cameron riesce a descrivere perfettamente creando situazioni e coppie che non hanno nulla di sdolcinato e di melenso, anzi che forse sono fin troppo reali.

Ve lo consiglio caldamente.


Titolo: Coral Glynn
Autore: Peter Cameron
Traduttore: G. Oneto 
Pagine: 212
Editore: Adelphi
Anno: 2012
Acquista su Amazon:
formato brossura:Coral Glynn

lunedì 13 ottobre 2014

IL PIU' GRANDE UOMO SCIMMIA DEL PLEISTOCENE - Roy Lewis

Essere un uomo delle caverne non doveva certo essere una cosa semplice, senza tutti gli agi e le comodità a cui siamo abituati oggi. Senza potersi lavare (e nemmeno pensare di doverlo fare, in realtà), senza poter cucinare o vestirsi come si voleva e con il pericolo quotidiano di imbattersi in strani animali che non desideravano altro che trasformarti nel loro pasto.

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene racconta, in modo ironico e un tantino canzonatorio, la vita di una famiglia di quei tempi: un padre geniale, Edward, che prima è andato su un vulcano a prendere il fuoco, poi ha trovato un modo per accenderlo direttamente senza dover percorrere ogni volta che si spegneva venti km a piedi. Un padre che crede nel progresso, che vuole che i suoi figli e nipoti smettano di arrampicarsi sugli alberi e spulciarsi a vicenda, ma che si alzino subito in piedi e pensino anche un po’ al futuro. Peccato che quasi tutti i parenti attorno a lui lo considerino un po’ pazzo, un po’ invasato e non vedano sempre di buon occhio tutti i suoi esperimenti: certo, la moglie scopre ben presto che vivere in una grotta piena di lussi sia molto, ma molto più comodo che accamparsi in mezzo alla foresta ogni sera o che la carne cucinata è molto più tenera e facile da digerire di quella cruda. Ma i figli, beh, i figli sono il vero problema. Soprattutto Ernest, narratore della storia, che pare non abbia alcuna predisposizione mentale, alcun talento, nello scoprire nuove cose. Anzi, sembra quasi che in qualche modo voglia ostacolare il progresso, che voglia tenersi per sé tutte le scoperte che invece potrebbero davvero migliorare la vita di tutti.  Ma l’uomo è un sognatore e non si lascerà certo fermare dalla mentalità chiusa e “bigotta” (la religione non c’era ancora,  lo so, ma è per dire) del figlio. O almeno, ci prova.

Il libro è sicuramente molto piacevole e divertente da leggere. Ok, forse non l’avrei definito, come ha fatto Terry Pratcher in copertina, “Il libro che avete tra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni", però ha davvero dei momenti esilaranti e una genialità di fondo notevole, considerando anche che è stato scritto negli anni ’60.
Leggendolo mi sono venuti in mente il fumetto di B.C. di Johnny Hart, che se non conoscete vi consiglio davvero di rimediare, di questi uomini primitivi (un po’ meno primitivi rispetto al libro di Roy Lewis in realtà), che parlando di oggetto, invenzioni e concetti del futuro che ancora non hanno e che non vedono l’ora di avere, proprio come in Il più grande uomo scimmia del Pleistocene. E questo espediente a me fa davvero ridere (non per niente i Flinstones, quando ero bambina, erano uno dei miei cartoni animati preferiti).

Insomma, non un capolavoro sicuramente, ma una lettura che comunque secondo me vale davvero la pena di fare: scorrevole (per una volta leggendo un romanzo tradotto per la prima volta negli anni ’50 e ’60 non ho sentito il bisogno di una nuova traduzione, forse perché in un libro che parla di uomini primitivi nemmeno le traduzioni possono invecchiare) e divertente. Leggetelo!



