giovedì 28 ottobre 2010

LA LUNA ROSSA- Luis Leante

Il corpo esangue di Emin Kemal, celebre scrittore turco, giace a terra cadavere nel suo appartamento. Sul petto un libro: una raccolta di racconti di René Kunheim, dedicati dall'autore alla moglie dello stesso Kemal. René è uno scrittore frustrato ma di grande talento e soprattutto il traduttore di tutti i libri in spagnolo dell'autore turco. Il ritrovamento, che svela inequivocabilmente la tresca che lo legava alla moglie, sembra incastrarlo. A ritroso, Luis Leante ricostruisce l'intrigo e racconta la storia di Emin Kemal e René Kunheim, tra Alicante, Monaco e Istanbul, in un continuo gioco di specchi, incastri, collegamenti e coincidenze. La vita dell'autore turco e quella del suo traduttore sono il bianco e il nero di una stessa fotografia, due esistenze legate da una sola donna, sposa e amante: Derya.

Un libro incredibile che mi ha piacevolmente stupita. Una trama complessa, che si snoda tra la Spagna, Monaco e la Turchia. Tanti piccoli tasselli, che forse un pochino confondono ma che alla fine l'autore è in grado di rimettere perfettamente insieme, dando vita a un romanzo molto ma molto bello. Il rischio di perdersi dei pezzi, di non riuscire a far tornare tutte le vicende al proprio posto, era molto alto. Ma l'autore è riuscito a evitarlo. Forse anche perché parla di libri e di traduttori (due cose che io amo molto), perché c'è sì un mistero da risolvere che lascia in sospeso fino all'ultimo, senza che però cada mai nello scontato, nel banale e nel già letto.
Particolare l'alternanza di stili, dalla prima alla terza persona in base a quale epoca e quale personaggio è protagonista del capitolo.
Insomma, questo autore spagnolo non ha assolutamente nulla da invidiare ad altri suoi conterranei più famosi (vedi Zafón), anzi... il suo stile è molto meno "commerciale", (ed è per questo che forse non ha riscosso altrettanto successo qui in Italia).
E' un libro bello, intelligente e commuovente. Da leggere assolutamente.

Nota alla traduzione: non mi riesce tanto facile scrivere un commento dato che conosco la traduttrice del romanzo, che è stata mia insegnante all'università e, almeno in parte, la mia passione per la traduzione viene da lei. Eppure, devo ammettere che qualcosa non mi torna. Qualche scelta di termini e di espressioni molto discutibile, non so se legata allo stile originale del romanzo o a scelte traduttive personali. Spero che non me ne voglia...

giovedì 21 ottobre 2010

CI VEDIAMO A CASA, SUBITO DOPO LA GUERRA- Tami Shem-Tov

Ogni volta che il dottore le consegna una lettera dello zio Jaap, Lieneke sente il cuore battere all'impazzata. La nasconde nel grembiule e la porta in camera, al sicuro, dove la legge e la rilegge. Perché sa che presto dovrà restituirla al dottore, che la brucerà o la farà in mille pezzi affinché non cada nelle mani sbagliate. Nessuno deve sapere che Jaap in realtà non è suo zio, ma suo padre. E che lei non si chiama Lieneke, bensì Jacquelin un nome che ormai appartiene al passato, a una vita precedente in cui poteva andare a scuola con le amiche di sempre, passeggiare nel parco e correre in bicicletta. Senza una stella gialla appuntata sul petto. Tutto è cominciato con il "gioco dei nomi", quando la mamma ha spiegato a lei e alla sorellina più grande che tutti i membri della famiglia non si sarebbero più chiamati come prima. C'erano anche altre regole da rispettare: lasciare la città, Utrecht, e nascondersi. E non dire a nessuno di essere ebree. Da quel giorno, la famiglia si è separata, trovando rifugio presso membri della resistenza olandese. Lieneke vive in un villaggio sperduto con il dottor Kohly e sua moglie, che fingono di essere i suoi zii. Il padre, scienziato dal cuore d'artista, riversa ora il suo talento sui biglietti illustrati che manda a Lieneke, con quei disegni colorati e buffi che tengono accesa la speranza di una vita normale. Sarà proprio quella corrispondenza segreta ad aiutare la bambina a sopportare la fame e la paura, il freddo e la lontananza.

