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mercoledì 10 luglio 2019

LA MIA ESTATE FORTUNATA - Miriam Toews

Ve lo dico subito come sono arrivata al punto in cui sono: ragazza madre con il sussidio, case popolari e via dicendo. Non era il mio scopo nella vita, ovvio. Non è che da bambina sognassi "Da grande voglio fare la madre povera". Avevo deciso di fare la guardia forestale. Ora mi rendo conto che è un settore un po' carente di rapporti umani, per i miei gusti. Sì, ma guarda dove mi hanno portato, i rapporti umani. Dicevano non avevo elaborato il lutto per la morte di mia madre. Per questo andavo a letto con tutti, dicevano. Dicevano che sgusciavo fuori dalla finestra della mia camera da letto ogni notte perché avevo bisogno di dimenticare. Avevo bisogno di dimenticare, dicevano, perché non riuscivo a reggere la tristezza di ricordare. È questo che intendevano, per elaborare il lutto: ricordare. Ricordare tutto, reagire e lasciare andare. C'era anche dell'altro ma chi se lo ricorda, ah ah. Non è che ne vado fiera, no, ma è andata così.


La mia estate fortunata di Miriam Toews, da poco pubblicato da marcos y marcos con la traduzione di Claudia Tarolo, è il primo romanzo di questa scrittrice canadese. Il primo, sì, anche se da noi, come spesso succede, arriva per ultimo, dopo che l’autrice è riuscita a farsi conoscere e amare, arrivando ad avere un suo zoccolo duro di lettori disposti ad accettare anche qualcosa forse di un po’ più acerbo. 
Dopo aver letto piccole perle come Un complicato atto d’amore e In fuga con la zia, aver pianto con I miei piccoli dispiaceri e aver tifato per quelle Donne che parlano, passando per Un tipo a posto e Mi chiamo Irma Voth, il pubblico italiano è finalmente pronto per conoscere Lucy, Lish e tutte le ragazze madri che vivono all’Half-a-Life.

La mia estate fortunata è una storia di donne, che abitano in case popolari fatiscenti, vivono di sussidi del welfare e crescono un numero imprecisato di figli, avuti spesso da un numero altrettanti imprecisato di uomini, su cui non hanno mai potuto contare. Lucy ha sfogato il suo dolore per la perdita della madre cambiando un ragazzo a sera: è così che, a diciott'anni, ha avuto Dill. Non sa quale delle sue tante avventure di una notte il piccolo sia figlio, né si è mai preoccupata di saperlo. Dopo che il suo, di padre, non ha mostrato alcun interesse per la sua situazione, ancora chiuso nel dolore di aver perso la moglie, Lucy ha ottenuto un alloggio all’Half-a-Life, una casa popolare che si allaga ogni volta che piove,  Qui conosce Lish, che di figlie ne ha quattro, due avute con lo stesso uomo e altre due, gemelle, con un artista di strada spensierato che si era innamorato delle sue mani, e che dopo una notte di sesso l’ha lasciata senza salutarla, portandole via il portafoglio e lasciandole il sogno di un amore perduto, oltre che due figlie in grembo. L’unico ricordo che ha dell’uomo, oltre alle due piccole ovviamente, è un cucchiaino d’argento rubato in hotel quella mattina.
Lucy e Lish diventano subito amiche, per quel cameratismo che inevitabilmente si crea vivendo in luoghi e situazioni come quelle. Insieme a loro, nel caseggiato ci sono molte altre donne sole: alcune inseguono ancora il loro sogno d’amore, altre cercano di sopravvivere come possono senza farsi portare via figli e vita.

Anche se alcune donne si separavano dai loro figli per il fine settimana, non perdevano l'abitudine della carne a buon mercato o della pasta. Tra il momento in cui salutavano i loro figli e salivano di sopra nei loro appartamenti silenziosi, dovevano trovare qualcosa di buono, magari l'aspetto del cielo o il sorriso sul volto dei loro figli mentre andavano via o una zaffata di qualcosa che gli ricordasse un tempo ormai passato o un tagliando per un paghi uno compri due al supermercato o un invitio a un torneo di Scarabeo con tequila nel palazzo quella sera. Qualcosa di buono, altrimenti immagino che il silenzio di una casa vuota possa ucciderti.

Un giorno, Lucy va da Lish e la trova chiusa in camera, in lacrime. Sul tavolo di cucina c’è una rivista, aperta su una pagina che parla di uno spettacolo in Colorado e di un misterioso mangiafuoco che scalda le folle. È l’amore rimpianto di Lish e Lucy decide di voler alleviare le sofferenze dell’amica. Certo non pensava che, così facendo, si sarebbe ritrovata su un furgone sgangherato, in viaggio con lei e con i rispettivi figli, verso un sogno d’amore impossibile e una felicità che invece è a portata di tutti.

Oltretutto le altre all'Half-a-Life pensavano che Lish si illudesse che la vita fosse più semplice di quanto in realtà non fosse. Non credo che Lish pensasse che la vita in sé fosse semplice, per niente: era solo il suo modo di prenderla che lei aveva ammorbidito sempre di più, scolpito e lasciato, finché non era diventato semplice. Fai quel che ti rende felice perché non c'è nulla di certo.

La mia estate fortunata è il romanzo d’esordio di Miriam Toews, si diceva. Eppure, leggendolo, non sembra assolutamente, perché c’è già tutto quello che ho amato dei romanzi successivi e più maturi di questa autrice. Ci sono le donne, fragili e forti al tempo stesso. C’è la voglia di non arrendersi, che se scema viene alimentata da chi ci sta accanto. C’è un passato che preme sul presente e lo condiziona, ma anche la voglia e la possibilità di riscatto, anche nelle condizioni più disagiate e disperate. C’è l’amicizia, la passione e la felicità per le piccole cose. E poi è un racconto ironico, tragico e poetico al tempo stesso... tutto questo, in poco più di trecento bellissime pagine.
Certo, qua e là ci sono anche alcune incertezze, alcune ripetizioni nel racconto che si potevano evitare (e, piccola nota pedante, anche qualche nota del traduttore del tutto inutile e un po’ irritante).

Insomma, La mia estate fortunata è un grande romanzo d’esordio, che ancora oggi non sente minimamente i ventitré anni che ha, e che, almeno per quanto mi riguarda, consacra Miriam Toews tra le mie scrittrici preferite di sempre.


Titolo: La mia estate fortunata
Autore: Miriam Toews
Traduttore: ClaudiaTarolo
Pagine: 302
Editore: marcos y marcos
Anno: 2019
Prezzo: 18,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: La mia estate fortunata
formato ebook: La mia estate fortunata (Gli alianti)

martedì 2 luglio 2019

A volte ritornano... con le letture di giugno

Toc, toc... è permesso? C’è nessuno?

Sì, lo so. Non ha tanto senso bussare e chiedere permesso per entrare in un posto che è mio, ma è passato così tanto tempo dall'ultima volta che ho aggiornato il blog che un po’ di educazione mi pare d’obbligo. Non posso certo ripresentarmi qui, come se niente fosse, e aspettarmi di essere riaccolta da lui (e da voi) a braccia aperte, senza mostrarsi minimamente offeso. Scusa, blog, è che a un certo punto mi sono resa conto che non ti stavo più aggiornando come ti meritavi. Vuoi per mancanza di tempo, vuoi per i mille pensieri, non riuscivo più a scrivere con la stessa costanza e, soprattutto, con lo stesso entusiasmo di una volta. Quindi ho sentito il bisogno di prendermi una pausa. Nel mentre, sono sopravvissuta al mio primo anno di insegnamento ad adolescenti scapestrati, è uscito un romanzo tradotto da me (e Isabella Zani) per una casa editrice importante, ho continuato a tradurre, editare, valutare e fare tutto quel che facevo prima. Anche leggere, ovviamente. Un po’ meno, perché i ritmi di lavoro hanno prosciugato gran parte delle mie energie. Però, ecco, di leggere e, soprattutto, di essere la lettrice rampante non ho smesso mai.

E ora, con l’arrivo di luglio e dell’estate, rieccomi qui. Dovrei avere un po’ più tempo e anche un po’più voglia di tornare a scrivere su queste pagine. La verità è che il blog mi è mancato, in questi mesi. Ci sono entrata quasi tutti i giorni, giusto per vedere se era ancora tutto al suo posto (invasione di commenti spam a parte sì, era tutto come lo avevo lasciato), pensando spesso “chissà se troverò di nuovo il tempo di dedicarmi a lui come si deve”. Adesso è l’ora di provarci. 