Titolo: Il più grande uomo scimmia del Pleistocene
Autore: Roy Lewis
Traduttore: C. Brera
Pagine: 178
Anno di pubblicazione: 1960
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845915918
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

giovedì 11 settembre 2014

L'UOMO CHE SCAMBIO' SUA MOGLIE PER UN CAPPELLO - Oliver Sacks

Quando ho annunciato che avevo iniziato a leggere L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, ho ricevuto più apprezzamenti e commenti di quanti non ne avessi mai ricevuti prima per una mia lettura precedente.
Devo ammettere che questo mi ha stupito molto, perché non è un romanzo ma un saggio che raccoglie alcuni dei casi clinici che il neurologo Oliver Sacks ha affrontato nella sua vita. Io non sono una grande amante dei saggi, perché preferisco imparare le stesse cose dai romanzi, e non ho mai nemmeno avuto una grande passione per la neurologia e la psicoanalisi (per dire, Freud, quando l'ho studiato al liceo, mi stava antipatico). Il cervello umano mi affascina, certo, ma mi spaventa anche molto. Pensare di leggere un libro che racconta di certe persone affette dai disturbi neurologici più bizzarri e, al tempo stesso terribili, mi trasmetteva quindi un certo senso d'ansia.

Poi però ho messo da parte tutte le mie titubanze, grazie anche a tutti i commenti entusiasti letti qua e là, e ho iniziato a leggere. Ho seguito Oliver Sacks tra i suoi casi e i suoi pazienti, apprezzandone tantissimo il modo umano di approcciarsi a loro e poi di raccontarli. Per Oliver Sacks non sono solo pazienti, solo casi da studiare, ma sono soprattutto persone, affette da problemi misteriosi e, spesso terribili. Il libro è suddiviso in diverse parti, ognuna delle quali raccoglie problematiche diverse: i racconti che riferiscono una perdita di qualcosa, che sia della percezione di un arto, del proprio corpo, di se stessi, sono quelli più numerosi, forse perché anche perché più frequenti. Dei deficit cognitivi, più o meno gravi, più o meno consapevoli da chi ne è affetto, più o meno comprensibili e curabili.
Alle perdite, seguono invece gli eccessi, ovvero pazienti con lesioni del cervello che comportano un aumento di certi atteggiamenti: mille tic, un'esuberanza sessuale incomprensibile, una donna che imita tutte le persone che vede.
Ci trasporti, ovvero patologie che comportano una reminiscenza, l'alterazione della percezione, dell'immaginazione,. Sacks presenta i casi di due donne che, all'improvviso, sentono della musica forte e incessante nella loro testa, musica che le riportava in un particolare periodo della loro vita passata.
L'ultima sezione è Il mondo dei semplici, in cui vengono presentati i casi di persone con problemi fin dalla nascita, non causati da danni cerebrali subiti. Persone che vivono in un mondo tutto loro, inviolabile ma anche incomprensibile, che devono però in qualche modo rapportarsi con il mondo circostante.

Mentirei se vi dicessi che è stata una lettura semplice e scorrevole. Lo è lo stile di Oliver Sacks, certo, comprensibile e accessibile  a tutti. Anche chi non sa nulla di neurologia e di cervello umano, riesce a seguire l'autore nelle sue spiegazioni scientifiche. Però i casi presentati, per quanto affascinanti, come avevo previsto mi hanno anche trasmesso un po' di angoscia. E' un organo davvero strano, il nostro cervello, eccezionale quando funziona, ma terribile quando invece, per qualche motivo, si inceppa.
 
L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello è sicuramente un libro affascinante, che porta all'attenzione di tutti condizioni e situazioni spesso inimmaginabili. Se si prova un forte interesse per la neurologia e la mente umana credo che sia quasi imprescindibile. Se siete un po' più sensibili, vi farà forse anche un pochino male. In ogni caso, vale decisamente la lettura.



Titolo: L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello
Autore: Oliver Sacks
Traduttore: Clara Morena
Pagine: 318
Anno di pubblicazione: 2001
Editore: Adelphi
ISBN: 9788845916250
Prezzo di copertina: 11 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello

lunedì 7 luglio 2014

IL WEEKEND - Peter Cameron

La maggior parte dei lettori che ha letto almeno un romanzo di Peter Cameron, ha letto quasi sicuramente Un giorno questo dolore ti sarà utile. Merito in parte del omonimo film che ne è stato tratto, diretto da Roberto Faenza. Quel romanzo è molto bello, anche se forse risente un po' dell'età in cui si legge. Man mano che si va avanti negli anni, il distacco con il protagonista diventa molto forte e, quindi, più difficile da apprezzare.
E' un vero peccato che molti si siano poi fermati lì, senza leggere nient'altro di questo autore. E' un peccato perché così facendo si stanno perdendo dei romanzi bellissimi, intensi, vicini alla perfezione.
Avevo già avuto questa sensazione con Quella sera dorata, che ho letto l'anno scorso, innamorandomi perdutamente della storia e dello stile di Cameron. E ne ho avuto la conferma questo weekend, leggendo nei ritagli di tempo, proprio il suo Il weekend (che in realtà è del 1994, ma uscito in Italia solo dopo il successo di Un giorno questo dolore ti sarà utile). Un libricino sottile, centosettanta pagine che a prima vista potrebbero sembrare di una semplicità e banalità estrema, ma che raccolgono tanta di quella intensità e di quei sentimenti che verrebbe quasi da chiedersi come fanno a stare in queste pagine.

