mercoledì 29 settembre 2010

L'ULTIMA RIGA DELLE FAVOLE- Massimo Gramellini

Tomàs è una persona come tante. E, come tante, crede poco in se stesso, subisce la vita ed è convinto di non possedere gli strumenti per cambiarla. Ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che riaccende in lui quella scintilla di curiosità che langue in ogni essere umano. Incomincia così un viaggio simbolico che, attraverso una serie di incontri e di prove avventurose, lo condurrà alla scoperta del proprio talento e alla realizzazione dell'amore: prima dentro di sé e poi con gli altri. Con questa favola moderna che offre un messaggio e un massaggio di speranza, Massimo Gramellini si propone di rispondere alle domande che ci ossessionano fin dall'infanzia. Quale sia il senso del dolore. Se esista, e chi sia davvero, l'anima gemella. E in che modo la nostra vita di ogni giorno sia trasformabile dai sogni.

Mi capita ogni tanto di leggere e apprezzare (non sempre) la rubrica Buongiorno che Gramellini scrive su La Stampa. Ed è stato proprio questo (insieme al titolo secondo me bellissimo) a convincermi a leggere il libro. Non mi era proprio venuto in mente che non necessariamente chi è in grado di scrivere una decina di righe geniali su un argomento di attualità su un giornale, riesca a fare altrettanto in un libro. E infatti, non ci riesce. Libro semplicemente inutile, composto da frasi fatte pseudomistiche e luoghi comuni sull'ammmmore e su quanto sia indispensabile accettare sé stessi prima di poter amare gli altri (ma va?!) o di quanto sia necessario risolvere prima i problemi del proprio passato per poter scrivere un futuro (rigorosamente in coppia eh, se risolvi i problemi e rimani solo cavoli tuoi). Il tutto ovviamente scritto con un bel linguaggio ampolloso e pseudopoetico.
Un Coelho dei poveri insomma... e io odio Coelho.
Peccato, veramente, perchè con un titolo così fantastico le aspettative che avevo erano tante e se il libro si fosse anche solo minimamente avvicinato a come me lo ero immaginato questo commento avrebbe toni ben diversi (ok, potevo leggere la quarta di copertina prima di buttarmi nella sua lettura. E in realtà l'ho anche fatto, senza capire che la storia sarebbe stata così).
Insomma, se siete scettici e credete poco negli affari mistici (come me insomma), risparmiatevelo pure. Se invece queste cose vi piacciono, beh, vedete un po' voi... credo esista sicuramente di meglio anche in questo caso.

domenica 26 settembre 2010

AMABILI RESTI- Alice Sebold

Susie, quattordicenne, è stata assassinata da un serial killer che abita a due passi da casa. È stata adescata, stuprata, fatta a pezzi e nascosta in cantina. Il racconto è affidato alla voce della stessa Susie, che dopo la morte narrra la vicenda con lo spirito allegro e senza compromessi dell'adolescenza.


Un libro meraviglioso che ho divorato in poche ore. Era un po' che un libro non mi prendeva così tanto, da non riuscire a fare altro che non fosse leggerlo.
La storia è terribile. Questa ragazzina di 14 anni viene stuprata, uccisa e fatta a pezzi dal suo vicino di casa pazzo e la sua famiglia e i suoi amici cercano di andare avanti come possono, di affrontare (o non affrontare) questo immenso dolore. Ed è proprio la ragazzina, Susie, a raccontarci tutto questo. E' lei la narratrice di questo romanzo, che guarda la Terra dal suo Cielo, tenendo d'occhio i suoi cari, tifando e soffrendo per e con loro.
Non c'è un modo giusto per affrontare un così grande dolore e ci vuole del tempo, a volte tanto tempo, perchè la ferita si chiuda lasciando spazio a una cicatrice. E Susie ci racconta questo tempo, guardandolo da un punto di vista speciale, invidiando chi è rimasto in vita ma senza falsi moralismi e senza piangersi addosso. Ho trovato discutibile solo un capitolo, quello in cui lei torna per un momento sulla Terra nel corpo di una sua amica (la ragazza che la sua anima ha sfiorato quando stava abbandonando il suo corpo per sempre). Per il resto, un piccolo capolavoro da leggere assolutamente.

