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venerdì 2 agosto 2024

IL CUSTODE - Ron Rush

 “Se ne restò in mezzo al silenzio delle lapidi a pensare, non al futuro ma al passato, a due ragazzi che si stringevano la mano lungo un recinto di filo spinato, un patto sigillato col sangue. Spense la lanterna, lasciò gli attrezzi dov’erano. Il canto del cardinale rosso annunciò il risveglio del mondo. La prima luce del giorno filtrava tra gli alberi.”



Il custode di Ron Rash (tradotto da Tommaso Pincio per La nuova frontiera ) è il primo romanzo che leggo di questo autore. Ad attrarmi, ancor prima di aver letto la trama, è stata soprattutto la copertina, che mi ha immediatamente portato nella provincia americana degli anni '50, senza nemmeno sapere dove e quando il romanzo fosse ambientato.

Nonostante la ferma opposizione dei suoi genitori, Jacob si è spostato con Naomi e stanno per avere un figlio, quando lui riceve la cartolina di arruolamento e, nel giro di poche settimane, si ritrova a combattere in Corea. I suoi genitori si rifiutano di prendersi cura di Naomi mentre lui è via e quindi chiede aiuto a Blackbum Gant, custode del cimitero del paese e segnato fin da bambino dalla poliomielite. Il ragazzo accoglie la richiesta dell'amico e aiuta Naomi ad affrontare la gravidanza e soprattutto la paura che Jacob non torni a casa. Poi succede qualcosa, che sconvolge le vite di tutti.

Il custode è un romanzo che arriva dopo. O almeno, con me è stato così. Quando ho chiuso il libro il mio primo pensiero è stato "bello ma...tutto qui?". Sapevo di aver letto una bella storia, di aver trovato dei bei personaggi, e uno stile delicato ma al tempo stesso deciso, ma per qualche motivo mi ero aspettata qualcosa di più.
Poi però ogni tanto mi è venuto in mente Blackburn, la sua tenerezza e la sua lealtà; Naomi e il suo desiderio di combattere le ingiustizie con i mezzi che ha a disposizione, oltre che il suo immenso amore per Jacob. Mi sono venuti in mente i genitori di Jacob, che non riesco a giustificare in nessun modo. E mi sono quindi resa davvero conto di aver letto un libro all'apparenza semplice ma invece pieno di cose: amore, amicizia, dedizione, rispetto, dolore, egoismo, morte e ancora amore. Tutto in 250 pagine. Tutto in un paesino della North Carolina degli anni '50.

E quel "ma... tutto qui?" non è stato più un limite del romanzo ma la sua vera forza.

lunedì 8 maggio 2017

DI ME ORMAI NEANCHE TI RICORDI - Luiz Ruffato

Stavolta sono stato più in giro per la città, ho visto qualche amico, ne ho incontrati altri che stanno lavorando anche loro a San Paolo e la sensazione che mi resta è che non tornerò mai più. Questo è molto triste, perché qui non è casa mia. Ma oramai sento che anche lì non è più casa mia. Ossia, da nessuna parte è casa mia. È questo che fa male dentro.

Alla morte della madre, facendo ordine tra i suoi beni per dare il più possibile in beneficenza, Luiz Ruffato trova un pacco di lettere: sono quelle che suo fratello Célio spedì alla donna durante i sette anni che trascorse a San Paolo. Si era trasferito in città dal paese, per andare a lavorare in fabbrica e per cercare fortuna, come in molti facevano all'epoca, sapendo benissimo che difficilmente sarebbero tornati.
Il destino di Célio, però, fu ancora più tragico: morì in un incidente d’auto, proprio mentre stava andando a trovare i genitori.
Una perdita terribile, da cui nessuno è mai riuscito a riprendersi. Un dolore enorme, che la madre conserva fino alla fine, in quelle lettere che Luiz ritrova e che, subito, non ha il coraggio di leggere. Troppa sofferenza, ma anche troppa gelosia nei confronti del fratello che non ha fatto in tempo a conoscere e la cui assenza ha influito sulla sua vita e sul rapporto con sua madre ancor più di quanto avrebbe fatto la sua presenza.
Finché un giorno, finalmente, si decide, scioglie la cordicella che tiene uniti quegli scritti e, attraverso quelle cinquanta lettere, fa un tuffo nel passato: quello della sua famiglia, ma anche quello di tutto il paese.