Lyle ha perso il suo compagno Tony un anno fa, morto di Aids a casa dei loro migliori amici, Marian e John, che di Tony era anche il fratellastro. Forse per cercare di dimenticare, forse per provare a ricominciare, Lyle inizia a frequentare Robert, un giovane artista squattrinato, a cui propone di passare insieme a lui un weekend proprio a casa di Marian e John. La coppia però sta già vivendo un suo piccolo dramma, sempre sull'orlo della depressione lei, sempre nell'orto lui e in mezzo un bambino che temono possa avere qualche problema, e si trova un po' spaesata all'arrivo di Lyle con un altro uomo.

La vicenda si svolge tutta in quei due giorni, tra bagni nel fiume, parole origliate dietro la porta, un'imbarazzante cena e litigate in mezzo al bosco. Due giorni in cui, come vi dicevo, emozioni, ricordi, disagi e frasi dette o non dette vengono fuori a poco a poco, trasmettendo al lettore la sensazione di essere proprio lì, in mezzo a loro.
La forza del libro sta soprattutto nei personaggi, davvero ben caratterizzati (al punto che a un certo punto avrei voluto entrare nel libro e prendere Marian a schiaffi, talmente l'ho trovata odiosa) e nel modo in cui interagiscono tra loro.
Come vi dicevo all'inizio, ho trovato questo romanzo di Cameron vicino alla perfezione, forse ancor di più rispetto a Una sera dorata (soprattutto se si considera che questo è il suo secondo romanzo). Alla fine però ho avuto la sensazione che mancasse qualcosa, che qualcosa di importante non fosse stato detto. Ci ho rimuginato su un po', da quando l'ho chiuso, ieri pomeriggio, fino ad adesso, e mi rendo conto che quel qualcosa che manca, manca volutamente, volutamente non viene detto. Ed è cosa succede dopo. Avrei voluto sapere se erano rimasti amici, se si erano telefonati, parlati, rivisti, risentiti e amati di nuovo. Ma penso che Peter Cameron abbia voluto concentrarsi su altro e lasciare volutamente questa incertezza nel lettore, perché possa immaginare da solo la giusta conclusione.

Quindi, se avete letto solo Un giorno questo dolore ti sarà utile, vi consiglio davvero di proseguire la conoscenza di questo grandissimo autore con gli altri romanzi. E se invece non avete mai letto nulla... beh, cosa aspettate a cominciare?

Titolo: Il weekend
Autore: Peter Cameron
Traduttore: G. Oneto
Pagine: 177
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Adelphi
ISBN: 9788845927768
Prezzo di copertina: 16,00 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il weekend

mercoledì 28 maggio 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #81

Stamattina, prima di uscire di casa per venire a lavoro, mi sono messa a spulciare nella mia libreria alla ricerca di un titolo per la puntata di oggi. Volevo qualcosa di un po' diverso dal solito, almeno per quanto riguarda le case editrici, che parlare sempre delle stesse mi sembra un po' come sparare sulla croce rossa. 
E' stata però molto dura trovare un libro che facesse al caso mio, al punto che mi viene da chiedermi se per caso questa mia fissa dei titoli non mi stia portando a diventare (ancor) più selettiva nelle scelte dei romanzi da leggere e acquistare.

In ogni caso alla fine un romanzo per la puntata di oggi l'ho trovato. Con un po' di stupore, tra l'altro, perché ero davvero convinta che il titolo italiano fosse la traduzione dell'originale. Sto parlando di QUELLA SERA DORATA di Peter Cameron:


Ho letto questo libro, pubblicato dalla casa editrice Adelphi con la traduzione di Alberto Rossati, la scorsa estate. Conoscevo questo autore grazie al suo Un giorno questo dolore ti sarà utile e volevo leggere qualcos'altro di suo. La scelta era ricaduta su Quella sera dorata, per il titolo molto bello e per la trama, che mi ispirava parecchio. Il romanzo racconta infatti di un uomo,Omar Rezaghi, che decide di scrivere la biografia di Jules Gund, acclamato autore di un solo libro, un capolavoro. Per farlo, Omar si reca in Paraguay, nella villa di famiglia, per incontrare la moglie, il fratello e l'amante dell'uomo, tutti però molto restii a parlare con il biografo e a rivelargli i loro segreti.

