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mercoledì 10 luglio 2019

LA MIA ESTATE FORTUNATA - Miriam Toews

Ve lo dico subito come sono arrivata al punto in cui sono: ragazza madre con il sussidio, case popolari e via dicendo. Non era il mio scopo nella vita, ovvio. Non è che da bambina sognassi "Da grande voglio fare la madre povera". Avevo deciso di fare la guardia forestale. Ora mi rendo conto che è un settore un po' carente di rapporti umani, per i miei gusti. Sì, ma guarda dove mi hanno portato, i rapporti umani. Dicevano non avevo elaborato il lutto per la morte di mia madre. Per questo andavo a letto con tutti, dicevano. Dicevano che sgusciavo fuori dalla finestra della mia camera da letto ogni notte perché avevo bisogno di dimenticare. Avevo bisogno di dimenticare, dicevano, perché non riuscivo a reggere la tristezza di ricordare. È questo che intendevano, per elaborare il lutto: ricordare. Ricordare tutto, reagire e lasciare andare. C'era anche dell'altro ma chi se lo ricorda, ah ah. Non è che ne vado fiera, no, ma è andata così.


La mia estate fortunata di Miriam Toews, da poco pubblicato da marcos y marcos con la traduzione di Claudia Tarolo, è il primo romanzo di questa scrittrice canadese. Il primo, sì, anche se da noi, come spesso succede, arriva per ultimo, dopo che l’autrice è riuscita a farsi conoscere e amare, arrivando ad avere un suo zoccolo duro di lettori disposti ad accettare anche qualcosa forse di un po’ più acerbo. 
Dopo aver letto piccole perle come Un complicato atto d’amore e In fuga con la zia, aver pianto con I miei piccoli dispiaceri e aver tifato per quelle Donne che parlano, passando per Un tipo a posto e Mi chiamo Irma Voth, il pubblico italiano è finalmente pronto per conoscere Lucy, Lish e tutte le ragazze madri che vivono all’Half-a-Life.

La mia estate fortunata è una storia di donne, che abitano in case popolari fatiscenti, vivono di sussidi del welfare e crescono un numero imprecisato di figli, avuti spesso da un numero altrettanti imprecisato di uomini, su cui non hanno mai potuto contare. Lucy ha sfogato il suo dolore per la perdita della madre cambiando un ragazzo a sera: è così che, a diciott'anni, ha avuto Dill. Non sa quale delle sue tante avventure di una notte il piccolo sia figlio, né si è mai preoccupata di saperlo. Dopo che il suo, di padre, non ha mostrato alcun interesse per la sua situazione, ancora chiuso nel dolore di aver perso la moglie, Lucy ha ottenuto un alloggio all’Half-a-Life, una casa popolare che si allaga ogni volta che piove,  Qui conosce Lish, che di figlie ne ha quattro, due avute con lo stesso uomo e altre due, gemelle, con un artista di strada spensierato che si era innamorato delle sue mani, e che dopo una notte di sesso l’ha lasciata senza salutarla, portandole via il portafoglio e lasciandole il sogno di un amore perduto, oltre che due figlie in grembo. L’unico ricordo che ha dell’uomo, oltre alle due piccole ovviamente, è un cucchiaino d’argento rubato in hotel quella mattina.
Lucy e Lish diventano subito amiche, per quel cameratismo che inevitabilmente si crea vivendo in luoghi e situazioni come quelle. Insieme a loro, nel caseggiato ci sono molte altre donne sole: alcune inseguono ancora il loro sogno d’amore, altre cercano di sopravvivere come possono senza farsi portare via figli e vita.

Anche se alcune donne si separavano dai loro figli per il fine settimana, non perdevano l'abitudine della carne a buon mercato o della pasta. Tra il momento in cui salutavano i loro figli e salivano di sopra nei loro appartamenti silenziosi, dovevano trovare qualcosa di buono, magari l'aspetto del cielo o il sorriso sul volto dei loro figli mentre andavano via o una zaffata di qualcosa che gli ricordasse un tempo ormai passato o un tagliando per un paghi uno compri due al supermercato o un invitio a un torneo di Scarabeo con tequila nel palazzo quella sera. Qualcosa di buono, altrimenti immagino che il silenzio di una casa vuota possa ucciderti.