Scrivere ora un libro che parla della guerra, del nazismo e degli ebrei non è per nulla semplice. Si rischia di ricadere nel "già visto", "già letto" (certo, quella purtroppo è la storia e altri modi per raccontarla non ce ne sono). Eppure noto che i libri recenti che trattano questo tema sono comunque molto belli, perchè offrono punti di vista diversi. Era già successo con "Il Bambino con il Pigiama a Righe", che raccontava della vita dei bambini al di qua della recinzione del campo di concentramento.
"Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra" ci offre ancora un altro aspetto: quello dei bambini nascosti fuori città per sfuggire ai tedeschi e alla guerra, che aspettano di rincongiungersi con la famiglia "a casa, subito dopo la guerra". Una storia vera, quella di Lieneke, che sopravvive alla distanza da casa e dai suoi cari grazi alle lettere e i disegni che le invia suo zio Jaap, ovvero suo padre, di tanto in tanto. C'è dolore e speranza in questo libro, c'è la realtà di quel periodo, ma senza troppa violenza (a parte un momento verso la fine), c'è voglia di vivere e di ricominciare. C'è tenerezza e ingenuità, quella tipica dei bambini che aiuta anche i grandi a superare il dolore e la tragedia.
Un libro dolcissimo e tenerissimo, che si legge in fretta e che ti tiene incollato alle sue pagine. Un altro punto di vista del momento più nero della storia mondiale, che va assolutamente letto.

Nota alla traduzione: un po' di note, forse non tutte fondamentali. Ma nel complesso, ben fatta!

sabato 16 ottobre 2010

QUALCUNO CON CUI CORRERE- David Grossman

Assaf è un sedicenne timido e impacciato cui viene affidato un compito singolare: ritrovare il proprietario di un cane abbandonato seguendolo per le strade di Gerusalemme. Correndo dietro all'animale, Assaf viene condotto di fronte a inquietanti personaggi, attraverso i quali ricompone i tasselli di un drammatico puzzle: la vicenda di Tamar, una ragazza solitaria e ribelle, fuggita da casa per andare a salvare il fratello, giovane tossicodipendente finito nella rete di una banda di malfattori. "Qualcuno con cui correre" è il ritratto di due adolescenti che si cercano, che forse si amano, che soffrono ma combattono con generosità per qualcosa che è dentro di loro.

L'ho appena finito e sono ancora commossa.
E' un libro che ti prende, che ti fa "correre", fin dalle prime pagine perchè racchiude insieme tanti sentimenti: l'amicizia, giusta e sbagliata, i legami familiari, che a volte si spezzano, e l'amore, che può nascere nei modi più impensabili.
E lo sanno i due protagonisti, due sedicenni che all'improvviso vedono la loro vita stravolta. Tamar che decide di aiutare il fratello a disintossicarsi, cercandolo dopo che è scappato di casa , progettando un piano impossibile per salvarlo che la porterà a mettere in pericolo la sua stessa vita. E Assaf che si ritrova suo malgrado coinvolto in tutto questo e che per l'amore che sente che potrebbe provare per questa ragazza decide di non tirarsi indietro, di cercarla ed aiutarla, pur non sapendo nulla di lei. E a loro si uniscono tutti i personaggi di contorno: i buoni (spesso le persone più impensabili, passanti per strada, drogati, suore di clausura) e i cattivi.
E chisse ne frega se il finale è forse un po' scontato e prevedibile. E' l'unico possibile, l'unico che avrei potuto accettare e che mi fa pensare a questo libro come a un capolavoro.
Grossman scrive molto bene, lo avevo già notato in "Che tu sia per me il coltello", primo mio approccio ai suoi romanzi che però non mi aveva entusiasmato quanto questo. Perchè qui c'è riflessione, ma c'è anche azione. C'è gioia e c'è dolore che si mischiano e si confondono e ti fanno capire quanto si dovrebbe essere disposti a fare per le persone che si amano.
E poi Dinka, il cane, è semplicemente adorabile.
Leggetelo!

Nota alla traduzione: qualche nota necessaria per i termini ebraici. Ben fatta direi.

