mercoledì 30 agosto 2017

Festivaletteratura di Mantova, XXI edizione: come, dove, quando e perché

Tra una settimana esatta inizierà la XXI edizione del Festivaletteratura di Mantova. Da mercoledì 6 settembre fino a domenica 10, infatti, la città lombarda (famosa per l'eredità lasciata dai Gonzaga e per la torta sbrisolona) verrà invasa da scrittori italiani e internazionali, per un totale di circa 300 eventi.


Il programma di quest'anno è davvero molto ricco. Lo è tutti gli anni, in realtà, ma per questa XXI edizione per quanto mi riguarda si sono davvero superati: nomi come Elizabeth Strout, George Saunders, Chimamanda Ngozi Adichie per citare qualche straniero (ma ci sono anche Brian Turner, Harry Parker, Arturo Pérez-Reverte...) e Fabio Genovesi e Antonio Manzini per gli italiani (ma anche Marco Malvaldi, Diego De Silva...).

Per sfogliare il programma completo, con le relative spiegazioni riguardo alla prenotazione e l'acquisto dei biglietti (le prenotazioni partono oggi, 30 agosto, per i soci, e venerdì 1 settembre per i non soci) è sufficiente visitare il sito web del Festivaletteratura.

Qui, come sempre, vi riassumerò solo gli incontri che trovo interessanti e a cui farò di tutto per partecipare (ahimè, il dono dell'ubiquità che richiedo per ogni festival o fiera ancora non mi è arrivato, ma farò comunque il possibile). 

È il mio secondo anno al Festivaletteratura e rispetto alla mia prima volta (l'anno scorso) sono un po' più rilassata: ho capito come funziona il festival, ho capito che ogni tanto bisogna correre da una parte all'altra della città mentre altre basta sedersi al bar per vedere il proprio scrittore preferito, e che la bellezza di questo festival (oltre che nei nomi degli ospiti) sta nella città stessa.

Ma basta con le chiacchiere, ecco qui gli eventi che più mi interessano. Noi arriveremo quasi sicuramente il giovedì e staremo fino a domenica mattina, quindi segnalo solo gli eventi dei giorni in cui sarò presente, più quello di Chimamanda Ngozi Adichie il mercoledì, su cui siamo ancora un po' indecisi.

MERCOLEDÌ 6

h 21.15 LA PRINCIPESSA DEL MONDO LETTERARIO: Chimamanda Ngozi Adichie in dialogo con Michela Murgia - Palazzo Ducale/Piazza Castello

GIOVEDÌ  7

h 16.15 IRONICI MALINCONICI: Marco Malvaldi e Diego de Silva in dialogo con Simonetta Bitasi  - Palazzo Ducale /Piazza Castello

h 21 AL BAR DELLE STORIE: Fabio Genovesi in dialogo con Francesco Abate - Palazzo Ducale/ Basilica Palatina di Santa Barbara


VENERDÌ  8

h 10. 15 LA GUERRA ATTRAVERSO GLI OCCHI DI UN POETA: Brian Turner con Elisabetta Bucciarelli - Chiesa di San Barnaba, Sagrestia.

h 10.30 IL LIBRO CHE HO RILETTO: Andrea Vitali in dialogo con Federico Taddia - Palazzo Castiglioni

h 15 A PROPOSITO DI GABO: Senel Paz - Teatro Bibiena

h 16 SCRIVERE È FAR PARLARE I FANTASMI: George Saunders in dialogo con Marco Malvaldi - Palazzo San Sebastiano

h 18.30 ROMA-AOSTA SOLO ANDATA: Antonio Manzini e Marco Giallini - Palazzo Ducale/Piazza Castello

h 21 OGNI ROMANZO È UNA NUOVA BATTAGLIA: Arturo Pérez-Reverte in dialogo con Francesco Abate - Palazzo San Sebastiano

h 21.15 L'AMORE SI IMPOSSESSAVA DI LEI: Artemis Cooper in dialogo con Stefania Bertola su Elizabeth Jane Howard - Convento di Santa Paola

SABATO 9

h 11 NIENT'ALTRO CHE PROIETTILI E DOLORE: Harry Parker e Brian Turner  in dialogo con Carlo Annese - Palazzo Ducale/Basilica Palatina di Santa Barbara

h 12 IL LIBRO CHE HO RILETTO: George Saunders in dialogo con Federico Taddia - Palazzo Castiglioni.

h 16.45 TRA LE BRACCIA DI JESSE: Marianne Leone in dialogo con Davide Ferrario - Convento di Santa PAola

h 18.30 L'AMICA RITROVATA: Elizabeth Strout in dialogo con Lella Costa - PAlazzo Ducale/Piazza Castello


Questi sono gli eventi che ho segnato per i tre giorni in cui sarò presente al Festival. Molto probabilmente qualcuno sparirà e qualcun altro si inserirà, ma a prima vista sono quelli che mi interessano maggiormente.
E voi ci sarete?

mercoledì 23 agosto 2017

IL CASO MALAUSSÈNE. Mi hanno mentito - Daniel Pennac

La mia sorellina minore Verdun è nata che già urlava ne "La fata carabina", mio nipote È Un Angelo è nato orfano ne "La prosivendola", mio figlio Signor Malaussène è nato da due madri nel romanzo che porta il suo nome e mia nipote Maracuja è nata da due padri ne "La passione secondo Thérèse". E ora li ritroviamo adulti in un mondo che più esplosivo non si può, dove si mitraglia a tutto andare, dove qualcuno rapisce l'uomo d'affari Georges Lapietà, dove Polizia e Giustizia procedono mano nella mano senza perdere un'occasione per farsi lo sgambetto, dove la Regina Zabo, editrice accorta, regna sul suo gregge di scrittori fissati con la verità vera proprio quando tutti mentono a tutti. Tutti tranne me, ovviamente. Io, tanto per cambiare, mi becco le solite mazzate.



Ho letto i romanzi del ciclo di Malaussène di Daniel Pennac una decina di anni fa. Li ho letti tutti in fila, dopo essere rimasta folgorata dalle avventure del capro espiatorio Benjamin in Il paradiso degli orchi e, soprattutto, dopo essermi appassionata allo stile scanzonato, e a tratti un po’ folle, di questo scrittore francese.