Un giorno, Lucy va da Lish e la trova chiusa in camera, in lacrime. Sul tavolo di cucina c’è una rivista, aperta su una pagina che parla di uno spettacolo in Colorado e di un misterioso mangiafuoco che scalda le folle. È l’amore rimpianto di Lish e Lucy decide di voler alleviare le sofferenze dell’amica. Certo non pensava che, così facendo, si sarebbe ritrovata su un furgone sgangherato, in viaggio con lei e con i rispettivi figli, verso un sogno d’amore impossibile e una felicità che invece è a portata di tutti.

Oltretutto le altre all'Half-a-Life pensavano che Lish si illudesse che la vita fosse più semplice di quanto in realtà non fosse. Non credo che Lish pensasse che la vita in sé fosse semplice, per niente: era solo il suo modo di prenderla che lei aveva ammorbidito sempre di più, scolpito e lasciato, finché non era diventato semplice. Fai quel che ti rende felice perché non c'è nulla di certo.

La mia estate fortunata è il romanzo d’esordio di Miriam Toews, si diceva. Eppure, leggendolo, non sembra assolutamente, perché c’è già tutto quello che ho amato dei romanzi successivi e più maturi di questa autrice. Ci sono le donne, fragili e forti al tempo stesso. C’è la voglia di non arrendersi, che se scema viene alimentata da chi ci sta accanto. C’è un passato che preme sul presente e lo condiziona, ma anche la voglia e la possibilità di riscatto, anche nelle condizioni più disagiate e disperate. C’è l’amicizia, la passione e la felicità per le piccole cose. E poi è un racconto ironico, tragico e poetico al tempo stesso... tutto questo, in poco più di trecento bellissime pagine.
Certo, qua e là ci sono anche alcune incertezze, alcune ripetizioni nel racconto che si potevano evitare (e, piccola nota pedante, anche qualche nota del traduttore del tutto inutile e un po’ irritante).

Insomma, La mia estate fortunata è un grande romanzo d’esordio, che ancora oggi non sente minimamente i ventitré anni che ha, e che, almeno per quanto mi riguarda, consacra Miriam Toews tra le mie scrittrici preferite di sempre.


Titolo: La mia estate fortunata
Autore: Miriam Toews
Traduttore: ClaudiaTarolo
Pagine: 302
Editore: marcos y marcos
Anno: 2019
Prezzo: 18,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: La mia estate fortunata
formato ebook: La mia estate fortunata (Gli alianti)

venerdì 28 settembre 2018

DONNE CHE PARLANO - Miriam Toews

Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni - per forza che siamo sognatrici.


Tra il 2005 e il 2008 in una colonia mennonita in Bolivia, a molte ragazze e donne della comunità capitava di svegliarsi coperte di lividi e contuse per via di misteriose violenze subite nella notte. Gli uomini della comunità per lungo tempo hanno attribuito queste violenze a demoni e fantasmi, oppure, a Dio o Satana che infliggevano le giuste punizioni per i loro peccati. In realtà poi si è scoperto che erano gli uomini stessi della comunità a violentare le donne: le narcotizzavano con un anestetico per animali e poi le stupravano. 

Donne che parlano, nuovo splendido romanzo di Miriam Toews, uscito il 27 settembre per marcos y marcos con la traduzione di Maurizia Balmelli, prende spunto proprio da questo reale fatto di cronaca. 
Donne, ragazze e, a volte, anche bambine violentate dai propri padri, mariti, cugini, fratelli e che ora si trovano a dover decidere cosa fare della loro vita. Non hanno molto tempo per decidere cosa fare, le donne di Molotschana: gli uomini della comunità che non sono stati arrestati per le violenze inflitte stanno infatti pagando le cauzioni di quelli in prigione e, quando saranno di ritorno, le donne dovranno decidere se perdonarli e quindi rimanere nella comunità, oppure andarsene definitivamente. È questo che ha imposto loro il pastore Peters, ribadendo così ancora una volta la loro sottomissione. O perdoni o te ne vai, mentre i colpevoli saranno comunque liberi.
Le donne di Molotschana si riuniscono di nascosto per decidere cosa fare. A seguire i loro incontri, l’unico uomo rimasto: August Pepp, ritornano nella comunità dopo anni di esilio, ma che con gli uomini mennoniti sembra davvero avere poco a che fare. A lui spetta il compito di scrivere i verbali delle loro riunioni, perché nessuna delle donne sa scrivere... e in realtà nemmeno leggere, ma è importante che rimanga una traccia scritta di quello che si dicono.

