giovedì 6 dicembre 2012

PROFUMI, GIOCHI E CUORI INFRANTI - Joanne Harris

Quelle che Joanne Harris racconta nei suoi libri sono prima di tutto storie: appassionanti avventure vissute da personaggi che s'imprimono nella memoria, rivissute con il brio e la sapienza di un'autrice che padroneggia le più sottili tecniche di scrittura. Ma a colpire nei suoi libri è soprattutto la voglia e la capacità di comunicare, di stringere un patto di immediata simpatia con il lettore, anche quando affronta i lati oscuri dell'esistenza. In "Profumi, giochi e cuori infranti" il piacere del racconto torna con tutta la sua forza di seduzione: temi spesso curiosi e spiazzanti, narrati da voci ben caratterizzate e autentiche, situazioni sorprendenti che si dipanano in trame piene di invenzioni con sorpresa finale.

"Chocolat" di Joanne Harris è in assoluto uno dei miei romanzi preferiti. Ma anche " La scuola dei desideri" e "Vino, patate e mele rosse" sono molto belli e appassionanti. Di questa autrice amo molto lo stile, il suo modo di portarti all'interno della trama, al punto che ti sembra di essere un personaggio in più. Amo molto il suo modo di descrivere i dettagli, i profumi, i colori, gli odori e le sensazioni di ogni personaggio. Certo, questo non le riesce alla perfezione in tutte le sue opere ("La spiaggia rubata", ad esempio, è stata una lettura abbastanza inutile, se mi passate il termine. Né amo i suoi romanzi troppo mistici e magici). Non sapevo che questa autrice avesse scritto anche dei racconti finché su un altro blog sono venuta a conoscenza di questo libro. O meglio, lo conoscevo già, ma per qualche inspiegabile motivo me ne ero sempre tenuta alla larga.  Ho deciso comunque che era arrivato il momento di provare e ho preso in prestito questo volume in biblioteca.

E meno male che non l'ho acquistato! Eh sì, perché questa volta la Harris non è riuscita a conquistarmi come avrei immaginato e sperato. Può essere che il racconto breve non sia il genere in cui riesca meglio, può anche essere che la terribile traduzione abbia contribuito a non farmelo apprezzare a dovere, fatto sta che di questi due racconti, ce ne sono solo quattro che mi sono piaciuti davvero e che è valsa la pena leggere. Il fatto che due di questi fossero collocati in prima posizione mi aveva fatto ben sperare che tutta la raccolta fosse così meritevole. Speranza vana purtroppo.
Lo stile della Harris, la sua magia e la sua abilità con le trame e le parole si ritrova solo in "Faith e Hope fanno shopping", in cui le due protagoniste, due residenti in una casa di riposo "evadono" per andare in città una a comprarsi un paio di scarpe bellissime che ha visto su una rivista e l'altra perché vuole assolutamente una copia di "Lolita" di Nabokov, lettura non ritenuta adatta dall'infermiera che legge per loro tutte le sere. Fa sorridere questo racconto. Fa riflettere ed è colmo di una dolcezza infinita che non può lasciare indifferenti.
Subito dopo questo racconto, c'è "La sorellastra di Cenerentola", una geniale apologia di tutte le sorellastre del mondo, vittime di stereotipi e cliché che le vedono ritratte sempre come esseri crudeli e soprattutto dall'aspetto brutto, molto, molto brutto. Questo anche a causa di Cenerentola, che con quella sua faccia da santarellina e i suoi vestiti stracciati ma tanto di moda ha imbrogliato tutti, lettori e principi azzurri. L'idea di base di questo racconto è davvero geniale, al punto che alla fine ci si ritrova a fare il tifo per tutte le sorellastre bistrattate dalle fiabe.
Per arrivare a "Colazione da Tesco", un altro piccolo gioiello che rilegge in chiave moderna "Colazione da Tiffany" di Capote, bisogna però riuscire a sopportare dodici racconti non molto appassionati, che alla fine della lettura lasciano poco o nulla. E poi, subito dopo "Colazione da Tesco", si trova forse il più bello di tutta la raccolta, grazie anche al suo incredibile protagonista, ovvero "Prego, Mr Lowry, è giunta la sua ora!", che parla di sfortuna, fortuna e sogni da realizzare prima di morire., come ad esempio volare dalla Torre Eiffel. 
E poi basta. 

Ammetto che mi dispiaccia molto scrivere una recensione così poco lusinghiera di un'autrice che amo moltissimo, ma che trovo che a volte sia vittima (più o meno consapevole) del suo successo, che la porta forse a pubblicare su richiesta, dei fan o degli editori, anche cose non troppo ben riuscite (ok, lo ammetto, sono molto titubante anche sul suo nuovo romanzo, il secondo seguito di Chocolat, dopo che già il primo, almeno per me, non era stato per niente all'altezza).

Se non avete mai letto nulla di quest'autrice, vi sconsiglio di iniziare da questa raccolta perché secondo me ne rimarrete delusi. Se siete già suoi fan sfegatati invece, potete darle una chance e magari smentire la mia opinione.