"Hai bisogno di uno con una mano grande così" aveva sentenziato Leah, "e sai perchè?"
"PErchè?" ora sarebbe arrivata la spiegazione.
"Uno che se ne sta con la mano alzata, forte, ferma, come la Statua della Libertà ma senza quel cono gelato. Solo con la mano aperta, in alto, e allora tu..." Leah sollevò la sua mano squadrata, ruvida, con le unghie rosicchiate e la agitò, come fosse un uccellino in volo "... tu, da lontano, da qualsiasi punto della terra, vedrai quella mano e saprai che lì potrai posarti e riposare. E' vero o no?"

venerdì 8 ottobre 2010

UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN- Betty Smith

È l'estate del 1912 a Brooklyn. I raggi obliqui del sole illuminano il cortile della casa dove abita Francie Nolan, riscaldano la vecchia palizzata consunta e le chiome dell'albero che, come grandi ombrelli verdi, riparano la dimora dei Nolan. Alcuni a Brooklyn lo chiamano l'Albero del Paradiso perché è l'unica pianta che germogli sul cemento e cresca rigoglioso nei quartieri popolari. Insieme a suo fratello Neeley, Francie raccoglie pezzi di stagnola che si trovano nei pacchetti di sigarette e nelle gomme da masticare, stracci, carta, pezzi di metallo e li vende in cambio di qualche cent. Francie se ne va a zonzo per Brooklyn. Lungo il tragitto forse qualcuno le ricorderà che è un peccato che una donna così graziosa come sua madre, ventinove anni, capelli neri e occhi scuri, debba lavare i pavimenti per mantenere tutta la famiglia. Qualcun altro magari le parlerà di Johnny, suo padre, il ragazzo più bello e più attaccato alla bottiglia del vicinato, qualcuno infine le sussurrerà mezze parole sull'allegro comportamento di sua zia Sissy con gli uomini. Francie ascolterà e ogni parola sarà per lei una pugnalata al cuore, ma troverà, come sempre, la forza per reagire, poiché lei è una bambina destinata a diventare una donna sensibile e vera, forte come l'albero che, stretto fra il cemento di Brooklyn, alza rami sempre più alti al cielo.

Odio non sapere cosa scrivere nella recensione di un libro. Perchè da un lato può sembrare che non mi sia piaciuto e non abbia niente da dire (va beh, ormai lo sapete, se un libro mi ha fatto schifo le parole non mi mancano), e dall'altro che mi sia piaciuto troppo e non ci siano parole per descriverlo. Questo libro non rientra in nessuno dei due casi. Le saghe familiari generalmente mi piacciono molto. Mi piace vedere come se la cavano i personaggi, i legami e i rapporti che si creano e come affrontano il mondo. E questo romanzo in questo riesce molto bene. La saga raccontata è quella della famiglia Nolan: una madre molto pratica, un padre artista e sognatore, due figli, Francie e Neely, che crescono insieme (e un'ultima più avanti nella storia) che ereditano le caratteristiche di uno e dell'altro. E alla loro vicenda partecipano tanti altri personaggi secondari (fantastiche le zie materne). Quel che viene descritto, la loro vita e la loro "lotta per la sopravvivenza" in una NEw York dai primi anni del '900 fino all'entrata in guerra. Insomma, una bella storia. Condita anche da un elogio alla cultura e ai libri non indifferente.
Eppure, fino a oltre la metà, il romanzo non mi ha convinto molto. Si legge bene, scorre veloce, ma sembrava proprio solo un susseguirsi di eventi. Non ho mai pensato di abbandonarlo eh. Però mi sono chiesta diverse volte "ma quando finisce?". E poi, le ultime 150 pagine mi hanno fatto cambiare totalmente giudizio. Forse perchè i due figli crescono e affrontano il mondo, scontrandosi con le vere prime delusioni da adulti. Forse perchè c'è un riscatto, da poveri e desolati, la situazione si aggiusta e tutti riescono a coronare i loro piccoli sogni. Insomma, le ultime pagine mi hanno colpita e commossa. E sono contenta che il libro non sia finito prima.

