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lunedì 29 luglio 2019

DOPO LE FIAMME - Fernando Aramburu

Camminando senza parlare, i due amici arrivarono davanti al portone di Zubillaga. Sulla facciata dell'edificio, la pittura ancora fresca, si poteva leggere: ZUBILLAGA SPIA, con il noto bersaglio sopra il nome. L'amico affrettò il passo come colto da una fretta improvvisa. Dopo pochi metri si girò e, con il volto alterato e i modi nervosi, sussurrò a Zubilaga: cancellalo prima che lo vedano i tuoi vicini. Cancellalo, accidenti, che con queste cose non si scherza.


Dopo le fiamme di Fernando Aramburu, da poco pubblicato da Guanda editore con la traduzione di Elisa Tramontin, è una raccolta di racconti che porta il lettore esattamente negli stessi luoghi, i Paesi Baschi, e nella stessa atmosfera, l’ETA e come viene vissuto tra la gente, di Patria, il grande romanzo di questo scrittore basco che nel 2018 ha vinto il Premio Strega Europeo.

Questa raccolta, in realtà, in Italia era già uscita nel 2007 per la casa editrice La nuova frontiera. Anche la traduzione era la stessa, cambiava però il titolo: in quella prima edizione, infatti, era stato mantenuto il titolo originale, nonché titolo del racconto in apertura, I pesci dell’amarezza.
Guanda lo ripubblica quindi dodici anni dopo, scegliendo questa volta come titolo dell’intera raccolta quello dell’ultimo racconto: Dopo le fiamme, appunto.

Un’informazione importante, questa. Perché, complice una fascetta volutamente generica (“Dopo Patria, ma ancora dentro Patria, il nuovo libro di un autore che è il grande caso editoriale di questi anni”) se non si sa che questi racconti sono stati scritti molto prima del romanzo si rischia di non apprezzarli come si meriterebbero.

I dieci racconti di Dopo le fiamme, infatti, sembrano una sorta di antipasto, di anticipazione di quel che Aramburu metterà poi dentro Patria, sviluppandolo all'ennesima potenza. Le tematiche sono le stesse, si diceva: siamo nei Paesi Baschi e l’ETA è nel pieno della sua attività. Manifestazioni, intimidazioni, attentati che colpiscono obiettivi precisi (chi non simpatizza per la causa basca) ma anche persone che passavano lì per caso, che ancora dovevano nascere, che volevano solo vivere tranquille e che invece ora si ritrovano segnati a vita.
Sono tutti racconti molto belli, perché Aramburu è bravissimo a raccontare la quotidianità, le reazioni estremamente umane, la paura, la rassegnazione, gli amici che diventano nemici perché non vedono alternative, ma anche la voglia di non arrendersi. È bravo a raccontare il clima, da un lato e dall'altro, che si respirava nelle vie, nelle piazze, nei quartieri ma anche all'interno di ogni singola famiglia.

Tra questi dieci racconti i miei preferiti in assoluto sono tre. Il primo è I pesci dell’amarezza, proprio in apertura. Qui conosciamo una figlia, “i giornali l’avrebbero descritta come una donna di ventinove anni che passava casualmente per il luogo dell’esplosione”, attraverso gli occhi del padre che la va a prendere in ospedale dove è stata ricoverata a lungo e che ora deve imparare a vivere senza l’uso di una gamba. Riprendere a vivere è molto difficile, triste. Affrontare il dolore di una figlia altrettanto difficile, triste. Ma in qualche modo ce la si deve fare, magari fermandosi a guardare il mare o diventando amici di un pesce in un acquario.
Il secondo è Relazione da Creta, in cui una donna racconta la sua storia con Santi, attraverso un diario che scrive per la psicologa mentre è in viaggio di nozze. Santi è un uomo strano, molto timido, che si ferma sempre un po’ di più al lavoro e che odia andare al cinema. Con lei a poco a poco sembra aprirsi e, grazie anche all’incontro con la madre, lei capisce che c’è un trauma, una ferita profonda dietro ai suoi comportamenti bislacchi. Decide quindi di aiutarlo, di tentare di tirarlo fuori da quell’abisso in cui da tanti anni è caduto: da quando hanno ammazzato suo padre.

Il terzo è Il figlio di tutti i morti ed è la storia di Iñigo, un figlio cresciuto senza padre. Un giorno, dopo aver assistito alla finestra a una manifestazione pro Euskera, il nonno gli racconta la verità, gli racconta di essere uno dei tanti bambini cresciuti senza padre per decisione di qualcun altro.
La madre si alzò dal letto, svestì il figlio e lo aiutò a mettersi il pigiama. Iñigo la lasciava fare. Una volta messo a letto, sua madre gli rimboccò le coperte e, al momento di augurargli la buonanotte, spostandogli la frangetta, gli diede due baci sulla fronte.
«Uno, due» sussurrò come al solito.
«Senti, ama, perché mi dai sempre due baci e li conti?»
«Uno è mio, l'altro è di chi non ti ha mai potuto baciare.»

Questi sono i miei tre preferiti, ma in tutti e dieci Fernando Aramburu riesce a trasmettere qualcosa di forte, di potente, che racconta di una società e un periodo storico di cui noi forse, qui a distanza, abbiamo saputo e compreso troppo poco.
Se avete amato Patria, ma anche quell'altra meraviglia che è Anni lenti, amerete tantissimo anche Dopo le fiamme. Vi ritroverete negli stessi luoghi, nelle stesse atmosfere, nella stessa impotenza e nello stesso dolore.  

Tutti dovevano vederlo: il suo dolore imperterrito, il suo dolore alto come un lampione in mezzo alla strada. Lo dovevano vedere anche quelli incapaci di provare compassione, quelli che se ne rallegravano di nascosto o apertamente e quelli che in quell'istante lo stavano festeggiando come una vittoria. Toñi pensava che il suo dolore dovesse costringere anche quelli, specialmente quelli, a deviare un po' il percorso per non sbatterci contro.Mentre attraversava i portici di una vecchia piazza si fermò davanti a una vetrina. Nei propri occhi vide più rabbia che tristezza. Continuò ad andare dove la portavano i piedi. Senza prestare attenzione a niente e nessuno arrivò al frangiflutti del molo, dove si fermò a guardare le onde e il cielo grigio e i pescherecci che uscivano a pescare. Passò molto tempo a parlare da sola. Al ritorno, quando arrivò al primo semaforo, vide arrivare a velocità sostenuta una betoniera. «Mi butto?» si domandò. Ma aveva tre figli e bisognava vivere.

Titolo: Dopo le fiamme
Autore: Fernando Aramburu
Traduttore: Elisa Tramontin
Pagine: 251
Editore: Guanda
Anno: 2019
Prezzo: 17,00€
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Dopo le fiamme
formato ebook: Dopo le fiamme

venerdì 16 febbraio 2018

PATRIA - Fernando Aramburu

«E se avevi tutte queste preoccupazioni, perché non sei venuto prima?»
«Perché sapevo dov'eri e dove hai passato le ultime notti. Lo sa tutto il paese.»
«Cosa sanno di me?»
«Sanno che scendi dall'autobus alla fermata della zona industriale e che poi vai a casa cercando di non incrociare nessuno. Me l'ha raccontato in ospedale qualcuno che ti ha visto. Per questo non mi sono allarmato. E può darsi che Nerea abbia fatto diversi tentativi di parlare con te. Non ti chiederò che intenzioni hai. È il tuo paese, la tua casa. Ma in caso tu voglia far rivivere storie del passato, ti sarei grato se mi tenessi al corrente.»
«Sono cose mie.»
Xabier ripose i suoi strumenti e il campione di sangue nella valigetta.
«Io faccio parte di questa storia.»


La prima parola che mi viene in mente per descrivere Patria, l’ultimo romanzo di Fernando Aramburu pubblicato in Italia da Guanda con la traduzione di Bruno Arpaia, è: monumentale. Poi, pensandoci, mi rendo conto che non sarebbe la parola più giusta perché, insieme alla mole abbastanza consistente del libro, potrebbe in qualche modo spaventare i lettori, rischiando di tenerli lontani.
La seconda parola sarebbe "bellissimo", perché effettivamente lo è, ma anche in questo caso sarebbe un po’ riduttivo per descrivere appieno tutte le sensazioni che la lettura di questo libro mi ha suscitato. 
Mi ci sono avvicinata con curiosità, un po’ di tempo dopo la sua uscita, dopo averne sentito parlare sempre e solo con toni entusiastici. Non ho sentito nessun “è un’opera commerciale”, un “piace a tutti solo perché”… insomma, tutte quelle frasi che di solito arrivano di pari passo con quei libri che in molti considerano belli e che quindi bisogna per forza criticare. Patria di Aramburu è piaciuto a tutti quello che lo hanno letto. E non fatico minimamente a capirne il perché.