©Antonio Uve
Nei mesi scorsi ho raccontato le mie letture sulla pagina facebook  La lettrice rampante. Commenti molto brevi, per lo più semplici citazioni o pareri a caldissimo su quel che stavo leggendo. Oggi qui farò lo stesso, con le mie letture di giugno.
Tre sono stati i libri che mi hanno accompagnato il sesto mese dell’anno: Tutta la vita dietro un dito di Verde & Oriani, Il romanzo di Sant Jordi di Màrius Serra e Come muoversi tra la folla di Camille Bordas



Tutta la vita dietro un dito di Verde & Oriani, pubblicato da Salani, è il racconto di solitudini che si incontrano. Da un lato c’è Sebastiano, che ha ventidue anni, lavora in una copisteria e per sentirsi un po’ meno solo devia gli invitati alle feste del suo vicino di casa nel suo appartamento o partecipa ai funerali degli sconosciuti. Dall’altro c’è Irene, che lavora in una casa di riposo e, anche lei, è immersa nella sua solitudine. Complice la ricerca di una persona scomparsa, le loro strade a un certo punto si incontrano e le loro solitudini, in qualche modo, diventano un po’ meno tali. Nonostante qualche imperfezione (il libro a un certo punto tende a ripetersi un po’ e, a parer mio, c’è un po’ troppo autoerotismo), Tutta la vita dietro a un dito mi è piaciuto molto. Aggiungo una nota di merito per il bellissimo personaggio della madre di Sebastiano, forse non sfruttato al massimo del suo potenziale.

"Che altro può fare, ora? Ha pagato le bollette e ha già fatto la spesa: tanto vale tornarsene a casa. A nessuno interessa quello che fa o dice a casa sua. Se dà giudizi su tutto e tutti o si fa gli affari suoi, se apre o no le finestre, se spolvera o no in soggiorno. Eccola, è arrivata. A una certa età, il mondo tende a dimenticarsi di te. Perciò che male c'è se anche la signora Dutto vuole dimenticarsi del mondo? Prima mandata. Persino lei si sta dimenticando di se stessa. Se si volta a guardare indietro, la sua vita non le è più chiara come una volta. Seconda mandata. Lei in fondo cosa sa davvero della vita? Che le macchie d'olio vanno via con l'aceto. Che se lasci troppo in infusione la bustina, poi il tè è da buttare. Terza mandata. Che le lasagne surgelate vanno tenute dieci minuti nel microonde. Quarta mandata. Che, appena chiuderà la porta, tutto sarà più semplice. Ma adesso, mentre sciacqua il piatto nel lavello, mentre asciuga il bicchiere e tutto intorno sente salire un silenzio sempre più grande e profondo, le sembra di non avere nemmeno questa certezza. Il bicchiere le cade dalle mani e va in mille pezzi. Stai calma, stai calma, si dice. Ma dentro si sente perduta."

Il romanzo di Sant Jordi di Màrius Serra, edito da marcos y marcos e tradotto da Beatrice Parisi, è un giallo ambientato proprio durante el día de Sant Jordi, la festa del libro e delle rose che popola Barcellona e le altre città spagnole di libri e di fiori il 23 aprile. Il romanzo di punta di questa nuova edizione è proprio l’opera di Serra, al cui interno vengono uccisi gli scrittori spagnoli più famosi. Una bella idea, se non fosse che durante l’arco della giornata alcuni autori famosi, mentre sono intenti a firmare copie o a spostarsi da una presentazione all’altra, vengono uccisi davvero. È un libro avvincente, che cerca anche di fare una critica del mondo editoriale di oggi e delle sue contraddizioni. Bellissima la ricostruzione della giornata di Sant Jordi e del suo funzionamento dal punto di vista degli addetti ai lavori.
"La cultura è gioco e chi non si mette in gioco non fa altro che riprodurre gli schemi che critica. La saggezza è flessibilità, non rigidità. Quando scegliamo un percorso a volte ci intestardiamo a credere che sia l'unica strada possibile e lo blindiamo perché non ci siano vie d'uscita. Ci riempiamo di ragioni per darci ragione e ci dichiariamo fanatici difensori del nostro modo di vedere le cose. Diventiamo adulti solenni e scacciamo il bambino curioso che tutti ci portiamo dentro. Giocare è cercare ragioni e tutto quello che sappiamo abbiamo cominciato ad acquisirlo da bambini, quando imparavano a giocare, facendo errori e imitando gli altri. Dopo, alcuni perdono questa capacità nel crescere,quando spunta il grande guscio dell'età adulta che irrigidisce i movimenti come un'armatura da cavaliere non ardito ma spaventato. La vita è un lasso di tempo tra due momenti chiave, un inizio e una fine. Siamo destinati a vivere, ma il nostro obiettivo dovrebbe essere vivere bene, e per realizzarlo possiamo leggere, possiamo giocare, possiamo..."

L’ultimo libro di giugno è stato Come muoversi tra la folla di Camille Bordas, edito da SEM e tradotto da Giuseppe Costigliola. È la storia di una famiglia, padre, madre e sei figli, raccontata da Isidore, l’ultimogenito undicenne, che non sembra dotato come i suoi fratelli. È uno studente discreto, è curioso e intelligente, ma non sembra lanciato verso grandi cose come il resto della sua famiglia. Eppure, con la sua curiosità, la sua sensibilità e la sua ingenuità sarà lui a prendere inconsapevolmente le redini della famiglia quando una tragedia si abbatterà su di loro e a tenere insieme tutti i pezzi. Come muoversi tra la folla è un romanzo molto dolce, pieno di situazioni e momenti che stringono il cuore, ma anche di scene divertenti. E Isidore è indubbiamente un personaggio indimenticabile.

"Dopo che tuo padre è morto, ti hanno detto tutti di essere forte?" mi chiese Denise."Veramente nessuno mi ha detto niente" risposi. Subito mi si affollarono alla mente le immagini di mio padre quando era senza denti. Le ricacciai via mentre attaccano la cera all'apparecchio."È proprio una stronzata" riprese Denise. " Ti dicono 'non essere triste', 'è la vita' e roba del genere, che devi essere forte, che 'è troppo facile lasciarsi andare' mentre ci vuole coraggio per voler essere felici e aggrapparsi ai piccoli piaceri quotidiani... come se la sofferenza fosse una cosa da deboli, sai? Non lo capisco."

Il mese di luglio è iniziato con il nuovo romanzo di Miriam Toews (che in realtà è il suo romanzo d'esordio): La mia estate fortunata, tradotto da Claudia Tarolo per marcos y marcos. Per adesso ho letto solo una settantina di pagine, ma c'è già tutta la Toews che ho imparato ad amare con i suoi libri successivi.





Titolo: Tutta la vita dietro un dito
Autore: Verde & Oriani
Editore: Salani
Prezzo: 14,90€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Tutta la vita dietro un dito

Titolo: Il romanzo di Sant Jordi
Autore: Màrius Serra
Editore: marcos y marcos
Prezzo: 18,80€
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Titolo: Come muoversi tra la folla
Autore: Camille Bordas
Editore: SEM
Prezzo: 18,00€
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formato cartaceo: Come muoversi tra la folla

venerdì 28 settembre 2018

DONNE CHE PARLANO - Miriam Toews

Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni - per forza che siamo sognatrici.


Tra il 2005 e il 2008 in una colonia mennonita in Bolivia, a molte ragazze e donne della comunità capitava di svegliarsi coperte di lividi e contuse per via di misteriose violenze subite nella notte. Gli uomini della comunità per lungo tempo hanno attribuito queste violenze a demoni e fantasmi, oppure, a Dio o Satana che infliggevano le giuste punizioni per i loro peccati. In realtà poi si è scoperto che erano gli uomini stessi della comunità a violentare le donne: le narcotizzavano con un anestetico per animali e poi le stupravano. 

Donne che parlano, nuovo splendido romanzo di Miriam Toews, uscito il 27 settembre per marcos y marcos con la traduzione di Maurizia Balmelli, prende spunto proprio da questo reale fatto di cronaca. 
Donne, ragazze e, a volte, anche bambine violentate dai propri padri, mariti, cugini, fratelli e che ora si trovano a dover decidere cosa fare della loro vita. Non hanno molto tempo per decidere cosa fare, le donne di Molotschana: gli uomini della comunità che non sono stati arrestati per le violenze inflitte stanno infatti pagando le cauzioni di quelli in prigione e, quando saranno di ritorno, le donne dovranno decidere se perdonarli e quindi rimanere nella comunità, oppure andarsene definitivamente. È questo che ha imposto loro il pastore Peters, ribadendo così ancora una volta la loro sottomissione. O perdoni o te ne vai, mentre i colpevoli saranno comunque liberi.
Le donne di Molotschana si riuniscono di nascosto per decidere cosa fare. A seguire i loro incontri, l’unico uomo rimasto: August Pepp, ritornano nella comunità dopo anni di esilio, ma che con gli uomini mennoniti sembra davvero avere poco a che fare. A lui spetta il compito di scrivere i verbali delle loro riunioni, perché nessuna delle donne sa scrivere... e in realtà nemmeno leggere, ma è importante che rimanga una traccia scritta di quello che si dicono.

Sul piatto ci sono tante cose. Da un lato, il desiderio delle donne di andarsene per lanciare un segnale ma anche per difendersi, per non accettare passivamente le violenze e le umiliazioni subite perché, nonostante siano cresciute in una società patriarcale in cui loro valgono meno delle bestie, sentono che non è giusto. Non è giusto per loro, che sono adulte, e lo è ancor meno per le bambine che hanno subito le stesse violenze. Dall'altro lato c’è la voglia di restare, per rispondere alla violenza con la violenza, o perché la sottomissione alle regole della comunità e agli uomini è troppo radicata in loro, o più semplicemente per paura, perché non hanno idea di come sia il mondo là fuori perché nessuno glielo ha mai insegnato. C’è la voglia di rivendicare il proprio diritto a essere trattate come persone e non come, o peggio, delle bestie, ma anche il desiderio di proteggere i propri figli.