Di me ormai neanche ti ricordi, pubblicato da laNuovafrontiera con la traduzione di Gian Luigi De Rosa, è la raccolta di quelle lettere. Un romanzo epistolare, accompagnato da un’introduzione che spiega che cosa sono questi scritti e perché finalmente sono tornati alla luce, che si compone di una voce sola. Le risposte che Célio riceve dalla madre, infatti, non ci sono, ma si riescono a intuire, così come si intuisce quanto gli manchino il suo paese e la sua famiglia, ma, al tempo stesso, quanto impossibile gli sia tornare.

A San Paolo Célio lavora in fabbrica, stringe amicizie, trova l’amore e poi lo perde, va a vedere le partite di calcio e pensa al futuro, senza mai dimenticarsi quello che ha lasciato. Da lontano, si preoccupa per la salute del padre, per i suoi fratelli e per tutto quello che è rimasto a casa. Poi si avvicina alle lotte sindacali e coglie i primi segni di una dittatura militare sempre più opprimente. 
C’è tutto il Brasile degli anni ’70 nelle sue parole, di cui fornisce un ritratto quasi inconsapevole raccontando semplicemente la sua quotidianità.

Di me ormai neanche ti ricordi è un libro malinconico: non solo per il suo finale tragico, ma per tutto il senso di tristezza e solitudine che traspare dalle lettere di Célio e per quello che invade Luiz Ruffato stesso, che sente i ricordi farsi sempre più sbiaditi ma che non vuole cedere al passare inesorabile del tempo.
Non ricordo volti, vestiti, situazioni, nulla, ricordo solo voci che riecheggiano sospese in un universo  senza orologi e senza età. Nella fotografia in cui siamo insieme, però, il tempo è presente: i tuoi occhi guardano il fotografo e quel che vediamo è l’immagine di qualcuno che sembrava sapere che non sarebbe cambiato mai.
E questo libro altro non è che uno strumento, struggente e bellissimo, per non dimenticare.

TITOLO: Di me ormai neanche ti ricordi
AUTORE: Luiz Ruffato
TRADUTTORE: Gian Luigi De Rosa
PAGINE: 136
EDITORE: laNuovafrontiera
ANNO: 2014
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Di me ormai neanche ti ricordi

giovedì 26 gennaio 2017

VOLTI NELLA FOLLA - Valeria Luiselli

Sapevo che non era molto sensato riporre alcun tipo di fiducia negli oggetti e che non appena ci abituiamo alla presenza silenziosa di qualcosa, questa si rompe o sparisce. Anche i legami con le persone che mi circondavano erano segnati da questi due modi della temporaneità: rompersi o sparire.


Ho comprato Volti nella folla di Valeria Luiselli, pubblicato in Italia da LaNuovaFrontiera e tradotto da Elisa Tramontin, alla fiera Più Libri Più Liberi di Roma. Stavo chiacchierando in chat con una mia amica, che mi stava raccontando di quanto le stesse piacendo questo libro che, a sua volta, le era stato consigliato da un’altra amica comune, che lo aveva amato allo stesso modo.

Questo dialogo, unito al bellissimo titolo, alla ancor più bella illustrazione di copertina a opera di Gaia Stella e al fatto che avessi sentito parlare spesso di questa scrittrice messicana senza però mai decidermi a leggere niente, mi hanno fatto venire un’improvvisa voglia di comprare questo libro. Poi è rimasto un po’ lì a guardarmi, dallo scaffale dei libri da leggere, prima che arrivasse il momento di aprirlo.