Il romanzo parla dell’ETA, l’ex organizzazione armata basco- nazionalista separatista dei Paesi Baschi che, dal 1959, anno in cui è stata creata, fino al 2011 lottava per l’indipendenza basca del resto della Spagna attraverso la lotta armata e gli attentati. E lo fa raccontando la storia di due famiglie, il cui destino è stato intrecciato per tutta la loro vita. Da una parte c’è la famiglia di Joxian, sposato con Miren e padre di due figli maschi e una femmina. Dall’altro c’è lo Txato, con sua moglie Bittori e due figli, un maschio e una femmina. Sono molto amici Joxian e Txato: sono cresciuti insieme in un piccolo paesino alle porte di San Sebastián, vanno insieme in bicicletta tutte le domeniche e da sempre si aiutano come possono. Altrettanto amiche sono Miren e Bittori, nonostante le loro differenze caratteriali che riescono ad appianare. 
Bittori era più da fette di pane tostato con la marmellata e decaffeinato da bar; Miren da cioccolata con churros. Ma quanto fanno ingrassare! Non le importava. Andavano d'accordo? Moltissimo, erano intime. Un sabato andavano tutte e due in un caffè dell'Avenida, quello dopo in una churrería della Città Vecchia. Sempre a San Sebastián. Dicevano San Sebastián, in castigliano, oppure Donostia, in basco. Non erano rigide. San Sebastián? Allora San Sebastián. Donostia? Allora Donostia. Iniziavano a chiacchierare in euskera, passavano al castigliano, di nuovo all'euskera e così per tutto il pomeriggio.
E ovviamente crescono insieme anche i figli, compagni di giochi e di avventure, nonostante le età differenti, come sempre succede quando si è ragazzi.
All’improvviso però qualcosa tra di loro cambia. Per le vie del paese iniziano a comparire scritte minacciose nei confronti del Txato, reo di essersi rifiutato di pagare, o di aver pagato troppo poco, i soldi richiestigli dall’ETA. In quel momento, tutto il paese si allontana dalla famiglia del Txato, perché tutti sanno che non bisogna rimanere vicini a chi è vittima delle minacce dell’ETA per non rischiare. Anche il legame tra il Txato e Joxian si allenta, con un po’ di delusione e di dispiacere da parte di entrambi. Ma Joxian purtroppo non può farne a meno, combattuto tra l’affetto per il suo migliore amico e la sua famiglia, forse molto più coinvolta di quanto non sembri all’apparenza.

Poi succede quello che tutti pensavano sarebbe successo, ma nessuno si aspettava veramente. E Bittori decide di non andare avanti, di non superare la cosa, di non avere pace finché qualcuno non si scuserà con lei.

Oltre che nella storia, la bellezza di Patria sta nel modo in cui il tutto viene raccontato: Aramburu salta continuamente tra passato e presente, da un personaggio all’altro, raccontando quello che ha vissuto all’epoca, come ha reagito a quanto successo (chi non ha avuto il coraggio di tornare, chi non ha quello di andarsene) e quello che sta vivendo ora. Incastri perfetti tra una storia e l’altra, susseguirsi di eventi e di emozioni che, in un modo o nell’altro, ritornano sempre a quell’evento terribile che ha segnato la vita di tutti. Il risultato è un romanzo intenso, che coinvolge il lettore fin dalla prima pagina e non gli permette di andarsene finché non è arrivato alla fine. Durante la lettura, si pensa al libro sempre, anche quando non lo si sta leggendo. Ci si arrabbia, si affibbiano colpe e si arriva quasi a odiare certi personaggi, anche se poi nella pagina dopo magari un po’ li si capisce anche, così come si prova tenerezza e dolcezza per dei piccoli gesti: un geranio sul balcone, un pugno alzato e un sorriso stentato, un braccialetto, un abbraccio.

Anche io ho motivi in abbondanza per essere a pezzi. Però, guarda, a Londra, la sera stessa in cui mi sono accordata con Quique per vivere separati per un periodo, ho fatto un giro sulla riva del fiume. Mi sono detta: che faccio? Mi butto in acqua e ciao, o cerco una via d'uscita dal labirinto in cui mi trovo da molto, troppo tempo? E ho visto la corrente torbida, e i riflessi della città nell'acqua, e poi ho visto la gente, e ho sentito della musica da qualche posto lì vicino, avevo il vento sulla faccia e ho concluso: che cazzo, Nerea, solleva quella faccia, non rassegnarti, vivi, sì, vivi, ragazza, anche se sei a pezzi, muoviti, combatti, cerca.

Fernando Aramburu in Patria ha raccontato una parte della storia della Spagna che nei libri, almeno qui in Italia, non compare così spesso. Forse perché le azioni dell’ETA sono ancora così vivide nella memoria di chi le ha vissute, o forse perché le dinamiche sono troppo complesse per riuscirne a parlare. Questo libro lo fa magistralmente, fornendo il ritratto di un paese, di una comunità, ma soprattutto di vite umane che, da una parte e dall’altra, devono trovare un modo fare i conti con quanto successo e per andare avanti, o potersi finalmente lasciar andare.

Titolo: Patria
Autore: Fernando Aramburu
Traduttore: Bruno Arpaia
Pagine: 632
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Guanda
Prezzo di copertina: 19,00 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo:Patria
formato ebook: Patria

mercoledì 15 febbraio 2017

LADRI DI INCHIOSTRO - Alfonso Mateo-Sagasta

Mi reputate capace di scrivere una simile porcheria? Credete che non abbia niente di meglio da fare? Io sono un poeta, signore, non un commediante, e neanche un novelliere. La mia opera è ben superiore a certi libercoli. Il Chisciotte non è che un romanzetto simpatico da leggere dal barbiere, e il destino naturale delle sue pagine è simile a quello dei petali di una margherita in mano a un innamorato: essere strappate una dopo l'altra e usate per impacchettare la merce in un negozio di spezie.

Mi capita spesso di chiedermi come mai ammettere di non aver letto il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes scandalizzi meno rispetto alla confessione di altre lacune letterarie. Forse perché la letteratura spagnola in Italia non è poi così diffusa, a meno che non l’abbiate studiata a scuola, all'università o per passione personale? Forse anche perché il Chisciotte è un’opera antica e dal volume considerevole e chi mai si metterebbe a leggere così, di sua spontanea volontà, più di 1200 pagine scritte nel ‘600?

Io stessa sono dovuta arrivare al terzo anno di università, e non senza una certa paura, per scoprire le avventure dell’Ingenioso hildalgo don Quijote de la Mancha.
E innamorarmene follemente perché, prima di tutte le considerazioni storiche e i significati più o meno nascosti, le peripezie di questo cavaliere errante e del suo prode scudiero Sancho Panza fanno morire dal ridere. Da allora, pur non avendo ancora avuto il tempo di rileggerlo (e il coraggio per farlo in lingua originale) porto Don Chisciotte e Sancho Panza nel cuore.

Immagino che molti sappiano la storia della pubblicazione del Chisciotte: il primo volume esce nel 1605 e ottiene un successo strepitoso. Strepitoso e un po’ inaspettato anche per lo stesso Cervantes, che fino ad allora aveva pubblicato solo La Galatea, un romanzo pastorale, e qualche Novella Esemplare qua e là. Al punto da cadere un po’ nello sconforto, annunciando ovunque la pubblicazione di un secondo volume che però non sembra arrivare mai. Finché, nel 1614, esce il Segundo tomo del ingenioso hidalgo Don Chisciotte de la Mancha, un apocrifo, a opera di un misterioso scrittore che si cela dietro lo pseudonimo di Alonso Fernández de Avellaneda. Un affronto, per il povero Cervantes, che nel prologo viene accusato dei peccati più infamanti per l’epoca e che finalmente decide di rispondere pubblicando nel 1615 il secondo volume ufficiale, in cui Don Chisciotte e il fido Sancho partono proprio alla ricerca di questo cavaliere errante apocrifo, per affrontarlo in un duello letterario.