Nota alla traduzione: TERRIBILE. Era un po' che non mi alteravo così tanto leggendo un romanzo. Mancano i congiuntivi, ci sono parecchi refusi,  calchi imperdonabili ("MAGIC TREE" è la versione inglese del nostro "ARBRE MAGIQUE"... ed è stato tradotto con "ALBERO MAGICO"). E anche a livello di editing è stato fatto un lavoro frettoloso, che ha lasciato parecchie parole attaccate ed errori di punteggiatura. Assolutamente da rivedere.


Titolo: Profumi, giochi e cuori infranti
Autore: Joanne Harris
Traduttore: Laura Grandi
Pagine: 248
Anno di pubblicazione: 2004
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811665670
Prezzo di copertina: 14,50 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Profumi, giochi e cuori infranti

mercoledì 5 dicembre 2012

Due titoli, un solo libro: ma perché? #12 Speciale: La libreria segreta della Lettrice Rampante

Ho deciso che la puntata di oggi di questa rubrica avrà protagonisti alcuni libri che sono accomunati non dallo stesso autore o dalla stessa casa editrice, ma dalla presenza della parola "segreto" (in tutte le sue forme e declinazioni) all'interno del titolo. Ho deciso però di limitare l'elenco a quelli presenti nella mia libreria, un po' perché altrimenti verrebbe un post lunghissimo, un po' perché mi sono resa conto che ne ho molti di più di quanto pensassi, sebbene fossi convinta del contrario.

Oltre al già citato "Gli ingredienti segreti dell'amore" di Nicolas Barreau (che se fosse stato tradotto letteralmente avrebbe dovuto essere "Il sorriso delle donne") sono ben quattro i libri che possiedo che contengono questa parola nel titolo e che seguono il solito schema SOGGETTO-AGGETTIVO-COMPLEMENTO DI SPECIFICAZIONE (a volte semplicemente invertiti). Per carità, cinque in una libreria che ne contiene molti non è tantissimo, però fa comunque un certo effetto.

Seguirò un ordine preciso, che non è dato dalla data di pubblicazione o dalla casa editrice, ma dal titolo stesso e dal grado di cambiamento che ha subito rispetto all'originale. 

Il primo caso è quello di VIOLETAS PARA OLIVIA ovvero IL SEGRETO DELLE VIOLE ANDALUSE di Julia Montejo


Uscito in Spagna nel 2011 e tradotto in italiano l'anno successivo da Federica Niola per Mondadori, il libro è una saga familiare al femminile ambientata in Spagna. Non un capolavoro ma molto piacevole da leggere.
Devo ammettere che lo avevo comprato per la copertina, che trovo molto bella, senza saper nulla della trama. Come si può vedere l'unico elemento in comune tra titolo originale e titolo tradotto sono le "viole" ("violetas" in spagnolo), il resto è stato completamente stravolto. La traduzione letterale sarebbe "Viole per Olivia", dove Olivia è una delle protagoniste del libro. La versione italiana sceglie di aggiungere un bel "segreto" (anche se effettivamente un segreto nel romanzo c'è davvero) e aggiungere un complemento di specificazione in cui indica il nome dei fiori e la provenienza... per mettere in chiaro fin da subito che è ambientato in Spagna.
Ma era così terribile una traduzione letterale?

Dopo questo, in cui si ha un cambiamento praticamente totale rispetto all'originale, ci sono altri due casi in cui  la parola "segreti" (in forma di sostantivo in un caso e di aggettivo in un altro) è stata inserita al posto di un'altra, presente nel titolo originale.

Iniziamo da "Segreto" come sostantivo, parlando di "THE TERRIBLE PRIVACY OF MAXWELL SIM" ovvero "I TERRIBILI SEGRETI DI MAXWELL SIM" di Jonathan Coe


Pubblicato in lingua originale nel 2010 e in traduzione in Italia con la traduzione di Delfina Vezzoli per Feltrinelli nel 2011, è l'ultimo romanzo finora pubblicato di Jonathan Coe. Non so se vi ho mai detto quanto io ami questo autore. Ho letto tutti i suoi romanzi e sono follemente innamorata dei suoi personaggi, delle sue trame e del suo incredibile modo di scrivere (e un pochino anche di lui, lo ammetto, perché l'ho incontrato dal vivo ed è una persona davvero squisita). Questo è un po' diverso dai suoi romanzi precedenti e probabilmente se il primo approccio verso questo autore avvenisse con questa opera, non si riuscirà ad apprezzarlo al meglio. A me è piaciuto, però non è all'altezza de "La casa del sonno" (il suo capolavoro) o di "La pioggia prima che cada".
Il titolo tradotto è in realtà molto simile all'originale, se non fosse per la scelta di rendere "privacy" con "segreti". In realtà, mi rendo perfettamente conto che titoli come "La terribile privacy di Maxwell Sim" o "La terribile vita privata di Maxwell Sim" non sarebbero suonati tanto bene nella nostra lingua e quindi si è scelta una parola che avesse più o meno lo stesso significato di "privacy".