Non so spiegarmi come mai non avessi notato allora che il titolo originale era ben diverso, ovvero THE CITY OF YOUR FINAL DESTINATION:


Letteralmente si potrebbe tradurre come "La città della tua destinazione finale". Entrambi i titoli hanno comunque un senso con il contenuto del libro e devo ammettere che, per quanto io sia sempre e comunque a favore dei titolo originali e delle loro traduzioni letterali, trovo che la scelta italiana, Quella sera dorata,sia molto più evocativa e che sia adatti perfettamente al romanzo e al suo stile. Certo, non è l'originale, quello voluto dall'autore (ok, forse scelto insieme all'editore, ma comunque accettato dall'autore), ma lascia comunque intendere che ci sia stato dietro un certo ragionamento e non sia un titolo messo puramente a caso.

Che ne pensate?

mercoledì 4 settembre 2013

LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE - Joseph Roth

Lampadine. Credo che la mente umana sia piena di lampadine. Lampadine che sempre accese, lampadine che rimangono invece spente per poi ridare segni di vita all'improvviso, quando meno ce lo si aspetta.
E' un po' quello che mi è successo l'altra mattina quando, chinatami per raccogliere qualcosa da per terra, ho buttato un occhio allo scaffale più basso della libreria del padre del mio ragazzo e ho visto un libricino piccolo piccolo. La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth. E qui, una lampadina che era spenta penso da più di vent'anni ha deciso che era arrivato il momento di emanare di nuovo la sua luce.
Perché io mi ricordo del film "La leggenda del santo bevitore". O meglio, mi ricordo una videocassetta, stipata nel mobile del salotto insieme alle altre. Mi ricordo che si parlava di questo film. Non con me, certo, perché ero troppo piccola per andare oltre ai cartoni animati della Disney. Non sapevo che la pellicola di Olmi fosse tratta da un libro però. E, con somma ignoranza, non sapevo nemmeno chi fosse Joseph Roth.
Ho scoperto tutto l'altra mattina, quando l'ho preso dalla libreria, l'ho portato a casa e l'ho letto. Sperando si accendessero altre lampadine che invece sono rimaste spente. Strano, perché una storia così me la dovrei ricordare, a qualunque età l'abbia vista o sentita la prima volta. E invece, niente.

Nonostante questo buio nella mia mente, sono riuscita a farmi trasportare dalle parole di Roth, dalla sua narrazione semplice, senza orpelli o fronzoli inutili, e forse per questo ancora più bella. Ho accompagnato Andreas, questo barbone alcolizzato che vive di ricordi, estraneo allo spazio e al tempo, attraverso i suoi piccoli miracoli, i primi soldi regalati e la sua lotta contro se stesso e il caso per restituirli, il lavoro trovato magicamente, le prime spese in alcool, l'incontro con gli amici, con la donna che amava e che gli ha rovinato la vita, e l'appuntamento con la piccola Teresa, che sembra impossibile da rispettare, fino a che non è la stessa Teresa a venire da lui.

Il fatto di non conoscere Joseph Roth e la sua opera ha sicuramente penalizzato la mia lettura, anche perché questo racconto è autobiografico. Gli ultimi anni di questo autore sono stati molto simili a quelli di Andreas: Parigi, i soldi che iniziano a finire, l'attaccamento all'alcool, l'estraneità nei confronti del mondo presente e i ricordi del passato che riaffiorano improvvisi e quasi senza logica. Eppure, nonostante questa mia ignoranza, sono comunque riuscita a rendermi conto di avere davanti qualcosa di grande, di bello.