È dall’uscita di questa versione apocrifa del Don Chisciotte e da tutte le supposizioni e le ricerche fatte per scoprire chi si nasconde dietro allo pseudonimo di Fernández de Avellaneda che prende spunto la vicenda narrata in Ladri di inchiostro di Alfonso Mateo-Sagasta, edito in Italia da Marco Tropea editore (casa editrice, ahimè, fallita qualche anno fa) e tradotto da Roberta Bovaia.

Siamo nella Madrid del 1614, la versione apocrifa del Chisciotte è stata da poco pubblicata e l’editore della versione originale, Francisco Robles, è su tutte le furie: non bastava che Cervantes promettesse il seguito da anni senza mai realizzarlo, ora ci voleva anche un apocrifo a infamarne il lavoro e, soprattutto, a fargli perdere soldi. L’uomo incarica quindi un suo dipendente, Isidoro Montemayor, di indagare sull’uomo che si nasconde dietro allo pseudonimo di Alonso Fernández de Avellaneda. Il buon Isidoro, ex soldato che sta cercando disperatamente di dimostrare le sue origini nobili, accetta l’incarico (non che avesse molta scelta, in realtà) e si ritrova così immerso nel variegato ambiente letterario della Spagna del ‘600, tra uomini ricchissimi e antipaticissimi, scrittori al servizio dei potenti, bische clandestine, conventi, salassi e strane teste parlanti. Riuscirà il nostro eroe a scoprire chi si cela dietro ad Alonso Fernández de Avellaneda senza rimetterci la pelle?
Quello che viene fuori da Ladri di inchiostro (che è un romanzo inventato ovviamente, perché ancora oggi non è ben chiaro chi fosse davvero l’autore del Chisciotte apocrifo) è un ritratto un po’ impietoso ma, soprattutto, divertentissimo della Madrid dell’epoca, di cui Alfonso Mateo-Sagasta racconta gli usi e i costumi, le contraddizioni e l’inesorabile decadenza verso cui si stava lentamente rivolgendo la città e, soprattutto, il suo ambiente letterario.

Insieme a don Isidoro, incontriamo quindi un Cervantes un po’ provato, dalla malattia e dalla tristezza, un Lope de Vega immanicato un po’ con tutti, un Góngora un tantino rosicone e un Francisco de Quevedo che sa ben più di quel che lascia intendere; ma anche una famiglia che stranamente dà alla luce solo figli ciechi, un barbiere-dentista che crede nel magico potere dell’urina, una ragazza che ha perso più e più volte la verginità, e una bella contessa che a don Isidoro fa un po’ quello che vuole, anche saccagnarlo di botte.

Tutti insieme, questi personaggi e il modo in cui Alfonso Mateo-Sagasta li fa interagire tra loro rendono Ladri di inchiostro un grande, grandissimo romanzo. Gli appassionati di quell'epoca e di quella letteratura, se non saranno troppo fiscali con alcune licenze storiche che l’autore si prende, si divertiranno tantissimo durante la lettura di questo libro. Ma anche chi invece di Spagna del ‘600 non sa nulla, ma adora i romanzi storici, in cui la realtà e la finzione si mescolano alla perfezione, non potrà che farsi conquistare da don Isidoro e dalla sua indagine.
E chissà, magari poi vi verrà voglia di leggere anche il Don Chisciotte e perdervi nel fantastico mondo dei cavalieri erranti.

TITOLO: Ladri di inchiostro
AUTORE: Alfonso Mateo-Sagasta
TRADUTTORE: Roberta Bovaia
PAGINE:560
EDITORE: Marco Tropea editore
ANNO: 2010
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Ladri d'inchiostro

giovedì 12 maggio 2016

BLITZ - David Trueba

Non ricordo esattamente come ho conosciuto lo scrittore spagnolo David Trueba. Credo sia stato per caso, qualche anno fa, quando ho infilato nel carrello di un ordine online il suo Aperto tutta la notte, attratta dalla copertina e dalla trama senza averne mai sentito parlare prima. Quel libro era stata una vera rivelazione, che mi aveva poi portato a recuperare anche Quattro amici, unico altro suo romanzo all'epoca tradotto in italiano.
Poi, durante un viaggio in Spagna (non ricordo più se ero a Barcellona o a Madrid), in un libreria ho visto Saber perder, che da noi non c’era ancora (adesso sì, e si intitola Saper perdere). E potevo non comprarlo?
E ora, eccomi qui a parlavi dell’ultima sua fatica letteraria, Blitz, che mi è stato regalato in lingua originale da una mia amica l’anno scorso, e che per una stranissima coincidenza del destino è uscito in italiano, con Feltrinelli come tutti i precedenti, proprio il giorno successivo in cui ho iniziato a leggerlo.

Blitz racconta la storia di Beto, un architetto paesaggista che sta per soccombere alla realizzazione dei suoi sogni a causa della crisi economica che in Spagna non ha risparmiato quasi nessuno. Ha un ultima possibilità, quella di presentare un suo progetto a un premio e sperare di vincerlo. Ed è per sapere il risultato di quel concorso che si trova a Monaco con Marta, sua compagna da qualche anno, che ha in qualche modo salvato dopo la fine di un grande amore. Ed è sempre lì che riceve un messaggio di Marta sul suo cellulare, in cui dice che ancora non gli ha detto nulla, che fatica a farlo e che si chiude con un bel cuore. Ovviamente il messaggio non era per lui e all'improvviso si ritrova da solo a Monaco ad affrontare i terribili postumi di una rottura sentimentale. Accanto a lui c’è solo Helga, quella donna di mezz'età che li ha accompagnati nei giorni del concorso e con cui di sicuro nessuno vorrebbe affrontare la fine di un amore. 

Quanto mi sia immedesimata in Beto voi non potete neanche immaginarlo. Tu sei lì, che cerchi di capire cosa fare della tua vita e l’unica sicurezza che hai in quel momento se ne va, forse neanche tanto all'improvviso anche se tu non ci hai mai voluto fare caso, con un semplice messaggio. Ho compreso il suo agire un po’ folle dei momenti successivi, la sua ricerca di conforto nei modi più disparati (e disperati), le sue azioni esagerate e il suo sperare che fosse tutto uno scherzo. E credo che chiunque sia stato lasciato così, dopo una storia più o meno lunga, capisca perfettamente cosa sta provando questo pover'uomo.

Ma David Trueba è stato bravo a farlo poi reagire, come siamo stati poi bravi a reagire tutti noi quando ci è successo. C’è voluto tempo, certo, e soprattutto forse le cose sono cambiate in un modo che mai avremmo potuto immaginare. Ma sì sa, l’amore è così, è un lampo, che arriva all'improvviso e illuminarci la vita.

Blitz mi è piaciuto proprio tanto, anche se forse avrei voluto qualche pagina in più. Mi è piaciuto per lo stile tragicomico con cui è raccontata la storia, che non cade mai nel patetico e, anzi, a tratti diverte pure; per le reazioni di Beto e per quel senso di speranza e di possibilità che alla fine il testo lascia, e che lo stesso protagonista impara piano piano a conoscere.
Insomma, consiglio di leggerlo... soprattutto se siete stati lasciati da poco e non sapete come uscire dall'inevitabile depressione che ne consegue, ma anche se siete stati lasciati in passato e ora siete ancora qui per raccontarlo.
(Se non siete stati lasciati mai, invece, beh, siete proprio fortunati...  ma potete leggerlo lo stesso).