Quando ho saputo che dopo vent’anni dall’ultima avventura (La passione secondo Thérèse), Pennac aveva deciso di ritornare a raccontare della famiglia Malaussène e di Benjamin, la mia prima reazione è stata di rifiuto. Vent'anni sono tanti, per riprendere in mano un personaggio così conosciuto e così amato, e il rischio di rovinarne il ricordo con una nuova avventura era molto, molto forte. 
E poi, confesso, temevo fosse più un’operazione commerciale, un riscaldare una minestra che in passato è stata apprezzata e sperare di riuscire a riprodurne il gusto.

Per questo motivo non ho acquistato subito Il caso Malaussène – Mi hanno mentito, in Italia sempre pubblicato da Feltrinelli e tradotto da Yasmina Melaouah. Ci ho girato attorno un po’; ho aspettato di leggere qualche recensione e qualche commento, per capire se questo nuovo romanzo fosse all'altezza dei precedenti o se invece Pennac si fosse lasciato andare a una triste operazione nostalgia che avrebbe deluso anche i suoi fan più accaniti. In tal senso, però, mi sono scontrata con pareri contrastanti, molto contrastanti: a qualcuno è piaciuto tantissimo, per qualcun altro sarebbe stato meglio se non l’avesse scritto, qualcuno non ci ha capito nulla, qualcun altro lo reputa un gran bel libro. 
Insomma, per capire davvero cosa fosse questo libro, lo dovevo leggere.

In mio soccorso è arrivata una bancarella di libri usati e un fine settimana di tedio, in cui non avevo romanzi in lettura e niente in casa che mi andasse in quel momento. E quindi ho acquistato Il caso Malaussène- Mi hanno mentito, sono arrivata a casa e ho iniziato subito a leggerlo. Per poi non riuscire a fermarmi prima di essere arrivata alla fine.

La trama è un po’ intricata, come in tutti i romanzi di questa saga: da un lato abbiamo Benjamin, che lavora per una casa editrice che si sta specializzando in autori che pubblicano romanzi con la “verità vera”, ovvero 

Argomento: sputtanamento dell'intera famiglia - padre, madre, fratelli e sorelle - in nome della verità vera. Risultato: faccia gonfiata di pugni, vertebre incrinate e una gamba rotta...

Benjamin organizza per questi personaggi un servizio di scorta, per evitare le ritorsioni dei parenti, e ora si trova nell'altopiano del Vercors, lontano da Parigi, a fare da balia a Alceste, l’ultima grande scoperta del suo editore. Lo tiene nascosto in un capanno, affinché termini il suo secondo libro senza essere ucciso. Benjamin ci sta bene, lì in montagna, al punto che cerca disperatamente di ignorare ogni singola notizia che arriva dalla città. Le notizie, però, sembrano proprio non voler ignorare lui, e così viene a sapere del rapimento di Georges Lapietà, un uomo balzato agli onori della cronaca per aver accompagnato l’azienda LAVA nel fallimento ed essersi beccato un paracadute d’oro al termine dei suoi servizi, a discapito di tutte le persone che l’azienda invece ha dovuto licenziare. Il caso viene affidato alla sorella Verdun, il giudice più brutto del mondo, che ben presto scopre che in questo rapimento la sua famiglia è più implicata di quanto si possa pensare. Meglio non dirlo a Benjamin, però, perché se no poi si agita. O peggio, sarebbe capace suo malgrado di fare in modo che si sospettasse di lui. Ma anche dopo vent’anni Benjamin Malaussène è sempre Benjamin Malaussène e un suo coinvolgimento è praticamente inevitabile.

Il caso Malaussène – Mi hanno mentito in realtà è il primo volume di una nuova serie e quindi, quando si arriva alla fine, si scopre che il romanzo non finisce. E quel “continua” in ultima pagina è stata la cosa più irritante di tutto il romanzo.  
E adesso? Quanto devo aspettare per sapere come si risolve la storia di Lapietà e qualhe pasticcio combinerà il mio Malaussène preferito (sì, di tutta la famiglia, Benjamin rimane il mio prediletto, anche se dopo questa lettura anche Verdun fa un bel balzo avanti)? 
La domanda principale che ci si pone alla fine, però, è un'altra: come diamine ha fatto Pennac a riportare in vita dopo vent’anni questa famiglia e riuscire a ricreare la stessa atmosfera, un po’ caotica, un po’ nonsense e parecchio geniale, e a scrivere esattamente con lo stesso stile (che si odia o si ama, temo) di allora?

Il caso Malaussène – Mi hanno mentito mi ha divertito tantissimo e, al tempo stesso, fatto riflettere. I temi che tratta, infatti, sono importanti: è giusto che un uomo che faccia chiudere un’azienda e licenziare tanti dipendenti si becchi una buonuscita così alta? È giusto dare in pasto al pubblico la propria vita famigliare per fare successo? È giusto inventare storie per rendere la realtà meno tragica di quello che invece è? 

Ma, soprattutto, è possibile che sia sempre colpa di Benjamin Malaussène?

Questa nuova avventura della famiglia Malaussène mi è piaciuta molto. C’è un passaggio generazionale tra genitori e figli, che si rispecchia nel diverso approccio alla tecnologia (internet e i "socials" che sono arrivati così, all'improvviso, dalla sera alla mattina) e alle ingiustizie del mondo, e che mette anche in luce, ancora una volta, il forte legame che lega tutti i membri (i giovani cercano di proteggere i vecchi, che a loro volta cercano di proteggere i giovani... poi tutti insieme cercano di proteggere il povero Benjamin, senza che lui abbia la più pallida idea di cosa stia succedendo).

Non so se sia all'altezza dei primi romanzi della serie, Il paradiso degli orchi e La fata carabina (secondo me i più belli in assoluto); però Pennac è riuscito a non cadere nella trappola della nostalgia e non trasformare i personaggi nelle macchiette del loro ricordo. E quindi, secondo me, è una lettura che, se si è amata fin da subito questa famiglia, vale la pena di intraprendere.