Un piccola perla, questo racconto. Di quelli che si leggono in un paio d'ore ma che ti danno da pensare per giorni. Cosa avrei fatto io se fossi stato in Andreas? Quanto può l'onore sulla disperazione? E quanto ci lasciamo influenzare dal caso, dal destino, a cui a volte chiediamo fin troppo?
Perché a nulla si abituano gli uomini più facilmente che ai miracoli, se si sono ripetuti una, due, tre volte. Sì! La natura degli uomini è tale che subito vanno in collera se non capita loro di continuo tutto quanto sembra aver loro promesso un destino casuale e passeggero.
E ora cercherò di recuperare quella videocassetta, sperando che il tempo non l'abbia smagnetizzata, di vedere il film e far sì che quella lampadina non si spenga più.


Titolo: La leggenda del santo bevitore
Autore: Joseph Roth
Traduttore: Chiara Colli Staude
Pagine: 73
Anno di pubblicazione: 1975
Editore: Adelphi
ISBN: 9788845901744
Prezzo di copertina: 8€
Acquista su Amazon:
formato brossura: La leggenda del santo bevitore. Racconto

domenica 25 agosto 2013

QUELLA SERA DORATA - Peter Cameron

Dopo la mezza delusione provocatami da Cocaina, pessimo esordio delle mie letture vacanziere, ho sentito il bisogno di muovermi su terreni sicuri e ho scelto, tra i vari libri che avevo a disposizione, Peter Cameron. Pur avendo letto un solo libro suo, che penso sia quello più conosciuto e letto, ovvero Un giorno questo dolore ti sarà utile, a pelle nutro nei confronti di questo autore una cieca fiducia, che non saprei bene spiegare da cosa derivi. 
Anche perché riguardo a Quella sera dorata ho sentito davvero tanti pareri contrastanti: c'era chi mi diceva che l'ha trovato noioso e banale, chi invece il capolavoro di questo autore. Quindi l'ho letto con un misto di aspettative, curiosità e titubanza che credo mi abbiano permesso di apprezzarlo ancora di più.

Protagonista è Omar Razaghi, un dottorando di un'università del Kansas, che vorrebbe scrivere come tesi finale la biografia di Jules Gund, autore di un unico libro di grande valore ma che rischia di cadere nel dimenticatoio. Scrive quindi una lettera ai tre esecutori testamentari,  ovvero la moglie,Caroline,  l'amante, Arden, e il fratello, Adam, dello scrittore, per chiedere il permesso. Permesso che gli viene negato. E allora decide, spinto anche dalla fidanzata, di partire alle volte dell'Uruguay, dove questi vivono, per cercare di convincerli. Qui entrerà in contatto con un mondo completamente distante dal suo, isolato da tutto, protetto, che invaderà in modo delicato ma anche sconvolgente, sia per i tre esecutori testamentari sia, e soprattutto, per se stesso.

La forza del libro sta sicuramente nei personaggi,  nella loro perfetta caratterizzazione e negli intrecci che tra loro esistono o si creano durante la lettura. C'è l'insicurezza di Omar, che non sa bene cosa fare della sua vita, che è vittima di una fidanzata che sicuramente lo ama ma che non riesce ad accettare questa sua insicurezza, e che alla fine riuscirà a capire qualcosa di se stesso. C'è il legame misterioso tra Adam, Caroline e Arden, di cui ci viene dato qualche indizio senza che si spieghi mai bene come si sia arrivati a quel punto. In tutti loro, grazie o per colpa dell'arrivo di Omar, c'è un evoluzione, un mettersi in discussione che porterà a drastici cambiamenti.
Perché ci eccita tanto viaggiare, andare lontano? Per quello che ci lasciamo alle spalle o per quello che troviamo?
Quella sera dorata è sicuramente un libro bello, molto bello. Uno di quei libri che ti tiene incollato alle sue pagine, in maniera quasi morbosa, grazie all'intreccio creato e alla grande abilità narrativa di Cameron. Eppure, verso la fine, forse si perde un po'. O meglio, si chiude l'ultima pagina con la voglia di saperne di più e la sensazione che manchi qualcosa per renderlo perfetto.
Resta comunque un libro davvero ben scritto, che merita decisamente di essere letto.

Titolo: Quella sera dorata
Autore: Peter Cameron
Traduttore: Alberto Rossatti
Pagine: 318
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845923739
Prezzo di copertina: 11€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Quella sera dorata

mercoledì 24 aprile 2013

FOLLIA - Patrick McGrath


Una grande storia di amore e morte e della perversione dell'occhio clinico che la osserva. Dall'interno di un tetro manicomio criminale vittoriano uno psichiatra comincia a esporre il caso clinico più perturbante della sua carriera: la passione tra Stella Raphael, moglie di un altro psichiatra, e Edgar Stark, artista detenuto per uxoricidio. Alla fine del libro ci si troverà a decidere se la "follia" che percorre il libro è solo nell'amour fou vissuto dai protagonisti o anche nell'occhio clinico che ce lo racconta.