Volti nella folla è narrato in prima persona da una giovane donna, sposata con un architetto che forse la tradisce e madre di due figli piccoli. Una vita famigliare molto comune, che alla donna però inizia a stare un po’ stretta. Per evadere da questi ritmi e da queste abitudini inizia a scrivere un romanzo, in cui racconta della sua giovinezza newyorchese, quando di mestiere faceva la traduttrice e viveva di poesia, di incontri con personaggi bizzarri ed eccentrici e dormiva sempre a casa di altri. A questi racconti nel passato, si mescolano quelli nel presente, con il marito e i figli, ma anche quelli ancor più passati, con personaggi che non può aver incontrato ma che vivono comunque nella sua mente e, in qualche modo, la condizionano.
La protagonista si ritrova così a scrivere di sé e di altri, a ricordare e immaginare i tanti volti che, in mezzo alla folla, ha incontrato o abbandonato.

Volti nella folla è un libro abbastanza complesso. Il lettore entra nei pensieri della protagonista, salta con lei tra passato e presente, tra reale e immaginato, tra personaggi realmente esisti e altri che nascono e vivono solo nella sua mente. E, a un certo punto, un po’ si perde.
O almeno è quello che è successo a me.
Ho amato tantissimo la prima parte di questo romanzo e i ricordi della protagonista sul suo passato: il lavoro di traduttrice, la sua quotidianità fatta di incontri con sconosciuti a cui lasciare le chiavi di casa, fino al momento in cui le cose sono cambiate.
A volte, prima di ritornare nella sua cittadina, veniva nel mio appartamento a farsi un altro bagno e cenavamo con gli avanzi di quello che aveva cucinato il venerdì. Parlavamo dei libri che aveva venduto; parlavamo di libri in generale. A volte, la domenica, facevamo l'amore.

Così come ho amato anche il presente: il marito che legge quello che lei scrive da sopra la sua spalla e poi si interroga sulla sua veridicità, ma anche i sospetti che nei confronti dell’uomo la protagonista inizia a provare; e poi i figli e gli strani vicini di casa.

Mio marito mi chiede se è vero che non riesco a dormire dopo aver fatto sesso.
«A volte.»
«E che fai quando io mi addormento?»
«Ti abbraccio, ti ascolto respirare.»
«E poi?» insiste.
«E poi niente, poi mi addormento.»

A un certo punto, però, non ho quasi più capito che cosa stessi leggendo. Troppi personaggi che si mescolano, troppi incontri, e quel confine, tra reale e immaginato, valicato troppo di frequente. Può darsi fosse un effetto voluto, che portasse il lettore a perdersi tra i mille volti della folla che ci circonda e che spesso nemmeno esiste. Però, ecco, mi rimane la sensazione, anche dopo un paio di giorni dal termine della lettura, di essermi persa qualcosa, di non essere stata in grado di comprendere appieno il senso del libro.
Lo stile di Valeria Luiselli è incredibile. Mi sono piaciute le sue frasi, i suoi costrutti, il suo modo di osservare il mondo e descrivere i rapporti che si creano.

Anche se mi ci sono persa, anche se non sono sicura di aver capito tutto, Volti nella folla è sicuramente un libro da leggere. Per il modo in cui è narrato e per tutta una serie di piccole riflessioni, sulla vita e su quello che si è o non è, che fa nascere leggendo.


TITOLO: Volti nella folla
AUTORE: Valeria Luiselli
TRADUTTORE: Elisa Tramontin
PAGINE:169
EDITORE: laNuovafrontiera
ANNO: 2015
ACQUISTA SU AMAZON
formato cartaceo: Volti nella folla

lunedì 10 ottobre 2016

LA PROMESSA - Silvina Ocampo

Pensavo che mantenere la promessa mi sarebbe costato un enorme sacrificio. Mi sembrava che compilare questo dizionario di ricordi a volte vergognosi, umilianti, significasse consegnare la mia intimità a chiunque. (Una preoccupazione che, in fin dei conti, si è rivelata senza fondamento).
Non ho una vita mia, ho dei sentimenti. Le mie esperienze non hanno avuto importanza nel corso della vita e neppure sull’orlo della morte, invece la vita degli altri diventa mia.


Immaginate di essere su una nave che sta navigando sull’oceano. Immaginate di cadere giù e ritrovarvi in acqua, senza che nessuno se ne sia accorto. State a galla, mentre vedete la nave allontanarsi, senza di voi. Che cosa fareste? 