Titolo: Il caso Malaussène. Mi hanno mentito
Autore: Daniel Pennac
Traduttore: Yasmina Melaouah
Pagine: 274
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Feltrinelli
Prezzo di copertina: 18,50 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il caso Malaussène. Mi hanno mentito
formato ebook: Il caso Malaussène: Mi hanno mentito (Il ciclo di Malaussène)

giovedì 17 agosto 2017

PER FAVORE SIGNOR PANDA - Steve Antony

Non so se vi ho mai rivelato che, oltre a quella per i libri, una delle mie più grandi passioni sono gli animali buffi.  Passo ore su internet a guardare immagini di animali morbidosi e teneri (wombat, lontre, koala, bradipi ma anche ippopotami, che forse proprio morbidosi non sono, oltre a tutti gli animali domestici) e quando vedo cagnolini per strada mi vengono gli occhi a cuore. È quasi imbarazzante, soprattutto per chi mi è accanto quando mi succede.
Questa passione trova la sua massima realizzazione nei panda. I panda sono morbidi (almeno, lo sembrano, anche se purtroppo non ne ho mai accarezzato uno per poter confermare), sono teneri, giocherelloni, goffissimi e buffissimi, con quel testone, quel sederone e la loro passione per le capriole.
Non so quanti profili instagram a tema panda sia arrivata a seguire, né quante immagini pandose io abbia utilizzato nel corso degli anni per esprimere i miei stati d’animo.

Una foto utilizzata in passato su Fb per esprimere il mio stato d'animo dopo una giornata particolarmente difficile.

Fortunatamente Luca,  il mio compagno, mi asseconda (perché gli animali buffi piacciono tanto anche a lui, anche se forse lo esplicita con un po' meno frequenza) e, anzi, spesso alimenta questa mia passione, accompagnandomi nei bioparchi (se vi capita, fate un salto all'Oasi di Sant'Alessio a Lardirago, vicino a Pavia), indicandomi cani buffi per strada se mi sono sfuggiti e regalandomi spesso peluche morbidissimi e pucciosissimi.

Anche il libro protagonista di questo post è stato un suo regalo. Me l’ha comprato al Salone del libro di Torino di quest’anno, dicendomi, quando me l’ha consegnato, che quando l’ha visto non ha potuto fare a meno di comprarmelo.
E così, da maggio, Per favore Signor Panda, scritto e illustrato da Steve Antony (pubblicato in Italia da zoolibri, una casa editrice specializzata nei libri per bambini), se ne sta sul nostro tavolino del soggiorno, a portata di mano per ogni emergenza “pucciosità”.

Per favore Signor Panda di Steve Antony, più tutto il mio parco panda domestico.

Per favore signor Panda è, ovviamente, un libro per bambini che ha lo scopo di insegnare a dire “per favore” quando si chiedono le cose. Lo scoprono a loro spese gli animali che il Signor Panda incontra per strada e a cui offre dei dolcetti. Alla sua proposta di avere un dolcetto, tutti rispondono come se fosse loro dovuto, con tono maleducato o supponente. Come se il gesto del Signor Panda fosse scontato, al punto che quando lui risponde “No, niente dolcetto per te. Ho cambiato idea” lo guardano andare via stupiti e arrabbiati.
Finché finalmente non arriva qualcuno di gentile ed educato, che si merita tutto quello che il Signor Panda vuole offrirgli.

Un libro molto semplice, con pochissimo testo e tante, tantissime (e bellissime) illustrazioni, di cui mi sono perdutamente innamorata. Vorrei avere un enorme Signor Panda in casa, con il suo cappellino dei dolcetti e il suo sguardo tenerone, a cui chiedere per favore ogni volta che mi propone qualcosa.



Come dicevo prima, Luca non limita in alcun modo questa mia passione per gli animali buffi in generale e per i panda in particolare. Sapendo che mi avrebbe fatto contenta, non solo mi ha regalato questo libro, ma me l’ha fatto anche autografare dall'autore, presente in stand durante il salone. 
Sulla prima pagina del mio Per favore Signor Panda, quindi, ci sono un panda e un lemure tutti miei, che rendono questo libricino ancor più prezioso... e puccioso.


Questo libro non mi è servito per imparare a dire "per favore" (bambina non sono più e, per fortuna, per favore lo dicevo già prima), ma si tratta sicuramente di un volumetto molto carino e tenero, per i più piccolini, ma anche per i grandi  che bambini a cui leggerlo ancora non ne hanno, ma che in compenso hanno una passione per le illustrazioni e gli animali buffi.


Titolo: Per favore Signor Panda
Autore: Steve Antony
Pagine: 40
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Zoolibri
Prezzo di copertina: 16 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Per favore signor Panda

lunedì 14 agosto 2017

IL LUNGO SGUARDO - Elizabeth Jane Howard

A nessuna donna piace sentirsi dire che cosa avrebbe potuto essere e che cosa è stata. A loro piace il futuro. Il futuro e il presente.

Non sapevo chi fosse Elizabeth Jane Howard finché Fazi editore non ha pubblicato il primo volume della Saga dei Cazalet, Gli anni della leggerezza, nel 2015. Una saga a cui mi sono appassionata molto, che racconta le vicende della numerosa famiglia Cazalet (padre, madre, tre fratelli e una sorella, mogli, cognate, amanti, ecc. ecc.) nell'Inghilterra che va dalla metà degli anni ’30 fino agli anni ’60. Ho divorato tutti e quattro i volumi, li ho consigliati e riconsigliati, e ora sto attendendo, con un po’ di impazienza e un po’ di angoscia, di leggere anche l’ultimo (Tutto cambia, in uscita il 18 settembre).
Oltre che ai personaggi di questa famiglia e all'ambientazione inglese, a conquistarmi è stato lo stile di Elizabeth Jane Howard: il suo modo di raccontare senza mai giudicare nessuno; il suo modo di soffermarsi su ogni singolo dettaglio che all'apparenza potrebbe sembrare inutile, ma che in realtà serve a caratterizzare al meglio ogni personaggio; e quella sensazione di essere davvero lì, in mezzo a loro, che riesce a trasmettere con la sua scrittura.