E' così finalmente ho letto anche io Follia di Patrick McGrath. Dico finalmente perché questo libro mi perseguitava già da un po', senza che riuscissi a decidermi di leggerlo.
"E' un libro stupendo", "E' meraviglioso", "E' il libro più bello del mondo"  ma anche "Non mi ha convinto per niente", "Mi aspettavo di più" sono grossomodo i commenti che ho sentito o letto in giro in merito a questo romanzo. Bello ma anche brutto. Attrazione ma anche repulsione. L'ho amato ma anche l'ho odiato. 
E ora che l'ho finito, riesco a capire perfettamente ognuna di queste posizioni. Che poi forse sono proprio quelle che lo stesso autore voleva provocare nei lettori. 

Il libro parla essenzialmente d'amore. Un amore forte, passionale, violento, folle. Quello che Stella prova per Edgar Stark e che le fa violare ogni regola di buon senso e di etichetta. Edgar è infatti un paziente del manicomio criminale in cui lavora il marito della donna. E' lì perché ha ucciso la moglie. Eppure, agli occhi di Stella è un uomo colto, intelligente, normale. Un uomo che non mentirebbe mai e che la ama con tutto se stesso, proprio come lei ama lui. Fuggirà con lui e poi da lui. Senza però riuscire a dimenticarlo. Perché l'amore non si può definire né gli si può fuggire.
"Già, l'amore" dissi. "Parliamo di questo sentimento che non riuscivi a dominare. Come lo descriveresti?". Qui Stella fece un'altra pausa. Poi, con voce stanca, riprese: "Se non lo sai non posso spiegartelo".
"Allora non si può definire? Non se ne può parlare? E' una cosa che nasce, che non si può ignorare, che distrugge la vita delle persone. Ma non possiamo dire nient'altro. Esiste, e basta"
La cosa che mi ha colpito maggiormente di questo libro non è tanto la trama, che a tratti, una volta messa in moto, ho trovato quasi prevedibile. La forza sta soprattutto nella narrazione. Come se ogni parola usata da McGrath fosse una calamita, messa  per attrarre il lettore tra le pagine e impedirgli di staccarsi, anche solo per respirare. La voce narrante è quella di Peter, collega di Max e amico di Stella, che poi avrà in cura. Ci parla di lei come di una paziente, come un caso clinico, analizzando con freddezza ogni situazione ed emozione, senza giudicare. Uno sguardo clinico. Non credo di aver mai letto nulla di scritto in questo modo, perfetto e geniale.

Eppure, come dicevo all'inizio, capisco anche le perplessità e il fatto che questo romanzo possa non essere piaciuto. Perché ogni tanto, io stessa mi ritrovavo a provare una certa avversione verso i personaggi, a domandarmi come fosse possibile che potesse davvero succedere quello che stava succedendo. Soprattutto con Stella ho avuto qualche difficoltà, ma forse anche perché sono totalmente a digiuno di malattie mentali e dei meccanismi che queste possono creare. Sempre che Stella sia realmente malata e che l'amore sia davvero una malattia.

Basta, non vi dico nient'altro. Vi rovinerei troppo la lettura e la vostra interpretazione. Concludo dicendo che questo è uno di quei libri che vanno assolutamente letti. Anche se la trama non vi ispira o se avete letto solo commenti negativi (mi sembra un po' incredibile, ma può succede). Perché merita anche solo per lo stile. Una volta iniziato, magari non vi piacerà, magari lo odierete con tutti voi stessi... ma non riuscirete a metterlo giù finché non sarete arrivati alla fine.