Se il pastore e gli anziani di Molotschna hanno deciso che dopo queste violenze noi donne non necessitiamo di assistenza psicologica perché quando si sono verificate non eravamo coscienti, allora che cosa dovremmo, o addirittura potremmo, perdonare? Qualcosa che non è accaduto? Qualcosa che non siamo in grado di capire? E più in generale, ciò cosa significa? Che se non conosciamo "il mondo" non ne saremo corrotte? Che se non sappiamo di essere prigioniere allora siamo libere?

Agata, Ona, Salomé, Neitje, Greta, Mariche, Mejal e Autje, sono loro le Donne che parlano. Che cercano di decidere che cosa fare, che cosa sia meglio fare per i loro figli, per la loro comunità e soprattutto per loro stesse. Sono donne forti che non sanno di esserlo, e Miriam Toews è incredibilmente brava nel tratteggiarle, nel non tralasciare nulla dei loro stati d’animo, dei loro dubbi, delle loro contraddizioni, senza mai giudicarle.

Noi amiamo i nostri figli, e con qualche legittima riserva amiamo anche i nostri mariti, non fosse perché così ci hanno insegnato
Tu confondi l’amore con l’obbedienza, dice Mariche.
Questo può valere per te, Mariche, ma non necessariamente per le altre donne della colonia, dice Agata. Comunque sia, dobbiamo amare o dimostrare amore per le tutte le persone. È l’insegnamento più importante di Dio (secondo l’interpretazione degli uomini presumibilmente), amarci l’un l’altro come Dio ci ama, e amare il nostro prossimo come vorremmo che lui amasse noi.

Donne che parlano è un libro di una bellezza e un’intensità a tratti molto dolorose, che ti costringe ad aprire gli occhi sulla condizione delle donne in certe comunità religiose (stando a wikipedia, nel mondo ci sono più di un milione e mezzo di mennoniti, cinquecento anche in Italia. E la Toews stessa, fino ai diciott'anni ha vissuto in una rigida comunità canadese). Ma al tempo stesso è un libro pieno di forza, di coraggio, d’amore che dimostra come anche le persone all'apparenza più deboli, più fragili, meno considerate e stimate, possono ribellarsi e fare una loro piccola rivoluzione.

Una volta finita la lettura, pur sapendo che si tratta di personaggi inventati, non ho potuto fare a meno di chiedermi dove siano adesso Agata, Ona, Salomé, Neitje, Greta, Mariche, Mejal e Autje e tutte le altre donne, che parlano o che agiscono in silenzio. Se hanno incontrato nel loro cammino verso il mondo reale uomini come August Pepp, pronti a tutto per aiutarle. Se hanno ritrovato la pace e loro stesse. Per loro e per tutte le altre donne che invece ancora non hanno potuto parlare, ma a cui Miriam Toews con questo libro ha prestato un po’ di voce, mi auguro davvero di sì.


Titolo: Donne che parlano
Autore: Miriam Toews
Traduttore: Maurizia Balmelli
Pagine: 253
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 18,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Donne che parlano

lunedì 23 luglio 2018

PENELOPE POIROT E L'ORA BLU (ma anche "fa la cosa giusta" e "il male inglese") - Becky Sharp

Una riflessione astemia partorisce aforismi esangui! Prenda nota.



Da un paio di anni a questa parte, oltre che di caldo, mare, zanzare, spritz e gelato, l’estate per me è diventata sinonimo di Penelope Poirot, questa buffa e burbera investigatrice di antenati famosi nata dalla penna di Becky Sharp.
Il primo volume, Penelope Poirot fa la cosa giusta, è uscito per marcos y marcos nel 2016. L’anno dopo, per lo stesso editore, è arrivato Penelope Poirot e il male inglese. E ora, fresco fresco di stampa, nelle librerie si trova il terzo capitolo: Penelope Poirot e l’ora blu.

Pur avendo letto tutti e tre i romanzi praticamente a ridosso dell’uscita, qui sul blog finora non avrete trovato nessuna recensione. Per quanto io abbia sempre apprezzato queste letture, nel momento di recensirle, per un motivo o per l’altro, lasciavo perdere. Non per colpa dei libri, sia chiaro, semplicemente perché l’estate è il mese in cui il blog (ovvero io) fa più fatica a carburare, complici il caldo, il mare, le zanzare, gli spritz e il gelato citati prima (uniti alla mia fantastica abitudine di stravolgere o vedere stravolta mio malgrado la mia vita proprio nei mesi più caldi.)
Qualche giorno fa, però, mi sono ritrovata in una discussione lanciata da una ragazza che chiedeva qualche consiglio su gialli italiani scritti da donne. Il mio primissimo pensiero, complice anche l’aver chiuso da poco Penelope Poirot e l’ora blu, è andato proprio a Becky Sharp. Certo, non so se possa essere considerata una grande giallista italiana, anche solo perché all’attivo per ora ha solo tre romanzi, ma è un’autrice che comunque mi ha sempre divertito e che è riuscita a creare un personaggio, la nipote del famosissimo investigatore di Agatha Christie, con un suo bel perché. Insomma, era ora di parlarne anche qui sul blog.

Come detto in precedenza, Penelope Poirot fa la sua prima apparizione in Penelope Poirot fa la cosa giusta. È qui che conosciamo questa pronipote del più famoso (ma non ditelo a lei) Hercule e molti tratti caratteristici del suo carattere: Penelope è molto sicura (o piena?) di sé, molto permalosa, quasi del tutto priva di sensibilità quando riguarda le faccende degli altri (ma molto melodrammatica con le sue), dispotica, ficcanaso, molto incline alla lagna, lanciatrice di mode che segue solo lei e amante del cibo. Riversa tutte queste sue caratteristiche sulla povera Velma Hamilton, la sua nuova segretaria che farà da contrappasso (e da spalla più o meno volontaria) a tutte le sue avventure.
Avventure che portano le due donne sempre in Italia. Tra le colline toscane del Chianti nel primo capitolo; in Liguria, a Portofino, come tappa iniziale del Gran Tour che la donna ha deciso di compiere dopo il successo del suo romanzo, Una nipote, in Penelope Poirot e il male inglese; e infine in un paesino sperduto sulle colline tra Liguria e Piemonte in Penelope Poirot e l’ora blu.

Si può sapere, perdiana, cos’è quest’ora blu che sembra deliziarla tanto?
A quanto so, è una delle cosiddette ore magiche, insieme al mezzogiorno e alla mezzanotte. – O almeno così mi aveva insegnato Sveva. – per la precisione è l’ora di latenza tra il giorno e la notte. Il crepuscolo che segue il tramonto.
La twilight, dunque! Ovvero l’istante in cui giorno e notte, scontrandosi, restano ammutoliti – commentò ispirata. – l’stante che si sottrae al volgare scorrere del tempo…

In tutti e tre i romanzi, la donna si ritrova a indagare su tre omicidi, che si verificano sempre nei luoghi in cui la donna si trova a villeggiare: una clinica salutistica nel primo volume; la bella villa a picco sul mare della famiglia Travers nel secondo; la grande tenuta di Edelweiss Gastaldi, in cui Penelope Poirot viene invitata da una sua vecchia fiamma a partecipare alla festa di compleanno della proprietaria, nonostante le mille reticenze di Velma, che con quel luogo ha molti legami.

Non starò qui a fare un riassunto delle trame dei tre volumi. I gialli vanno letti, più che raccontati, secondo me, perché mai come nei romanzi di questo tipo è importante l’occhio del lettore: un giallo può essere bellissimo per qualcuno e insignificante per qualcun altro; qualcuno riesce a capire fin dalla prima pagina chi sia l’assassino, qualcun altro arriva alla fine e ancora non è convinto. 
I gialli di Penelope Poirot per me sono dei bei gialli.  Forse non di quelli che ti tengono incollato dalla prima all'ultima pagina e ti impediscono di fare qualsiasi altra cosa finché non hai scoperto chi è l’assassino; però sono romanzi divertenti, buffi, ma a volte anche profondi (soprattutto Penelope Poirot e l’ora blu, in cui si nota proprio una maggiore sicurezza ed evoluzione dell’autrice nel costruire e maneggiare le sue trame), che partono da un omicidio e un'indagine per poi svelare qualcosa di più sull'animo dei suoi protagonisti, al punto che spesso il delitto è solo un espediente, un punto di partenza per raccontare altro.

