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venerdì 25 marzo 2016

NUMERO UNDICI - Jonathan Coe



Sebbene io abbia finito Numero undici di Jonathan Coe, pubblicato sempre da Feltrinelli con la traduzione di Mariagiulia Castagnone, già qualche giorno fa, ho preferito far passare un po' di tempo prima di mettermi a scriverne la recensione. Il perché, se avete seguito blog e pagina in questi giorni, credo si sia capito. Adoro questo scrittore. Di lui comprerei anche la lista della spesa. Lo adoro come scrittore e come persona, per quel poco che ho avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi tweet e i suoi articoli. Quindi, ho voluto aspettare per fare in modo che questa recensione sia il meno possibile influenzata dall'entusiasmo di averlo incontrato qualche giorno fa. Ma ora credo che il momento giusto sia arrivato.

La prima cosa da dire a proposito di Numero undici di Jonathan Coe è che il Jonathan Coe che tutti noi che abbiamo amato La casa del sonno, Circolo chiuso e La famiglia Winshaw, è tornato. Davvero. Chi, come me, ha letto tutti i suoi libri sa perfettamente cosa vuol dire: dopo il drastico cambiamento di stile in I terribili segreti di Maxwell Sim e, soprattutto, la delusione di Expo 58, tutti stavamo aspettando con ansia un nuovo romanzo di quest'autore che ritornasse al suo stile passato.
E Numero undici lo fa, con una critica feroce della società moderna e delle sue assurdità, attraverso uno stile che unisce il comico e il tragico, con qualche punta anche gotica, come solo Jonathan Coe sa fare.

Il romanzo si compone in realtà di cinque racconti, legati da diversi fili conduttori (tra cui, appunto, il ricorrere del numero undici), ma che potrebbero tranquillamente esistere anche da soli. In ognuno di essi, Jonathan Coe affronta diversi argomenti della società moderna: si parte con la storia di un'estate di due ragazzine, Rachel e Allison, che non capiscono la reazione dei nonni di fronte al suicidio di David Kelly, lo scienziato britannico che aveva smascherato le bugie di Tony Blair sulla guerra in Iraq. Una perdita dell'innocenza che subito dalle due non viene nemmeno capito, in quanto sono troppo prese dal mistero di quella strana donna che abita la villa vicino al bosco. Il secondo racconto, che è quello che più in assoluto ho preferito, parla della madre di Alison, astro ormai decaduto della musica britannica che, per riscattarsi ma soprattutto per bisogno di soldi, decide di partecipare a un reality show, in cui verrà sottoposta alle prove fisiche più dure ma soprattutto a una grande corrente d'odio, come solo i social network sanno creare. Poi si passa al tema delle ossessioni che possono condizionare la vita, nella storia della professoressa di Rachel e di suo marito. Il penultimo racconto è quello in cui torna effettivamente la famiglia Winshaw, la protagonista del primo romanzo dell'autore, che già veniva citata nelle storie precedenti, e che parla di premi, di raccomandazioni e di giornalismo. La raccolta si conclude con un racconto un po' gotico, forse il più destabilizzante dei cinque, tra datori di lavoro ricchissimi, enormi ville che si sviluppano sottoterra e strani passi che si odono nella notte.

Numero undici è una raccolta di racconti che messi insieme formano un romanzo. Un grande romanzo, in cui prende alcuni degli elementi propri della nostra società e li distrugge. Come? Semplicemente mettendoli su carta, descrivendoli per quello che sono, facendo così aprire gli occhi al lettore.
Questo libro mi è piaciuto, mi è piaciuto tanto. E sono abbastanza sicura (per non dire sicurissima) che il mio amore incondizionato per Coe non c'entri niente con questo giudizio positivo. C'entrano la sua scrittura, il suo stile, il suo modo di criticare senza fare sconti a nessuno, risultando in un ritratto fedelissimo del mondo di oggi.

Insomma, Numero undici di Jonathan Coe è un libro da leggere. Che amiate Coe oppure no.


Titolo: Numero undici. Storie che testimoniano la follia.
Autore: Jonathan Coe
Traduttore: Mariagiulia Castagnone
Pagine: 382
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Feltrinelli
ISBN: 978-8807030550
Prezzo di copertina: 19€
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formato brossura: Numero undici

mercoledì 23 marzo 2016

Incontrando... Jonathan Coe alla Scuola Holden di Torino

Ieri nel tardo pomeriggio sono andata a Torino alla Scuola Holden per assistere alla presentazione del nuovo romanzo di Jonathan Coe, Numero Undici, appena uscito per Feltrinelli.
Devo dir la verità, inizialmente non ci volevo andare. Un po’ per pigrizia, un po’ perché “cavolo, devo farmi 40 km in auto da sola ad andare e altrettanti a tornare, e poi è in una zona di Torino che non conosco”, un po’ perché “ma mica ci posso andare da sola”. Poi però ho iniziato a leggere il libro, sabato sera.  Ho iniziato a pensare “quasi quasi”, poi qualcuno mi ha detto che se ci sono i Metallica in zona si devono andare a sentire a prescindere dai km da percorrere (ok, io personalmente i Metallica non so se andrei mai a sentirli, però era per dire…), poi qualcun altro mi ha detto “se non ci vai, sei scema, visto come stai divorando quel romanzo” e, infine, una mia amica mi ha detto che se fossi andata lei sarebbe venuta molto volentieri (grazie Barbara!)… e quindi, insomma, eccomi qui a parlarvi dell’incontro. 