Alla donna protagonista e voce narrante di La Promessa di Silvina Ocampo, pubblicato da laNuovafrontiera con la traduzione di Francesca Lazzarato, succede proprio questo. È su un transatlantico in mezzo all’oceano, si china per raccogliere una spilla e vola giù. Quando si rende conto che la nave se ne sta andando lasciandola lì, fa una promessa a Santa Rita, l’avvocata dei casi impossibili: se riuscirà a salvarsi, scriverà un libro e lo finirà prima del suo compleanno. Un libro che sarà fatto di ricordi delle persone che ha incontrato nell'arco della sua vita. Non vuole parlare direttamente di sé, ma farlo attraverso gli altri, attraverso le persone che hanno sfiorato la sua vita anche solo per un istante, sufficiente però a lasciare un piccolo segno. Un viaggio nel passato, che la donna fa per non lasciarsi sopraffare dal presente e da quella distesa d’acqua a cui, sempre di più, sente di volersi abbandonare.

La promessa è una raccolta di racconti che, messi tutti insieme e uniti dal filo conduttore della protagonista che ricorda mentre si trova in mare, formano un romanzo. Ogni personaggio raccontato, ogni ricordo che la donna evoca degli incontri del suo passato, reggerebbe anche da solo. Sono storie d'amore, storie di passioni, ma anche di tristezza e di dolore, con protagonisti bambini, anziani, uomini e donne innamorate. Quelle persone che tutti abbiamo attorno nella nostra vita, ma a cui forse non pensiamo mai.

Non conoscevo Silvina Ocampo prima di leggere questo suo ultimo romanzo. Non sapevo della sua amicizia con Borges, che fosse la moglie di Adolfo Bioy Casares, né che La promessa, un libricino all’apparenza sottile, sia in realtà un lavoro durato molti anni e che abbia subito molte riscritture, molte limature, per raggiungere la forma che ha ora, ritrovata solo dopo la morte della donna. 
L’ho letto perché mi è piaciuta fin da subito la sua copertina e sicuramente non immaginavo di ritrovarmi così tanto coinvolta nei racconti, nei pensieri e nei ricordi di questa donna. Di perdermi insieme a lei in mezzo alla distesa azzurra e trovare nello sconforto una forma di poesia.

La promessa è un libro molto bello, di quella bellezza di cui forse subito, mentre si sta leggendo, non ci si rende tanto conto, ma che andando avanti nella lettura a poco a poco emerge e poi un po' ti travolge, proprio come il mare dentro cui la protagonista sta raccontando.

Titolo: La promessa
Autore: Silvina Ocampo
Traduttore: Francesca Lazzarato
Pagine: 154
Editore: La nuova frontiera
Prezzo di copertina: 15,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura:La promessa

giovedì 31 marzo 2016

I bookblog di marzo si vestono di nuovi colori... e di tanti libri!

E siamo arrivati anche alla fine di marzo. Finalmente c'è l'ora legale, le piante sono piene di fiori, il sole quando c'è è già bello caldo e permette le prime letture sul balcone, e questo fine settimana c'è il Book Pride a Milano, l'evento che dà un po' il via alla mia stagione di fiere del libro.

Ma pensiamo al mese che sta finendo. Un mese di letture, come sempre, e anche di qualche incontro. E partiamo subito da quello che da gennaio è diventato un appuntamento mensile fisso e che lo sarà fino a giugno, ovvero Una valigia di libri. Nell'incontro di questo mese, che si è tenuto il 19 marzo, protagonista era la letteratura centro e sud americana. È stato proprio un bell'incontro, ricco di suggerimenti (tantissimi suggerimenti, virtuali e dal vivo) e di spunti di riflessione, ma anche di chiacchiere. Non vedo davvero l'ora che arrivi il 16 aprile per il nuovo appuntamento (destinazione: Asia).

