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venerdì 19 dicembre 2014

A PESCA NELLE POZZE PIU' PROFONDE - Paolo Cognetti


Ogni volta che leggo un racconto, un libro di racconti o un libro che parla di racconti... insomma, ogni volta che leggo qualcosa che ha a che fare con i racconti, non posso fare a meno di chiedermi perché, in Italia, il genere sia così tanto bistrattato. Ultimamente le cose stanno un po' migliorando, in parte forse grazie anche al Nobel vinto da Alice Munro nel 2013, in parte al grande lavoro fatto da certi editori che sebbene il genere non venda continuano comunque a pubblicare (o ripubblicare) raccolte di racconti.
Ovviamente intendo i racconti con la R maiuscola. Quelli di Alice Munro, ma anche di Carver, Saunders e, ovviamente, Hemingway, giusto per citarne qualcuno.

Di italiani il primo che mi viene in mente è Paolo Cognetti. Da Sofia si veste sempre di nero, romanzo in forma di racconti che me l'ha fatto conoscere un paio di anni fa, alle raccolte Manuale per ragazze di successo e Una cosa piccola che sta per esplodere, che me ne hanno fatto definitivamente innamorare, credo che Cognetti sia uno dei migliori scrittori italiani contemporanei.

E questo suo nuovo libro, A pesca nelle pozze più profonde, me ne ha dato ulteriore conferma.

Non è un romanzo, non è un raccolta di racconti, non è nemmeno un saggio. È Paolo Cognetti che parla dei più grandi scrittori di racconti mondiali e dell'influenza che hanno avuto su di lui, del perché li ama tanto. Parla di Salinger e di Hemingway, di Carver e della Munro, di Flannery O'Connor e di David Foster Wallace. Tramite le loro storie, i loro racconti, Cognetti spiega la sua visione di questo genere, il modo in cui lui li scrive, li pensa, li immagina, mettendo spesso in luce le differenze con i romanzi. Lo fa da scrittore, sicuramente, ma anche da lettore, raccontando (sì, per quanto un po' ripetitiva, è la parola migliore) cosa ha trovato lui in ogni storia che ha letto.

Leggendo posiamo la mano sulla mano di uno scrittore, e se lo scrittore è bravo, e noi siamo fortunati, mentre la mano scrive riusciamo a vedere ciò che ha visto lui.

Cognetti ti fa innamorare persino dei libri che non hai letto. Ti fa venire voglia di cercarli e di buttarti subito tra le loro pagine (a me sta succedendo con i Nove Racconti di Salinger, che devo assolutamente trovare).

E poi c'è il suo stile, il suo modo di raccontare, semplice eppure profondo. La sua capacità, forse tipica di chi scrive racconti, di soffermarsi su un dettaglio e renderlo importante al punto da costruirci una storia.

Il libro si conclude con quattro raccontini su Sofia, la protagonista di Sofia si veste sempre di nero, che anche dopo la pubblicazione del libro l'autore non è riuscito a lasciare andare. Dice che ogni tanto sente il bisogno di tornare da lei. Non so se li avrei messi alla fine di questo libro, onestamente. Due mi sono piaciuti molto, due non sono così sicura di averli capiti in realtà, ma a prescindere da questo, qui avrei lasciato tutto lo spazio agli altri scrittori, al grande grandissimo omaggio che questo libro vuol fare loro.

In ogni caso, A pesca nelle pozze più profonde è un libro bello, sul valore letterario dei racconti e su quanto lavoro ci sia dietro per poter scrivere il racconto perfetto. E quindi è un libro che dovrebbe essere letto da chi, come me, ama i racconti e da chi invece li considera un genere in qualche modo inferiore rispetto al romanzo. Sono sicura che cambierebbe idea.