Titolo: Blitz
Autore: David Trueba
Traduttore: Francesca Pé
Pagine: 133
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Feltrinelli
ISBN: 978-8807031946
Prezzo di copertina: 14 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Blitz
formato ebook: Blitz

venerdì 22 gennaio 2016

COME UNA PIETRA CHE ROTOLA - Maria Barbal

Quel dondolio mi metteva sonno, ma ero ben sveglia. Adesso non stavo più sognando. Da una parte Elvira, dall’altra Angeleta e tante facce intorno. Tutte estranee, tutte taciturne, assorte, lo sguardo perso. No, questo non era un sogno. Era tutto vero.
Studiare storia mi è sempre piaciuto molto. Al liceo era la materia in cui andavo meglio e anche quando è capitato all’università di studiarla, come corollario alla storia della letteratura, questa passione era rimasta. La guerra civile spagnola, poi, mi ha sempre incuriosita molto. Al liceo se ne era parlato poco, un piccolo trafiletto in mezzo al capitolo sulla nascita dei totalitarismi, e allora forse non mi ero resa conto di quanto importante sia stata. Solo all’università me ne sono resa conto, al punto da farci poi la tesi di laurea triennale.
I romanzi ambientati in quell’epoca mi piacciono sempre molto. Non perché mi piaccia il concetto di guerra fratricida in sé, né l’ascesa dittatoriale, anzi. Però mi piacciono per la testimonianza storica che danno e per la capacità, che ho trovato quasi sempre nei pochi romanzi che ho letto ambientati in quel periodo, di trasmettere bene l’atmosfera, le sensazioni, il clima difficile che si stava vivendo.

Ho acquistato Come una pietra che rotola di Maria Barbal per questo motivo. Ok, non lo solo per questo, anche perché l’ho trovato a pochissimo in un mercatino dell’usato, perché ha una copertina che mi piace molto (l’immagine è opera di Lorenzo Lanzi) e perché è pubblicato da marcos y marcos, un editore i cui libri, quando posso, compro quasi a scatola chiusa.

Come una pietra che rotola, tradotto dal catalano da Gina Maneri, è ambientato all'epoca Guerra Civile Spagnola, ma quasi non ci si fa caso. Racconta la storia di Conxa, che vive in un paesino di campagna ben lontana dai tumulti che stavano nascendo nelle città spagnole. La conosciamo che è una bambina e i suoi genitori la affidano a una coppia di zii, perché loro hanno troppi figli e pochi soldi per mantenerli tutti. Conxa accetta in silenzio questa decisione e si adatta alla nuova vita. La zia è burbera, ma in fondo le vuole bene. Lo zio finché lei lo aiuta non si lamenta in nessun modo. Poi Conxa cresce e si innamora di Jaime. La sua vita potrebbe cambiare, ma non lo fa. Si sposa, ha dei figli, e continua a vivere con la zia, a lavorare i campi e dar da mangiare agli animali. Coglie l’irrequietezza del marito, la sua voglia di andarsene, di lottare, di fare qualcosa, ma continua comunque così. Finché qualcosa non succede e lei accetta anche questo come ha accettato tutto il resto, forse senza nemmeno capire fino in fondo. Sopravvive, ma un po’ si spegne.
"Le persone, a ben guardare, sono ben poca cosa anche se a volte pensano di essere chissà che."
Come una pietra che rotola è un libro all'apparenza semplice, per stile e scrittura, che racconta la vita di una donna altrettanto semplice che si adatta, forse fin troppo, a tutto quello che le succede attorno. Conxa è una ragazzina timida che diventa poi una donna altrettanto timida, che si impunta solo quando è davvero necessario e lascia che il mondo le scorra attorno. Lei ama i campi, ama la sua vita tranquilla, la pace che solo un tramonto sulle colline le può dare. E ama Jaime, lo ama follemente. Al punto da accettare e sopportare tutte le conseguenze che questo amore le provoca. Accetterà e resisterà a tutto, per quanto sia difficile perdere un amore, che sia amore per una persona o per un luogo.
È un libro sulla guerra civile, certo, ma soprattutto sulle sue vittime inconsapevoli, che si sono ritrovate in mezzo a qualcosa che forse nemmeno comprendono ma che sono costretti ad accettare e sopportare. Ma è soprattutto la storia di una donna, all'apparenza timida, semplice, forse un po’ e in balia degli eventi, che però dentro di sé non si arrende mai.
Come una pietra che rotola è un piccolo grande libro. Assolutamente da leggere.


Titolo: Come una pietra che rotola
Autore: Maria Barbal
Traduttore: Gina Maneri
Pagine: 151
Editore: marcos y marcos
Acquista su amazon:
formato brossura: Come una pietra che rotola

mercoledì 9 settembre 2015

OLIVETTI, MOULINEX, CHAFFOTEAUX ET MAURY - Quim Monzó

“Ora però non era il momento di lamentarsi e di parlare di quel che si sarebbe potuto fare e non si era fatto perché, al momento buono, si tace, si manda tutto a quel paese e si tira dritto. In fondo, si vive solo una volta o due, e che il soffitto e il pavimento crollassero e le fondamenta su cui per tanti anni si era retta la sua esistenza andasse in briciole era il minimo che ci si poteva aspettare da una situazione come quella, da un vicolo cieco che minacciava di risucchiarlo per sempre e farlo sparire in una spirale senza fine”


Ma quanto mi piacciono i raccontini di Quim Monzó! Poche pagine ciascuno, quasi dei flash, che però riescono a dire più di quanto molti lunghi romanzi non facciano.
Me ne ero già accorta con le due raccolte di racconti precedenti, Mille cretini e Il perché di tutto sommato, e con questo Olivetti, Moulinex, Chaffoteaux et Maury, pubblicato sempre da marcos y marcos con la traduzione dal catalano di Gina Maneri, ne ho avuto la conferma.

Fin dal primo racconto, un banale tema di un bambino delle elementari su che cosa ha fatto la domenica che però nasconde una piega inaspettata. Ma anche dal racconto dello scrittore che non riesce a scrivere, distratto dai mille problemi tecnici nella casa in cui si è rifugiato apposta per cercare pace e, appunto, scrivere. O da quello di quell'uomo che vede ovunque la donna con cui ha passato la notte, solo che a volte è lei e a volte non lo è, anche se ha lo stesso aspetto. Di quell'altro che può fondare tutta una vita su un paio di gambe accavallate in un vagone di un treno o di quell'altro ancora, che proprio vorrebbe imboccare contromano uno dei viali più grandi della città. Ma anche il dialogo tra due gemelli che litigano per amore e la storia quell'acrobata di un circo che non ha mai messo piede due volte in una stessa città e non sa che effetto possa fargli, e quello di quella coppia che vuole lasciarsi e che riflette su cosa perde e cosa guadagna se finisse la loro relazione (Il nord del sud, il racconto che mi è piaciuto di più in assoluto).  

E si prosegue così, quasi senza accorgersene, a leggere dei bellissimi racconti (l’uomo vittima di telefonate anonime erotiche che non riesce più a vivere la sua vita; l’uomo che ha voglia di uccidere così, senza motivo; la donna che scrive una lettera a un uomo dicendogli che non avrà mai il coraggio di suicidarsi per lei, e che viene ritrovata sul cadavere dell’uomo; scherzi di puntualità; vecchi cinema che stanno chiudendo; di uomini depravati che si scontrano con donne dai problemi bizzarri; di scrittori che scrivono tutto che si dice). 

Sono proprio belli, vi dicevo, questi racconti, perché all'inizio parlano di persone qualsiasi, affette da problemi qualsiasi, che potremmo avere anche noi, e che poi virano verso un finale ad effetto, inaspettato, che colpisce il lettore nei punti giusti. Qui sta la forza della scrittura di Quim Monzò: nel creare situazioni banali, normali, con personaggi un po’ sfigati, molto comuni, le cui vite però nell'arco del racconto prendono pieghe inaspettate, virano a volte verso il nonsense, ma in tutta naturalezza, con una vena caustica e ironica che alla fine di ognuno lascia di che pensare. 
L’autore non fa sconti a nessuno, ma al tempo stesso non giudica, nemmeno i personaggi all'apparenza più moralmente deprecabili. Perché la vita è fatta così e le situazioni dei suoi personaggi potrebbero capitare un po’ a tutti.

Olivetti, Moulinex, Chaffoteaux et Maury è un libro piccino piccino ma in realtà grande, nei contenuti e nella vitalità che emana. Se amate quella vena di nonsense che c’è nella vita di tutti, allora dovete proprio leggere Quim Monzó e i suoi racconti di vita.