Grazie all'ambientazione (casualmente sempre in luoghi che conosco e che ho frequentato) e soprattutto ai personaggi, i romanzi di Becky Sharp si rivelano sempre una lettura piacevole e intelligente. Il personaggio di Penelope Poirot è caratterizzato alla perfezione, in tutte le sue manie e i suoi mille talenti, che spesso considera tali solo lei. A volte fa ridere, a volte mette a disagio, a volte ti verrebbe voglia di strozzarla o anche solo di darle una botta in testa e farla star zitta per qualche ora. Così come altrettanto ben riuscita è, secondo me, Velma Hamilton, la sua segretaria, che pur riluttante, spesso a disagio e con la stessa voglia di strangolarla che prova il lettore, segue la sua datrice di lavoro in ogni sua avventura e in qualche modo cerca sempre di farla ragionare (per poi quasi sempre rinunciare).
Hamilton, si vede che lei è vissuta nella bambagia: non conosce il mondo, non conosce l’ulcera, non sa cos’è lo stress”. Seduta alla toilette della sua suite, tra broccati rosa antico e mobili tardo Ottocento, Penelope si aggiustava l’ardito chignon e mi studiava dallo specchio. Dietro le lenti, i miei occhi restarono inespressivi. Non sono un’ipocrita, ma quando l’ipocrisia diventa questione di sopravvivenza, due lenti da miope possono rivelarsi una risorsa preziosa. [Cit. Penelope Poirot fa la cosa giusta]

Insomma, quelli di Becky Sharp sono romanzi perfetti per l’estate, leggeri, a tratti molto buffi e scritti con uno stile frizzante e vivace che coinvolge e diverte il lettore. Perfetti da abbinare al caldo, al mare (o alla montagna, o al lago, ma anche a casa), allo spritz e al gelato. Le zanzare invece molto probabilmente farebbero impazzire Penelope, quindi sì, direi che sono perfetti anche in questo caso.



TITOLO: Penelope Poirot fa la cosa giusta; Penelope Poirot e il male inglese; Penelope Poirot e l'ora blu
AUTORE: Becky Sharp
EDITORE: marcos y marcos
ANNO: 2016; 2017;2018
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo:
-  Penelope Poirot fa la cosa giusta
Penelope Poirot e il male inglese
Penelope Poirot e l'ora blu

mercoledì 6 giugno 2018

BEAUTIFUL MUSIC - Michael Zadoorian

Stasera è tutto diverso. Mi sento libero. Libero dal lutto, libero da dolore di mia madre, libero dalla cattiveria di chiunque al mondo. Voglio soltanto stare in questo momento, con questo divano, questo stereo e questo disco.



Aspettavo con ansia un nuovo romanzo di Michael Zadoorian. Dopo aver amato alla follia In viaggio contromano (no, il film che è stato tratto dal libro ancora non l’ho visto, ma spero di rimediare quanto prima), a tutt’oggi uno dei miei romanzi preferiti di sempre, ed essere rimasta invece un po’ meno soddisfatta di Second Hand, sua opera d’esordio, ero curiosa di leggere qualcosa di nuovo di questo scrittore americano. Per capire se In viaggio contromano sia stata fortuna, perché ce ne sono tanti di scrittori in grado di scrivere solo un romanzo bellissimo nella loro vita (e qualcuno neanche questo, in realtà) o se invece i problemi che ho trovato io in Second Hand fossero legati a una questione di immaturità.

Marcos y Marcos ha risposto a questa mia volontà, pubblicando in contemporanea con l’uscita americana Beautiful Music, tradotto da Claudia Tarolo.

Siamo nella Detroit degli anni ’70 e Danny è un ragazzino un po’ impopolare, goffo, impacciato, per nulla sportivo e facile preda dei bulli. Aveva degli amici, una volta, nel quartiere in cui abitava, ma poi le loro famiglie se ne sono andate , in parte a causa dell’arrivo di nuovi abitanti di colore. Danny si rifugia spesso nella musica: quella che ascolta in auto con suo padre e quella che sente in cantina, sempre insieme a suo padre, quando i due si richiudo lì per fare lavoretti e forse anche per sfuggire a una madre e una moglie un po’ problematica. La musica è un’ancora di salvezza per Danny nei momenti più difficili della sua vita di adolescente, e lo diventa ancora di più quando un’enorme tragedia si abbatte sulla famiglia e lui deve trovare un modo per reagire.
È tutto diverso, adesso, come ci si poteva aspettare. Scopro che anche dopo che è successa una cosa veramente orribile, succedono altre cose. I tuoi occhi continuano ad aprirsi, le tue orecchie continuano a sentire, i tuoi polmoni continuano a respirare, anche se tu non sai perché e non vorresti. Arriva l'inverno. Passano i giorni e in qualche modo arranchi nella loro melma. Quando riesci a dormire, e a volte ci riesci, quando la radio fa bene la sua parte, quando trasmette canzoni di un certo tipo, senza troppi significati, cullandoti in uno spazio vuoto, dove, per un momento o due, i ricordi di lui non ti tolgono il respiro. Quando riesci a dormire, e a volte ci riesci, ti svegli in una casa immobile, e il mormorio della tua radio è l'unico segno che sei sveglio e vivo.
A correre in suo aiuto arriva un’insegnate della sua scuola che, sentendo la sua voce, gli chiede di lavorare alla radio della scuola. Non deve fare niente di particolare: solo mettere un paio di dischi e leggere degli annunci. Un sogno che si avvera, per Danny, ma che poi si scontra con la realtà, molto più complessa di quel che un ragazzino della sua età potrebbe immaginare e forse capire. Ma la musica ha dato a Danny una sensibilità in più, che gli permette, a modo suo, di affrontare le ingiustizie e le difficoltà del mondo.

Beautiful Music è un inno alla musica e al suo potere di salvare vite e di far sentire meno soli. Ma anche un romanzo sulla famiglia, sui legami e sulle difficoltà ad andare avanti quando uno di questi legami suo malgrado si spezza. 
C’è poi la questione degli scontri razziali, che imperversavano nella Detroit e più in generale in tutta l’America di quegli anni, raccontata però dal punto di vista di un ragazzino che, molto semplicemente, non capisce perché si debbano discriminare persone con la pelle di un colore diverso, proprio come non capisce perché i bulli se la debbano prendere con lui a scuola.
Tutti avevano una gran paura che i neri venissero ad abitare nel nostro quartiere. Questa era la cosa peggiore che potesse succedere. Ora i neri stavano venendo ad abitare nel nostro quartiere e non sembra fare una grande differenza. Salvo per tutti quei bianchi che se ne vanno.
Devo dire una cosa a discolpa di mia madre (e di mio padre, quando c'era ancora): non li ho mai visti comportarsi male o essere scortesi con nessuno, nero o bianco che fosse. Ho visto mio padre con i suoi colleghi neri quando mi portava in ufficio i sabati in cui lavorava, ed era gentile e cordiale, come sempre. Lo stesso capitava con mia mamma quando andavamo all'alimentari o all'ambulatorio medico, e lei si metteva a ridere e scherzare con l'infermiera del dottor Hadosian, Mildred. (La mamma era più gentile con lei che con il dottore.) È una finta? È ipocrisia? Si può essere un reazionario gentile? È possibile avere lati opposti di qualcosa nel proprio cuore? Puoi credere che le cose stiano in un modo, mentre le tue azioni rivelano qualcos'altro? Puoi temere l'idea di certe persone, ma non le persone stesse, viste da vicino? Proprio non lo so.
Danny è sicuramente un bel personaggio e ho provato nei suoi confronti una forte simpatia ed empatia fin dalla prima pagina. Mi sono piaciute le sue insicurezze, così incredibilmente condivisibili, e ho adorato il rapporto con suo padre, ma anche il suo tentativo di tenere a galla una famiglia che sta affondando, e la sua frustrazione quando non ci riesce.
Vorrei dirle che non è niente. Vorrei dirle che manca anche a me. Vorrei dirle che andrà tutto bene. Ma non posso, perché non penso che andrà tutto bene. La fisso e basta. Mi rimetto le cuffie, ma la canzone è finita.
E poi c’è la musica, ovviamente. Di cui forse bisognerebbe essere un po’ più conoscitori e appassionati di quanto non lo sia io per apprezzare tutto il potenziale di questo romanzo. Ma anche se non siete dei grandi esperti, come non lo sono io, sicuramente in alcuni momenti della vostra vita avrete fatto ricorso alla musica e alle canzoni per affrontare dei momenti tristi o brutti, o come colonna sonora di istanti bellissimi e quindi non avrete difficoltà a capire comunque quanto sia bello quest’ultimo romanzo di Michael Zadoorian.

Certo, In viaggio contromano rimane il mio preferito, ma Beautiful Music mi ha fatta sorridere ed emozionare, commuovere e, in alcuni punti, anche un po’ arrabbiare. E, ovviamente, lo consiglio tantissimo.


Titolo: Beautiful Music
Autore: Michael Zadoorian
Traduttore: Claudia Tarolo
Pagine: 397
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 18€
Acquista su amazon:
formato cartaceo:Beautiful music

mercoledì 9 maggio 2018

NOTTE INQUIETA - Albrecht Goes

«Va bene; fare del male per prevenire il Male: è questo che vuol dire? La missione della spada come missione dell'ordine. Ma quale ordine difendiamo con la nostra guerra? L'ordine dei cimiteri. E l'ultimo di quei cimiteri, il più grande di tutti, saremo noi a occuparlo. E anche se dovessimo sopravvivere, allora avranno il diritto di chiederci: che cosa avete fatto? E noi tutti ci metteremo a dire: no, noi non abbiamo nessuna responsabilità, abbiamo fatto soltanto quello che ci è stato comandato. Ma pare già di vederlo, l'esercito di quelli che si laveranno le mani come altrettanti innocenti. Ci vorrà un asciugamano grande come un sudario, per tutte quelle mani.»