Pochi giorni dopo, il 22, sono invece andata con la mia amica Barbara alla presentazione del nuovo romanzo di Jonathan Coe, Numero undici, alla Scuola Holden di Torino. Avevo già assistito in passato a un incontro con questo autore, ad Alba durante la sagra del tartufo, e avevo proprio voglia di risentirlo. Che dire? Un bellissimo incontro e, soprattutto, una bellissima persona lui. Ci ho anche chiacchierato un po' durante il firmacopie ed è stato proprio emozionante.

Segnalo poi anche la puntata di questo mese di Casa Rampante, Tamponamenti, e il fatto che in questi giorni esce terzo libro tradotto da me, La guerra del marketing (non so se mi abituerò mai all'emozione che si prova vedendo il proprio nome all'interno di un libro).

E ora passiamo ai libri. Un mese di letture e riletture, otto in tutto, con qualche grande scoperta e qualche piccola delusione.
Le letture del mese meno La parte divertente, che ho restituito prima di fare la foto

BENEDIZIONE - Kent Haruf: la prima lettura del mese è stata una grande, grandissima lettura. Pubblicato in Italia da NN editore, con la traduzione di Fabio Cremonesi, Benedizione di Kent Haruf è un libro semplicissimo e dolorosissimo. Assolutamente da leggere.

LA PARTE DIVERTENTE - Sam Lipsyte: una raccolta di racconti, per amanti del genere, che più che divertenti definirei grotteschi... come la società che criticano. Pubblicato da minimum fax con la traduzione di Anna Mioni.

SANGUE NEGLI OCCHI - Lina Meruane: edito da laNuovafrontiera, con la traduzione di Luca Mariotti, questo libro è stata una grande rivelazione di questo mese. La storia è quella di una donna che diventa cieca e fatica ad abituarsi a questa condizione. Incredibile soprattutto lo stile dell'autrice.

L'ERA DI CUPIDIX - Paolo Pasi: le edizioni Spartaco, e Paolo Pasi in particolare, sono per me garanzia di editoria italiana indipendente di qualità. E L'era di Cupidix, che racconta di un mondo dove i sentimenti vengono regolati da pastiglie, ne è l'ennesimo esempio.

SCENDE LA NOTTE TROPICALE di Manuel  Puig: la mia prima rilettura dopo anni che non lo facevo. Pubblicato da Sellerio, con la traduzione di Angelo Morino, Scende la notte tropicale di Manuel Puig è un libro bellissimo che ha segnato i miei anni universitari. La storia di due anziane sorelle, raccontata solo tramite dialoghi e lettere.

CAFÉ JULIEN - Dawn Powell: eccola qua, la delusione del mese. Da questo libro, edito da Fazi e tradotto da Silvia Castoldi, mi aspettavo davvero tantissimo. Forse troppo, al punto da aver un po' condizionato la lettura, che si è rivelata lunga e faticosa. Peccato.

NUMERO UNDICI - Jonathan Coe: eh niente, il Jonathan Coe che tutti i suoi fan stavano (ok, stavamo!) aspettando è davvero tornato. Pubblicato sempre da Feltrinelli, con la traduzione di Mariagiulia Castagnone.

GIRL RUNNER - Carrie Snyder: pubblicato da Sonzogno con la traduzione di Gioia Guerzoni, questo libro è stata la seconda grande rivelazione di questo mese. Per fortuna non mi sono fermata al titolo e alla copertina, ma ho letto anche i commenti della critica e ho letto il libro. Che si è rivelato molto intenso e coinvolgente. Anche se non amate correre.

Il vostro marzo come è stato? Quali libri avete letto?

giovedì 10 marzo 2016

SANGUE NEGLI OCCHI - Lina Meruane

«Ma la parola giorno non evocò niente in me. Niente che somigliasse al giorno. I miei occhi si stavano svuotando di tutte le cose viste. E pensai che sarebbero rimaste le parole con il loro ritmo ma non i paesaggi, non i colori né i visi, non gli occhi neri di Ignacio in cui avevo visto il riflesso di un amore a volte diffidente, cupo, aspro, ma soprattutto un amore aperto, in attesa di qualcosa, pieno di miraggi che il cruciverba definiva allucinazioni»

Tra le paure più grandi che ho legate a una malattia o comunque a una condizione fisica, credo che perdere la vista occupi uno dei primi posti. Non poter più fare la maggior parte delle cose che prima facevi, quelle belle e quelle brutte. Muoversi alla cieca in un mondo che è sempre più caotico e confuso. Dover fare affidamento quasi totale sugli altri e provare l’inevitabile sensazione di essere un peso, per quanto l’altro si sforzi di farti capire che non lo sei. Devo essere sincera, non so cosa farei se mi succedesse. E provo grande, grandissima ammirazione per quelle persone che, nonostante la mancanza della vista, comunque non si sono fermate.