L'altro caso è quello di "THE SCHOOL OF ESSENTIAL INGREDIENTS" ovvero "LA SCUOLA DEGLI INGREDIENTI SEGRETI" di Erica Baurmeister


Io amo molto i romanzi che parlano di cibo (ok, amo molto il cibo in generale) e quindi non mi sono lasciata scappare nemmeno questo. Di nuovo, non si tratta di un capolavoro ma è stato divertente da leggere. Il romanzo è uscito in lingua originale nel 2009 e tradotto in italiano da Sara Carraffini per Garzanti lo stesso anno. In questo caso, si è scelto, per qualche inspiegabile ragione, di cambiare l'aggettivo: "essential" (che letteralmente significa proprio "essenziale") è diventato segreti... cioè questi ingredienti sono fondamentali ma noi non ve li diciamo...
Onestamente fatico a capire il perché di questo cambiamento, se non il solito discorso di moda, da cui la Garzanti si lascia moooolto spesso condizionare.

Anche l'ultimo libro di cui vi parlo è di questa casa editrice e si tratta del caso editoriale dell'anno passato. THE LANGUAGE OF FLOWER ovvero IL LINGUAGGIO SEGRETO DEI FIORI di Vanessa Diffenbaugh


Questo libro, uscito ad Aprile del 2011 in lingua originale e il mese successivo in italiano con la traduzione di Alba Mantovani, ha come particolarità (nella versione italiana prima, ma adesso anche in inglese) la possibilità di scegliere la copertina. Diversi fiori, ognuno con un significato diverso. A me è stata regalata la versione con la rosa, ovvero grazia ed eleganza, più un auspicio che non una descrizione della mia personalità...
In questo caso, si è scelto di introdurre l'aggettivo "segreto" così di punto in bianco, senza che ce ne fosse, a mio avviso, alcuna necessità. Anche perché che i fiori abbiano un significato è una cosa più che risaputa. Certo, io non me ne intendo e non mi sono mai nemmeno posta il problema di cosa potesse significare una margherita piuttosto che un papavero, però penso che sia sufficiente cercare su internet per trovare qualunque spiegazione si stia cercando. Però evidentemente "Il linguaggio dei fiori" non era considerato un titolo abbastanza accattivante, e il rischio di scambiarlo per un manuale di giardinaggio era molto alto... e cosa c'è di meglio della parola "segreto" per risolvere tutti i problemi?

Ho spulciato ancora un po' nella mia libreria ma non ho trovato altri titoli "segreti di qualcosa", ma direi che cinque sono già più che sufficienti.
E voi? Quanti libri "segreti" avete in casa? 

lunedì 3 dicembre 2012

L'IMPREVEDIBILE VIAGGIO DI HAROLD FRY - Rachel Joyce

Quando viene a sapere che una sua vecchia amica sta morendo in un paesino ai confini con la Scozia, Harold Fry, tranquillo pensionato inglese, esce di casa per spedirle una lettera. E invece, arrivato alla prima buca, spinto da un impulso improvviso, comincia a camminare. Forse perché ha con la sua amica un antico debito di riconoscenza, forse perché ultimamente la vita non è stata gentile con lui e con sua moglie Maureen, Harold cammina e cammina, incurante della stanchezza e delle scarpe troppo leggere. Ha deciso: finché lui camminerà, la sua amica continuerà a vivere. Inizia così per Harold un imprevedibile viaggio dal sud al nord dell'Inghilterra, ma anche dentro se stesso: mille chilometri di cammino e di incontri con tante persone, che Harold illuminerà con la sua saggezza e la forza del suo ottimismo. Harold Fry è - a suo modo - un eroe inconsapevole, proprio come Forrest Gump: un uomo speciale capace di insegnarci a credere che tutto è possibile, se lo vogliamo davvero.

Avete presente i giorni prima di un evento importante? Quando si accumulano ansie e aspettative, e da un lato non si vede l'ora che arrivi il giorno X mentre dall'altro ci si gode, seppur forse inconsciamente, quell'attesa che tende a rendere un evento speciale ancor più speciale. Ecco, questa è più o meno l'emozione che mi ha suscitato "L'imprevedibile viaggio di Harold Fry". Volevo leggerlo dal primo momento in cui l'ho visto sullo scaffale delle novità in libreria. Ho provato invano a vincerlo in un simpatico concorso organizzato dalla casa editrice Sperling & Kupfer su Facebook. L'ho preso in mano, riposato, ripreso in mano, riposato almeno una decina di volte un pomeriggio in un centro commerciale, combattuta tra la mia incredibile voglia di leggerlo e la mia tirchieria acuta (per me, spendere più di 15 € per un libro è un po' un furto, anche se la storia li valesse veramente). E poi alla fine il mio ragazzo, un po' impietosito e un po' (tanto) stanco dei miei conflitti interiori me l'ha regalato.
Le prime pagine sono state difficili. Non perché il libro non sia scritto bene, sia chiaro, ma semplicemente perché le aspettative, oltre a rendere più grande un evento, a volte hanno il terribile vizio di tentare di rovinarlo, per la paura di essere disattese. E se avessi atteso tanto per un libro che alla fine non valeva pena?
Poi però a un certo punto Harold mi ha presa per mano e mi sono lasciata andare, anzi, accompagnare tra le sue pagine e il suo viaggio, per poi riuscire a staccarmene solo alla fine, con estrema riluttanza e solo perché è stato lui stesso a chiedermelo.