Non è facile parlare e dare voce ai cattivi, soprattutto se si racconta di un periodo storico reale e non di argomenti fittizi. Verrebbe quasi da chiedersi perché farlo, perché dedicare un romanzo o anche solo un pensiero a chi ha fatto tanto male al mondo e soprattutto alla sua gente. Però al tempo stesso credo sia normale interrogarsi sulle dinamiche mentali dei cattivi, chiedersi cosa li abbia spinti a fare quello che hanno fatto, a comportarsi come si sono comportati, a uccidere. Ci credevano davvero o stavano solo eseguendo degli ordini? Credevano davvero che il sacrificio di molte, troppo vite umane innocenti fosse il giusto prezzo da pagare per raggiungere un presunto nobile ideale? Insomma, erano o non erano umani?

In Notte inquieta, da poco ripubblicato da marcos y marcos con la traduzione di Ruth Leiser, Albrecht Goes prova a rispondere a queste domande. Lo fa attraverso un pastore, in servizio tra ospedali, caserme e alloggi militari, tutti tedeschi, che un giorno viene chiamato d’urgenza in una città vicina per assistere un condannato a morte nelle ore precedenti e durante l’esecuzione. Lui accetta, perché non può fare altrimenti, perché il suo lavoro è quello. E l’unica cosa che può fare per rendere meno ingrato il suo compito è cercare di capire qualcosa di più dell’uomo che verrà ucciso, cercare, in quelle poche ore che gli sono rimaste, di conoscerlo e di sapere cosa l’abbia spinto a disertare. Una cosa pura e semplice, come l’amore. Mentre è lì che studia tutte le carte, nella sua camera arriva un altro uomo, il capitano Bretano in procinto di partire per Stalingrado e quasi sicuramente di non tornare mai più. E con lui, Melania, la donna che ama e che sa che probabilmente non vedrà mai più. 

Non c’è molto altro da dire sulla trama di Notte inquieta. È un libriccino tutto sommato sottile, ma che racchiude interrogativi ed emozioni molto, molto grandi, che ti rimangono in testa a lungo anche dopo aver chiuso il libro. Racconta il lato umano dei cattivi e in qualche modo cerca di aumentarne la condanna: perché è inevitabile chiedersi come sia possibile che persone capaci di amare possa nocompiere tali atrocità, o anche solo accettarle. 
È questo pensiero che mi ha accompagnato per quasi tutta la lettura, impedendomi forse di cogliere appieno il vero senso di quello che Albrecht Goes stava raccontando. Da un lato ho provato una forte empatia nei confronti del disertore, disposto a tutto per amore, e di Melania, desiderosa di godersi di stare con la persona che ama fino all’ultimo

«Che ore sono?»
Guardo l'orologio e rispondo sottovoce: «L'una.»
Poi, silenzio. Ma la voce, non rivolta a me, dice, ed è impossibile non sentirla: «Ancora sei ore.» E poi, anche più sommessa: «Ancora sei attimi.»
E l'altra voce (ti chiedo scusa d'averti sentita!): «Ancora sei anni.»
Questa è la dolcezza dell'amore: le ore diventano anni. E questa è la saggezza dell'amore: l'attimo si fa lungo come un anno. Hanno una notte sola, quei due. Ma vuol dire: per sempre.

Dall’altro lato, però, ho provato quasi rabbia verso questo pastore, che non riesco a vedere come vittima degli eventi, per quanto sicuramente più grandi di quanto una singola persona potesse  combattere. Certo, lui non nega il conforto a nessuno; lui si arrabbia di fronte ai gesti e ai comportamenti violenti e ingiustificati degli altri ufficiali; e soprattutto porta un po' di compassione e calore in luoghi in cui sembra non si sappia nemmeno cosa sia.
Ma è davvero sufficiente, o una luce fioca in una notte buia e inquieta non fa altro che rendere ancora più oscure le altre, sapendo che, una volta spenta, non cambierà nulla?

Titolo: Notte inquieta
Autore: Albrecht Goes
Traduttore: Ruth Leiser
Pagine: 110
Anno di pubblicazione: 2018
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 15€
Acquista su amazon:
formato brossura:Notte inquieta

martedì 31 ottobre 2017

L'ANGOLO DEL MONDO - Mylene Fernández Pintado

Non avrei mai pensato di sentirti dire che l'amore non è sufficiente. Ci aiuta a sconfiggere la guerra, la cattiveria, l'avidità, l'infedeltà, l'invidia. Ci fa credere in noi stessi e negli altri, in qualcosa di meglio per tutti. In un mondo migliore.


Restare o andarsene?
Tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati o ci troveremo di fronte a questo bivio. Può essere per motivi affettivi, lavorativi o per mille altre ragioni. A volte è una decisione semplicissima da prendere, altre toglie il sonno. Spesso ci va coraggio in entrambi i casi, oltre a una buona dose di auto-convincimento su cosa sia meglio e cosa sia più giusto. Così come in entrambi i casi c’è paura. A volte ci si pente. Altre ci si guarda indietro pensando “ma perché non l’ho fatto prima”.

Tutto questo si amplifica, ovviamente, se si vive in paesi da cui è considerato normale andarsene perché sembra che da offrire a chi ci vive non abbiano nulla.
Ed è proprio di fronte a questo dubbio che si ritrova Marian, la protagonista di L’angolo del mondo, romanzo di Mylene Fernández Pintado, tradotto per marcos y marcos da Laura Mariottini e Alessandro Oricchio.

Marian ha trentasette anni, vive all’Avana e insegna, con passione ma senza troppi slanci, all'università. Sua madre è morta da poco e le ha lasciato in eredità un’auto sgangherata, una vecchia casa, qualche porcellana e oggetto antico che Marian ogni tanto vende, e un po’ di senso di colpa, per averle fatto credere fino all'ultimo che stesse scrivendo un romanzo che avrebbe dato una svolta alla sua vita.

Non sono coraggiosa. Per questo non ho mai scritto niente se non gli appunti delle lezioni. Non saprei dare una risposta memorabile se qualcuno mi chiedesse dei miei progetti futuri, della letteratura che si produce dentro e fuori dall'Isola, o di come faccio a scrivere con tutti questi impegni.
Non ho nessun impegno oltre al sacerdozio docente. Non ho animali, né piante. Ho dei libri, che sopravviverebbero anche se non li spolverassi, ho una stanza tutta mia  e tanto tempo a disposizione: le condizioni ideali per essere condannata a diventare una magnifica scrittrice ancor prima di aver scritto una sola frase.

Marian ha anche un ex fidanzato, Marcos, da cui si è presa una pausa di riflessione che consiste nell’andare a letto insieme di tanto in tanto; e un’amica artista, Lorena, sposata in terze nozze con un uomo molto saggio.
Lei sembra stare bene in questa sua vita grigia e senza slanci, quasi adagiata in una situazione che non sente di dover cambiare. Un giorno, però, la responsabile del dipartimento per cui lavora le offre un diversivo: scrivere la prefazione di un libro di un giovane scrittore, Daniel Arco, che sta facendo molto parlare di sé. Marian accetta l’incarico, per vedere d’improvviso tutta la sua vita e le sue certezze stravolte dall'entusiasmo, dalle ambizioni e dai sogni di Daniel, con cui inizia una travolgente storia d’amore, che la porterà a riflettere su cosa fare della sua vita.
Restare a casa, a Cuba, o andarsene, sapendo che casa e Cuba mancheranno sempre?

BiDi mi racconta parecchie cose dell'esilio, un cliché in quest'isola talmente affacciata sul mare che l'istinto di attraversarlo è quasi un'epidemia incontrollabile. I cliché, però, non sono altro che verità ripetute.
Chi se ne va, si dice, sente sempre la mancanza di qualcosa. Forse degli altri. Non conta quanti nuovi amici ti farai. Ti mancherà sempre qualcuno. Anche nel resto del mondo il cielo è blu, fa caldo, ci sono il mare e dei begli acquazzoni. Però a quello spazio manca il tempo. Quello che continua a scorrere senza di te, che scrosta le pareti, sbiadisce le fotografie e sotterra i vecchietti della casa all'angolo.

In L’angolo del mondo Mylene Fernández Pintado riesce a concentrare tutti i dubbi e le paure di chi si ritrova a vivere in un luogo che sembra avere poche prospettive, ma che al tempo stesso non verrebbe abbandonare, ma anche tutte le incomprensioni che possono nascere tra due persone che si amano ma che, al tempo stesso, vogliono due cose diverse e non riescono a capirsi l’un l’altro.

Marian ha un lavoro che le piace, ha una casa, ha degli amici e ama vedere il mare. Ama l’Avana e  Cuba. E ama Daniel, anche se non capisce perché se ne voglia andare. Daniel, invece, è più giovane e non vede (o non vuole vedere) prospettive e non capisce come possa la donna che ama accontentarsi.

Abbiamo fatto l'amore. Daniel, come se non potesse vivere senza di me in Spagna né in nessun altro luogo della terra. Io, come se dovessi ricordargli che il nostro mondo era bello e sicuro. Lui, credevo che lo avrei accompagnato. Io, che non se ne sarebbe andato da nessuna parte.