Sangue negli occhi di Lina Meruane, pubblicato da laNuovafrontiera con la traduzione di Luca Mariotti, racconta la storia di una donna, Lina stessa, a cui una sera esplode una vena in un occhio e ne perde l’uso. Sapeva da sempre che sarebbe potuto succedere, anche se ha sempre sperato non succedesse. O almeno non adesso, mentre sta scrivendo un libro che ora non riesce più a vedere, mentre sta andando a vivere in una casa nuova con Ignacio e vederci, per lei, sarebbe più importante che mai. E invece il medico le dice che quello che hanno sempre temuto è successo. E ora, prima di poter valutare come procedere, dovrà aspettare un mese. Forse il sangue dall’occhio se ne andrà da solo. Forse l’altro, già debole, riuscirà comunque ad abituarsi e compensare. Lina cerca di allontanarsi da Ignacio, di non intrappolarlo in quella gabbia scura che sta intrappolando anche lei. Fugge in Cile dai suoi genitori, due medici stakanovisti che sembrano non accettare la decisione della figlia, ma poi Ignacio arriva anche lì e insieme decidono di tornare a casa e di provare ad affrontare quel che sarà, per quanto difficile e doloroso.

Sangue negli occhi è un libro incredibile, sia per la storia raccontata, sia soprattutto per lo stile. La prima persona, le frasi sospese, i pensieri messi così profondamente su carta riescono a trasmettere perfettamente tutta l’angoscia e tutta la voglia di vedere, di non arrendersi di Lina. Sembra quasi un diario, in cui si legge l’inizio della malattia e poi i progressi, i momenti di speranza e quelli, inevitabili, di sconforto e di esasperazione, in cui la donna non fa sconti a nessuno, nemmeno a se stessa.
E poi c’è quel finale che.

Come vi dicevo prima, non so davvero che cosa farei se un giorno non potessi più vedere. Non so cosa vorrei che facesse chi mi sta accanto. Solo quelle cose che finché non lo vivi non le puoi sapere, per quanto tu preparato possa essere.
Sangue negli occhi di Lina Meruane dà un assaggio di quello che potrebbe essere. Un assaggio triste, crudo, doloroso. E bellissimo.

Titolo: Sangue negli occhi
Autore: Lina Meruane
Traduttore: Luca Mariotti
Pagine: 160
Editore: la Nuova frontiera
Prezzo di copertina: 16,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Sangue negli occhi

venerdì 8 maggio 2015

FOTOGRAFIE - Rodolfo Walsh

Quando frequentavo l’università, ogni volta che avevo la possibilità di seguire un corso a mia scelta, immancabilmente mi ritrovavo nelle aule di Lingue e Letterature Ispanoamericane. Credo di aver seguito, nel corso dei cinque anni di studio, almeno tre volte quella materia, perché già allora avevo una passione per gli scrittori del cono sud.
Eppure, pensandoci bene, non sono poi tanti i romanzi e i libri di scrittori sudamericani che ho letto nella mia carriera da lettrice: sì, ho letto e amato Manuel Puig e Pedro Lemembel, sono rimasta affascinata dalla scrittura di Mario Vargas Llosa e dallo stile di Tomás Eloy Martinez, senza dimenticare ovviamente Gabriel García Márquez, Antonio Skarmeta e i più conosciuti e commerciali Luis Sepulveda e Isabel Allende. 
Però, ecco, basta guardare il catalogo di alcune case editrici specializzate in letteratura sudamericana per capire che ho anche tantissime lacune da colmare.