Nota alla traduzione: nulla da segnalare (a parte la scelta editoriale di Adelphi di eliminare le d eufoniche anche quando servono, a cui mi devo un po' abituare)

Titolo: Follia
Autore: Patrick McGrath
Traduttore: Matteo Codignola
Pagine: 296
Anno di pubblicazione: 1998
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845926983
Prezzo di copertina: 12,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Follia

giovedì 18 aprile 2013

MENDEL DEI LIBRI - Stefan Zweig

Non sono mai stata una grande amante dei proverbi. Me ne ricordo pochi e non riesco comunque mai a inserirli in una conversazione con naturalezza. Eppure, ogni volta che chiudo uno di questi libretti piccini piccini, non posso fare a meno di pensare che molto spesso "nella botte piccola ci sta il vino buono" e che devo smetterla di giudicare un libro anche dal numero di pagine che lo compone. Romanzo breve, racconto lungo... non so mai nemmeno come devo chiamarli. Ma poi, pensandoci, non è poi così fondamentale dar loro un nome. L'importante è leggerli, senza pensare che se è corto gli mancherà di sicuro qualcosa.

Mendel dei libri rientra in questa categoria. Poche, pochissime pagine, che si leggono in un meno di un'ora e che riescono comunque a entrarti dentro, lasciandoti poi un'infinita tristezza. Mendel è dei libri perché è il maggior esperto di titoli e di prezzi che si possa trovare a Vienna. Tu vai da lui, al Caffè Gluck dove trascorre le sue giornate, e gli chiedi ciò che ti serve. E lui te lo procura. Solo i libri, gli interessano. O meglio, i loro titoli, le loro edizioni, i loro prezzi. Non li legge tutti, certo che no, come potrebbe. Però vive in mezzo a loro e dentro di loro, incurante di quel che accade nel mondo esterno. "Perché lui leggeva come gli altri pregano, come i giocatori giocano e gli ubriachi tengono lo sguardo fisso nel vuoto", lontano, isolato da tutto quello che con il suo mondo non c'entra nulla.

Nemmeno la guerra, che si sta già portando via molte vite e molte coscienze, lo scalfisce. O almeno non ci si ritrova immischiato,  suo malgrado e sempre per colpa della sua passione. E così, fuori dal mondo protetto delle rilegature, delle edizioni da collezione, delle bibliografie, Mendel si troverà a contatto con un mondo che non capisce, che nessuno in realtà può capire, e che gli toglierà la voglia di vivere. 

E' triste questo libro. E' triste il destino che viene riservato a quest'uomo, che poi è forse molto simile a quello riservato a molti altri, in momenti e circostanze diverse. Vivi per qualcosa, che sarà la tua rovina. Vivi per qualcosa, che ti impedirà di vedere altro. Vivi per qualcosa, e una volta morto, saranno in pochi a ricordarsi di te. Ma lo faranno proprio grazie alla tua passione.
Non si può non provare affetto per Mendel, non commuoversi di fronte al suo triste destino e non provare rabbia verso chi gli ha distrutto quel suo piccolo microcosmo, in cui non faceva del male a nessuno.

Leggete Mendel dei libri e sono sicura che voi di lui non vi dimenticherete.
"I libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall'inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l'oblio".

Nota alla traduzione: nulla da segnalare, direi.

Titolo: Mendel dei libri
Autore: Stefan Zweig
Traduttore: Ada Vigliani
Pagine: 53
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845922749
Prezzo di copertina: 6,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Mendel dei libri

sabato 19 gennaio 2013

LIMONOV - Emmanuel Carrère

Limonov non è un personaggio inventato. Esiste davvero: "è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio" si legge nelle prime pagine di questo libro. E se Carrère ha deciso di scriverlo è perché ha pensato "che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale". La vita di Eduard Limonov, però, è innanzitutto un romanzo di avventure: al tempo stesso avvincente, nero, scandaloso, scapigliato, amaro, sorprendente, e irresistibile. Perché Carrère riesce a fare di lui un personaggio a volte commovente, a volte ripugnante - a volte perfino accattivante. Ma mai, assolutamente mai, mediocre. Che si trascini gonfio di alcol sui marciapiedi di New York dopo essere stato piantato dall'amatissima moglie o si lasci invischiare nei più grotteschi salotti parigini, che vada ad arruolarsi nelle milizie filoserbe o approfitti della reclusione in un campo di lavoro per temprare il "duro metallo di cui è fatta la sua anima", Limonov vive ciascuna di queste esperienze fino in fondo.