Prima della saga dei Cazalet, però, Fazi editore aveva già pubblicato un libro di questa autrice inglese: Il lungo sguardo. Uscito nel 2014, e sempre tradotto da Manuela Francescon come tutti i volumi successivi, questo romanzo è uno dei primi scritti da Elizabeth Jane Howard, nel 1956 (in realtà in Italia era già stato pubblicato una volta, da Rizzoli, nel 1957, l’anno successivo all'uscita in lingua originale, ma è con la riscoperta di Fazi che ha iniziato a essere più conosciuto).

Il lungo sguardo è un romanzo al contrario. Un romanzo che parte dalla fine, dalla cena che Antonia e Conrad Fleming stanno tenendo per festeggiare il fidanzamento del figlio Julian. Siamo nel 1950 e la famiglia è molto benestante. Eppure, dalle parole di Antonia, dal suo comportamento e dal suo modo di approcciarsi agli altri, si capisce che qualcosa nella sua vita non è andata come avrebbe voluto. Soprattutto con il marito Conrad, con cui è sposata da vent’anni: non si capisce se i due si amino adesso, né se lo abbiano mai fatto in passato. Da quella cena, si fanno poi tre passi indietro nel tempo, per ripercorrere a ritroso tutto il loro rapporto, fatto a volte di tradimenti, di scenate plateali ma anche di lunghi silenzi, che nessuno dei due sapeva come riempire, fino al momento in cui tutto è cominciato.

Nei minuti che seguirono questo breve scambio, lei ebbe modo di scoprire che le parole rompono solo la superficie esterna nel silenzio, e che i silenzi difficili sono in realtà densi di parole non dette.

Il lungo sguardo è un romanzo intenso e profondo, che racconta la vita di una coppia e tutti gli stati d’animo che possono attraversare un marito e una moglie quando stanno insieme a lungo. Ci sono l’amore e l’odio; il senso di protezione e quello di esasperazione; l’indifferenza e il desiderio; la voglia che tutto finisca ma anche la consapevolezza di non poter farcela da soli; l’incanto e il disincanto, quando si immagina che la propria vita andrà in un certo modo e invece la piega che prende è completamente diversa. E, soprattutto, i silenzi.

Tutto questo è racchiuso nel personaggio di Antonia, una donna fragile e forte al tempo stesso, che nella prima parte del romanzo getta uno sguardo su quello che ha avuto, su quella che è stata la sua vita fino a quel momento.
All’apparenza una trama come quella di questo romanzo potrebbe sembrare banale. Sono tanti, infatti, i libri che parlano di matrimoni infelici, di coppie che si amano odiandosi o si odiano amandosi, fino al momento in cui si fa un bilancio e ci si rende conto che niente è andato come ci si sarebbe aspettato. 

A volte le sembrava di odiarlo: a volte le sembrava di amarlo tanto da poter avvizzire e morire sotto la sferza silenziosa della sua indifferenza. Si aggrappava sempre a lui o a se stessa, non ce la faceva ad affrontare la somma dei rispettivi sentimenti.

La bravura di Elizabeth Jane Howard, però, oltre che nella scrittura, si vede nella scelta di partire dalla fine, di far sapere subito al lettore che cosa è successo, che cosa ne è stato di Mr. e Mrs. Fleming, per poi concentrarsi sul come e il perché la coppia sia arrivata a quel punto, creando così un romanzo che si potrebbe leggere anche partendo dalla fine e che, soprattutto, non lascia aperto nessuno spiraglio su che cosa succederà.

A questa originalità di scrittura, si aggiunge anche che il romanzo è uscito per la prima volta nel 1950, epoca in cui trattare apertamente certi argomenti, soprattutto in certi ambienti sociali, era considerato disdicevole. I panni sporchi si lavano in casa e le apparenze vengono prima di tutto.
Ma Elizabeth Jane Howard lo fa ugualmente, riversando su Antonia tutta l'infelicità e la solitudine che una donna può provare quando si ritrova a vivere una vita senza amore.

Il lungo sguardo è davvero un gran romanzo. Sì, forse addirittura più bello della splendida saga dei Cazalet.


Titolo: Il lungo sguardo
Autore: Elizabeth Jane Howard
Traduttore: Manuela Francescon
Pagine: 511
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Fazi
Prezzo di copertina: 17,50 €
Acquista su amazon:
formato brossura: Il lungo sguardo
formato ebook:Il lungo sguardo

martedì 8 agosto 2017

LEGGERE AL MARE: sei giorni, quattro libri e tanti spritz.

È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho aggiornato il blog e la ragione è molto semplice: sono stata in vacanza. Non per due settimane, ahimè, ma solo per sei giorni, in Liguria a Sestri Levante. Ho preferito comunque staccare del tutto anche da qui. Certo, forse avrei dovuto avvisare, pubblicando come ogni anno il post con l’elenco dei libri che avevo intenzione di portare con me. Ma li ho decisi un po’ all’ultimo minuto, complice anche la solita stanchezza da lettura che mi prende in questo periodo, e non mi andava di presentare libri che poi magari nemmeno avrei letto.
Ma ora le vacanze sono finite da qualche giorno (anche se la mancanza del mare e degli spritz al tramonto durerà ancora un po’), posso finalmente raccontare che cosa ho letto. Ovvero, questi:



Ah no, scusate, ho sbagliato la foto. Portate pazienza, come vi dicevo la mancanza di mare e di spritz si sta facendo sentire. Comunque, i quattro romanzi che ho letto al mare sono questi:



Sono partita con ELISIR D’AMORE – VELENO D’AMORE di Eric-Emmanuel Schmitt, un libricino pubblicato da edizioni e/o che racchiude due racconti lunghi dello scrittore francese. Tradotti entrambi da Alberto Bracci Testasecca, in Elisir d’amore assistiamo allo scambio epistolare di una coppia di ex fidanzati: Adam e Louise. Dopo la fine della loro storia, Adam è rimasto a Parigi, mentre Louise si è trasferita per lavoro in Canada. È evidente che tra i due c’è ancora qualcosa in sospeso: si cercano, si stuzzicano, cercando di fingere un rapporto d’amicizia che, però, non può esserci. Una lettura intelligente, sicuramente, ma forse un po’ troppo rapida: qualche scambio di lettera in più avrebbe aiutato a delineare ancor meglio i personaggi e il loro rapporto. In Veleno d’amore protagoniste sono invece quattro ragazze adolescenti alle prese con i primi problemi d’amore. Problemi in realtà molto semplici che però degenerano in una vera e propria tragedia shakesperiana, quando si scopre che queste amiche forse proprio amiche non sono. La storia è raccontata tramite le pagine dei diari delle quattro ragazze e qualche scambio di SMS. E alla fine si rimane senza parole, per il culmine della storia, ma anche per il modo incredibile con cui Eric-Emmanuel Schmitt l’ha sviluppata.