E, soprattutto, questo libro offre uno spaccato della società cubana e delle varie rivoluzioni che nel corso degli anni in essa si sono sviluppate. L'arrivo degli americani e poi la loro fuga. La povertà di molti e la ricchezza di pochi. Le scarse prospettive, ma al tempo stesso le difficoltà ad ambientarsi lontano da lì e il desiderio, di molti, di tornare. La frustrazione e la paralisi, ma anche la capacità, non di tutti, di riuscire a vedere del buono e del bello anche dove per molti sembra impossibile.

Da amante della letteratura sudamericana, sempre in cerca di autori contemporanei per raccontare le vicende caraibiche del passato e del presente, devo dire che quella di L'angolo del mondo è stata proprio una bella lettura. Ho amato molto lo stile dell'autrice e il modo in cui ha raccontato il personaggio Marian: una donna che si pone domande e si tormenta di dubbi e incertezze, che si lascia coinvolgere e trasportare dall'amore, ma senza mai mettere il desiderio degli altri di fronte al suo, per quanto possa essere doloroso lasciar andare chi non vuole rimanere. O lasciare indietro chi, invece, è deciso a restare.


Titolo: L'angolo del mondo
Autore: Mylene Fernández Pintado
Traduttore: Laura Mariottini e Alessandro Oricchio
Pagine: 221
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 16 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo:L'angolo del mondo

lunedì 7 novembre 2016

LA VEDOVA VAN GOGH - Camilo Sánchez

Un’ombra pesante su ogni gradino della scala è stato l’annuncio: Theo Van Gogh entra con il fantasma della morte attaccato alle scarpe.
Johanna lo guarda. In tre giorni è invecchiato di dieci anni.
Quasi non fa caso alla moglie e a malapena saluta il bambino. Con una cautela estrema, sistema sotto il letto gli ultimi lavori del fratello, una serie di rotoli con tele dipinte di fresco. Quindi, nel bauletto di rovere delle lettere, ne deposita un’ultima, quella che Vincent Van Gogh aveva addosso quando si era sparato un colpo, e poi si era sdraiato per dormire.

(Questo mia recensione è stato pubblicata su Ultima pagina il 25 ottobre 2016)

Il 27 luglio 1890 Vincent Van Gogh si spara un colpo di rivoltella al petto. Muore alle prime ore del 29 luglio, dopo poco più di un giorno di agonia. Accanto lui c’è il fratello Theo, accorso al suo capezzale da Parigi non appena saputo del tentativo di suicidio, e rimasto accanto a lui fino alla fine.
Nemmeno a lui Vincent ha voluto dare spiegazioni del suo gesto, culmine di una vita fatta di disturbi mentali e inquietudini. E Theo, che al fratello è molto legato, da questo grande dolore non si riprende più. Dopo mesi di depressioni e malattie psicosomatiche, muore il 25 gennaio 1891, a soli sei mesi di distanza dal suicidio del fratello.
La vedova Van Gogh, romanzo dello scrittore argentino Camilo Sánchez, pubblicato da marcos y marcos con la traduzione di Francesca Conte, parte dal momento in cui Theo ritorna alla sua casa di Parigi, dalla moglie Johanna Van Gogh – Borger e dal figlioletto appena nato, chiamato Vincent in onore del fratello, dopo essere stato al capezzale del pittore morente.
Torna a casa, ma è come se non tornasse più, talmente forte è il dolore che prova e che, nei pochi mesi successivi, lo ucciderà.

La storia viene raccontata dal punto di vista di Johanna, che con il cognato Vincent non aveva poi chissà quale grande rapporto, ma che invece è profondamente innamorata del marito. Vorrebbe aiutarlo, nel suo tentativo di rendere il giusto onore all’opera del fratello, ma al tempo stesso prova rabbia nei suoi confronti, per il modo in cui si sta lasciando andare, per la scarsa attenzione che prova nei confronti del figlio e per quello stato di apatia che si è impossessato di lui e che sa lo porterà alla morte.
È così. Ora posso perfino scriverlo senza tristezza: il vero amore della vita di Theo è stato Van Gogh.
Né io né mio figlio siamo riusciti a cambiare il suo destino. Ma non mi si chieda di comprendere questo genere di amore incondizionato, che li ha trascinati alla morte.
Quando poi Theo effettivamente muore, Johanna dovrà prendere in mano la sua vita e quella di suo figlio e cercare di sopravvivere. Per farlo, le vengono in aiuto proprio i quadri del cognato, che inizierà a riscoprire e, soprattutto, a far scoprire agli altri: dapprima semplicemente appendendoli alle pareti di Villa Helma, la locanda che ha deciso di aprire per rifarsi una vita, poi, con il passare del tempo riuscendo a organizzare mostre, a vendere alcune delle opere e a far conoscere Vincent Van Gogh per il grande pittore che è.
Ho camminato in mezzo ai quadri.
Mi sono fermata solo davanti al mandorlo in fiore che ha dipinto per mio figlio.
E mi ha divertito come non mai la sensazione di vedermi come un’intrusa, una fra le tante spettatrici che sfilavano davanti alle immagini come a messa.
C’è chi parla di Van Gogh al presente, come se non fosse morto.
Ecco qua. D’ora innanzi,Vincent Van Gogh sarà il nome di un artista.
Camilo Sanchéz sceglie di narrare le vicende di La vedova Van Gogh attraverso tre espedienti narrativi: il primo, quello che dà la struttura al romanzo e tiene unito il tutto, è una narrazione quasi asettica, una mera cronaca degli eventi e dello scorrere del tempo, senza interventi personali dell’autore; poi, ci sono le pagine di diario che Johanna scrive e in cui racconta le sue preoccupazioni, le sue paure, il suo senso di impotenza di fronte a quello che sta succedendo al marito e alla sua vita, ma anche le gioie del veder crescere il figlio, per nulla intaccato dal dolore che ha pervaso tutta la famiglia. Infine, ci sono le lettere che Vincent Van Gogh ha scritto negli anni al fratello e che Johanna scopre insieme al lettore. Lettere realmente esistite (pubblicate in Italia da Guanda nel 2007 nel volume Lettere a Theo, curato da M. Cescon) e che mostrano l’abilità a scrivere del grande pittore e, soprattutto, il forte legame di affetto e protezione che ha sempre unito i due fratelli.

Ed è proprio a partire da queste lettere, di cui Johanna era depositaria insieme alle opere, che lo scrittore argentino ha deciso di scrivere il suo primo romanzo. Incuriosito dalla figura della donna, dal ruolo che ha avuto nel difendere e diffondere i quadri del cognato, ha raccontato la sua storia e permettere così di conoscere un aspetto, di cui probabilmente solo gli appassionati sono consapevoli, del grande pittore impressionista.
Il libro è una passeggiata tra le opere di Van Gogh che va oltre la semplice tela. Leggendo si scoprono alcuni dettagli, alcuni retroscena e, soprattutto, alcuni dei più grandi turbamenti del pittore olandese che poi si sono riversati nei suoi quadri, racconti da un punto di vista vicino ma al tempo stesso esterno, quello di una donna che sì, riconosce il valore di quelle opere e ama perdersi in quei colori, ma al tempo stesso vorrebbe più tranquillità per la sua famiglia e per se stessa.
Molti indizi dell’autunno sugli alberi che costeggiano il percorso. Quando siamo passati davanti alla chiesa di Auvers, mi sono ricordata del dipinto che la raffigura, attaccato con le puntine nel corridoio che porta in cucina, a Pigalle.Senza il luccichio giovanile del disegno, né il cielo sullo sfondo, drammatico e carico di presagi, la chiesa, davanti ai miei occhi, pareva aver perduto la vitalità del quadro.Il quadro di Van Gogh migliorava il paesaggio.Scrivo sul treno che mi riporta a casa, a Pigalle. Confusa come prima o anche di più.Il dottor Gachet non può o non vuole darmi una diagnosi precisa sulla salute di Theo?
Ad arricchire questa biografia in forma di romanzo ci sono le note finali dell’autore, integrate nella versione italiana dalla traduttrice Francesca Conte, che spiegano e approfondiscono alcune delle cose raccontate nel romanzo, così da fornire basi realmente solide alla parte romanzata della vicenda.

Il risultato è un romanzo biografico e autobiografico al tempo stesso, in grado di coinvolgere e appassionare sia gli esperti e gli amanti di Vincent Van Gogh, sia chi invece lo conosce poco e solo per i suoi quadri più famosi. Attraverso il racconto e le parole di una donna forte e coraggiosa come Johanna Van Gogh – Borger, Camilo Sanchéz  va oltre i quadri e la pittura di Vincent Van Gogh, mostrandone anche l’aspetto più fragile, più umano, che ha contribuito a renderlo un grande.