Sul piatto ci sono tante cose. Da un lato, il desiderio delle donne di andarsene per lanciare un segnale ma anche per difendersi, per non accettare passivamente le violenze e le umiliazioni subite perché, nonostante siano cresciute in una società patriarcale in cui loro valgono meno delle bestie, sentono che non è giusto. Non è giusto per loro, che sono adulte, e lo è ancor meno per le bambine che hanno subito le stesse violenze. Dall'altro lato c’è la voglia di restare, per rispondere alla violenza con la violenza, o perché la sottomissione alle regole della comunità e agli uomini è troppo radicata in loro, o più semplicemente per paura, perché non hanno idea di come sia il mondo là fuori perché nessuno glielo ha mai insegnato. C’è la voglia di rivendicare il proprio diritto a essere trattate come persone e non come, o peggio, delle bestie, ma anche il desiderio di proteggere i propri figli.

Se il pastore e gli anziani di Molotschna hanno deciso che dopo queste violenze noi donne non necessitiamo di assistenza psicologica perché quando si sono verificate non eravamo coscienti, allora che cosa dovremmo, o addirittura potremmo, perdonare? Qualcosa che non è accaduto? Qualcosa che non siamo in grado di capire? E più in generale, ciò cosa significa? Che se non conosciamo "il mondo" non ne saremo corrotte? Che se non sappiamo di essere prigioniere allora siamo libere?

Agata, Ona, Salomé, Neitje, Greta, Mariche, Mejal e Autje, sono loro le Donne che parlano. Che cercano di decidere che cosa fare, che cosa sia meglio fare per i loro figli, per la loro comunità e soprattutto per loro stesse. Sono donne forti che non sanno di esserlo, e Miriam Toews è incredibilmente brava nel tratteggiarle, nel non tralasciare nulla dei loro stati d’animo, dei loro dubbi, delle loro contraddizioni, senza mai giudicarle.

Noi amiamo i nostri figli, e con qualche legittima riserva amiamo anche i nostri mariti, non fosse perché così ci hanno insegnato
Tu confondi l’amore con l’obbedienza, dice Mariche.
Questo può valere per te, Mariche, ma non necessariamente per le altre donne della colonia, dice Agata. Comunque sia, dobbiamo amare o dimostrare amore per le tutte le persone. È l’insegnamento più importante di Dio (secondo l’interpretazione degli uomini presumibilmente), amarci l’un l’altro come Dio ci ama, e amare il nostro prossimo come vorremmo che lui amasse noi.

Donne che parlano è un libro di una bellezza e un’intensità a tratti molto dolorose, che ti costringe ad aprire gli occhi sulla condizione delle donne in certe comunità religiose (stando a wikipedia, nel mondo ci sono più di un milione e mezzo di mennoniti, cinquecento anche in Italia. E la Toews stessa, fino ai diciott'anni ha vissuto in una rigida comunità canadese). Ma al tempo stesso è un libro pieno di forza, di coraggio, d’amore che dimostra come anche le persone all'apparenza più deboli, più fragili, meno considerate e stimate, possono ribellarsi e fare una loro piccola rivoluzione.

Una volta finita la lettura, pur sapendo che si tratta di personaggi inventati, non ho potuto fare a meno di chiedermi dove siano adesso Agata, Ona, Salomé, Neitje, Greta, Mariche, Mejal e Autje e tutte le altre donne, che parlano o che agiscono in silenzio. Se hanno incontrato nel loro cammino verso il mondo reale uomini come August Pepp, pronti a tutto per aiutarle. Se hanno ritrovato la pace e loro stesse. Per loro e per tutte le altre donne che invece ancora non hanno potuto parlare, ma a cui Miriam Toews con questo libro ha prestato un po’ di voce, mi auguro davvero di sì.


Titolo: Donne che parlano
Autore: Miriam Toews
Traduttore: Maurizia Balmelli
Pagine: 253
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 18,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Donne che parlano

martedì 29 marzo 2016

GIRL RUNNER - Carrie Snyder

Ricordo che sussurravo la parola indistruttibile mentre correvo o quando sentivo arrivare un grande dolore, ma lo ripetevo perché sapevo di non esserlo. Non ho mai corso perché ero forte, se capite cosa intendo. Non era la forza che mi rendeva un'atleta, era il desidero di essere forte.
Correvo per coraggio. Lo faccio ancora, anche se è solo nella mia mente.