Subito dopo è toccato a LA PRIMAVERA DEI BARBARI di Jonas Lüscher, pubblicato in Italia da Keller edizioni e tradotto da Roberta Gado. Un libricino che avevo acquistato tempo fa al Libraccio, attratta più dalla bella copertina (ho un debole per le copertine colorate di questo editore) che non dalla trama in sé, si è rivelato invece una bella lettura, divertente e agghiacciante al tempo stesso. Protagonista è Preising, un ricco industriale che si ritrova a partecipare a un lussuoso banchetto di nozze di una giovane coppia di broker inglesi in una lussuosa oasi tunisina. Proprio la notte del banchetto, però, la Gran Bretagna fallisce e questi ragazzi che fino a un secondo prima erano ricchissimi si ritrovano ora sul lastrico. Con il degenero barbaro (da cui il titolo) che ne consegue. Il romanzo fa ridere per il modo in cui Preising racconta, per i personaggi ancor più bislacchi di lui che incontra e per la descrizione che viene fatta dei ricchi inglesi, ma terrorizza nella seconda parte, quando questi ricchi inglesi si ritrovano senza niente.



La terza lettura è stata TUTTO IL TEMPO CHE VUOI di Francesco Gungui, edito da Giunti editore. Un romanzo leggero, leggero, leggero (mettete tutti i “leggero” che volete), ma che riesce perfettamente nel suo scopo di “lettura da spiaggia non troppo scema”. Protagonista è Franz, un trentaseienne milanese che lavora come editor per una grande casa editrice e che sta cercando di avere un figlio con la sua compagna Lucia. Un figlio che, però, non ne vuole sapere di arrivare: un’attesa snervante, che logora la coppia fino a un’inevitabile decisione. Come se questo non bastasse, un romanzo erotico che Franz ha rifiutato di pubblicare viene comprato da un altro editore e si trasforma in un best seller. Franz deve ora cercare di reinventarsi, di scoprire qual è il suo piano B, se mai ne ha avuto uno, e metterlo in pratica. E lo fa, trasformando la sua passione per la cucina in una professione, con l’aiuto della bella Camilla. Tutto il tempo che vuoi non è un romanzo molto originale, in realtà (e Gungui ha sicuramente letto sia i romanzi di Nick Hornby, sia qualcosa di Fabio Bartolomei, secondo me), ma pone alcuni spunti di riflessione importanti sul mondo del lavoro, sulla famiglia e la paternità, e sulla capacità di affrontare gli imprevisti. E poi è leggero, leggero, leggero…



L’ultimo libro che ho letto al mare (e finito una volta arrivata a casa) è UNA CITTÀ O L’ALTRA di Bill Bryson (edito da Guanda e tradotto da Silvia Cosimini, Sonia Pendola e Giorgio Rinaldi). Una lettura che non avevo preventivato di fare, anche perché il libro lo abbiamo acquistato proprio in vacanza, ma che mi ha in qualche modo salvata. Avevo portato con me un altro romanzo, che dopo poche pagine però si è rivelato poco adatto al momento. Quindi, ho deciso di metterlo da parte e di seguire Bill nel suo viaggio in solitaria per alcuni paesi europei: insieme a lui sono andata in nord Europa e a Parigi, ho visitato la Germania, l’Olanda, la Svizzera fino all’Europa dell’est. Ci siamo spostati in treno, in aereo, in autobus e qualche volta persino a piedi o su auto un po’ scassate. Insieme a lui ho conosciuto personaggi bislacchi e usi e costumi locali alquanto singolari, e ho avuto la possibilità di vedere un’istantanea della società e della cultura europea al momento dei suoi viaggi (a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90). Ma soprattutto mi sono lasciata conquistare dal suo stile e dalla sua incredibile ironia nel raccontare aneddoti ed esperienze. Ora piano piano cercherò di recuperare tutto quello che ha scritto.



Direi che come bottino di letture di questa vacanza non mi posso proprio lamentare. Ho avuto la conferma di Eric-Emmanuel Schmitt e la scoperta di Jonas Lüscher, ho staccato dalle letture impegnative con Francesco Gungui e mi sono perdutamente innamorata di Bill Bryson e del suo stile.

E poi ho bevuto tanti spritz e fatto tanti bagni in un posto bellissimo.


lunedì 24 luglio 2017

LA BIOGRAFA - David Constantine

Lei si sentiva sicura di lui e né il precedente matrimonio né la sua relazione parigina l’avevano mai turbata. È più difficile ora, molto più difficile, mentre giorno dopo giorno Katrin ricostruisce la vita di cui non è stata parte. Adesso lui non c’è più per dirle che allora era allora, adesso è adesso. Ora il presente si schiude e riversa, trasuda, gronda scampoli di quella terra con cui lui non voleva più avere a che fare, la terra che lui chiamava “quei tempi”.



Credo sia normale che, all'inizio di una storia d’amore, chi la sta vivendo si interroghi sul “prima” dell’altro: com’era, prima che arrivassi io? Che esperienze ha fatto senza di me? Quanto ha amato prima di me? Domande legittime, che magari suscitano un po’ di gelosia, ma che poi piano piano vengono assorbite dalla vita di coppia, da quell'adesso che non ha alcun motivo di competere con l’allora.