Titolo: La vedova Van Gogh
Autore: Camilo Sánchez
Traduttore: Francesca Conte
Pagine: 192
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 16,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura: La vedova Van Gogh

martedì 3 maggio 2016

NON HO ANCORA FINITO DI GUARDARE IL MONDO - David Thomas

HO PAURA DI TUTTO. Dei cani, dei topi, dei serpenti e del temporale. Di essere in ritardo, malata, sfinita, sola, bloccata in ascensore o sorpresa. Ho paura degli altri, ho paura di dovermi giustificare, di dovermi spiegare, ho paura di essere mal giudicata, di deludere o di infastidire. Ho paura della folla, dell’isolamento, degli ictus, dei germi e di essere cacciata dal lavoro.
Solo tu non mi fai paura, e non sono sicura che sia un buon segno.

(Questa mia recensione è stata pubblicata su Ultima pagina il 26 aprile)


A tre anni dal suo primo libro pubblicato in Italia, La pazienza dei bufali sotto la pioggia, lo scrittore francese David Thomas è da poco tornato in libreria, sempre con Marcos y Marcos, con una nuova raccolta di piccole storie di quotidianità. Non ho ancora finito di guardare il mondo, tradotto dagli allievi della scuola di specializzazione per traduttori tuttoEuropa di Torino, con la supervisione di Maurizia Balmelli, non è altro che questo: una collezione di frammenti di vita, di storie di uomini e di donne che si trovano ad affrontare le piccole e grandi problematiche che il mondo mette loro davanti.
David Thomas deve essere un cultore delle cose di ogni giorno. Di quei piccoli istanti di felicità o di tristezza, di noia o di euforia, di vita insomma, che tutti affrontano nella loro quotidianità. Ed è per questo che per i suoi microracconti, che non superano mai le quattro pagine e che più sono brevi più sono efficaci, sceglie sempre la narrazione in prima, o al massimo in seconda, persona. Perché quello che succede a questi uomini e a queste donne potrebbe succedere a tutti. Anzi, già lo fa.

Tutti noi proviamo una soddisfazione incredibile a fare qualcosa di nascosto, come l’ascoltatore del primo racconto, Fare l’amore, che adora tenere la finestra aperta per sentire le urla di piacere dei vicini e sentirsi felice e in pace con il mondo. Tutti noi abbiamo qualcuno di cui odiamo le abitudini ma a cui alla fine non sapremmo mai rinunciare, come il protagonista di Caverna, che detesta sua moglie come solo chi ama davvero può fare, o quello di Urli, che cerca un po’ di pace ma poi nel silenzio proprio non riesce a stare. Tutti noi abbiamo amiche o amici che proprio non capiscono che cosa possiamo provare per qualcuno, perché fisicamente non proprio appetibile, come in Brutta, o semplicemente perché stronzo, in Niente di più semplice. Ma, soprattutto, tutti noi abbiamo rimpianti o rimorsi per il tempo perso, come la protagonista di Sette anni, che riesce a raccontare in poche righe il nascere, il crescere, il deteriorarsi e il finire di un amore, o per qualcosa che è stato e ora non è più e di cui forse non si è goduto abbastanza (provate a chiedere al povero Pugnetto).

La differenza è che forse non tutti saremmo in grado di affrontare le cose che la vita ci mette davanti ogni giorno come le affrontano i protagonisti dei racconti di Non ho ancora finito di guardare il mondo. Con amarezza, sì, con un’estrema coscienza di sé, dei propri limiti e delle proprie debolezze, soprattutto quando si parla d’amore, ma anche con ironia e autoironia. Come se David Thomas e i suoi personaggi, che a volte potrebbero sembrare un po’ folli ma che non sono altro che estremamente umani, sapessero che non c’è altro modo per sopravvivere alla realtà.

Sono anni che mi dico che dovrei cambiare macchina, lavoro, quartiere, donna e anche identità. Ma non so perché, non faccio niente per cambiare le cose. È deciso, domani mi cambio le mutande, queste sarà una settimana che ce le ho addosso. Sono sicuro che mi darà la carica per cambiare tutto il resto.

Non ho ancora finito di guardare il mondo di David Thomas è un libro da tenere vicino a sé e sfogliare di tanto in tanto, quando ci succede qualcosa di imprevedibile e non sappiamo come reagire, ma anche semplicemente quando la vita di ogni giorno ha il sopravvento su di noi, quando tante piccole cose si mettono insieme per farne una grande che ci sembra di non poter affrontare. Basta aprire questo libro in una pagina a caso e leggere uno dei settanta brevi racconti che lo compongono, per sentirsi un po’ meno soli, un po’ meno strani e, soprattutto, molto, molto più umani.


Titolo: Non ho ancora finito di guardare il mondo
Autore: David Thomas
Traduttore: Allievi della Scuola di specializzazione per traduttori editoriali, a cura di Maurizia Balmelli
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Marcos y Marcos
ISBN:978-8871686585
Prezzo di copertina: 16,00 €
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venerdì 1 aprile 2016

PARLAMI D'AMORE - Pedro Lemebel

La sua prima lettera la ricevette per posta, in una busta con il sigillo di ceralacca e il francobollo dell'Uruguay. Era scritta in un bel corsivo elegante con il suo inchiostro grigio azzurro. Era un tratto delicato. In ogni pausa della scrittura, un soffio di mare tiepido scompigliava le vocali come uccelli ballerini davanti ai miei occhi. Il suo nome era Aloma, viveva a Montevideo in una casa troppo grande per il suo andare lento, da rondine attempata.


Pedro Lemebel è entrato nella mia vita per caso, e quasi all'improvviso. Un giorno ero in un mercatino dell’usato, uno di quelli di catena, in cui i libri occupano solo una minima parte in mezzo ad altre cianfrusaglie dal design spesso improponibile. Arrivati al momento di pagare, ora non ricordo più cosa in realtà, sul bancone c’era questo libro di marcos y marcos dalla copertina azzurra. L’ho acquistato senza quasi guardarlo, visto che i libri di questo editore come ho già detto più e più volte, li compro praticamente a scatola chiusa, talmente mi piace. Ovviamente, il libro era Ho paura torero di Pedro Lemebel, uno dei romanzi più belli che io abbia mai letto negli ultimi anni.

Racconto spesso questo aneddoto, lo so, perché mi piace pensare che la Fata dell’angolo, la protagonista di quel romanzo, abbia voluto che io la trovassi così, che abbia voluto irrompere all'improvviso nella mia vita e lasciarci un bel segno. Da allora, ho poi cercato di recuperare tutte le opere di Lemebel pubblicate in italiano. Sono solo altre due, in realtà, quindi non è stato tanto difficile. Baciami ancora Forestiero e quella di cui vi parlo oggi, Parlami d’amore, da poco pubblicata sempre da marcos y marcos e tradotta dai partecipanti al laboratorio di traduzione tenuto a Roma da Matteo Lefévre (un laboratorio che se fosse stato più vicino avrei sicuramente frequentato anche io).

Proprio come lo era Baciami ancora, Forestiero, Parlami d’amore è una raccolta di scritti di Lemebel. Degli episodi, delle cronache, dei racconti realmente vissuti, in cui ciò che traspare maggiormente è il suo amore per la vita. Un poeta, anche se non scrive poesie, lo definisce Roberto Bolaño. E credo non esista definizione più azzeccata. Dai racconti d’amore alle cronache di viaggio (da Helsinki a Roma, senza dimenticare mai la sua paura di volare), dalle semplici riflessioni sulla quotidianità, agli incontri d’amore casuali su un bus, senza dimenticare l’impegno civile: le sue avventure alle feste delle fate, vietate dal regime ma a cui lui (lei, come spesso si chiama) non vuole rinunciare, ma anche le riflessioni sul primo maggio, sulla fine della dittatura e sull'aborto.

Se non avete mai letto niente di Pedro Lemebel e non conoscete il “personaggio”, non dovete partire da Parlami d’amore. Non riuscireste a cogliere completamente la sua poesia, né la bellezza di quello che scrive. In alcuni racconti, ammetto, ho faticato anche io, che questo autore lo amo con tutta me stessa. Partite da quel capolavoro di Ho paura torero e poi, sono sicura, inevitabilmente approderete anche qui. E vi perderete nelle sue parole d’amore, nel suo stile canzonatorio e appassionato, nel suo amore per la vita, per la bellezza, per il mondo.

Parlami d’amore fornisce un tassello in più per completare il personaggio di Lemebel, per conoscerlo ancora più a fondo. E innamorarsene, di nuovo.


Titolo: Parlami d'amore
Autore: Pedro Lemebel
Traduttore: a cura di Matteo Lefèvre
Pagine: 160
Editore: marcos y marcos
Acquista su Amazon:
formato brossura: Parlami d'amore

venerdì 12 febbraio 2016

UN COMPLICATO ATTO D'AMORE - Miriam Toews

Mi hai insegnato che certe persone se ne vanno e altre no e quelle che se ne vanno sono sempre più fiche di quelle che rimangono e io sono una di quelle che rimangono perché tu sei una di quelle che se ne sono andate e c'è un vecchio seduto in una casa vuota in giacca e cravatta che non ha più nessuno tranne me, grazie tante eh, grazie davvero.