Titolo: A pesca nelle pozze più profonde
Autore: Paolo Cognetti
Pagine:130
Editore: minimum fax
Anno: 2014
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sabato 18 gennaio 2014

IL DESIDERIO DI ESSERE COME TUTTI - Francesco Piccolo

Ho come l'impressione che i libri di Francesco Piccolo decidano da soli quando è il momento di entrare nella mia vita.
Me ne sono accorta con il primo suo romanzo che ho letto, Momenti di trascurabile felicità, comprato per puro caso in una libreria bolognese durante un bellissimo fine settimana d'amore e divorato nelle ore di treno, di ritorno a casa. Un libricino di poche pagine, meravigliose nella loro semplicità, e portatrici di un messaggio forse banale ma che troppo spesso dimentichiamo: basta davvero poco per essere felici.
Ho poi avuto la conferma di questa mia sensazione con questo ultimo lavoro, Il desiderio di essere come tutti, che, sebbene puntassi fin da quando è uscito, ho aspettato a comprare e leggere. Lo volevo tanto, ma sapevo che non era il momento. Poi ho iniziato a sentirne qualche estratto, ad ascoltare qualche intervista all'autore (io adoro la zeppola, altro che la mia r moscia!) e a sentire che piano piano stava arrivando l'ora giusta per leggerlo. E ora che l'ho finito, proprio in questa settimana, proprio ieri,  un giorno che per me è carico di sentimenti e ricordi tristi, ho capito che ancora una volta Francesco Piccolo era arrivato al momento giusto.

La prima sensazione che ho provato tra le pagine del libro è stata quella di smarrimento. Non mi aspettavo un libro così, sarò sincera. Sapevo che ci sarebbe stata della politica, tanta anche, ma non pensavo che fosse l'argomento principale. Chissà poi perché mi ero fatta questa idea, considerando che in tutte le interviste all'autore che ho sentito si parlava di Berlinguer, di Craxi, di Berlusconi e di come una partita di calcio abbia sancito per sempre lo schieramento politico di un bambino di nove anni. Eppure, ero convinta che ci fosse più romanzo e meno storia, più autobiografia e meno cronaca.
A poco a poco però, andando avanti con la lettura, a questo senso di smarrimento, si è sostituita prima la forte consapevolezza di essere ignorante (o forse, semplicemente, troppo giovane?) in materia politica, poi la curiosità e la voglia di scoprire di più. E nessun libro di testo sarebbero mai riuscito nell'intento di farmi capire e conoscere quel periodo e quel credo politico tanto bene quanto ci è riuscito Francesco Piccolo con il suo incredibile  modo di narrare.
Con le sue parole, ironiche e pacate, mescolando film, racconti (cita Carver più e più volte, e già solo per questo ha tutta la mia più grande stima) ed emozioni, ci racconta della sua vita da comunista nel corso degli anni,  con la sua vita privata e le sue impressioni su quello che effettivamente stava succedendo nel Paese. E piano piano, si capisce che la politica, sebbene fondamentale in questo libro, diventi solo un pretesto per parlare di se stesso ma anche di noi, dell'Italia intera, o almeno di quella schierata a sinistra, che sta perdendo consapevolezza. 