Era così anche per Katrin, la protagonista di La biografa, il romanzo di David Constantine da poco uscito in Italia per Nutrimenti edizioni, con la traduzione di Nicola Manuppelli. Ama Eric, un marito molto più grande di lei, e sa che anche lui la ama. Qualche volta lei ha provato a chiedergli del suo passato, della sua prima moglie Edna e soprattutto di quel primo grande amore, una donna francese di nome Monique, di cui conserva ancora alcune lettere in soffitta. Lui le ha sempre risposto, senza mai approfondire, ma anche senza nascondere nulla. Ora che Eric è morto, però, il tarlo della sua vita passata martella incessantemente nella mente di Katrin: vuole sapere, vuole capire, vuole provare a ricostruire la vita dell’uomo che amava prima che arrivasse lei. Non è chiaro se lo faccia per se stessa o per Eric, e nemmeno se la cosa le faccia particolarmente bene. Ma non riesce a farne a meno. Non trova in quel momento nessun altro modo per affrontare questa perdita, se non quello di capire com’era la vita di Eric prima che arrivasse lei.

- E non può smettere di indagare sul passato di Eric? – No, non ora. – Nemmeno se le fa male? – No, non riesco a smettere ora. E non sono sicura che mi stia facendo male. Mi sento viva solo quando scopro cose nuove su Eric.

E così chiede all’amico Daniel di raccontare di quell’estate in cui si sono trovati in Francia; chiede al fratello di Eric qualche dettaglio sul loro legame famigliare e sulla prima moglie Edna. E, soprattutto, legge tutte le lettere di Monique che ci sono in soffitta, anche quelle che il marito non aveva mai aperto. Si ritrova così di fronte a una storia d’amore del passato, all’apparenza molto forte ma che poi sembra non aver retto alla paura, e a un’immagine del marito che non conosceva. E a chiedersi, ancora una volta, se lui non sia stato più felice prima di lei.

La biografa è un libro molto malinconico, che affronta il tema di come imparare a convivere con quel dolore che inevitabilmente si prova quando la persona che si aveva accanto all’improvviso non c’è più. È un libro che parla di passato e di presente, di come l’adesso a volte abbia paura di confrontarsi con quell’allora che sembra così bello. Ed è un libro che racconta due grandi, grandissime storie d’amore: quella di Eric e Monique nel passato e quella di Katrin ed Eric oggi, prima che l’uomo morisse ma anche dopo, quando Katrin scopre piano piano la sua vita.

David Constantine, scrittore, poeta, traduttore e accademico inglese al suo esordio in Italia, riesce a condensare tutte queste emozioni, tutti questi racconti, questa vita passata e questa vita presente, questo prima e questo dopo, in un unico grande romanzo che riesce a trasmettere in chi lo legge tutti gli stati d’animo provati dalla sua protagonista, a coinvolgerlo nel suo dolore, nella sua malinconia ma anche nella sua voglia di sapere e di scoprire, per conoscere meglio suo marito e anche se stessa.

La biografa è un romanzo da leggere in un luogo in cui ci si sente sicuri, magari protetti da una coperta (magari dallo stesso piumone che la protagonista utilizza per ascoltare al telefono le storie che il migliore amico del marito le racconta) e da un caldo avvolgente, che culla e rilassa. Proprio per questo, quando l’ho terminato, il mio primo pensiero è stato: “questo libro mi è piaciuto tantissimo, ma se l’avessi letto d’inverno mi sarebbe piaciuto ancora di più”. Forse perché i ricordi e la malinconia, almeno per me, si addicono di più ai climi freddi; forse perché le cose più dolorose le associo sempre al freddo.

Ma anche d'estate, comunque, la storia raccontata da questo romanzo è coinvolgente e, in qualche modo, travolgente. Oltre che bellissima.

Titolo: La biografa
Autore: David Constantine
Traduttore: Nicola Manuppelli
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2017
Editore: Nutrimenti
Prezzo di copertina: 17 €
Acquista su amazon:
formato brossura: La biografia

giovedì 20 luglio 2017

Ritornare a Macondo: ovvero leggere e rileggere Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez

Sul finire del maggio del 1967, la casa editrice argentina Editorial Sudamericana pubblicò per la prima volta Cien años de soledad dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez.
Lo scrittore, che aveva iniziato la sua carriera come giornalista, carriera che non abbandonò mai per tutto il corso della sua vita, aveva già pubblicato tre romanzi (La hojarasca, El coronel no tiene quien le escriba e La mala hora, ovvero Foglie morte, Nessuno scrive al colonnello e La mala ora, tradotti in italiano però solo più tardi), ma la sua consacrazione, soprattutto a livello internazionale, arrivò proprio con la storia della famiglia Buendía

Da allora sono passati cinquant'anni. Il libro è stato letto da milioni di persone, è stato tradotto in più di trenta lingue, è considerato da molti uno dei capolavori letterari del XX secolo e ha svolto un ruolo fondamentale per l'assegnazione a Gabriel García Márquez del premio Nobel per la letteratura del 1982.

La prima traduzione italiana di Cent'anni di solitudine risale all'anno successivo all'uscita, il 1968. A portare il libro in Italia è stato l’editore Feltrinelli e, soprattutto, il traduttore Enrico Cicogna, molto attivo in quegli anni nella scoperta di alcuni autori sudamericani (oltre a García Márquez, Mario Vargas Llosa e Manuel Puig).

Quarantanove anni per una traduzione sono indubbiamente tanti e la necessità di una revisione abbastanza evidente. Oltre all'evoluzione della lingua e di alcune regole grammaticali e ortografiche, spesso in traduzioni così vecchie si trovano anche fraintendimenti di significato e veri e propri errori (non bisogna dimenticare che i mezzi a disposizione dei traduttori un tempo erano molto limitati).
Per festeggiare questo cinquantesimo compleanno, quindi, Mondadori (nuovo editore dei romanzi di Garcí Márquez a partire dall’inizio degli anni ‘80) ha deciso di regalare a Cent’anni di solitudine e a tutta la famiglia Buendía una nuova traduzione, a opera di Ilide Carmignani.