Harlod Fry è un tranquillo pensionato che vive con la moglie Maureen in una cittadina nel sud dell'Inghilterra. Il rapporto con la donna non è dei migliori ormai da molti anni a causa di alcuni avvenimenti del passato che la donna non riesce a perdonare all'uomo. Una mattina Harold riceve una lettera: Queenie, una sua vecchia collega di lavoro licenziata in tronco dall'azienda tanti anni prima, sta morendo di cancro in una casa di cura ai confini con la Scozia, e gli ha scritto per congedarsi. Questa notizia turba molto l'uomo che, uscendo di casa per andare a spedire un'insulsa lettera di risposta, inizia a camminare e si rende subito conto di quale sarà la sua meta. Deve andare dalla donna, convinto che finché lui camminerà lei vivrà e che una volta giunto a destinazione lei sarà completamente guarita. Poco importa se non indossa gli abiti e le scarpe adatte, se non ha avvisato nessuno prima di partire e se tra la sua città e quella della donna ci sono circa 1000 km.  E' una cosa che sente di dover fare. Lungo il cammino incontrerà tante persone diverse tra loro, che in un modo o nell'altro cercano di aiutarlo nel portare a termine il suo viaggio: chi con del cibo, chi con un riparo, chi offrendogli dei cerotti, chi semplicemente raccontandogli una storia, per fargli capire che per quanto assurdo sia quello che sta facendo, le persone sono con lui. Certo, incontrerà anche qualche disadattato, qualcuno che deciderà di seguirlo nel suo viaggio per poi vendere la storia a giornali e televisioni, arrivando addirittura a cercare di prendere il suo posto. Ma Harold continua imperterrito. Anche quando non ce la fa più, anche quando vorrebbe solo tornare a casa, riabbracciare sua moglie, che a poco a poco si è resa conto di quanto male si sono fatti negli ultimi anni e di quanto lei sia stata ingiusta, e suo figlio. 
Ma poi alla fine arriva alla meta. E succede l'unica cosa che può succedere.

E' un libro incantevole, pervaso da una nota di buonismo reale, mai eccessivo o sopra le righe, che davvero si può incontrare tra le persone. Il personaggio di Harold Fry è assolutamente ben riuscito, dolce, garbato, gentile e desideroso di riparare un torto compiuto nel passato, per cercare così di far fronte a tutto il dolore degli ultimi anni. E' impossibile non affezionarsi, non provare tenerezza, simpatia e non ritrovarsi a sperare che davvero ce la faccia, che non si arrenda e che alla fine del viaggio possa ritrovare la serenità che in tutti questi anni lo ha abbandonato.

La trama è costruita davvero bene: attorno al viaggio di Fry ruota tutto il resto. Il rapporto con la moglie e con il passato, e la presa di coscienza di quest'ultima su quanto ami quell'uomo sebbene negli ultimi anni non gliel'abbia mai dimostrato. Le difficoltà nel crescere i figli e il senso di impotenza quando si fallisce. Una velata critica alla società della tv e delle persone che si approfittano dell'uomo per i propri scopi personali, snaturando un po' il senso del viaggio. E il finale che ti insegna ad andare avanti, un passo dopo l'altro, per quanto male facciano i piedi, per quanto il dolore sia una tortura, perché ci sarà sempre qualcuno che ti aspetta, che ti tende la mano o che ritorna dopo essersi perso per strada.

Credo sia inutile dire che è stato decisamente all'altezza delle mie aspettative... merita davvero!

Nota alla traduzione: c'è qualche calco, ma a parte questo direi ben fatta!

Titolo: L'imprevedibile viaggio di Harold Fry
Autore: Rachel Joyce
Traduttore: M Bartocci, C. Brovelli
Pagine: 310
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Sperling & Kupfer
ISBN: 978-8820052706
Prezzo di copertina: 17,90 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: L'imprevedibile viaggio di Harold Fry

domenica 2 dicembre 2012

Sul comodino #11

E' passato qualche tempo dell'ultima volta in cui qualche libro nuovo è approdato sul mio comodino. O meglio, in realtà qualche giorno fa mi hanno regalato "L'incredibile viaggio di Harold Fry" di Rachel Joyce, ma la superficie del comodino non l'ha mai toccata, talmente ero ansiosa di leggerlo.