Il primo pensiero che mi assale quando chiudo romanzi come questo è quello di essere molto più ignorante di quanto pensassi. Certo, non si può sapere tutto di tutto e, per natura, ogni essere umano tende a interessarsi e a informarsi solo su cose che lo interessano e in qualche modo lo appassionano. Per rendersi poi conto, d'improvviso, tramite una notizia, un articolo letto per caso, un film, una conversazione o un libro che a volte questa visione è davvero troppo limitata.
Fino a che non ho acquistato questo libro non avevo la più pallida idea di chi fosse Limonov. Lo avrò forse sentito nominare qualche volta, rimuovendolo però immediatamente dalla mia mente. E non avevo mai nemmeno letto nulla di Emmanuel Carrère. Certo, lo conoscevo di fama, ma per un motivo o per l'altro non avevo mai aperto un suo libro.
E quindi eccomi qua, con un solo libro, a scoprire due personaggi incredibili. Uno scrittore, che con il suo stile riesce a renderti interessanti e chiare anche le cose più complesse, e un personaggio, anch'egli scrittore, ma anche politico, intellettuale, dissidente, nonché un grandissimo bastardo, dalla vita semplicemente affascinante.

E Carrère ci accompagna proprio attraverso questa vita, ci aiuta a scoprirla, mostrandoci anche, oltre all'aspetto storico, i suoi dubbi e le sue paure riguardo alla stesura di questa autobiografia. Perché Eduard Veniaminovich Savenko, in arte Limonov, è un personaggio davvero complesso, difficile, ambiguo, che ha vissuto e operato all'interno della storia e della politica dell'Unione Sovietica e di tutto quello che ne è stato dopo, una storia altrettanto ambigua e difficile da comprendere. Il sogno di Limonov è quello di essere un eroe per la sua patria, uno di quegli idoli dannati, dalla vita avventurosa, perché non c'è nulla di peggio che adagiarsi e conformarsi, accettare quello che viene imposto dall'alto senza ribellarsi, senza combattere. E questa voglia di fare, di vivere, di lottare lo porterà in giro per il mondo: si ritroverà a fare il barbone prima e il maggiordomo poi a New York, arriverà a Parigi come scrittore di successo, grazie ai racconti crudi, diretti e senza sconti della sua vita, per poi tornare in patria, in Russia, esattamente da dov'era partito, e trovarsi di fronte una situazione politica instabile, confusionaria, con un popolo incapace di reagire di fronte alla caduta del comunismo e in balia di politici che fanno solo i loro interessi (la storia della messa al potere di Putin mi ha lasciata senza parole), una situazione a cui lui proverà a ribellarsi in tutti i modi, non solo scrivendo ma anche partecipando attivamente, fondando un partito e finendo alla fine, come tutti i dissidenti, in galera.

La trama in sé non si può certo riassumere, non si può fare il riassunto di una vita nelle poche righe di un post. Soprattutto se la vita è quella di un personaggio come questo. Un personaggio difficile da inquadrare e davvero, davvero difficile da giudicare. E' sicuramente uno stronzo, ha sicuramente avuto delle idee politiche poco chiare, spesso impossibili da condividere. E' sicuramente un uomo schietto, duro, quasi insensibile. Ma è anche un uomo che ha sofferto per amore per ben tre volte. E soprattutto, è un uomo che non si è mai arreso, neanche quando ha toccato il fondo. Si è sempre rialzato, si è sempre reinventato, non ha mai lasciato che fossero gli altri a decidere per lui e per la sua vita. Si è ribellato, anche quando era solo a farlo. 

Carrère ci racconta tutto questo, inserendo anche aspetti e aneddoti della sua vita. Anche lui a volte ha sofferto per amore, anche lui ha patito quando i suoi primi lavori non venivano pubblicati, anche lui in modo più o meno diretto ha vissuto gli anni del comunismo e di tutto quello che c'è stato dopo nell'Unione Sovietica.

Ma mi fermo qua. Perché rischierei davvero di dire delle stupidaggini su di un argomento di cui so poco o nulla. Un argomento che pensavo non mi interessasse, ma che invece questo grande autore e questo grande personaggio (che, al colmo delle coincidenze, è stato arrestato nuovamente lo stesso giorno in cui ho acquistato il libro) sono riusciti a farmi interessare, appassionare, arrabbiare.
Leggetelo, perché merita davvero.

Nota alla traduzione: direi ben fatta, anche se il mancato uso delle d eufoniche quando servono mi irrita un pochino...

Titolo: Limonov
Autore: Emmanuel Carrère
Traduttore: Francesco Bergamasco
Pagine: 356
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845927331
Prezzo di copertina: 19,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Limonov
formato kindle:Limonov (Fabula)