Titolo: Olivetti, Moulinex, Chaffoteaux et Maury
Autore: Quim Monzó
Traduttore: Gina Maneri
Pagine: 157
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 10,00 €
Acquista su amazon:

domenica 21 settembre 2014

BRACCIALETTI ROSSI - Albert Espinosa

Non sono una grande fan delle serie tv. Quando ero più piccola le guardavo spesso, ma poi per mancanza di tempo, di voglia, e soprattutto per incapacità di aspettare una settimana per sapere come va a finire una storia, ho lasciato perdere. 
Per cui non ho visto nemmeno Braccialetti rossi, la serie andata in onda a gennaio di quest'anno su RaiUno, ambientata nel reparto di oncologia pediatrica di un ospedale. So che è stato un grande successo, che ha portato all'attenzione di tutti vite e situazioni che non tutti forse immaginavano. Ho poi scoperto che la serie è stata scritta da Albert Espinosa, scrittore e sceneggiatore spagnolo, che ha combattuto per dieci anni e, alla fine, sconfitto un tumore che lo ha lasciato senza una gamba, un polmone e un pezzo di fegato. 

La serie, si dice, è tratta dal primo libro dell'autore, che poi ha riadattato per il piccolo schermo. Peccato che si siano dimenticati di dire che la serie è solo ispirata al libro, che non è un romanzo o un diario della vita in ospedale dello scrittore, ma una sorta di manuale di self-help che ti dovrebbe insegnare come affrontare le cose brutte che ci possono colpire.

Furbi, quelli della Salani a riportare in copertina il titolo della serie, che con l'originale non c'entra assolutamente nulla. Certo, lo hanno messo come sottotitolo, Il mondo giallo, ma se uno non ha un minimo di tempo o voglia di informarsi e acquista il libro sull'onda dell'entusiasmo, rimane sicuramente fregato.

Io i manuali di self-help non li sopporto. Non riesco a capirne il senso, non capisco come si possa pensare che ogni persona diversa possa affrontare allo stesso modo una malattia, una tragedia, un calo di autostima o quel che è. E per me è ancora più strano pensare che un libro del genere sia stato scritto da chi una terribile malattia l'ha affrontata, da chi abbia incontrato sulla sua strada diverse tipologie di persone, diverse reazioni e diversi modi di affrontarla. L'impressione che si ha è che Espinosa voglia dire a tutti "ehi, dovete assolutamente fare come me, se no sbagliate". 
Al di là però della mia riluttanza nei confronti di questo tipo di libri, il grosso problema di Braccialetti rossi è che non ne ho davvero capito il senso. Anche fosse rimasto il titolo originale, decisamente più adatto in quanto il libro ruota intorno al concetto di "gialli", ovvero persone che non sono né amanti né amici, alla fine mi è rimasto un grande, grandissimo punto interrogativo (oltre, ovviamente, alla fastidiosa sensazione di aver completamente sprecato il mio tempo). Non ho capito cosa intendesse Albert Espinosa con questi suoi gialli e ho avuto la sensazione che non lo sapesse tanto bene nemmeno lui e che facesse leva sul "io sono stato malato, io so", per dare un senso a queste sue parole vuote. 

Non sono una cinica. O meglio, lo sono, ma su altre cose. E sono davvero felice per Albert Espinosa, per il fatto che sia riuscito a sopravvivere e che dalla malattia che ha avuto sia riuscito a trarne tutto il meglio possibile. Però, ecco, da lì a scrivere un libro e convincere tutti gli altri che debbano fare così ce ne passa eccome. Da lì a scrivere un manuale di auto-aiuto in cui ribadire, quando si sta perdendo per strada, che "ehi, io ho avuto un tumore, so cosa sto dicendo", ce ne passa ancora di più. Perché tutti quelli che hanno passato qualcosa di così terribile, personalmente o su qualcuno a cui hanno voluto bene, hanno avuto i loro modi per affrontarlo, i loro momenti di gioia nella tragedia, i loro istanti di sconforto. Tutti hanno incontrato belle persone sul loro cammino e le hanno dovute loro malgrado salutare. Ma non tutti, e per fortuna direi, ci hanno scritto un libro o hanno voluto imporre ad altri il loro modo di vedere e affrontare la vita. 
E se anche lo hanno fatto, di sicuro non con un titolo e una copertina che con il contenuto del libro non c'entrano assolutamente niente.


Titolo: Braccialetti rossi- Il mondo giallo
Autore:Albert Espinosa
Traduttore: P. Spinato
Pagine: 172
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Salani
ISBN: 978-8867155804
Prezzo di copertina: 12,90 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Braccialetti rossi. Il mondo giallo. Se credi nei sogni, i sogni si creeranno

giovedì 22 maggio 2014

IL PERCHE' DI TUTTO SOMMATO - Quim Monzó

C'è una striscia dei Peanuts di Schulz in cui la scorbutica Lucy, dopo l'ennesima delusione amorosa provocatale dal pianista Shroeder, dice che "L'amore fa fare un sacco di cose stupide". E' una frase che credo sia incredibilmente vera, perché l'amore è davvero capace di far fare alle persone che ne vengono colpite (tutte almeno una volta nella vita!) le cose più impensabili.

Leggendo Il perché di tutto sommato di Quim Monzó, autore catalano di cui avevo già letto e apprezzato Mille cretini, pagina dopo pagina, mi sono convinta che anche lui conosca i Peanuts e abbia letto quella particolare striscia. Perché in questo libro l'autore parla d'amore, in tutte le sue forme possibili e immaginabili. Lo fa attraverso brevi racconti, poche pagine ciascuno, che parlano di passione, di sesso, di tradimento, di perversione, di insicurezze, di onestà e di fedeltà, di fiabe e lieti fini che a volte esistono e altre no. Lo fa con uno stile caustico, che fa parecchio ridere ma che colpisce anche dritto dritto il punto, o al cuore visto che si parla d'amore.

La cosa che mi piace maggiormente dei suoi racconti, e che avevo già notato nella sua raccolta precedente, è che in essi tutto è normale: Monzó non giudica mai nessuno. Sa di non poterlo fare perché sa che dentro a queste pagine c'è sempre ognuno di noi. Certo, magari non in tutte e non con la stessa identica intensità, ma qualche cavolata più o meno grave, da innamorati, tutti l'abbiamo fatta. Ora, non sto dicendo che tutti tradiamo nostra moglie o nostro marito, che tutti asfissiamo il nostro partner chiedendogli a raffica "mi ami?", né ci innamoriamo di ogni persona che ci passa davanti. Però, ecco, sfido che leggendo almeno una volta non vi sentiate un po' come uno dei protagonisti.

Questo libricino si legge davvero in fretta, catturati da queste piccole storie d'amore. E anche se sul finale si trascina un po' e perde un po' della verve iniziale (un po' come certe relazioni di coppia, quando ormai stanno arrivando alla fine, ma i due interessati ancora non sono disposti ad ammetterlo), rimane davvero una bella lettura, di quelle che si ricordano con affetto. Proprio come un amore che è stato e ora non è più.

Titolo:  Il perché di tutto sommato
Autore: Quim Monzó
Traduttore: Gina Maneri
Pagine: 176
Editore: marcos y marcos
ISBN:978-8871686899
Prezzo di copertina: 10,00 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il perché di tutto sommato

lunedì 18 novembre 2013

IL TANGO DELLA VECCHIA GUARDIA - Arturo Pérez-Reverte

Mi piacerebbe tantissimo imparare a ballare il tango. Così come mi piacerebbe tantissimo anche andare in Argentina o saper giocare a scacchi.
Tra le cose che invece non mi piacciono per niente ci sono i romanzi troppo d'amore e i romanzi troppo d'avventura. Tendono ad annoiarmi, sia l'uno sia l'altro genere, a meno che non siano in qualche modo molto originali.

Leggendo questo libro ho avuto l'impressione che Arturo Pérez-Reverte sapesse tutte queste cose di me. Della mia passione mai manifestata per il tango e per l'Argentina. Di me che da bambina giocavo a scacchi con mio fratello muovendo puramente a caso i vari pezzi sulla scacchiera. Di me che non sopporto le storie d'amore troppo melense né quelle troppo avventurose. Sapeva tutto questo e mi ha messo davanti questo suo ultimo romanzo. 
Che è un romanzo d'amore, ma anche di avventura. Che parla di tango ed è ambientato in Argentina. Ma anche di scacchi e a Sorrento, passando un po' per la Francia e un po' per il mare.