Questa nuova traduzione, come la stessa traduttrice spiega nella nota finale al libro, si basa sull'edizione commemorativa data alle stampe dalla Real Academia Española e dalla Asociación de Academias de Lengua Española nel 2007, in occasione degli ottant'anni dello scrittore. Una versione considerata “definitiva”, che scioglieva alcuni dubbi interpretativi e sistemava errori, su cui aveva lavorato lo stesso García Márquez:
“Nel 2007, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Gabriel García Márquez e dei quarant’anni dalla prima pubblicazione, la Real Academia Española e dalla Asociación de Academias de Lengua Española hanno dato alle stampe un’edizione commemorativa che fissa definitivamente il testo: attraverso un minuzioso lavoro di collazione delle edizioni precedenti, realizzato con la supervisione dell’autore, sono state risolte espressioni dubbie ed emendati errori; l’autore stesso ha poi effettuato interventi di natura stilistica relativi al lessico, alla costruzione sintattica e alla punteggiatura. È su questa edizione rivista e corretta che è stata realizzata la presente traduzione”.
Nella stessa nota, ma anche in un bell'articolo di confronto scritto da Ida Bozzi e pubblicato su laLettura del 25 giugno 2017, Ilide Carmignani spiega l’approccio seguito da Cicogna durante la traduzione e quali modifiche ha apportato invece lei affrontando di nuovo questo testo, alla luce anche dei nuovi mezzi a disposizione.
In quasi cinquant’anni la lingua è italiana è molto cambiata, così come sono cambiate le strategie di mediazione linguistico-culturale, oggi più rispettose dell’alterità dei testi. Per aiutare i lettori, che all’epoca viaggiavano ben poco, si usava ad esempio addomesticare i culturemi, e infatti la traduzione di Cicogna trasforma il sanchoco, piatto tipico colombiano a base di verdure locali, in un generico stufato. […] Strettamente legata allo “specchio dei tempi” è infine la tendenza esotizzante della traduzione di Cicogna, che esalta con forza la componente magica a scapito di quella realistica: sinonimi rari e desueti si sovrappongono al traducente naturale italiano, per cui medanos, secche, viene reso con sirti, oppure al contrario si scelgono soluzioni iperletterali ricalcando il suo dei termini spagnolo a detrimento del senso.

Nel corso della mia vita, ho letto questo romanzo diverse volte, in tre edizioni differenti:


La prima volta nella traduzione di Enrico Cicogna in un vecchio volume dalle pagine ingiallite e la rilegatura ormai distrutta, dopo essere passato tra le mani di mio padre, mia sorella e mio fratello (un libro poi sostituito da un’edizione più recente, nella collana dei Grandi Classici del '900 in edicola con Repubblica qualche anno fa, che però, per forza di cose, non aveva lo stesso fascino).

All’inizio, come mi è già capitato più volte di raccontare, io Cent’anni di solitudine non lo volevo leggere. Tutti in casa mi dicevano che avrei dovuto, che era un libro bellissimo, che mi sarebbe piaciuto tanto. Ma visto com'ero da adolescente, dirmi quelle cose non era una spinta ma un ostacolo.
Poi nell'estate tra la prima e la seconda liceo (o tra la seconda e la terza, non ricordo più bene… avrò avuto quindici anni comunque), Cent’anni di solitudine compariva insieme a una ventina di altri libri nella lista tra cui scegliere le letture per le vacanze. C’era anche L’amore ai tempi del colera, primo romanzo scritto da García Márquez dopo aver vinto il premio Nobel, e, per non dare ai miei quella soddisfazione, lessi prima quello. E mi innamorai perdutamente della storia di Florentino Ariza e Fermina Daza. Capii così che era arrivato il momento anche per Cent’anni di solitudine.

Così ho conosciuto Aureliano Buendía, il colonnello che "ha preso parte a trentadue rivoluzioni e trentadue rivoluzioni le ha perdute", che ha avuto altrettanti figli e che è riuscito a sopravvivere persino davanti a un plotone di esecuzione.
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”.
Ho conosciuto Úrsula e José Arcadio Buendía, Amaranta e Rebeca e le loro passioni amorose, Melquiades e la bella Remedios, e pian piano tutte le generazioni di Buendía che hanno popolato Macondo, questo paese della Colombia caraibica fondato proprio da loro.

Temevo che mi sarei persa in questo fiume di personaggi che si susseguono (gli alberi genealogici che si trovano di solito a inizio o fine volume in quasi tutte le edizioni aiutano molto), in questo paesino dove realtà e magia si mescolano con naturalezza (non per niente questo libro viene considerato uno dei capostipiti del “realismo magico”) e anche le cose più assurde vengono considerate normali.
E invece no, non mi sono persa. O forse sì, ma è stato un perdersi bello, un perdere il contatto con la realtà e immergersi per le strade di Macondo seguendo le sue avventure, il suo fiorire e la sua successiva decadenza nel corso degli anni.

So che può sembrare retorico, ma da allora quel romanzo è diventato una parte di me. Sono andata avanti per mesi (e ogni tanto lo faccio ancora adesso) ad ascoltare l’album Terra e Libertà dei Modena City Rambles, al cui interno ci sono alcune canzoni che ispirate proprio ai personaggi di Cent’anni di solitudine (tipo questa). A lungo sono rimasta convinta che avrei chiamato mia figlia Remedios (anche Amaranta, in realtà, non mi dispiaceva) e che magari, chissà, un giorno mi sarei trovata circondata da farfalle dorate o sarei volata via insieme alle lenzuola.
“Ti senti male?” le chiese.
Remedios la bella, che teneva stretto il lenzuolo all’altro capo, fece un sorriso di compatimento.
"Macché,” disse, “non mi sono mai sentita così bene.”
Aveva appena finito di dirlo, quando Fernanda sentì che un delicato vento di luce le strappava le lenzuola dalle mani e le spiegava in tutta la loro ampiezza. Amaranta sentì un tremito misterioso nei pizzi delle sue sottane e cercò di aggrapparsi al lenzuolo per non cadere, nell’istante in cui Remedios cominciava a sollevarsi. Ursula, già quasi cieca, fu l’unica che ebbe tanta serenità da riconoscere la natura di quel vento ineluttabile, e lasciò le lenzuola alla mercé della luce, e vide Remedios la bella che la salutava con la mano, tra l’abbagliante palpitare delle lenzuola che salivano con lei, che uscivano con lei dall’aria degli scarabei e delle dalie, e con lei attraversavano l’aria in cui si spegnevano le quattro del pomeriggio, e con lei si perdevano per sempre nelle alte arie dove non potevano raggiungerla nemmeno i più alti uccelli della memoria.
Poi, in parte proprio per questo libro, ho scelto di studiare spagnolo all'Università, perché volevo leggerlo in lingua originale. Ho aspettato circa un anno, per avere almeno le basi dello spagnolo (lingua da cui partito proprio da zero) prima di cimentarmi in quest’impresa. Poi me ne è stata regalata una copia, edita da Catedra e con un buffo colonnello Aureliano in copertina.