Nota alla traduzione: una delle poche traduzioni in cui le canzoni vengono lasciate in lingua originale senza note o spiegazioni. Scelta azzeccatissima per me ma che mi rendo conto possa creare difficoltà a chi non ha dimestichezza con l'inglese. E poi c'è altro che stona. Ma non saprei ben dire cosa...

"Mio Dio concedimi di essere qualcosa, in ogni istante di ogni ora della mia vita. Fammi essere felice o triste, fa che io abbia caldo o freddo, che abbia poco o troppo da mangiare, che sia vestita elegante o con degli stracci, affidabile o bugiarda, degna di stima o peccatrice.Ma concedimi di essere qualcosa in ogni istante. E concedimi pure di sognare quando dormo, in modo che non vi sia un solo momento della mia vita che vada perduto".

mercoledì 29 settembre 2010

L'ULTIMA RIGA DELLE FAVOLE- Massimo Gramellini

Tomàs è una persona come tante. E, come tante, crede poco in se stesso, subisce la vita ed è convinto di non possedere gli strumenti per cambiarla. Ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che riaccende in lui quella scintilla di curiosità che langue in ogni essere umano. Incomincia così un viaggio simbolico che, attraverso una serie di incontri e di prove avventurose, lo condurrà alla scoperta del proprio talento e alla realizzazione dell'amore: prima dentro di sé e poi con gli altri. Con questa favola moderna che offre un messaggio e un massaggio di speranza, Massimo Gramellini si propone di rispondere alle domande che ci ossessionano fin dall'infanzia. Quale sia il senso del dolore. Se esista, e chi sia davvero, l'anima gemella. E in che modo la nostra vita di ogni giorno sia trasformabile dai sogni.

Mi capita ogni tanto di leggere e apprezzare (non sempre) la rubrica Buongiorno che Gramellini scrive su La Stampa. Ed è stato proprio questo (insieme al titolo secondo me bellissimo) a convincermi a leggere il libro. Non mi era proprio venuto in mente che non necessariamente chi è in grado di scrivere una decina di righe geniali su un argomento di attualità su un giornale, riesca a fare altrettanto in un libro. E infatti, non ci riesce. Libro semplicemente inutile, composto da frasi fatte pseudomistiche e luoghi comuni sull'ammmmore e su quanto sia indispensabile accettare sé stessi prima di poter amare gli altri (ma va?!) o di quanto sia necessario risolvere prima i problemi del proprio passato per poter scrivere un futuro (rigorosamente in coppia eh, se risolvi i problemi e rimani solo cavoli tuoi). Il tutto ovviamente scritto con un bel linguaggio ampolloso e pseudopoetico.
Un Coelho dei poveri insomma... e io odio Coelho.
Peccato, veramente, perchè con un titolo così fantastico le aspettative che avevo erano tante e se il libro si fosse anche solo minimamente avvicinato a come me lo ero immaginato questo commento avrebbe toni ben diversi (ok, potevo leggere la quarta di copertina prima di buttarmi nella sua lettura. E in realtà l'ho anche fatto, senza capire che la storia sarebbe stata così).
Insomma, se siete scettici e credete poco negli affari mistici (come me insomma), risparmiatevelo pure. Se invece queste cose vi piacciono, beh, vedete un po' voi... credo esista sicuramente di meglio anche in questo caso.

domenica 26 settembre 2010

AMABILI RESTI- Alice Sebold

Susie, quattordicenne, è stata assassinata da un serial killer che abita a due passi da casa. È stata adescata, stuprata, fatta a pezzi e nascosta in cantina. Il racconto è affidato alla voce della stessa Susie, che dopo la morte narrra la vicenda con lo spirito allegro e senza compromessi dell'adolescenza.