Ma poi ieri, dopo parecchi mesi, sono tornata in biblioteca. Quanto amo quel posto! Sia perché credo che quella di Ivrea, dove solitamente mi rifornisco io, sia strapiena di libri, sia perché è una di quelle biblioteche in cui sei direttamente tu che vai a cercare il libro che vuoi. E quindi puoi girare, spulciare, curiosare e perderti tra quelle stanze e quegli scaffali (effettivamente ieri ci siamo persi veramente, cercando uno scaffale che alla fine non abbiamo trovato), e a volte ti ritrovi a parlare con uno dei bibliotecari desideroso di consigliarti o sconsigliarti qualcosa da leggere (questo ieri non mi è successo però, ma perché ero in compagnia... una volta in cui sono andata da sola a un certo questo signore, dopo aver visto che ero nel reparto "letteratura sudamericana" ha iniziato a parlarmi in spagnolo e siamo andati avanti più di un'ora).
Mi rendo conto che per chi mi accompagna possa essere una vera tortura: parto magari con una lista di libri che vorrei assolutamente prendere e poi esco con dei volumi che su quella lista non c'erano. Oppure sono assolutamente priva di metodo durante la ricerca, preferisco girare e girare e girare, e chi è con me tende a spazientirsi. Il mio ex ragazzo mi ci mandava sempre da sola, perché si annoiava. Quello attuale, invece, mi accompagna ogni volta perché, anche se si arrabbia sempre perché non riesce a leggere la mia calligrafia nella lista dei libri che vorrei prendere, o non riesce a capire che cosa stia cercando in quel preciso momento ("ma non stavamo cercando l'altro??"), si diverte quanto me là dentro. Prende la ricerca dei libri come una sfida personale ("Dai chiediamo" - "Assolutamente no, piuttosto non lo prendi"), e soprattutto ha scoperto che c'è un settore fumetti davvero ben fornito.

Tornando a noi. Ieri ero partita con una lista di nove libri. Non era mia intenzione prenderli tutti eh, anche perché si ha un mese di tempo per leggerli ed essendoci di mezzo il Natale (e quindi, altri libri in regalo) non ci sarei mai riuscita. Però ho pensato: "qualcuno magari è in prestito" "qualcun altro magari non ce l'hanno proprio", quindi meglio partire con un elenco più lungo. E alla fine sono uscita con questi quattro:


UNA BANDA DI IDIOTI - John Kennedy Toole: non conoscevo questo libro finché non ho letto la recensione su un blog che amo molto e di cui, almeno per quanto riguarda i romanzi di questo genere, mi fido ciecamente (La Leggivendola, non commuoverti adesso eh?). Ho quindi deciso di controllare se ci fosse in biblioteca e di prenderlo. Si tratta di un'edizione un po' più vecchia rispetto a quella di oggi (ha ancora il prezzo in lire!!), ma l'unica differenza è nella prefazione che ora è di Stefano Benni. Ma poco male direi.

IL DIO DELLE PICCOLE COSE - Arundhati Roy: ho questo libro in wish list da talmente tanto tempo che ieri, mentre scrivevo la lista dei volumi da cercare, non mi ricordavo né quale fosse la trama né perché ce lo avessi messo. Ma non sono andata a ricontrollare, ho deciso di prenderlo a scatola chiusa. D'altronde se lo avevo inserito in una lista dei libri che vorrei qualche motivo ci sarà stato.

PROFUMI, GIOCHI E CUORI INFRANTI - Joanne Harris: avevo voglia di leggere un libro della Harris. E per qualche strano motivo da questo mi ero sempre tenuta lontana, al punto che non sapevo nemmeno si trattasse di una raccolta di racconti. Poi il blog che vi dicevo sopra è impazzito per la Harris (in senso buono... e anche per causa mia) e tra le varie letture c'era anche questo. E quindi mi sono decisa a dargli una possibilità.

PADDY CLARKE AH AH AH! - Roddy Doyle: questo romanzo non era nella lista ma, mentre mi perdevo cercandone un altro, ha fatto capolino da uno scaffale. Ne avevo già sentito parlare e il titolo mi aveva sempre ispirato parecchio... insomma, l'ho preso come un segno del destino.

Ovviamente dopo la biblioteca siamo andati in tisaneria: te pesca e vaniglia e torta cocco e Nutella io, te speziato e torta nocciola e arancia per il lettore rampante. Un gran bel pomeriggio!