Una di queste è Rodolfo Walsh, autore argentino famoso per il suo giornalismo investigativo, apertamente schieratosi contro le dittature che si sono susseguite nel suo paese, nonché uno dei tanti, troppi desaparecidos.  Ho sempre e solo sentito parlare di lui e del suo libro d’inchiesta e denuncia più famoso, Operazione Massacro, senza però mai decidermi di leggerlo. Poi, qualche giorno fa, c’era in promozione questo Fotografie, una raccolta di racconti, editi dalla casa editrice La Nuova Frontiera (che, insieme con la Sur, si dedica proprio alla letteratura sudamericana), e mi sono decisa.  

La raccolta si compone di una decina di racconti, divisi in due blocchi, il primo intitolato I riti terreni e il secondo Un chilo d’oro, scritti da Walsh in momenti diversi della sua vita, e accomunati tutti dal raccontare una parte della storia del suo paese dal punto di vista politico e sociale, a cui aggiunge elementi autobiografici.  I riti terreni inizia con Quella donna, che racconta della sparizione del cadavere di Evita senza che però ci sia mai bisogno di nominarla apertamente, perché si sa di chi si sta parlando. Si va avanti con Foto, in cui le vicissitudini di un fotografo pazzo e forse un po’ incompreso si mischiano con le vicende dell’Argentina rurale, che sta iniziando a patire il declino di Peron. E poi ci sono Il Sognatore e Sentinella, che parlano di amore e di armi. Irlandesi dietro a un gatto, il più autobiografico dei racconti, che parla dei riti di iniziazione a cui vengono sottoposti gli orfani appena arrivati in orfanotrofio, e Sfilata, che racconta delle bravate di due ragazzini durante un carnevale.

Poi arrivato il momento di Un chilo d’oro, che inizia con Lettere, quelle che un uomo dalla prigione scrive alla famiglia per cercare di giustificare le sue azione e rassicurarli del suo imminente ritorno a casa. Subito dopo, con I riti terreni si ritorna nell'orfanotrofio di Irlandesi dietro a un gatto, per l’arrivo di un nuovo orfano che di accettare riti di iniziazione proprio non ne vuole sapere, per poi arrivare a Nota a piè di pagina, che racconta del suicidio di un traduttore che nelle note a piè di pagina (un espediente narrativo eccezionale, che leggendo il libro sull’ereader per ovvie ragioni si perde un po’) spiega le sue motivazioni. Ultimo racconto è quello che da’ il titolo all'intera sezione, Un chilo d’oro.

Mentirei se dicessi che tutti i racconti mi sono piaciuti. Ho amato moltissimo Quella donna, forse perché parla di Evita e tutta la letteratura che ruota intorno al suo personaggio riesce sempre a conquistarmi, e ancora di più Nota a piè di pagina, perché parla di un traduttore partito dal nulla, dedito al suo lavoro che ha completamente assorbito la sua vita, relegando alle note a piè di pagina in cui confessa il suo gesto estremo.  E ho apprezzato anche Il sognatore e I riti terreni.
Molti degli altri, invece, devo ammettere di non averli capiti del tutto. Lo stile di Walsh è complesso, fatto di alternanze linguistiche e, soprattutto, di molti sottintesi che, credo, per essere compresi del tutto necessitano di una conoscenza più ampia di quella che io possiedo della storia dell’Argentina e di come si viveva, soprattutto nei paesi rurali. Alcune cose le ho colte, certo, però non abbastanza da farmi apprezzare a pieno tutta la raccolta. È colpa mia, sicuramente. Dovevo forse partire dalle opere per cui è più conosciuto, anche se non sono di narrativa, per iniziare a farmi un’idea del suo stile e della società in cui la sua scrittura è ambientata.

Al tempo stesso, però, quei tre o quattro racconti che davvero mi sono piaciuti sono valsi già da soli la lettura del libro.

E ora sotto con altri scrittori sudamericani!

Titolo: Fotografie
Autore: Rodolfo Walsh
Traduttore: Anna Boccuti ed Elena Rolla
Pagine: 210
Editore: La nuova frontiera
Acquista su Amazon:
formato brossura:Fotografie