Mentre leggevo questo libro, ho immaginato più volte di consigliarlo a mio padre. A lui sarebbe piaciuto tantissimo, sono sicura. Si sarebbe emozionato, infervorato. Perché lui ha vissuto gli anni del partito comunista e di Berlinguer, del rapimento di Moro e dell'arrivo di Craxi. E arrivata alla fine, un po' mi è mancato non poterglielo passare, consigliare, non poter cogliere le sue reazioni di fronte a queste parole e a questi racconti. E leggerlo proprio nei giorni in cui ricorre l'anniversario di quando se n'è andato è quello che mi fa capire che Piccolo entri nella mia vita proprio quando ne ho più bisogno. Non gliel'ho potuto passare, ma è come se lo avessi fatto, perché nella mia testa alternavo le mie reazioni a quelle che, credo, sarebbero state le sue.
Credo che un lettore più giovane, o un po' meno informato come dicevo prima, inizierà a entrare appieno nella storia politica  raccontata nel libro solo con l'arrivo di Berlusconi (io, ad esempio, mi ricordo perfettamente la sera in cui ha vinto le elezioni... così come mi ricordo quando Bertinotti ha fatto cadere il governo Prodi, la mia professoressa delle medie quando sono arrivata in classe mi ha pure chiesto se ero triste). Ma questo non gli impedirà di lasciarsi trasportare dalle parole di questo autore anche nella prima parte, di farsi conquistare dai suoi racconti di bambino e di adulto, dalle sue semplici eppure efficaci descrizioni, dall'incredibile amore che prova per la moglie e dalla passione che emana nel parlare della sua sinistra, di quella in cui ha creduto.
Sebbene mi sia piaciuto molto, e soprattutto adori il modo di scrivere di Francesco Piccolo, non so se è un libro che consiglierei a tutti. Quello che l'autore traccia è sicuramente un grande ritratto del nostro Paese, molto onesto, molto realista, di cui forse non tutti abbiamo la giusta consapevolezza. Il problema è che, forse, del nostro Paese nel nostro Paese non a tutti interessa.

Titolo: Il desiderio di essere come tutti
Autore: Francesco Piccolo
Pagine: 264
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806194567
Prezzo di copertina: 18,00€
Acquista su Amazon:

lunedì 23 dicembre 2013

URBINO, NEBRASKA - Alessio Torino

I fatti di cronaca sopravvivono nella vita dei paesi o delle città in cui si sono verificati molto più a lungo di quanto la notizia non sia rimasta sulle prime pagine dei giornali. Colpiscono un po' tutti gli abitanti, chi più chi meno, in modo più o meno forte, rimanendo impressi nella memoria anche dopo molti anni, anche in chi non li ha vissuti direttamente. Provate a pensare a qualcosa successo nella vostra città quando eravate bambini o a chiedere ai vostri genitori... sicuramente sapranno raccontavi qualche tragedia che ha colpito il luogo in cui vivete, dirvi chi era coinvolto, le voci che erano girate e quanto tutti avevano in qualche modo preso parte alla disgrazia.

C'è questo sentimento collettivo alla base di Urbino, Nebraska di Alessio Torino. Il ricordo di due ragazze, Ester e Bianca, trovate morte per overdose nel 1987 in un parco pubblico di Urbino. Un espediente, sconvolgente, che fa da filo conduttore ai quattro episodi che compongo il libro. Nel 2010, ad esempio, c'è Zena Mancini, una giovane universitaria che ancora non ha deciso cosa fare della sua vita, che vive proprio accanto a Dorina, la madre delle due ragazze morte. Nell'euforia e nell'emozione della sua età, Zena non riesce a prendere decisioni, dalle più difficili, quelle che riguardano il suo percorso di studi e la sua vita, alle più semplici, come mettere in chiaro la storia con Marco o suonare un campanello e portare un po' di conforto a una donna che non si è mai ripresa. Nel 1994, invece, c'è Nicola Chimenti, che ha deciso di prendere i voti, provocando lo sconcerto dei genitori, degli amici, della sua band e, probabilmente, anche quello di sua zia Dorina, se solo trovasse il coraggio di rivelarglielo. Nel 2013 c'è Mattia Volpini, che lavora in Olanda dopo essere fuggito da Urbino, da un padre tipografo che ora è un ubriacone e da una vita di provincia che gli stava un po' stretta. Ha una bella vita, ora, e del passato non rimpiange nulla, se non fosse per quel senso di colpa che lo obbliga a tornare. C'è suo padre, a Urbino, c'è sua sorella e ci sono gli amici, tra cui Jacopo Martelli, aspirante scrittore che colleziona i rifiuti delle case editrici e che si è imbarcato in una sorta di reportage su quel vecchio fatto di cronaca, sulla morte di Ester e Bianca. E poi, nelle pagine finali, c'è un bambino, Federico, che aspetta con ansia la neve per non dover andare a scuola e poter fare le olimpiadi invernali di bob con gli amici. E guarda caso, era stato proprio suo nonno a trovare Ester e Bianca sulla panchina: un shock enorme, difficile da dimenticare.