Un libro meraviglioso che ho divorato in poche ore. Era un po' che un libro non mi prendeva così tanto, da non riuscire a fare altro che non fosse leggerlo.
La storia è terribile. Questa ragazzina di 14 anni viene stuprata, uccisa e fatta a pezzi dal suo vicino di casa pazzo e la sua famiglia e i suoi amici cercano di andare avanti come possono, di affrontare (o non affrontare) questo immenso dolore. Ed è proprio la ragazzina, Susie, a raccontarci tutto questo. E' lei la narratrice di questo romanzo, che guarda la Terra dal suo Cielo, tenendo d'occhio i suoi cari, tifando e soffrendo per e con loro.
Non c'è un modo giusto per affrontare un così grande dolore e ci vuole del tempo, a volte tanto tempo, perchè la ferita si chiuda lasciando spazio a una cicatrice. E Susie ci racconta questo tempo, guardandolo da un punto di vista speciale, invidiando chi è rimasto in vita ma senza falsi moralismi e senza piangersi addosso. Ho trovato discutibile solo un capitolo, quello in cui lei torna per un momento sulla Terra nel corpo di una sua amica (la ragazza che la sua anima ha sfiorato quando stava abbandonando il suo corpo per sempre). Per il resto, un piccolo capolavoro da leggere assolutamente.

Nota alla traduzione: qualche nota qua e là, forse evitabile, ma nel complesso ben fatta!

sabato 25 settembre 2010

L'ORLO ARGENTEO DELLE NUVOLE- Matthew Quick

Pat Peoples è convinto che la sua vita sia un film prodotto da Dio. La sua missione: diventare fisicamente tonico ed emotivamente stabile. L'inevitabile happy end: il ricongiungimento con la moglie Nikki. Questo ha elaborato Pat durante il periodo nel "postaccio", la clinica psichiatrica dove ha trascorso un tempo che non ricorda, ma che dev'essere stato piuttosto lungo... Infatti, ora che è tornato a casa, molte cose sembrano cambiate: i suoi vecchi amici sono tutti sposati, gli Eagles di Philadelphia hanno un nuovo stadio e, soprattutto, nessuno gli parla più di Nikki, e anche le foto del loro matrimonio sono scomparse dal salotto. Dov'è finita Nikki? Come poterla contattare, chiederle scusa per le cose terribili che le ha detto l'ultima volta che l'ha vista? E come riempire quel buco nero tra la litigata con lei e il ricovero nel postaccio? E, in particolare, qual è la verità? Quella che ti fa soffrire fino a diventare pazzo, o quella di un adorabile ex depresso affetto da amnesie ma colmo di coraggiosa positività? Pat guarda il suo mondo con sguardo incantato, cogliendone solo il bello, e anche se tutto è confuso, trabocca di squinternato ottimismo, fino all'imprevedibile finale. L'orlo delle nuvole è argenteo, perché dietro c'è sempre il sole.

Ho qualche problema a scrivere questo commento. Il libro si legge bene e in fretta, è scorrevolissimo (merito anche dei capitoli brevi che ti spingono a dire "massì ancora uno" e senza accorgertente sei a pagina 150) ed è impossibile non affezionarsi al protagonista, appena uscito da un ospedale psichiatrico dopo un episodio che lui ha rimosso, e deciso a riconquistare la moglie migliorando se stesso e tutti quegli aspetti che lei non sopportava. Il suo motto è che bisogna sempre credere nel lieto fine, come i film ci insegnano, e che anche dietro le nuvole c'è sempre il sole. Ma il suo ottimismo è talmente esasperato (volutamente) da diventare quasi irritante. Ancor più se contrapposto al realismo di chi lo circonda e soprattutto degli eventi che si susseguono nella sua vita. Gli ci vorrà tutto il romanzo per capire che non sempre c'è il lieto fine. O meglio, che non sempre il lieto fine è quello che ci si aspetta.
E questo messaggio mi piace molto, così come mi piace il bellissimo finale... solo che ho trovato invece un po' troppo eccessivi (quasi impossibili) alcuni degli eventi che capitano al protagonista, tanto da perdere persino il loro lato comico, così il suo rapporto con certi personaggi all'interno del libro (suo padre in primis, che gli parla solo davanti alle partite della loro squadra del cuore, ma anche con l'amica pseudo pazza) che ti porta a provare necessariamente un po' di pena per lui.
Comunque merita di essere letto anche solo per i commenti che Pat fa ai libri che vengono fatti leggere nelle scuole superiori... semplicemente geniali!

Nota alla traduzione: non male direi... ci sono ndt per tradurre le canzoni, ma sono abbastanza giustificabili.

"mi sto esercitando ad essere gentile, invece che ad aver ragione"