Protagonista è Max, che ci viene presentato come una sorta di ballerino gigolò che, durante una traversata dall'Europa al Sud America sulla nave per cui lavora, conosce Mecha Inzunza, un'affascinante e bellissima dama spagnola, e suo marito Armando de Troeye, grande compositore che sogna, per scommessa, di comporre il tango perfetto. Mecha balla con Max un tango appassionante e tra i due si crea così uno strano legame, intrigante e ambiguo, sotto gli occhi di Armando, che sembra orgoglioso di questo feeling. Forse perché ha un piano ben preciso, forse perché è attratto da storie un po' torbide e ha trascinato in questa sua passione la moglie. Max ne rimane completamente invischiato.
Poi passano gli anni, i due si perdono di vista per ritrovarsi, durante la Guerra Civile Spagnola, a Nizza. Rifugiata politica lei, sempre furfante e sempre gigolò lui. Si ritrovano, continuano ad attrarsi e poi, di nuovo, si perdono. 
Gli anni passano ancora. Max è invecchiato, non fa più la vita dissoluta di un tempo e lavora come autista a Sorrento, città al momento in trepidazione perché sta per ospitare un'importante sfida di scacchi. E lì, Mecha, inaspettatamente riappare. E chiede a Max un enorme favore.

Il termine che ho visto più volte utilizzato per descrivere questo romanzo è feuilleton. Un romanzo d'appendice insomma, un melodramma con l'amore e la passione a fare da sfondo.
Ed effettivamente Il tango della Vecchia Guardia lo è: c'è amore, c'è passione, c'è gelosia, c'è sesso, c'è avventura e il lettore non può fare a meno di leggere, di chiedersi cosa succederà dopo, cosa separerà di nuovo i due innamorati e, soprattutto, se tra guerre, furti, omicidi, allontanamenti e anni che passano, i due alla fine riusciranno a coronare il loro amore.

Lo so, forse raccontato così potrebbe sembrare un libro un po' banale, un po' scontato. Qualcosa di già letto e già sentito. Ma vi assicuro che non lo è. Arturo Pérez-Reverte è bravo a raccontare, a creare quella giusta dose di mistero e di ambiguità, a mischiare amore e avventura, tango e scacchi, passione e disincanto, ma anche a offrire un ritratto della società nei vari periodi in cui il romanzo è ambientato. La sua scrittura è particolare, mi verrebbe da definirla elegante, garbata, anche se non so se si riesca a capire cosa intendo.
Non è sicuramente un capolavoro, non è sicuramente alta letteratura, ma si legge che è un piacere, ci si appassiona e si arriva a immaginarsi là, su quella pista da ballo, a sognare di ballare con Max il Tango de la Guardia Vieja e lasciarsi trasportare.

Consigliato!

Titolo: Il tango della Vecchia Guardia
Autore: Arturo Pérez-Reverte
Traduttore: Bruno Arpaia
Pagine: 492
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Rizzoli
ISBN: 978-88-17-06613-6
Prezzo di copertina: 18
Acquista su Amazon:

venerdì 27 settembre 2013

LOS BESOS NO SE GASTAN (I baci non sono mai troppi) - Raquel Martos

Se c'è una cosa che odio nei libri è la prevedibilità. Il sapere già a metà lettura come andrà a finire. Ma anche la banalità un po' mi irrita, così come mi infastidisce l'uso sbagliato dello spazio e del tempo o le storie che sfruttano malattie e tragedie per accalappiare i lettori. Ma la cosa in assoluto che odio di più sono le belle idee, i bei titoli sprecati. Quei titoli talmente belli, da cui ti aspetti grandi cose e che invece rimangono lì, sospesi, come se fossero venuti in mente per caso all'autore.

Los besos no se gastan (in italiano I baci non sono mai troppi, edito da Feltrinelli) rientra in tutte le categorie sopra descritte. In TUTTE. Nemmeno io volevo crederci mentre lo leggevo.
Sarà che condivido il titolo in tutto e per tutto, che credo che i baci non bastino mai, che tra darseli e non darseli sia sempre e comunque meglio la prima opzione. E quindi sì, mi aspettavo tanto da questo libro, forse troppo.

Ci sono due amiche, Lucia ed Eva, una mora e una bionda, che si conoscono fin da quando erano bambine, quando la madre di Lucia è morta e lei ha dovuto cambiare scuola. Sono inseparabili, crescono insieme e insieme diventano adulte. Finché qualcosa tra le due si spezza e si allontanano. Si ritrovano poi per caso nell'aeroporto di Madrid, dopo anni in cui, pur vivendo nella stessa città, non si sono viste né sentite ma continuamente pensate. Lucia è una donna in carriera, che è stata appena lasciata dal compagno, incapace di sopportare la differente quantità d'amore che provano l'un l'altra. Eva sta divorziando, ha una bambina di cinque anni e il grande rimpianto di aver abbandonato la sua carriera di attrice. Si ritrovano ed è come se non fosse cambiato nulla. Insieme affrontano nuovi problemi: Lucia e la sua insicurezza rispetto alla voglia di diventare madre, Eva e le sue prime uscite dopo il divorzio, la bambina che cresce sotto lo sguardo delle due. Finché tutta una serie di tragedie non si abbatte sulla famiglia di Eva e renderanno la loro amicizia davvero indissolubile.

Il problema principale del libro è che tutto succede troppo in fretta. Troppo succede troppo in fretta. Due amiche che non si parlano per anni e che una volta ritrovate è come se nulla fosse cambiato. Persone che si lasciano, che se ne vanno, che muoiono, che si ammalano, che si innamorano... il tutto in duecentocinquanta pagine. Il tutto troppo poco approfondito, nonché, come si diceva già all'inizio, estremamente prevedibile. Il libro vuole fare piangere il lettore e lo pone di fronte a una tragedia dopo l'altra, come se le amicizie solo con le tragedie potessero diventare così forti. 
Ed è un peccato, perché il romanzo avrebbe avuto tutto il potenziale per essere un bel libro. Lo stile dell'autrice è fresco, rapido, tipicamente spagnolo e ti incolla alle pagine del libro. Ed è bella l'idea dei capitoli alternati tra presente e passato, così come quello di leggere la storia, all'interno di ogni capitolo, dal punto di vista di Eva e di Lucia (anche se, soprattutto all'inizio, questo genera un po' di confusione... ci ho messo un'ottantina di pagine prima di riuscire a capire chi fosse l'una e chi l'altra). Così come è altrettanto bello, bellissimo il legame d'amicizia che c'è tra le due, soprattutto quando sono bambine e adolescenti.

Per cui, nonostante contenga tutti i luoghi comuni e le caratteristiche che meno sopporto nei libri, non me la sento di bocciarlo completamente. Si sente che è un'opera prima e si percepisce che qualcosa di quanto presente nel libro sia successo davvero all'autrice. Magari non tutto, ma sicuramente c'è un tributo a una sua amica e al loro passato e presente comune.
Insomma, se avete un'amica con cui condividete tutto fin da quando siete bambine, se avete voglia di un po' di lacrime facili facili e non vi importa più di tanto della banalità e della prevedibilità, questo libro è decisamente consigliato e, sono sicura, non vi deluderà. In caso contrario, potete tranquillamente lasciar perdere.

Però mi raccomando, sia che leggiate il libro sia che non lo facciate, ricordate sempre che i baci non sono mai troppi. 

Titolo originale: Los besos no se gastan
Titolo italiano: I baci non sono mai troppi
Autore: Raquel Martos
Editore spagnolo: Espasa
Editore italiano: Feltrinelli
Acquista su Amazon:
lingua originale: Los besos no se gastan

domenica 8 settembre 2013

LOS ENAMORAMIENTOS (Gli innamoramenti)- Javier Marías

Pensandoci bene, credo di aver letto pochissimi libri che non contenessero al loro interno almeno una storia d'amore. Magari non sempre è il fulcro della vicenda, anche perché i romanzi d'amore prettamente tali non mi hanno mai fatta impazzire. Però l'amore, in un modo o nell'altro, in quello che leggo c'è sempre. Un amore da fiaba, un amore malsano, un amore non corrisposto, un amore spezzato, un amore crudele, un amore bugiardo, un amore difficile da comprendere e da accettare. 
Non mi era mai capitato però di ritrovate tutti questi tipi d'amore all'interno di un unico libro. Eppure Javier Marías con questi suoi "innamoramenti" riesce a parlare dell'amore in ogni sua forma. E lo fa utilizzando solo quattro personaggi.