Quattro racconti, ambienti in quattro periodi diversi, accomunati da Urbino, sempre uguale, da quel terribile fatto di cronaca, sempre presente nonostante gli anni, dalla voglia di fuggire e di dimenticare ma anche dall'impossibilità di farlo. 
Dei quattro racconti, i miei preferiti sono sicuramente il primo e l'ultimo. Sono quelli che ho trovato più completi, in cui sono riuscita a identificarmi di più, forse perché sono vicina all'età di Zena Mancini e ne capisco i dubbi, le paure e le angosce, e perché anche io da bambina, proprio come Federico, aspettavo con ansia la neve, per poter tirare fuori il bob e lanciarmi dalle discese. Sono forse quelli che più si avvicinano alla storia di Ester e Bianca, trasmettendo meglio quel senso di tragedia mai dimenticata, di dolore che non per tutti passa, sebbene gli altri continuino la loro vita.
Anche gli altri due racconti sono molto efficaci, per descrivere quelle sensazioni di cui parlavo prima, quella voglia di fuggire da una vita di provincia che sembra sempre troppo stretta ma che, inevitabilmente, dopo un po' richiama a sé, anche se non si vorrebbe.
Mi piace il modo di scrivere di Alessio Torino. Un modo di scrivere molto particolare, che richiede un po' di pagine per abituarsi, un po' di pazienza (e me ne mi ero già accorta con Tetano), ma che poi  alla fine conquista il lettore e lo tiene lì, incollato alle sue pagine.
Una lettura decisamente consigliata!

Titolo: Urbino, Nebraska
Autore: Alessio Torino
Pagine: 237
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: minimumfax
ISBN: 978-8875215163
Prezzo di copertina: 14,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura:Urbino, Nebraska
formato ebook:Urbino, Nebraska

martedì 3 dicembre 2013

RAGAZZE MANCINE - Stefania Bertola

Dopo l'intervista rampante e l'incontro con l'autrice al Circolo dei lettori di Torino, eccomi finalmente pronta a parlarvi anche dell'ultimo romanzo di Stefania Bertola.
O a provarci almeno, perché devo ammettere che da quando l'ho chiuso qualche ora fa sono invasa da diversi sentimenti contrastanti. C'è sicuramente un po' di tristezza, perché chissà quando leggerò di nuovo un romanzo con delle protagoniste così adorabilmente strampalate. Però c'è anche un po' di delusione, per quanto stia cercando di negarlo. Quella delusione causata dalle alte aspettative, che ti impediscono di essere completamente obiettiva.

Credo di avervelo già detto molte volte quanto io abbia amato i romanzi precedenti di questa autrice. Non tutti allo stesso modo, certo. Ma in tutti, almeno per un momento, trovavo qualcosa o qualcuno in cui identificarmi. Nella sbadataggine delle protagoniste, nel loro modo un po' naif di vedere e affrontare il mondo, in queste storie d'amore a fine lieto che più lieto non si può. Tutti elementi che ci sono anche in questo Ragazze mancine, anche se mi è parso in tono molto minore.