Nota alla traduzione: qualche nota qua e là, forse evitabile, ma nel complesso ben fatta!

sabato 25 settembre 2010

L'ORLO ARGENTEO DELLE NUVOLE- Matthew Quick

Pat Peoples è convinto che la sua vita sia un film prodotto da Dio. La sua missione: diventare fisicamente tonico ed emotivamente stabile. L'inevitabile happy end: il ricongiungimento con la moglie Nikki. Questo ha elaborato Pat durante il periodo nel "postaccio", la clinica psichiatrica dove ha trascorso un tempo che non ricorda, ma che dev'essere stato piuttosto lungo... Infatti, ora che è tornato a casa, molte cose sembrano cambiate: i suoi vecchi amici sono tutti sposati, gli Eagles di Philadelphia hanno un nuovo stadio e, soprattutto, nessuno gli parla più di Nikki, e anche le foto del loro matrimonio sono scomparse dal salotto. Dov'è finita Nikki? Come poterla contattare, chiederle scusa per le cose terribili che le ha detto l'ultima volta che l'ha vista? E come riempire quel buco nero tra la litigata con lei e il ricovero nel postaccio? E, in particolare, qual è la verità? Quella che ti fa soffrire fino a diventare pazzo, o quella di un adorabile ex depresso affetto da amnesie ma colmo di coraggiosa positività? Pat guarda il suo mondo con sguardo incantato, cogliendone solo il bello, e anche se tutto è confuso, trabocca di squinternato ottimismo, fino all'imprevedibile finale. L'orlo delle nuvole è argenteo, perché dietro c'è sempre il sole.

Ho qualche problema a scrivere questo commento. Il libro si legge bene e in fretta, è scorrevolissimo (merito anche dei capitoli brevi che ti spingono a dire "massì ancora uno" e senza accorgertente sei a pagina 150) ed è impossibile non affezionarsi al protagonista, appena uscito da un ospedale psichiatrico dopo un episodio che lui ha rimosso, e deciso a riconquistare la moglie migliorando se stesso e tutti quegli aspetti che lei non sopportava. Il suo motto è che bisogna sempre credere nel lieto fine, come i film ci insegnano, e che anche dietro le nuvole c'è sempre il sole. Ma il suo ottimismo è talmente esasperato (volutamente) da diventare quasi irritante. Ancor più se contrapposto al realismo di chi lo circonda e soprattutto degli eventi che si susseguono nella sua vita. Gli ci vorrà tutto il romanzo per capire che non sempre c'è il lieto fine. O meglio, che non sempre il lieto fine è quello che ci si aspetta.
E questo messaggio mi piace molto, così come mi piace il bellissimo finale... solo che ho trovato invece un po' troppo eccessivi (quasi impossibili) alcuni degli eventi che capitano al protagonista, tanto da perdere persino il loro lato comico, così il suo rapporto con certi personaggi all'interno del libro (suo padre in primis, che gli parla solo davanti alle partite della loro squadra del cuore, ma anche con l'amica pseudo pazza) che ti porta a provare necessariamente un po' di pena per lui.
Comunque merita di essere letto anche solo per i commenti che Pat fa ai libri che vengono fatti leggere nelle scuole superiori... semplicemente geniali!

Nota alla traduzione: non male direi... ci sono ndt per tradurre le canzoni, ma sono abbastanza giustificabili.

"mi sto esercitando ad essere gentile, invece che ad aver ragione"

giovedì 23 settembre 2010

IL VANGELO SECONDO GESU' CRISTO- Josè Saramago

Il Gesù Cristo di Saramago, da alcuni cristiani ortodossi ritenuto blasfemo, è un carattere fortemente spirituale, ma in tutto e per tutto umano, che incarna i dubbi e le sofferenze propri della condizione universale di uomo. Il figlio di Dio, dalla nascita a Betlemme alla morte sul Golgota, affronta le medesime esperienze descritte nel Vangelo, qui però narrate secondo una prospettiva terrena, con spirito critico e senso logico. In questa storia non c'è fede nei miracoli, bensì coscienza di trovarsi in balìa della volontà di potenza di un Dio padre distante e indifferente al dolore che provoca. La serie di disgrazie, stragi e morti che costellano l'esistenza di Gesù, fino al non cercato e non accettato compimento del destino di vittima sacrificale, diventa così un'occasione per riflettere sulla contrapposizione tra bene e male, sulla problematicità di fare il giusto tramite l'ingiusto, sull'imperscrutabilità del senso della vita umana e sulla sconcertante ambiguità della natura divina.