Tutte le mattine María fa colazione in una caffetteria, contemplando ammirata e affascinata una coppia, che incarna per lei l'esempio di "coppia perfetta": si vede lontano un miglio che sono fatti per stare insieme, che si completano, che si amano di un amore vero e profondo che niente potrà spezzare. Finché l'uomo della coppia non viene barbaramente ucciso da uno squilibrato. E la coppia perfetta si rompe: una metà non c'è più e l'altra deve andare avanti. María si ritrova improvvisamente coinvolta in questo "dopo",  iniziando una relazione con il miglior amico dell'uomo ucciso che sta , tra le altre cose, stando il più vicino possibile alla vedova. E María scoprirà così che niente è mai così perfetto come a prima vista potrebbe sembrare.

E' un libro intenso, corposo e non sempre di facile lettura, in quanto narrato in prima persona da María di cui sulla pagina si leggono tutti i pensieri e i turbamenti, in cui è abbastanza facile perdersi. Eppure, man mano che si va avanti con la lettura, è impossibile non rendersi conto dell'incredibile capacità di Javier Marías nel trattare il tema dell'amore e dell'innamoramento in ogni sua forma, in modo sempre molto profondo ed estremamente realistico,senza fare sconti e senza alcuna remora. L'amore non è per forza bello. L'amore è sia la malattia sia la cura. L'amore può anche fare male. E chiunque dica il contrario o è stato davvero tanto fortunato oppure è un illuso, come un po' lo è la protagonista del libro.

Non è sicuramente un libro che consiglierei a tutti, un po' perché come dicevo prima è una lettura "faticosa" sia dal punto di vista fisico (magari dipende dal fatto che l'ho letto in lingua originale, anche se sono abbastanza convinta che sia così anche in italiano) sia, soprattutto, da quello emotivo. Però, chiunque voglia qualcosa di profondo, di intenso e, di reale, deve assolutamente leggere questo libro. 


Titolo originale: Los enamoramientos
Titolo italiano: Gli innamoramenti
Autore: Javier Marías
Anno di pubblicazione: 2012
Editore originale: Debolsillo
Editore italiano: Einaudi
Acquista su Amazon:
lingua originale:Los enamoramientos
in italiano:Gli innamoramenti

giovedì 29 agosto 2013

UN LARGO SILENCIO (Un lungo silenzio) - Angeles Caso

Ogni volta che leggo un libro che parla in qualche modo della Guerra Civile Spagnola, ho come l'impressione che per la Spagna quell'epoca sia una ferita ancora aperta, molto più aperta di quanto non lo sia per noi l'epoca del fascismo e della guerra. Credo sia dovuto principalmente al fatto che là sono riusciti a liberarsi di Franco solo con la sua morte, avvenuta a metà degli anni '70, e quindi il ricordo di quello che è stato è molto meno sbiadito.

Anche Ángeles Caso, in questo suo Un largo silencio (pubblicato in italiano dalla casa editrice marcos y marcos con il titolo Un lungo silenzio e la traduzione di Francesca Conte e Claudia Tarolo), ci racconta della Guerra Civile e della salita al potere di Franco, ma da un punto di vista differente, che stupidamente non avevo mai considerato e che colpisce molto.

Le donne della famiglia Vega costrette a fuggire allo scoppio della guerra, con la sua fine ritornano a casa. Da perdenti, ovviamente, però loro sono repubblicane, sono rosse e non hanno più diritto a nulla. La loro casa è stata affittata a qualcun altro, i loro mobili rubati, le amicizie per quanto forti sono necessariamente finite e nessuno è disposto a dar loro un lavoro se non accettano di iscriversi al partito.


Donne forti, donne innamorate, donne che prima di partire avevano tanto e a cui ora non è rimasto nient'altro che loro stesse e una bambina piccola, innocente, da proteggere in ogni modo.

Ogni capitolo del romanzo è dedicato ad ognuna di esse, anche se in realtà sono sempre tutte presenti: sono presenti quanto il padre muore, quando il fratello va in guerra per non tornare più, quando il marito di una viene arrestato e lei è disposta a tutto pur di averlo il più vicino a sé, quando un'altra torna a casa in fuga da un uomo violento. Insieme, sempre insieme, affrontano tutto: il loro passato, difficile, e il loro presente, doloroso e triste.

Lo stile della Caso è davvero particolare. Quello che mi ha colpito di più, aldilà dell'intreccio che ha creato e della sua capacità di descrivere gli stati d'animo, è la scelta di concludere ogni capitolo con il tempo futuro, con quel che succederà. Una sorta di proiezione, per far vedere che il passato e il presente in un modo o nell'altro potranno cambiare. Una scelta che all'inizio spiazza parecchio ma che poi è totalmente funzionale al libro e alla storia che racconta. 

Una storia al femminile quindi, che tratta l'argomento del ritorno a casa dai vinti. E' strano parlare di "ritorno a casa" in una guerra civile, perché in realtà nessuno si è mai mosso dalla sua vera patria. Eppure la differenza tra chi la guerra l'ha vinta e chi l'ha persa è davvero molto forte.
Un libro veloce da leggere ma anche molto intenso, che consiglio a tutti, per cercare di non dimenticare.

Titolo originale: Un largo silencio
Titolo italiano: Un lungo silenzio
Autore: Ángeles Caso
Anno di pubblicazione: 2006
Editore: Planeta
ISBN: 978-8408068167
Acquista su Amazon:
lingua originale: Un largo silencio
in italiano: Un lungo silenzio

lunedì 26 agosto 2013

EL BOLÍGRAFO DE GEL VERDE (Ricomincio da te) - Eloy Moreno

Vi avevo già anticipato in una delle ultime puntate prima delle ferie della rubrica di confronto tra titolo originale e sua traduzione che avevo intenzione di acquistare e leggere questo libro di Eloy Moreno. Un po' perché l'autore è originario proprio della provincia spagnola che mi ha ospitato per una decina di giorni, un po' perché comunque in Spagna è stato una specie di caso editoriale. E quindi è stato il primo libro che ho comprato e che ho letto quando ancora mi trovavo là (dopo aver esaurito i volumi che mi ero portata da casa).

Forse vi avevo già anche accennato parte della storia di questo libro: autopubblicato e autopromosso dall'autore, che ne ha stampato un po' di copie e ha girato di libreria in libreria, finché grazie al passaparola e al successo tra i lettori, è stato raggiunto dalla casa editrice Espasa che ha deciso di pubblicarlo sotto il suo marchio. Un fenomeno che si sta diffondendo questo (basti pensare al caso dell'ultimo premio Bancarella, Ti prego lasciati odiare di Anna Premoli) e che ormai non dovrebbe stupire più di tanto. 

Eppure, pur essendo partita priva di pregiudizi (dico davvero, ho sempre considerato la Espasa una buona casa editrice, di cui fidarmi), il libro mi ha lasciato parecchio basita. Racconta la storia di un uomo, dipendente di una ditta informatica, sposato con un bambino piccolo, che sente che la sua vita gli sta sfuggendo di mano. Il suo lavoro non lo soddisfa più di tanto, il rapporto con sua moglie, da grande storia d'amore quale era, è stato schiacciato dalla routine e dall'arrivo di un figlio non cercato. Insomma, il ritratto di molti quasi quarantenni di oggi. All'apice della crisi, lasciato dalla moglie, decide di andarsene a camminare in montagna, a inseguire un suo sogno di cambiamento, anche per fare i conti con un passato che un pochino ancora lo tormenta. Una fuga che vorrebbe essere anche un nuovo inizio, con un inevitabile lieto fine.