Non sono mai stata molto sportiva. Mi piace nuotare e pattinare, ma non lo faccio poi così spesso, in realtà. E andare a correre è forse l’attività fisica che odio di più. Ci avevo provato, qualche anno fa, a farlo con una certa costanza, ma non sono mai riuscita ad appassionarmici (troppa fatica, troppo sudore, troppo dolore alle gambe dopo). So che mi farebbe bene, che è uno sport quasi a costo zero e, vivendo in campagna, avrei anche molte strade poco trafficate in cui andare. Ma no, mi spiace, proprio non ci riesco.

Quando mi è stata proposta la lettura di Girl Runner di Carrie Snyder, romanzo da poco uscito per la casa editrice Sonzogno con la traduzione di Gioia Guerzoni, il primo pensiero è stato che qualcuno mi stava facendo uno scherzo. Oppure che volesse provare a convincermi a correre passando tramite l’attività che amo di più, la lettura. Sono stata molto indecisa se leggerlo o meno, devo dire la verità. A convincermi è stata una frase che ho letto a proposito di questo romanzo, scritta in una recensione pubblicata su Star Tribune, che lo paragonava a Olive Kitteridge di Elizabeth Strout. Ok, allora non è solo il libro di una che si mette a correre e corre per 280 pagine. Ci deve essere sicuramente qualcosa di più.

Girl Runner racconta la storia di Aganetha Smart, che nel 1928 conquistò la medaglia d’Oro alle Olimpiadi negli 800 metri. Correva fin da quando era bambina, Aganetha, tra un lavoro di campagna e l’altro, da sola o insieme a tutte le sue sorelle. Poi è cresciuta, e ha continuato a correre, con dei vecchi scarponcini che le rovinavano i piedi e poi via, veloce come il vento, con delle scarpe vere e su una pista vera. E poi ha vinto, è diventata famosa, allontanandosi da quella sua numerosa famiglia e da quasi tutti i problemi che le aveva sempre portato. Ma poi la disciplina è stata abolita e la sua vita è tornata quella di prima. Fino ad aver seppellito tutti i famigliari e con essi tutti i ricordi, gli scandali, le gioie e i dolori. Fino a 104 anni e a quella casa di riposo che non sa che lei correva e che ancora lo fa nella sua mente. Ma forse anche a 104 anni, anche su una sedia rotelle, anche con una voce fioca che a volte non riesce a farsi sentire, c’è ancora tempo per un’ultima corsa.

Girl Runner è stata una lettura inaspettatamente bella. Inaspettatamente, perché come dicevo all’inizio temevo fosse un libro incentrato principalmente sulla corsa. E in parte lo è sicuramente, perché Aganetha (che è un personaggio inventato, anche se fino a che non lo si legge nella nota finale dell’autrice non ce ne si rende conto) corre, corre sempre, nella pista, certo, ma anche nella sua vita. 
Una saga famigliare che in realtà parla di una sola generazione, che parte dai primi anni del Novecento in Canada, quando si moriva ancora di epidemie, o di parto, o di aborto clandestino, o, molto semplicemente, in guerra, e arriva fino a oggi.

Carrie Snyder è stata bravissima a creare questo personaggio e tutta la sua incredibile famiglia di contorno; è stata brava a mettere su carta, oltre alla corsa, alle Olimpiadi e al ruolo e alla considerazione delle donne nello sport di quegli anni, anche altri argomenti difficili da affrontare per l’epoca; è stata brava a saltare tra passato e presente senza generare confusione, ma creando un meccanismo perfetto. Quello che ne è venuto fuori è un libro coinvolgente e bellissimo.

Voglia di andare a correre Girl Runner non me l’ha fatta venire, questo no. E forse è proprio per questo motivo che lo consiglio a tutti, anche ai più pigri, anche a quelli che come me a prima vista, per il titolo (che non poteva comunque essere diverso, secondo me) e per la copertina (con la bella illustrazione di Maria Cecilia Azzali… e non ricordo se vi ho già detto quanto io adori queste nuove copertine Sonzogno), avevano pensato non facesse per loro. Sono sicura che vi stupirà, proprio come ha stupito me.


Titolo: Girl Runner
Autore: Carrie Snyder
Traduttore: Gioia Guerzoni
Pagine: 281
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Sonzogno
Prezzo di copertina: 16,50€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Girl runner
formato ebook:Girl runner (Romanzi)