Leggere Saramago non è un'impresa semplice. Il suo stile, fatto di virgole senza punti a capo e di discorsi diretti mescolati alla narrazione, sembra quasi fatto apposta per scoraggiare il lettore. E si arriva a un punto (almeno con me è successo, a pochissime pagine dalla fine) in cui quasi non ce la si fa più, si ha bisogno di prendere aria per evitare di abbandonare il libro. Se succede anche a voi, vi prego, prendete aria e poi finitelo. Perchè è semplicemente geniale.
Solo Saramago poteva riuscire a prendere il Vangelo e riscriverlo così, con questa ironia e questa realtà. Potrebbe sembrare un processo blasfemo (ed effettivamente la Chiesa tanto d'accordo non era) eppure riesce a rendere un aspetto della vita di Gesù e di tutta la sua vicenda che la Chiesa e i vangeli officiali hanno sempre in qualche modo negato. Perchè il Gesù di Saramago è un Gesù umano, reale, che gode dei piaceri della carne (lo ammetto, leggere della scena di sesso con Maria di Magdala è stato un leggero trauma), che si infuria con la madre, abbandonandola al suo destino. E' un Gesù che non sa spiegarsi i suoi miracoli, che non accetta impassibile il destino che Dio ha scelto per lui. E questo Dio... cavolo... è tutto fuorchè buono e gentile come si vuole far credere (basti pensare a quanti innocenti ha lasciato che morissero perchè Gesù si salvasse), tanto che arriva già a predire le guerre, le crociate e le sofferenze che in suo nome, e stupidamente, saranno perpetuate.
Per una persona che è cresciuta in seno alla chiesa (più per tradizione che per credenza), e poi allontanata drasticamente, è comunque stato un po' sconvolgente leggere questo Vangelo, per via della narrazione molto reale e realistica di certi aspetti. E oltre lo choc, c'è il sospetto, o la consapevolezza, che forse se queste cose fossero state narrate fin da subito così, molti degli scettici e dei miscredenti ci penserebbero un po' di più, perchè riuscirebbero di più a identificarsi in questo Dio e in questo Gesù, che alla fine altro non era che un essere umano.
Armatevi di un po' di coraggio e di un po' di pazienza, e leggetelo. Merita davvero.

Nota alla traduzione: ben fatta direi!

domenica 19 settembre 2010

I NOSTRI ANTENATI- Italo Calvino

Un'armatura vuota animata da uno spirito invisibile che riesce a farsi accettare tra i Paladini di Carlo Magno, un visconte diviso a metà da una palla di cannone che si scinde in una parte buona e in una cattiva, un barone che, per sfuggire a un rimprovero, si rifugia sopra un albero e passa in mezzo agli alti rami tutta la sua esistenza.


25 anni fa oggi moriva Italo Calvino, uno dei maggiori scrittori e intellettuali italiani. E considerando che il nome di questo blog prende ispirazione da un suo romanzo, non potevo oggi non recensire qualcosa di suo. Ho scelto I Nostri Antenati, una raccolta di tre romanzi (Il Visconte Dimezzato, Il Barone Rampante, Il Cavaliere Inesistente), che ho letto quando ero più piccola e che mi sono rimasti nel cuore. Difficile dire qual è il mio preferito: il visconte Medardo di Terralba, diviso in lato buono e lato gramo da una cannonata turca, che così separato gira il mondo e conosce nuove cose. Il barone rampante, che per non sottostare alle leggi e alle imposizioni del mondo reale, decide di salire su un albero e di vivere lì per sempre, in un metaforico distacco da un mondo che non gli piace. E poi Il Cavaliere Inestistente, il mitico Agilulfo, un nobile paladino vestito di una bianca armatura, un eroe di guerra che in realtà non esiste. Tre personaggi, tre metafore e critiche al mondo moderno, troppo chiuso in stereotipi e preconcetti.
Il bello di questa raccolta è che in base all'età in cui la leggi, cambia il tuo modo di percepirla. Da bambina, quando l'ho letto la prima volta, vedevo solo la "favola", il buffo e l'ironico delle vicende (insomma, tutti almeno una volta da piccoli abbiam sognato di andare a vivere su un albero o abbiam pensato a se mai esistesse questa divisione netta a metà tra bene e male). Leggendolo poi dopo si coglie altro, si coglie la critica di Calvino, la metafora che sta dietro a tutti i suoi personaggi, chi senza corpo, chi senza coscienza, chi in cerca di fuga da un mondo che gli sta stretto. Insomma, è una di quelle raccolte che andrebbe letta periodicamente, a distanza di qualche anno. Ogni volta si coglie qualcosa di diverso. Fatelo!

venerdì 17 settembre 2010

UNA FRASE UN RIGO APPENA- Manuel Puig

Nella pampa argentina durante gli anni trenta un impenitente vitellone di provincia, tisico ma bellissimo, miete le sue vittime secondo schemi da romanzo rosa. Gelosie, rancori, intrighi casalinghi tingeranno di nero il romanzo.