Ricordo di aver aperto il libro per la prima volta con un po’ timore riguardo alla difficoltà della lingua e alla mia comprensione. Poi ho letto l’incipit e mi sono ritrovata ancora una volta persa per Macondo, a forgiare pesciolini d’argento e a temere che il prossimo figlio nascesse con la coda di maiale.
Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo llevó a conocer el hielo. Macondo era entonces una aldea de veinte casas de barro y cañabrava construidas a la orilla de un río de aguas diáfanas que se precipitaban por un lecho de piedras pulidas, blancas y enormes como huevos prehistóricos. El mundo era tan reciente, que muchas cosas carecían de nombre, y para mencionarlas había que señalarlas con el dedo
Da allora mi è capitato di rileggere Cien años de soledad un altro paio di volte, sempre in lingua originale, per rendere ancor più forti e vividi l’incanto e la magia come solo le letture in lingua riescono a fare. Io non sono una grande amante delle riletture, devo dir la verità, più per una questione di tempo e di quantità di libri nuovi da leggere. Ma ci sono alcuni romanzi a cui a volte sento il bisogno di tornare. E Cent’anni di solitudine è appunto uno di questi (un altro è 1984 di Orwell).

Dalla mia ultima gita a Macondo, però, erano passati diversi anni e anche per questo, quando è stata annunciata questa nuova traduzione, ho deciso di ricomprarla. In parte attratta dalla bellissima copertina con le illustrazioni di Velia de Iuliis, in parte per la curiosità di scoprire che cosa è cambiato. 

Non avevo però intenzione di fare un confronto vero e proprio: mi interessa di più l’impressione generale di coinvolgimento nella lettura, della percezione di differenze o di cose in qualche modo stonate (che in realtà era abbastanza improbabile ci fossero, perché questa nuova versione ha ripristinato parti originali che Enrico Cicogna invece aveva cambiato).
E quindi via, ho letto anche questa nuova versione di Cent’anni di solitudine.
Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello aureliano Buendía avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto in cui suo padre l’aveva portato a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di fango e canne costruite sulla riva di un fiume dalle acque diafane che si precipitavano su un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente che molte cose erano senza nome, e per menzionarle bisognava indicarle con un dito.
E proprio come la prima volta, con la traduzione di Enrico Cicogna, e come la seconda, quando l’ho letto in lingua originale, mi sono di nuovo ritrovata dentro Macondo, seduta al tavolo di Ursula a mangiare insieme ad altri avventori sconosciuti, a soffrire con Amaranta per le sue pene d’amore, a seguire Aureliano Segundo nelle sue peregrinazioni tra moglie e amante, a tifare per Meme e il suo amore clandestino, e sì, ancora una volta, a immaginarmi circondata di farfalle dorate o in volo insieme a delle lenzuola.


«Ti senti male?» le domandò.
Remedios la bella, che teneva l’altro capo del lenzuolo, fece un sorriso di compatimento.
«Al contrario,» disse «Non sono mai stata meglio».
Appena ebbe finito di dirlo, Fernanda sentì che un delicato vento di luce le strappava le lenzuola di mano e le spiegava in tutta la loro ampiezza. Amaranta sentì un fremito misterioso nei pizzi delle sottogonne e cercò di afferrarsi al lenzuolo per non cadere nell’istante in cui Remedios la bella cominciava a sollevarsi. Úrsula, già quasi cieca, fu l’unica abbastanza lucida da capire la natura di quel vento irreparabile, e lasciò il lenzuolo alla mercé della luce, e vide Remedios la bella che le diceva addio con la mano, nell’abbagliante aleggiare delle lenzuola che salivano con lei, che abbandonavano con lei l’aria degli scarabei e delle dalie, e attraversavano con lei l’aria dove finivano le quattro di pomeriggio, e si perdevano per sempre con lei nelle arie alte, dove non potevano raggiungerla nemmeno i più alti uccelli della memoria.


In questa nuova edizione, ho trovato tutto quello che Ilide Carmignani ha detto nella sua nota di traduzione (che, ammetto, ho letto prima del libro, per avere un'idea generale di cosa aspettarmi) e nelle varie interviste, senza trovare praticamente mai nulla di stonato né di incomprensibile, nemmeno nei localismi lasciati in lingua originale. Si nota, anche, il ripristino degli accenti in tutti i nomi propri spagnoli (Cicogna, per esempio, non accentava "Úrsula").
Solo in alcuni punti ho sentito la necessità (forse più curiosità, in realtà) di fare un confronto tra la vecchia versione di Enrico Cicogna e quella nuova di Ilide Carmignani. Ma per parole singole, per frasi forse un po’ troppo moderne che mi sembravano un po’ fuori contesto (un “cavolo”al posto di un “accidenti”… cose così). 



Da appassionata di Cent’anni di Solitudine e di Gabriel García Márquez sono convinta che questa nuova traduzione fosse necessaria. Io ho scoperto questo libro e me ne sono innamorata con la prima traduzione, è vero, e come me molti altri. Però altrettanti l’hanno trovato un po’ respingente, e la lingua utilizzata da Cicogna, perché invecchiata, perché a volte eccessivamente esotica, può avere una sua colpa (e ve ne renderete conto ancor di più se riuscirete a leggerlo in lingua originale).
Quindi se siete tra chi l’ha già letto e l’ha amato, anche in questa nuova traduzione continuerete ad amarlo. Se ci avete provato in passato ma qualcosa non ha funzionato, o se non vi ci siete mai approcciati per paura, ecco, forse questa nuova edizione può essere la spinta necessaria a dare a Cent’anni di solitudine un'altra possibilità.

Poi fatemi sapere. Io intanto vado a mettere due mollette in più alle lenzuola stese, sia mai che qualcuno decida di portarsele via.