Non ero mai stata alla Scuola Holden prima di ieri, né nella sua sede vecchia né in questa maestosissima sede nuova, in piazza Borgo Dora. Una zona di Torino che, almeno all’apparenza, non è tanto bella, diciamo la verità. Sono scesa dall’auto e in tre mi hanno chiesto dei soldi e uno è andato a fare pipì contro a un cassonetto vicino a dove avevo parcheggiato. 
Poi però ho varcato la porta della Scuola e sono entrata in un altro mondo. Bello il cortile interno, bella la sala dove si è tenuta la presentazione e bella  e molto intellettuale l’aria che si respirava.
Mi sono seduta in seconda fila, tenendo il posto occupato per la mia amica (aaaah i mezzi pubblici torinesi), e subito sono stata abbordata da due buffe signore sedute accanto a me che hanno iniziato a raccontarmi che fanno parte di un gruppo di lettura e che, al termine di ogni libro letto, invitano l’autore a parlare e l’autore solitamente ci va (non so se fossero lì per invitare Coe o per cazziarlo per non esserci andato).
Poi, finalmente (in realtà era puntualissimo), è arrivato Jonathan Coe. 



Durante la presentazione si è parlato principalmente solo dell’ultimo romanzo, Numero Undici appunto. Romanzo che ho terminato ieri in pausa pranzo e di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Si è parlato della sua struttura, di questo ricorrere del numero undici che, insieme ad altri elementi, unisce un po’ il tutto (questo è il suo undicesimo romanzo, tra le altre cose), del ritornare di La famiglia Winsham, suo primo romanzo pubblicato in Italia nel 1995, e di come inizialmente lui non avesse pensato a un vero e proprio sequel, ma che poi la scrittura e le intenzioni, ovvero di fare una satira politica e sociale del Regno Unito di oggi, lo abbia riportato in qualche modo lì, a quella famiglia e a quei personaggi. 
Si è parlato di scrittura, ovviamente, e di come la scuola Holden abbia svolto in passato un certo ruolo nella sua scelta di dedicare un intero capitolo del libro a dei personaggi adolescenti (qualche anno fa era stato invitato dalla scuola a tenere una sorta di corso di riscrittura, in cui si doveva prendere una storia per ragazzi classica e trasformarla con un linguaggio moderno… lui aveva scelto I viaggi di Gulliver, uno dei suoi libri preferiti in assoluto), ma anche di serie TV (lui è un fan sfegatato di Downtown Abbey), di ossessioni personali (tema ricorrente nei suoi libri: c’è in Numero Undici, c’era in La famiglia Winsham e c’è in Coe stesso) e del ruolo dei social media nella società moderna («sono utili in alcuni casi, tipo oggi che ho seguito i terribili fatti di Bruxelles tramite twitter, ma sono anche in parte responsabili della perdita di empatia tipica della società moderna»).
Alla fine sì, si è parlato del libro ma a partire da quello e dalle sue tematiche si è parlato anche di tutt’altro. 
E io ho apprezzato tantissimo il suo modo di parlare e il suo fantastico accento inglese, ma anche il suo sense of humor, molto garbato (se non fosse stato per le due buffe signore citate prima che, sentendoci ridere già in lingua originale, ci chiedevano in continuazione di tradurre prima dell’interprete, così potevano ridere prima degli altri anche loro… no, signore, mi spiace, aspettate l’interprete) e il suo prendersi in giro. 

Poi, è arrivato il momento della dedica. 
Allora, io dal vivo sono una persona timidissima con gli sconosciuti. Figuriamoci con uno sconosciuto che parla inglese e che è, tra le altre cose, uno dei miei scrittori preferiti (lo sono anche in italiano con quelli che mi piacciono meno, comunque). Però poi mi sono trovata lì davanti e ho pensato “ma sì, chi se ne frega, io provo a parlargli, alla peggio mi prende per una fan invasata”. Gli ho detto che avevo terminato il libro quel pomeriggio, lui mi ha chiesto se una parte in particolare mi era piaciuta, io gli ho risposto che all'inizio era un po’ strana ma poi quando ho capito sì, lui mi ha detto che era l’effetto che voleva e poi constatato che leggo in fretta. E poi è successo più o meno questo:



«Beh sì, sono una lettrice allenata, perché ho un blog di recensioni e, per quanto possibile, mi piace aggiornarlo di frequente». 
«Davvero hai un blog? E mi segui su twitter?».
«Sì, lei ogni tanto mi mette anche i cuori».
«Ma dai, davvero! Come si chiama?».
«La lettrice rampante».
«Non ho presente al momento, scusami… ma la recensione del mio libro l’hai già scritta?».
«Ci mancherebbe!No, non ancora, l’ho finito oggi e penso la scriverò nei prossimi giorni».
«Dai, bello! Allora mettila in un posto in cui io la possa vedere, che sono curioso».

E alla fine stavo per svenire, ecco.
Poi magari se ne dimenticherà e non la leggerà (non oso immaginare in quanti lo tagghino da tutto il mondo), o ci proverà e non ci capirà niente perché la scriverò in italiano, o boh, qualunque altra cosa. Però chissene frega in realtà…  aver chiacchierato cinque minuti con Jonathan Coe e avergli detto che ho un blog per me è già stato un grandissimo traguardo.

Grazie quindi a chi mi ha convinto ad andarci, a Barbara per la compagnia, le foto e la birra e a Jonathan Coe per essere l'adorabile scrittore che è.

(La recensione di Numero Undici arriverà nei prossimi giorni, poi vi assicuro che dopo quella, fino al prossimo romanzo, questa fase da fan sfegatata e invasata si placherà. Portate pazienza ancora un po’).