venerdì 30 novembre 2012

EL TIEMPO MIENTRAS TANTO (La vita, intanto) - Carmen Amoraga



Molte donne sognano una vita da romanzo: c'è chi si sposa pur continuando a rimpiangere un grande amore di gioventù e vive nell'attesa di rincontrarlo, un giorno, girato l'angolo; c'è la bambina che cresce con la speranza che il vicino di casa prima o poi si accorga di lei; o la ragazza convinta che un innamorato da oltreoceano tornerà a riscattarla. Questo è il romanzo di Maria José, vittima di un grave incidente proprio quando aveva ripreso il controllo della sua vita. E il romanzo di sua madre, Pilar, così simile a lei, senza saperlo, e come lei schiava di un'illusione d'amore. Ma è anche la storia di un'amica e di un padre, di amanti e di mariti: persone unite da legami di varia natura, ma che l'incapacità di comunicare e l'abitudine hanno reso estranee le une alle altre. Ora, riunite intorno al letto d'ospedale in cui Maria José giace in coma, saranno costrette a rivedere i loro rapporti, e la vicinanza quotidiana con la morte le spingerà a ritrovare il senso della propria esistenza. Come se il sonno di Maria José le spronasse al risveglio. Come se il rischio di perderla le esortasse a riprendere in mano la vita. Un romanzo corale che parla di seconde chance e dell'amore in tutte le sue dimensioni; un romanzo sulla vita e, come la vita, dolceamaro, sofferto, intenso. Ma con quell'ironia che, sopra ogni cosa, può salvare.


Recensire questo romanzo mi mette un po' in difficoltà. No, non è di quei soliti romanzi su cui non si sa bene cosa dire, che non si riesce a capire se ci sono piaciuti o meno, o che sono troppo belli o troppo brutti per poterne parlare. Niente di tutto questo. Il problema è che non so come parlarne. Potrei limitarmi a recensirlo, scrivendo della trama, dei suoi protagonisti, della particolarità dello stile della donna e della sua bravura, e verrebbe fuori una recensione positiva, di un libro che si legge bene, che ti tiene incollato alle sue pagine e ti spinge a provare simpatia o antipatia per ognuno dei protagonisti.

La storia è quella di Maria José, costretta su un letto d'ospedale, in uno stato vegetativo da cui mai più si sveglierà, e di tutti i personaggi che ruotano attorno al suo letto, di cui viene raccontato un pezzo di vita. C'è la madre, Pilar, una donna dura, delusa dalla vita, che si trascina dietro da anni la profonda cicatrice di una delusione amorosa di quelle che non si riescono a dimenticare. Un'amarezza, la sua, che ha sfogato contro la figlia, contro il marito, contro chiunque volesse avvicinarla, tutto per colpa di Fermín, che è partito in cerca di fortuna e non è mai tornato a prenderla, se non quando ormai era troppo tardi. C'è il padre, Paco, che ha sempre saputo che sua moglie non lo amava ma che ha comunque cercato di darle tutto quello che poteva, rinunciando a vivere lui stesso, almeno fino a che non è nata la figlia, sua ragione di vite. C'è Marga, migliore amica di Maria José fin dai tempi dell'asilo, un'amicizia di quelle destinate a durare per sempre e che solo il destino, o un'auto che invade la corsia opposta, possono troncare. C'è Joaquín, l'ex marito, amante della bella vita e delle donne, che ha usato Maria José per non rimanere da solo e che non si è accorto di quanto l'amasse finché non l'ha persa. E poi ci sono le persone del presente, quelle conosciute nell'ospedale in cui la donna si sta a poco a poco spegnendo: l'infermiera cubana Cleopatra, che fa mille lavori con la speranza di poter portare in Spagna anche la figlia rimasta in patria e che si dispera per un amore da cui, anche lei, di nuovo, è rimasta fregata. C'è Goumba, un giovane senegalese, paralizzato dal collo in giù, che si trova lì, da solo, che vorrebbe tanto sua madre lo raggiungesse e che viene in qualche modo adottato dalla famiglia di Maria José. Tutti questi personaggi che ruotano intono a quel letto, raccontando la loro storia e le loro amarezze e riuscendo a poco a poco a riprendere coscienza di sé stessi e della propria vita.
Un libro intenso, che una volta iniziato non si riesce a mettere giù, scritto molto bene (e molto, molto, meno insulso di quello che la copertina italiana lascerebbe intendere!) che parla di un argomento di cui non è facile riuscire a scrivere senza cadere nella banalità.


Questo è quello che verrebbe fuori se mi limitassi a recensirlo, a parlare solo ed esclusivamente del libro, cercando di tener lontani tutti i pensieri e i ricordi che ha riportato a galla. Ricordi e pensieri che in realtà sono sempre lì, nella mia mente, e che non se ne andranno mai. Perché so cosa significa stare vicino a una persona che ormai c'è solo più fisicamente. So quanto ci si senta insulsi, impotenti, disperati nel vederlo così e non poter fare niente. So quale incredibile legame si crea con gli infermieri, ma soprattutto con gli altri famigliari delle persone in quello stato, sconosciuti che si ritrovano a convivere in una stanza d'ospedale e a condividere il proprio dolore, ma anche quei pochi, pochissimi momenti di speranza che ci possono essere lì dentro. Una smorfia che potrebbe anche essere un sorriso, una frase sussurrata che forse in realtà non è neanche stata detta ma che è la nostra mente che vorrebbe a tutti i costi sentire, quel silenzio di rispetto che si crea quando magari tu decidi di leggere qualcosa per quel qualcuno che lì, davanti a te, ma che in realtà non sai bene dove sia. 
E poi c'è quella speranza (che in realtà nel libro manca) che non ti abbandona mai, anche se sai che è assurda, anche quando non ne puoi più. E che nella maggior parte dei casi a un certo punto, dopo giorni, mesi, anni, si infrange. E ti senti triste anche se sapevi che sarebbe successo, e sollevato perché finisce una tortura, per te, ma anche e soprattutto per chi è su quel letto. E ti rendo poi conto, in quel momento, che davvero la vita intanto è andata avanti, anche se a te sembra di esserti fermato.