La trama del romanzo ha sicuramente del buon potenziale: l'idea dell'uomo in crisi, schiacciato dall'abitudine e dalla mancanza di tempo, che sente il bisogno di cambiare totalmente la sua vita per poterla riprendere in mano. Eppure l'autore non riesce a sfruttare tutto questo potenziale come avrebbe potuto fare. Ci sono troppe descrizioni, troppe parti che sembrano quasi staccate tra loro e che vengono malamente tenute insieme da un filo troppo sottile, soprattutto nella prima parte, in cui viene presentata la vita dell'uomo nell'ufficio e il legame con i colleghi. A questo segue poi la seconda parte, ambientata in montagna con lui, uomo di città con troppa pancia, che cammina verso una meta non chiara cercando di non morire per strada. Sarà che non amo la montagna, ma l'ho trovato troppo lungo, noioso e ripetitivo.
Oltre a questo, c'è poi un  racconto troppo superficiale di quello che invece avrebbe dovuto essere il fulcro della vicenda: la crisi con la moglie e, soprattutto, la sua soluzione. Succede perché deve succedere, senza che venga approfondito nulla.
Per non parlare di sta benedetta penna verde che compare nel titolo originale (e che invece sparisce in quello italiano... scelta che ora posso tranquillamente definire come pessima): un bell'espediente, bellissimo, un po' sprecato dall'autore, che si è lasciato prendere un po' troppo la mano e l'ha utilizzato troppo, rendendolo di fatto fastidioso.

Non si può negare la bravura dell'autore, che tutto sommato sa scrivere abbastanza bene,  e la sua passione e il suo amore per quello che ha scritto e che, grazie soprattutto al suo lavoro di autopromozione, è riuscito a diffondere a tutti. Eppure secondo me si sente la mancanza dell'intervento deciso di un editor, per sistemare tutte le varie pecche. Piccole, se prese singolarmente, ma che messe tutte insieme rendono la trama del libro insoddisfacente.

Titolo originale: El boligrafo de gel verde
Titolo italiano: Ricomincio da te
Autore: Eloy Moreno
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Espasa
ISBN: 978-8467006957
Acquista su Amazon:
lingua originale: El bolígrafo de gel verde
in italiano: Ricomincio da te

mercoledì 31 luglio 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #44

Ormai sto facendo il conto alla rovescia per l'arrivo delle ferie: manca una settimana e mezza e davvero non ce la faccio più. La meta sarà la Spagna, in un bel paese di mare vicino a Castellón de la Plana.
L'altro giorno ho iniziato a guardare qualche possibile titolo di libri scritti da autori spagnoli da poter comprare una volta là (giusto per avere un'idea, assolutamente non vincolante... perché tanto poi vado a ispirazione del momento) e mi sono imbattuta in un romanzo perfetto per questa rubrica. Ed è anche più in tema di quanto si possa pensare, perché l'autore in questione è originario proprio di Castellón de la Plana.

Punto questo romanzo già da quando è uscito, ma poi per un motivo o per l'altro non sono ancora riuscita né a comprarlo né a leggerlo. Sto parlando di Eloy Moreno e del suo EL BOLÍGRAFO DE GEL VERDE, tradotto in italiano con il titolo RICOMINCIO DA TE:


Il libro in lingua originale è stato in principio autopubblicato dell'autore: ha preso un po' di copie e ha girato di libreria in libreria, arrivando a venderne più di tremila. E' stato quindi notato dalla casa editrice Espasa che ha ripubblicato l'opera all'inizio del 2011. La traduzione in italiano arriva circa un anno dopo, ad opera di S. Bogliolo, per la casa editrice Corbaccio.

Il romanzo racconta la storia di un uomo, della sua vita piatta, mediocre e senza grandi exploit, e del suo desiderio di rivalsa: vuole riconquistare l'amore di sua moglie, l'affetto del figlio e l'amore per la vita in generale, cercando di realizzare tutti i suoi sogni.

Il cambiamento di titolo è evidente. La traduzione letterale di "El bolígrafo de gel verde" avrebbe dovuto essere "La penna gel verde" (o semplicemente "La penna verde"). Non avendo ancora letto il libro non so bene a cosa si possa riferire, ma leggendo qualche commento qua e là ho trovato una recensione che dice che "la parte sulla penna verde è un po' lunga e noiosa". Quindi direi che il titolo originale, come era immaginabile, fa riferimento a qualcosa di specifico presente all'interno del libro. E' un titolo sicuramente curioso e particolare, anche se forse in italiano perde un po' del suo potere evocativo. Certo è che la scelta italiana, a mio avviso, banalizza molto il libro, facendolo passare per una semplice e banale storia d'amore, cosa che, almeno da quanto riportato sulla quarta di copertina, non sembra essere.

Da segnalare però che la versione italiana ha mantenuto la stessa copertina dell'originale, un'abitudine questa che si sta diffondendo e che devo ammettere mi piace molto.

Che dite?

lunedì 6 maggio 2013

MILLE CRETINI - Quim Monzó

Un paparino profondamente materno che prende in contropiede l'incipiente vecchiaia - nonché il figlio - a suon di collant, gonna, rossetto e tacchi a spillo. Un principe azzurro che tenta inutilmente di risvegliare la principessa dal suo sonno profondo con mille prodezze erotiche, e finisce per addormentarsi lui, per sempre. Uno scrittore esordiente pronto a rinnegare il suo idolo - che ha contribuito in modo sostanziale al suo decollo - non appena ne ha preso il posto nel firmamento letterario. Un uomo che decide di sposare l'ex fidanzata perché scopre che è malata terminale, e quando lei guarisce grazie all'amore, non sa proprio che pensare, che pesci pigliare... Che si tratti di vecchi rincretiniti, vitelloni incalliti o Madonne ribelli al destino di future madri di Gesù Cristo, Quim Monzó entra nelle vite dei suoi personaggi con occhio acuto, parole al vetriolo, balsami di tenerezza.


Che di cretini sia pieno il mondo non è poi una grossa novità. Tutti, almeno una volta nella vita (ma io credo anche molto più spesso) siamo rientrati in questa categoria. Cambiano le motivazioni, cambiano i modi, ma un po' di cretineria secondo me è insita in ogni essere umano, e non bisogna assolutamente vergognarsene. Si può essere cretini per amore, ma anche per dolore e sofferenza. Si può essere cretini per difendersi dal mondo ma anche per pura e semplice cattiveria.

In questo libricino, Quim Monzó analizza diversi tipi di cretini, attraverso dei racconti in cui descrive persone afflitte da questo modo di essere. C'è chi diventa cretino per difendersi dall'età che avanza, come nel primo racconto. Chi lo diventa per pietà, come nel secondo racconto, in cui uomo si sposa con la sua ex perché crede sia malata terminale. Inutile dire che poi alla fine rimane fregato, proprio come un cretino. Chi fa cretinate perché soffre per amore e quindi l'unica soluzione che trova è quella di svuotare l'armadio, la casa, qualunque cosa che l'uomo che prima stava accanto abbia toccato, anche la propria pelle.
C'è chi è cretino per senso di rivalsa e di presunzione. Chi lo diventa cercando di fare colpo e chi più che cretino risulta essere maleducato ed egoista.

Tanti piccoli ritratti, di persone che in un modo o nell'altro possono rientrare in questa categoria, e che Monzó riesce a ritrarre in modo esemplare in questi racconti, usando un tono serio nei casi più drammatici e uno canzonatorio e irriverente in quelli più comici. Senza giudicare mai, perché il titolo è già più che sufficiente.  Eppure, in certi racconti non è poi così difficile riconoscersi, perché non si può mai sapere quale sarebbe la nostra reazione di fronte a certe cose. Per alcuni personaggi si prova quasi affetto, un'empatia forte, che durante la lettura lascia un po' di tristezza e di amaro in bocca. Perché alla fine in queste pagine non si trova altro che la realtà, a volte un po' enfatizzata, altre un po' caricaturata. Si trovano le reazioni degli esseri umani di fronte al mondo, un posto in cui vivere non è sempre così facile. 
E alla fine, non so, ti senti quasi un po' meno solo.

"Guardo dalla finestra, non perché non abbia altro da fare, perché di cose da fare ne ho sempre un mucchio - molte più di quanto vorrei- ma perché a dir la verità ora non ho voglia di farne nessuna. Quello che ho voglia di fare, ora, è guardare dalla finestra".
Nota alla traduzione: il libro è tradotto dal catalano e già solo per questo la traduttrice ha tutta la mia stima. Nel complesso direi davvero ben fatta!


Titolo: Mille cretini
Autore: Quim Monzó
Traduttore: Gina Maneri
Pagine: 158
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Marcos y Marcos
ISBN: 978 8871686509
Prezzo di copertina: 14,50€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Mille cretini