La storia è come sempre molto intricata e tentare di riassumerla la renderebbe ancora più complessa. Quindi non ci provo nemmeno. Vi basti sapere che protagoniste sono due donne: Eva, una ragazza con una bambina  piccola al seguito, che vive alla giornata e che da quando ha trovato su una spiaggia un vecchio medaglione crede di essere in qualche modo protetta dalla malasorte, e Adele, una donna che aveva come unico obiettivo nella vita sposare un uomo ricchissimo e non lavorare mai e che ora, dopo che il suddetto uomo ha fatto bancarotta ed è scappato con una ragazza dell'est, si ritrova completamente indigente, con un enorme cane al seguito. Le due donne si incontrano in autogrill, mentre Eva sta fuggendo da un uomo che vorrebbe il suo medaglione, e senza troppi fronzoli e troppe domande le due si ritrovano a vivere insieme, a trovarsi lavori a vicenda, ad accudire cane e figlia e/o viceversa. Nella loro vita entrano poi due uomini, due fratelli, Cristiano e Tommaso, entrambi che vorrebbero recuperare quel benedetto medaglione, non fosse altro per togliersi dai piedi la loro madre, vera proprietaria di quel gioiello. E poi ci sono cognati e cognate antipatiche e snob, ricchi datori di lavoro gentili e scrittrici di romanzi Harmony.

Il solito, adorabile, calderone dei romanzi della Bertola. In cui tutto all'inizio sembra confuso ma che poi piano piano, man mano che si va avanti a leggere, trova il suo giusto posto. Come al solito, si ride e si sorride, si fa il tifo per le protagoniste e si cerca di capire come riusciranno a uscire dalle strane situazioni in cui si sono trovate.
Eppure, qualcosa non mi ha convinta del tutto e non riesco a far sparire quel senso di delusione di cui vi parlavo all'inizio. Trovo che manchi un po' della solita magia, del solito brio e della solita spensieratezza a cui questa autrice mi aveva abituata. Ci sono sempre personaggi e situazioni buffe (e ogni volta non riesco a fare a meno di domandarmi come le vengano in mente certe idee), c'è sempre Torino a far da sfondo, così come c'è sempre il caro e vecchio lieto fine. 
Però c'è questo benedetto però, che sto cercando in ogni modo di definire, senza riuscirci.
Diciamo che non è il primo, e forse nemmeno il secondo o il terzo, romanzo che consiglierei come primo approccio con questa autrice. E' una lettura piacevole e divertente, certo, ma non è la sua opera migliore.

(E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, 18,50€ è un prezzo davvero esagerato per un romanzo di questo spessore).

Titolo: Ragazze mancine
Autore: Stefania Bertola
Pagine: 281
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Einaudi
ISBN:978-8806212643
Prezzo di copertina: 18,50€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Ragazze mancine

lunedì 18 novembre 2013

IL TANGO DELLA VECCHIA GUARDIA - Arturo Pérez-Reverte

Mi piacerebbe tantissimo imparare a ballare il tango. Così come mi piacerebbe tantissimo anche andare in Argentina o saper giocare a scacchi.
Tra le cose che invece non mi piacciono per niente ci sono i romanzi troppo d'amore e i romanzi troppo d'avventura. Tendono ad annoiarmi, sia l'uno sia l'altro genere, a meno che non siano in qualche modo molto originali.

Leggendo questo libro ho avuto l'impressione che Arturo Pérez-Reverte sapesse tutte queste cose di me. Della mia passione mai manifestata per il tango e per l'Argentina. Di me che da bambina giocavo a scacchi con mio fratello muovendo puramente a caso i vari pezzi sulla scacchiera. Di me che non sopporto le storie d'amore troppo melense né quelle troppo avventurose. Sapeva tutto questo e mi ha messo davanti questo suo ultimo romanzo. 
Che è un romanzo d'amore, ma anche di avventura. Che parla di tango ed è ambientato in Argentina. Ma anche di scacchi e a Sorrento, passando un po' per la Francia e un po' per il mare.