Forse avrei dovuto limitarmi a parlare del romanzo, ma non sarebbe stata la stessa cosa. E poi alla fine la lettura è anche questo, no? Anche il romanzo più insulso (non è questo il caso, sia chiaro), può scavare nella nostra vita, entrarci dentro e suscitare ogni volta un'emozione, triste o allegra, in base anche al nostro passato, facendoci piangere, facendoci ridere, facendoci ricordare ma aiutandoci anche ad andare avanti... e forse è per questo che la amo così tanto.


Titolo: El tiempo mientras tanto - La vita, intanto
Autore: Carmen Amoraga
Traduttore: G Calabrese
Pagine: 305
Anno di pubblicazione: in Spagna 2011, in Italia 2012
Editore: in Spagna Planeta Editorial, in Italia Piemme
ISBN italiano :978-8856622393
Prezzo di copertina: in Spagna 8,95€, in Italia 15,50 €
Acquista su Amazon:
In Italiano: formato brossura: La vita, intanto
formato kindle: La vita, intanto

mercoledì 28 novembre 2012

DUE TITOLI, UN SOLO LIBRO: ma perché? #11

Ed è di nuovo mercoledì e quindi si parla di nuovo di titoli originali e delle loro traduzioni. E anche questa volta  ho deciso un po' all'ultimo chi sarebbe stato il protagonista di questa puntata. Avevo in mente due o tre libri che avrei potuto confrontare e la decisione finale non è stata semplice.

Ma alla fine ho deciso. E di nuovo si tratta di un romanzo semplicemente stupendo, il cui titolo nel passaggio in italiano ha subito un cambiamento particolare, che faccio fatica a spiegarmi.

Sto parlando del romanzo dell'autore australiano Markus Zusak THE BOOK THIEF ovvero LA BAMBINA CHE SALVAVA I LIBRI


Uscito in lingua originale nel 2006, questo romanzo è stato tradotto in italiano da G.M. Giughese per la casa editrice Frassinelli l'anno successivo, nel 2007.

Il romanzo è ambientato ai tempi del nazismo e della seconda guerra mondiale e la protagonista Liesel, una bambina che viene affidata dalla madre a una famiglia di tedeschi sperando così che possa sfuggire alle persecuzioni. Una bambina che ama tantissimo i libri, al punto di rubarli al posto del cibo, e che riuscirà proprio grazie ad essi a sopravvivere agli orrori dell'epoca in cui vive. E poi, quando capirete chi è la voce narrante rimarrete davvero stupiti!

La traduzione letterale del titolo originale è "La ladra di libri" (perché la protagonista è femminile ovviamente), e come mai si sia scelto di cambiarlo in "La bambina che salvava i libri" è difficile da comprendere. La prima cosa che si nota è che nel titolo italiano c'è la solita struttura della frase che tanto va di moda ultimamente ("La bambina che...", "La ragazza che...", "La donna che..."), di cui forse però questo libro è stato precursore (ricordiamo che è uscito nel 2007 e che la moda dei titoli tutti identici è invece più recente). Quello che però mi aveva sorpreso di più quando l'avevo letto è stato il passaggio da "ladra" a "salvatrice" di libri... certo, siamo nell'epoca del nazismo e sappiamo bene che bruciare i libri era uno dei loro passatempi, ed effettivamente la protagonista stessa riesce a recuperarne uno da un rogo, ma altri li ruba davvero.  E soprattutto non riesco a capire perché non sia semplicemente stato tradotto l'originale: sarebbe suonato bene anche in italiano, avrebbe rispettato perfettamente il senso del libro e non sarebbe caduto in quell'odiosa struttura di cui sopra. 

Devo però ammettere che invece, per quanto riguarda la copertina, la scelta italiana è molto più poetica ed evocativa rispetto a quella originale.

Che dite?

lunedì 26 novembre 2012

LE CORREZIONI - Jonathan Franzen

Enid e Alfred Lambert, in una città del Midwest americano, trascinano le giornate accumulando oggetti, ricordi, delusioni e frustrazioni del loro matrimonio: l'uno in preda ai sintomi di un Parkinson che preferisce ignorare, l'altra con il desiderio, ormai diventato scopo di vita, di radunare per un «ultimo» Natale i tre figli allevati secondo le regole e i valori dell'America del dopoguerra, attenti a «correggere» ogni deviazione dal «giusto». Ma i figli se ne sono andati sulla costa: Gary, dirigente di banca, vittima di una depressione strisciante e di una moglie infantile; Chip che ha perso il posto all'università per «comportamento sessuale scorretto»; infine Denise, chef di successo che conduce una vita privata discutibile secondo i Lambert.