Avevo voglia di recensire un libro e dato che al momento ne sto leggendo uno molto bello ma un po' impegnativo ("Il Vangelo secondo Gesù Cristo" di José Saramago) che mi ci vorrà ancora un po' per finire, ho guardato la mia lista di "Imperdibili" e scelto da lì di quale libro parlare.
"Una Frase un Rigo Appena" è un libro magnifico a cui sono molto legata. L'ho scoperto all'università, durante il corso di letteratura ispanoamericana e me ne sono innamorata. Un paio di anno dopo ho avuto anche la fortuna di conoscere il grande traduttore che l'ha tradotto e che purtroppo ora non c'è più. Insomma, un libro a cui tengo molto.
Manuel Puig prende eventi della vita quotidiana di un gruppo di persone molto semplici e li rende degni di apparire in un romanzo. Per narrare utilizza molti espedienti, molti sistemi diversi: ritagli di giornale, verbali, certificati di nascita e di morte, struggenti flussi di coscienza, riviste femminili e folletín. Per non parlare del filo conduttore del bolero Boquitas Pintadas, che lega tutto il romanzo. Insomma, tutto viene usato per narrare le vicende di questo bulletto, dietro a cui sbavano tutte le ragazze del paese, generando invidie, rancori e amori che in alcuni casi dureranno per sempre.
Un libro semplicemente bellissimo, che forse non molti conoscono ma che meritebbe di essere un best seller.

Nota alla traduzione: dovrei prendere e incollare la nota scritta in fondo al libro da Angelo Morino, il secondo traduttore di questo romanzo. Pessima la prima traduzione di Cicogna (ma realizzata anche in tempi diversi, con mezzi molto limitati), corretta quella di Morino. Due parole vanno spese sul titolo: "Boquitas pintadas" l'originale, da un celebre bolero, "Una frase un rigo appena" quello italiano, dalla canzone "Scrivimi". Una scelta azzeccatissima, fatta per rispettare il senso di folletín e di popolarità del romanzo originale.

"amore scrivimi, non lasciarmi più in pena, una frase un rigo appena calmeranno il mio dolor"

venerdì 10 settembre 2010

DONNA PER CASO-Jonathan Coe

Per Maria non c'è nulla di certo. La sua vita è una sequenza di episodi accidentali. L'amicizia di chi la circonda non la smuove, e non la smuovono neppure le reiterate offerte di matrimonio da parte di Ronny, innamorato devoto. Le piace vivere dentro i confini che certamente sente come il suo mondo ma che altrettanto sicuramente sa non essere prodotto di una "sua" precisa volontà. Si laurea, si sposa, ha un figlio e continua a non capire come di quegli eventi si possa dire "la mia vita". Esiste un grimaldello capace di far saltare l'apparente freddezza esistenziale di Maria? O tutto è destinato a finire com'è cominciato, vale a dire "per caso"? "Donna per caso" è il primo romanzo di Jonathan Coe.

E con questo credo di aver letto tutti i romanzi di Coe (le biografie no, ma magari più avanti).
Che dire di questo romanzo, il primo scritto da Coe (anche se arrivato in Italia solo dopo il successo della Casa del Sonno e della Famiglia Wishaw)? Sebbene abbia letto pareri contrastanti, anche tra gli amanti di questo grande autore, devo dire che a me non è dispiaciuto per nulla. Forse non tanto per la storia narrata (a lungo andare sta protagonista diventa un po' irritante, soprattutto per questo suo affidarsi al caso e lasciare che nulla intorno a sé la tocchi), ma per lo stile. Un narratore onniscente, che ogni tanto chiede scusa al lettore per la sua pedanteria o per la sua difficoltà a spiegare certi concetti. Un narratore che decide cosa merita che noi sappiamo della vita di questa donna e cosa no, e che quasi "parla" con i lettori. Questa è la genialità di questo libro, una caratteristica di Coe che si ritrova spesso in altri suoi romanzi, anche se forse mai in modo così marcato. Certo, a livello di trama, tutti gli altri sono molto meglio, forse perchè in questo una vera trama non c'è, è solo un seguire la protagonista attraverso le sue giornate.
Molto belle le ultime tre righe, con quel senso, ancora una volta, di essere in balia del destino.
E poi, ci sono certe perle qua e là che meritano proprio.

"Winnifred era tutto ciò che Maria non era, e anche di più. Era una persona felice, aperta, fiduciosa e sicura di sé che credeva nella benevolenza di Dio, nella santità del matrimonio e nella bontà innata della natura umana. Era idiota anche in altri modi comunque."

"Maria, la cui natura era essenzialmente fiduciosa, non aveva mai creduto in Dio, ma d'altro canto non aveva alcuna prova inconfutabile che lui credesse in lei"

Nota alla traduzione: non male!