Quando arrivi alla fine di libri come Un complicato atto d'amore di Miriam Toews, pubblicato in italiano da Adelphi edizioni con la traduzione di Monica Pareschi, non puoi fare altro che fermarti un attimo, stringere forte il libro tra le mani e riprendere fiato.
Credevo davvero che il suo apice questa scrittrice canadese lo avesse raggiunto con In fuga con la zia, libro che avevo letto e amato qualche anno fa. Tutti gli altri suoi romanzi che ho letto erano sì belli (e quando dico tutti, intendo proprio tutti), ma mai come quello.
In molti mi avevano detto di aspettare a dare il mio giudizio. Di aspettare a consacrare quel libro come il mio preferito perché me ne mancava ancora uno. Questo che consideravo un outsider, perché pubblicato da un editore differente dalle colorate copertine marcos y marcos a cui questa autrice mi aveva abituata.
E ora che l’ho finito, che l’ho stretto forte e ho ripreso fiato, ne capisco perfettamente il motivo.

Un complicato atto d’amore è la storia di una famiglia mennonita, i Nickel. Un marito e una moglie, diversissimi tra loro ma che si amano da impazzire, e due figlie, Tash e Nomi, educate secondo i rigidi principi che quella strana setta religiosa e quello strano paesino sperduto in mezzo al niente, ma circondato d’America, richiede loro. 
Ma Tash a un certo punto si ribella, riportando in luce anche i dubbi che anche la madre ha sempre avuto ma ha messo a tacere per amore. Solo Nomi, la sorella più piccola, sembra resistere alle tentazioni, un po’ perché subito non capisce, poi per amore di quel padre, burbero e sempre in giacca e cravatta anche mentre svolge i lavori più umili, che non può rimanere solo. Ma poi anche lei cresce e inizia a opporsi a questa strana vita, a questa comunità pronta ad allontanarti non appena compi qualcosa di “diverso”, qualcosa contro il volere di Dio, non appena mostri un barlume di felicità. Si ribella, ma non si muove, sa di non poterlo fare. Fino a quell’ultimo, complicato, disperato e potentissimo atto d’amore che qualcuno mette in atto per salvarla.

Se avete già letto altri romanzi di Miriam Toews, qui ritroverete il suo stile incredibile, che a tratti potrebbe sembrare troppo colloquiale e confuso ma che, in realtà, è perfetto per le vicende che racconta, perché va dritto al punto e colpisce dove deve, come un pugno. Ritroverete i suoi temi: quello della famiglia, dell’amore tra sorelle, del bisogno di fuggire, di ribellarsi a un destino che sembra segnato e a quella strana setta religiosa, i mennoniti, in cui l’autrice è effettivamente cresciuta e da cui poi è fuggita.
Ma ci troverete ancora di più: il coraggio e la disperazione di una ragazzina, combattuta tra quello che le hanno insegnato e quella che scopre essere la vita vera, tra l’amore per la sua famiglia e l’odio per quello che, per salvarsi, le hanno fatto. 
Avere il mal di mare in mare non è la stessa cosa che avere nostalgia di casa a casa

Un complicato atto d’amore è un libro bellissimo. Non saprei come altro definirlo. E Nomi, questa ragazzina ribelle e, nei suoi gesti provocatori a volte un po’ buffi, tenerissima e dolcissima, che in prima persona ci racconta tutta la sua storia è sicuramente un personaggio indimenticabile.

Siamo corsi dritti in Main Street e siamo saliti in cima alla scala antincendio del silos per il foraggio. Era il punto più alto del paese, e lì ci siamo baciati furiosamente sperando che qualche agricoltore al lavoro di primo mattino ci vedesse stagliati contro il sole nascente e si esaltasse all’idea che la felicità era possibile anche in un posto senza bar e senza treni.

Mi è piaciuto questo libro, mi è piaciuto proprio tanto. E ha consolidato Miriam Toews nella posizione di una delle mie scrittrici preferite in assoluto (si litiga il primo posto con Elizabeth Strout, scalzandosi a vicenda ogni volta che leggo un libro dell’una o dell’altra).

E allora, che state aspettando a leggere Un complicato atto d’amore, o uno qualsiasi degli altri romanzi di questa donne, e, soprattutto, a conoscere questa grande, grandissima autrice?


Titolo: Un complicato atto d'amore
Autore: Miriam Toews
Traduttore: Monica Pareschi
Pagine: 276
Editore: Adelphi
Prezzo di copertina: 16,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura:Un complicato atto d'amore

lunedì 1 febbraio 2016

Un gennaio di libri

Con un giorno di ritardo arriva il post di riepilogo del gennaio rampante. Avevo preso l'abitudine di pubblicarlo l'ultimo giorno del mese, ma per un piccolo contrattempo (che consiste in mare, cibo e passeggiate) arriva solo oggi.

© Gizem
Siamo già al 1° febbraio, porca miseria. Dico porca miseria perché oggi è un anno giusto giusto che ho smesso di ricevere uno stipendio fisso a fine mese (evento che mi avevo raccontato in questo post). Non dico che sono disoccupata, perché in realtà di lavoretti in questo anno ne ho fatti eccome, però, ecco, senza la certezza della cifra fissa e di quei contributi che tra 1500 anni mi avrebbero permesso di andare in pensione. Per festeggiare, questa settimana farò il mio tradizionale invio di cv alle case editrici: lo faccio più o meno ogni due mesi, di scegliere una settimana e mandare cv come se non ci fosse un domani. Per ora i lavori che ho trovato sono arrivati da altri canali, ma non si sa mai! (Case editrici che state leggendo, state pronte insomma!)

A questo proposito, ho finalmente pubblicato qui sul blog una pagina qui sul blog dove offro Servizi editoriali. Ci stavo pensando già da un po', vista anche l'esperienza accumulata in questi anni. E finalmente la pagina ha preso vita e spero porti presto grandi risultati.

Ma veniamo al blog e a come è stato il suo gennaio.

La primissima cosa da segnalare è sicuramente il primo incontro ufficiale del progetto Una valigia di libri, organizzato da me, da Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri e da Stefania della Libreria sulla parola. Dopo la presentazione di dicembre, finalmente il 16 gennaio abbiamo dato il via agli incontri veri e propri. Ed è stato bellissimo sedersi a chiacchierare di libri, italiani in questo caso, e del mondo della lettura in generale insieme a persone così partecipi e così interessate. Potete leggere un piccolo resoconto dell'incontro e i libri che sono stati consigliati qui.
Inutile dire che non vedo davvero l'ora che arrivi il 20 febbraio per il secondo incontro (dedicato all'Europa!).

Direi comunque che in questo mese ho principalmente letto. Tra una lunga traduzione da consegnare, qualche gita con il lettore rampante e un paio di visite molto fruttuose al mercatino dell'usato di Chivasso, non c'è stato molto tempo per fare altro. Otto sono stati i libri di questo mese. Alcune belle letture, alcune un po' meno, ma nel complesso mi posso ritenere completamente soddisfatta.


I libri che ho letto a gennaio, meno due che sono in prestito!

Ecco qui un piccolo sunto di che cosa ho letto:

- FLORENCE GORDON di Brian Morton, edito da Sonzogno e tradotto da Maura Parolini e Matteo Curtoni: è stato il primo libro dell'anno e, devo ammettere a malincuore, la prima delusione. Mi aspettavo tanto da questo romanzo e dalla sua protagonista. E in cambio non ho ricevuto molto.

- SULL'ORLO DEL PRECIPIZIO di Antonio Manzini: un libricino piccino picciò, in una bella edizione Sellerio, che racconta in modo molto utopistico cosa potrebbe venir fuori dalla fusione tra Mondadori e Rizzoli. Troppo utopistico, forse.

- BELLA ERA BELLA, MORTA ERA MORTA di Rosa Mogliasso, edito da NN editore: un bel romanzo, che fa ridere e riflettere su una di quelle situazioni in cui personalmente spero di non trovarmi mai, ovvero la scoperta di un cadavere.

- TERAPIA DI COPPIA PER AMANTI di Diego De Silva, edito da Einaudi: il re delle pippe mentali è tornato ed è più in forma che mai. Bello, bello, bello.

- IL NUOVISSIMO GALATEO DEL BORZACCHINI di Giorgio Marchetti, edito da Ponte alle Grazie: mi sono mancate un po' di basi per comprendere appieno tutto quello che viene raccontato in questo libro, ma lo stile di Giorgio Marchetti e la storia del buon vecchio Ambrogio sono più che sufficienti per farmi dire che il libro mi è piaciuto molto.

- COME UNA PIETRA CHE ROTOLA  di Maria Barbal, edito da marcos y marcos e tradotto da Gina Maneri: un libro trovato per caso in un mercatino dell'usato e che, nella sua semplicità, mi è piaciuto tantissimo.

- BENGODI di George Saunders, pubblicato da minimum fax con la traduzione di Cristiana Mennella: anche in questo caso, forse non ho capito proprio tutto. Però lo stile di Saunders (e la bella nota introduttiva) valgono da soli tutto il libro.

- CARO LETTORE IN ERBA... di Gianluca Mercadante, pubblicato da Las Vegas edizioni: una bella  e ironica riflessione sullo stato della lettura e dei lettori di oggi, ma anche una critica diretta a certi atteggiamenti.

Il mio febbraio è iniziato con un bellissimo libro in lettura, I venerdì da Enrico's di Don Carpenter, che mi sta piacendo davvero molto.

E il vostro gennaio com'è stato?