Protagonista è Max, che ci viene presentato come una sorta di ballerino gigolò che, durante una traversata dall'Europa al Sud America sulla nave per cui lavora, conosce Mecha Inzunza, un'affascinante e bellissima dama spagnola, e suo marito Armando de Troeye, grande compositore che sogna, per scommessa, di comporre il tango perfetto. Mecha balla con Max un tango appassionante e tra i due si crea così uno strano legame, intrigante e ambiguo, sotto gli occhi di Armando, che sembra orgoglioso di questo feeling. Forse perché ha un piano ben preciso, forse perché è attratto da storie un po' torbide e ha trascinato in questa sua passione la moglie. Max ne rimane completamente invischiato.
Poi passano gli anni, i due si perdono di vista per ritrovarsi, durante la Guerra Civile Spagnola, a Nizza. Rifugiata politica lei, sempre furfante e sempre gigolò lui. Si ritrovano, continuano ad attrarsi e poi, di nuovo, si perdono. 
Gli anni passano ancora. Max è invecchiato, non fa più la vita dissoluta di un tempo e lavora come autista a Sorrento, città al momento in trepidazione perché sta per ospitare un'importante sfida di scacchi. E lì, Mecha, inaspettatamente riappare. E chiede a Max un enorme favore.

Il termine che ho visto più volte utilizzato per descrivere questo romanzo è feuilleton. Un romanzo d'appendice insomma, un melodramma con l'amore e la passione a fare da sfondo.
Ed effettivamente Il tango della Vecchia Guardia lo è: c'è amore, c'è passione, c'è gelosia, c'è sesso, c'è avventura e il lettore non può fare a meno di leggere, di chiedersi cosa succederà dopo, cosa separerà di nuovo i due innamorati e, soprattutto, se tra guerre, furti, omicidi, allontanamenti e anni che passano, i due alla fine riusciranno a coronare il loro amore.

Lo so, forse raccontato così potrebbe sembrare un libro un po' banale, un po' scontato. Qualcosa di già letto e già sentito. Ma vi assicuro che non lo è. Arturo Pérez-Reverte è bravo a raccontare, a creare quella giusta dose di mistero e di ambiguità, a mischiare amore e avventura, tango e scacchi, passione e disincanto, ma anche a offrire un ritratto della società nei vari periodi in cui il romanzo è ambientato. La sua scrittura è particolare, mi verrebbe da definirla elegante, garbata, anche se non so se si riesca a capire cosa intendo.
Non è sicuramente un capolavoro, non è sicuramente alta letteratura, ma si legge che è un piacere, ci si appassiona e si arriva a immaginarsi là, su quella pista da ballo, a sognare di ballare con Max il Tango de la Guardia Vieja e lasciarsi trasportare.

Consigliato!

Titolo: Il tango della Vecchia Guardia
Autore: Arturo Pérez-Reverte
Traduttore: Bruno Arpaia
Pagine: 492
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Rizzoli
ISBN: 978-88-17-06613-6
Prezzo di copertina: 18
Acquista su Amazon:

venerdì 25 ottobre 2013

IL BORDO VERTIGINOSO DELLE COSE - Gianrico Carofiglio

Credo che ogni lettore abbia un autore di cui vorrebbe leggere anche la lista della spesa. Un autore di cui si ha letto praticamente tutto e di cui si aspetta con ansia l'uscita di ogni nuovo libro. Lo so, questa cosa l'avevo già detta per Marco Malvaldi (e forse anche per Jonathan Coe), eppure sento di doverla ripetete anche in questo caso. Perché per me  anche Gianrico Carofiglio è uno di questi autori. Mi piace il modo in cui scrive, mi piace come caratterizza i personaggi e come li fa riflettere su se stessi e sul mondo. 
Ovviamente questo mio amore nei suoi confronti genera delle aspettative molto alte e lascia un senso di iniziale smarrimento quando sembra che queste aspettative vengano disattese.

Con Il bordo vertiginoso delle cose la sensazione di smarrimento, non appena ho terminato il libro, è stata molto, molto forte. Non riuscivo a decidere se mi fosse piaciuto o meno, né tanto meno a capire da cosa dipendesse questa mia indecisione.