Ci sono dei libri a cui per qualche motivo hai paura di avvicinarti, che tieni lì, sul comodino, per mesi, aspettando che sia il momento giusto, senza sapere quando e se arriverà. Quei libri che appena ti decidi a leggere, ti senti un'idiota per aver aspettato tanto. Quei libri che ti tengono sveglia la notte. Quei libri da cui non riesce assolutamente a staccarti, che ti isolano completamente dal mondo, al punto che non ti accorgi più se fuori piove o c'è il sole, se il caffè sta salendo, se l'acqua sta bollendo o se sono due ore che il cellulare suona senza che tu risponda. 
"Le correzioni" di Jonathan Franzen è tutte queste cose messe insieme. L'ho comprato a luglio, l'ho lasciato lì a prendere polvere fino alla settimana scorsa, convinta che avrei avuto delle difficoltà a leggerlo e che se non fosse stato il momento perfetto non sarei riuscita a portarlo avanti e ad appassionarmi. Non so bene da cosa derivassero tutti questi timori, forse da qualche recensione letta in giro, forse dal fatto che in tanti mi parlassero di questo libro come qualcosa di incredibile e meraviglioso e questo mi incuteva parecchio timore. So solo che erano assolutamente infondati e che ho aspettato tanto, troppo, per leggere forse uno dei libri più belli di quest'anno.

Franzen ci porta all'interno di una famiglia americana che da fuori potrebbe sembrare quasi normale ma che in realtà nasconde al suo interno tanti problemi, tante difficoltà, che sono poi le difficoltà che tutti possono avere, sebbene si cerchi sempre di ignorarle.
Enid e Alfred sono sposati da tanti anni. Il loro è un matrimonio strano, in cui la donna è sempre stata succube del marito, ingegnere per le ferrovie statali che però non è mai riuscito a fare carriera, aggrappandosi a dei principi che lo hanno lasciato indietro rispetto a tutti gli altri. Ora l'uomo è malato, Parkinson e Alzheimer che gli hanno fatto perdere tutta l'autorità che aveva verso la moglie. E lei, Enid, fa finta nulla, si nasconde dietro alle apparenze, per non dare a vedere agli altri i problemi della sua famiglia modello. E poi ci sono i tre figli, ormai lontani da casa e che trovano insopportabile l'idea della madre di riunirsi tutti insieme per un ultimo Natale nella casa di famiglia. C'è Gary, il figlio più grande, sposato con tre figli e sull'orlo della depressione a causa di un matrimonio che è perfetto solo se non si parla dei suoi genitori. Lui è il fratello più pratico, quello che vorrebbe avere il controllo di tutto: vendere la casa dei genitori, trasferirli in una casa di riposo, ritornare alla sua vita senza problemi.
In mezzo c'è Chipper, ex insegnante di comunicazione visiva che è stato licenziato dalla scuola in cui lavorava per aver avuto una relazione con un'alunna, e che ora vive con i prestiti della sorella, sognando di sfondare nel mondo del cinema come sceneggiatore, finchè non si imbarca in un'avventura illegale in Lituania, facendo soldi ingannando gli investitori americani. E poi c'è la più piccola, Denise, cuoco di talento ma dalla vita sentimentale travagliata e discutibile secondo i canoni della madre. Dei tre è quella che sembra più sicura di sé, anche se ancora non ha capito chi è e cosa vuole da se stessa.
Tutti e tre cercano di tenersi il più lontano possibile dai genitori, con cui non riescono ad avere un rapporto onesto: la madre critica troppo la figlia ed è troppo ossessionata dalle apparenze e dai canoni dell'società americana, il padre sfrutta troppo la madre senza considerare mai le sue esigenze e non sopporta che gli dicano cosa deve fare anche se per il suo bene. Così ritrovarsi tutti sotto lo stesso tetto un ultima volta diventa una tortura, fatta di frasi non dette e di episodi rinfacciati, di urla e sgridate, fino a che tutto il velo di apparenze crolla inesorabilmente.

La trama va avanti alternando episodi del presente a ricordi del passato, inseriti nella narrazione per delineare al meglio la vita di questa famiglia e di ogni personaggio, per capire cosa li ha portati ad essere quello che sono adesso. E Franzen gestisce tutto questo in modo davvero impeccabile, con uno stile scorrevole e mai noioso, in grado di disegnare un ritratto preciso,a volte ironico, altre doloroso, di una famiglia vissuta secondo i canoni prestabiliti di una società, dietro a imposizioni e "correzioni" che la madre cerca in ogni modo di trasmettere sui figli.
E' un libro incredibile, che una volta iniziato non si riesce a smettere di leggere. Consigliatissimo!

Nota alla traduzione: ben fatta direi!

Titolo: Le Correzioni
Autore: Jonathan Franzen
Traduttore: Silvia Peraschi
Pagine: 604
Anno di pubblicazione: 2005
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806174491
Prezzo di copertina: 14,50 €
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formato brossura: Le correzioni