Il romanzo racconta la storia di Enrico, in un alternarsi tra passato ambientato nei banchi di scuola e narrato in prima persona, e presente, ambientato a Bari una trentina di anni dopo e narrato in seconda. Una scelta molto particolare quella di dare del tu al lettore, che ti trascina immediatamente dentro il libro e dentro il personaggio. Enrico da giovane era un liceale come tanti, un po' solitario, con una grande passione per la scrittura e per la musica. La sua vita cambia quando nella loro classe arriva Salvatore, un ragazzo più grande, già bocciato due volte, e soprattutto politicamente impegnato, che un giorno decide di insegnare a Enrico a difendersi contro gli attacchi dei bulli. 
E' lo stesso Salvatore che trent'anni dopo viene ucciso durante una rapina a mano armata e che riporta Enrico a Bari, in cerca di qualcosa, di un passato rimasto in sospeso che non gli permette di vivere il presente. E' uno scrittore di successo che non riesce più a scrivere, con una vita sentimentale disastrata e un senso di insoddisfazione che non riesce a placare. 

E' un romanzo che parla di adolescenza quindi, un'adolescenza vissuta negli anni '70, che segna inevitabilmente chi la vive, senza che riesca a superare quello che è stato. Enrico da adulto si ritrova un po' in sospeso, a guardare appunto le cose da un bordo vertiginoso su cui si tiene in equilibrio, tormentato dalla paura di cadere ma allo stesso tempo attratto dal vuoto. E' un scrittore di successo che ha scritto un solo libro (una figura che forse sta diventando un po' un cliché), è un uomo che è fuggito dalla sua vita e dal suo passato e che ora deve ritrovare se stesso.
Riflettendoci bene, il difetto maggiore di questo libro è che si arriva alla fine senza accorgersene. Può suonare un po' strano, perché di solito questo vuol dire che è scritto talmente bene ed è talmente coinvolgente che si divora senza difficoltà. Il fatto è che qui arrivi alla fine e pensi che non dovrebbe essere finito, che ci sono troppe cose lasciate in sospeso, concluse quasi di fretta, che ti fanno pensare a qualcosa di incompleto. Manca qualcosa. Manca nel passato di Enrico (possibile che si lasciasse davvero trascinare così tanto dagli eventi?), ma manca soprattutto nel presente. Si chiude il libro e non si può fare a meno di domandarsi: "E quindi che succede adesso?".

In ogni caso, Carofiglio la penna la sa usare eccome (ripeto, trovo la scelta della seconda persona singolare davvero azzeccata, se ne leggono pochi di libri con questa forma perché credo che non sia da tutti riuscire a gestirla in questo modo) e riesce sempre a creare immagini e situazioni all'apparenza normali e banali, che nascondono invece verità più profonde. Ed è forse per questo che mi piace così tanto il suo modo di scrivere e di portarti dentro le storie.
Se non conoscete l'autore e non avete mai letto nulla di suo, direi che è ora di rimediare. Con questo, volendo, ma  anche con tutti gli altri. Qualcosa Carofiglio ti lascia sempre.
E ora ovviamente aspetterò con ansia il prossimo.

Titolo: Il bordo vertiginoso delle cose
Autore: Gianrico Carofiglio
Pagine: 315
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Rizzoli
ISBN: 9788817068581
Prezzo di copertina: 18,50 €
Acquista su Amazon:

martedì 3 settembre 2013

Expo 58 - Jonathan Coe

Devo iniziare questa recensione con una premessa. Se non si fosse ancora capito, io amo Jonathan Coe. Amo i suoi libri (li ho letti praticamente tutti), amo il suo modo di scrivere e soprattutto amo lui, uno scrittore e una persona incredibile, con cui ho avuto la fortuna di scambiare due chiacchiere qualche anno fa alla presentazione del suo romanzo precedente. E' uno di quegli autori di cui comprerei anche la lista della spesa, per intenderci.
Questo mio amore incondizionato nei suoi confronti mi porta però ovviamente ad avere delle alte aspettative e a rischiare, ogni volta che esce qualcosa di suo, di vederle miseramente disattese. Ma in parte è anche colpa sua, perché da un autore che ha scritto La casa del sonno, La famiglia Winshaw e La pioggia prima che cada, non puoi che aspettarti dei capolavori.

Expo 58 non è un capolavoro, diciamo subito. Non ci si avvicina nemmeno lontanamente. Eppure, è Coe. E' Coe in ogni pagina, in ogni personaggio, in ogni dialogo. E' solo un Coe diverso, un Coe più tranquillo, un Coe, forse, invecchiato, che si porta sulle spalle il peso dei capolavori precedenti che ha creato e cerca di toglierselo in ogni modo.

Di questo romanzo a lasciarmi più perplessa è la trama. In cui, sostanzialmente, non succede nulla. Thomas Foley,  giovane copywriter del Central Office of Information di Londra, viene inviato a Bruxelles durante l'Esposizione Universale del 1958, per supervisionare l'operato di uno dei punti cardine del padiglione della Gran Bretagna: il pub Britannia. Dovrà tenere gli occhi aperti, perché è la prima esposizione universale dopo la fine della guerra e i rapporti tra la Nato e l'Unione Sovietica sono molto tesi. Insomma, potrebbe succedere di tutto ed è meglio che ci sia qualcuno a tenere d'occhio la situazione. Quindi Thomas parte, lasciando la moglie e la figlia a casa da sole, in balia delle attenzioni del vicino di casa. A Bruxelles l'uomo entrerà in contatto con un mondo frenetico, con persone di diverse nazionalità, che gli faranno mettere in dubbio la sua tranquilla vita londinese. Si troverà invischiato in intrighi internazionali molto pericolosi, senza quasi nemmeno accorgersene, e, soprattutto, in grandi dilemmi amorosi.

Una trama particolare, già solo per la sua ambientazione, che sembra non voler decollare mai, almeno per quanto riguarda la parte di spionaggio, che a tratti è un pochino confusa. E mi potrebbe anche andare bene, se non fosse che in fascetta e in quarta di copertina viene scritto che si tratta di una spy story. Molto, molto più bella è la storia d'amore, le storie d'amore anzi, e il modo in cui vengono affrontate dal protagonista. 
Nonostante questa perplessità, il libro tutto sommato è un bel libro. Ben riusciti sono i personaggi, soprattutto quello del vicino di casa e dei due agenti segreti che tormentano Thomas, e bello è lo stile di Coe, con quel suo umorismo sottile, estremamente British, che all'inizio ti spiazza e poi ti fa sorridere di gusto.

Da quando ho chiuso il libro, ieri sera, non riesco a fare a meno di pensare che questa assenza di exploit nella trama, questa "calma narrativa" (non so se esiste una cosa del genere, ma nella mia mente rende bene l'idea), questa confusione, siano volute dall'autore per definire meglio Thomas e il suo stato d'animo, per descriverlo non solo attraverso i suoi gesti e le sue parole ma anche tutto quello che lo circonda.
"Dobbiamo tutti goderci il nostro tempo qui, finché possiamo. Perché potrebbe finire da un momento all'altro, e nessuno di noi può sapere quando, o come. [...] E' questo il problema con la felicità".
E' un libro che si legge bene, senza intoppi, e con alcune scene davvero divertenti. E non posso assolutamente dire che non mi sia piaciuto, anzi. Però, se conoscete Coe e tutta la sua opera narrativa, un pochino di delusione vi rimarrà sicuramente.
E se non avete mai letto nulla di questo autore, non partirei da questo per iniziare a conoscerlo, ecco. (E, se potete, leggetelo in lingua originale...)


Titolo: Expo 58
Autore: Jonathan Coe
Traduttore: Delfina Vezzoli
Pagine: 280
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Feltrinelli
ISBN: 978-8807030550
Prezzo di copertina: 17€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Expo 58
formato ebook: Expo 58 (I narratori)