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martedì 4 novembre 2014

STORIE DI GATTI - James Herriot

Una volta avevo un gatto rosso tigrato. Era arrivato a casa nostra in un giorno di dicembre di tredici anni fa, poco prima che in casa nostra si verificasse quell’evento tragico che poi avrebbe segnato, nei mesi e negli anni successivi fino a oggi, la vita di tutta la mia famiglia. Non so se avremmo affrontato quei primi mesi allo stesso modo, se non ci fosse stato lui.  Li avremmo superati, sicuramente, come si supera sempre tutto, ma avremmo solo ricordi brutti. Invece Miciu (inizialmente si chiamava Aristotele, ma poi abbiamo dovuto semplificare, che tanto non rispondeva in ogni caso) con la sua inconsapevole comicità, con il suo sguardo tenero e buffo, ci ha tenuto tutti un po’ su di morale. Certo, una volta ho dovuto salvarlo dall’annegamento nella vasca da bagno e un’altra volta mio fratello è dovuto quasi salire sul tetto perché lui era troppo piccolo per scendere da solo (a salire non hai avuto problemi però eh?). Però ecco, di lui serbiamo ancora tanti, tantissimi ricordi che non ci abbandoneranno mai. Tutti quelli che hanno o hanno avuto un gatto sanno benissimo quanto questi animaletti pelosi possano cambiare la vita di chi li accoglie in casa, se si è disposti a lasciarsi un po’ cambiare. E sanno quanto è triste quando poi se ne vanno.

Storie di Gatti di James Herriot racconta di alcuni gatti della campagna scozzese che ha conosciuto durante la sua professione di veterinario. Di gatti trovati per strada e poi adottati e di gatti che vanno al guinzaglio. Di gatti eroinomani e di gatti messi a scaldarsi nel forno per poter sopravvivere. Di gatti che vivono con mille altri gatti e di piccoli miracoli di Natale. Poche pagine per ogni racconto, eppure di un’intensità quasi incredibile per la loro semplicità.

Non è che si possa fare un riassunto della trama di questo libro. E’ davvero breve, ancor più se si considerano tutti gli anni di lavoro e di esperienza di James Herriot e si pensa a tutti i casi che ha potuto incontrare svolgendo la sua professione. 
Eppure, sebbene si legga in un paio d’ore, è davvero un piccolo gioiellino. Certo, dovete avere un debole per gli animali, per i gatti nello specifico ma per tutti in generale, per poterlo apprezzare al meglio. Se non vi piacciono, ammirerete forse le illustrazioni di Lesley Holmes (che sull’e-reader, ahimè, si perdono tantissimo), ma troverete il libro un po’ banale e difficilmente riuscirete a comprendere a pieno l’amore e la passione di Herriot.
Se invece avete o avete avuto un gatto, non potrete che ridere e commuovervi di fronte agli episodi raccontati. 

E non è assolutamente vero che i gatti sono animali egoisti e opportunisti. Se la pensate così forse, semplicemente, non ve li meritate.


Titolo: Storie di gatti
Autore: James Herriot
Traduttore:  Adriana Dell'Orto  -  Bruno Oddera  -  Marina Valente  -  Gioia Zannino Angiolillo
Pagine: 144
Editore: BUR
Acquista su Amazon:
formato brossura: Storie di gatti

venerdì 21 giugno 2013

LA MANOMISSIONE DELLE PAROLE - Gianrico Carofiglio

Sono qui che penso a come scrivere la recensione di questo libro senza andarci giù troppo pesante. E mi rendo conto che come inizio non sia poi un granché e che l'autore potrebbe un po' risentirne.  Eppure, ieri sera, quando ho chiuso definitivamente (e per fortuna?) La manomissione delle parole, sono stata invasa da un sentimento di sollievo misto a fastidio: sollievo, appunto, per averlo finito, e fastidio per aver sprecato il mio tempo così.

L'idea alla base di questo saggio, se così si può chiamare, è quella di fare un'analisi di come molte persone tendano a cambiare il vero senso delle parole, a manometterle, più o meno consapevolmente, per interpretarle a loro favore o influenzare chi sta loro accanto. Un saggio che nasce da un romanzo dell'avvocato Guerrieri, come l'autore stesso spiega all'inizio, che in una libreria notturna aveva trovato il suo libraio intento a leggere un libro, inesistente, sulla manomissione delle parole e sull'uso che ne viene fatto. L'idea quindi di scrivere davvero questo libro credo che sia geniale. Se non fosse che è stata sprecata e buttata via dall'autore in maniera frettolosa e con scarsa cura.
Il saggio è breve, troppo breve visto l'argomento che tratta. Tocca tante cose, sì, ma lo fa in modo troppo superficiale, mischiando citazioni, politica e opinioni più o meno personali dell'autore. Avrebbe dovuto approfondire tutto di più, sia per quanto riguarda il passato sia, soprattutto, per il presente e l'importanza delle parole (e della loro manomissione) nella politica di oggi. Non è il fatto che parli di politica (in modo molto schierato... ma riportando comunque fatti) ad avermi infastidito, anzi! Come la penso da quel punto di vista credo sia ormai risaputo e il fatto che anche Carofiglio la pensi come me non può che farmi piacere. E' il modo frettoloso in cui lo fa. Come se l'autore stesso non avesse ben chiaro come e quanto scrivere, come se si fosse voluto fermare prima di dire troppo. Perché? Perché hai sprecato così tutte le potenzialità che questo  libro poteva avere? Perché hai stabilito un filo logico, che parte dalla Vergogna, passa per la giustizia, la ribellione, la bellezza per arrivare alla scelta, e poi lo hai seguito solo in parte, lasciando in sospeso troppe cose?

Sono un po' amareggiata, lo ammetto. Una reazione forse un po' eccessiva per un libretto del genere, certo. Ma quando hai tante aspettative (e io, adorando questo autore, di aspettative ne avevo davvero tante), vederle deluse è proprio una brutta sensazione. Soprattutto quando c'era tutto il potenziale per scrivere qualcosa di bellissimo, qualcosa che andasse oltre il mero saggio sul potere delle parole (cosa che non è) e che fosse una vera e propria denuncia. 

L'opera si chiude con un altro piccolo saggio dell'autore dal titolo "Le parole nel diritto", in cui analizza come il linguaggio burocratico sia ostile, quasi criptico e non alla portata di tutti. Un argomento effettivamente interessante, a cui Carofiglio è direttamente interessato in quanto magistrato. Ma di nuovo, poche pagine e nulla più.

PS: vorrei fare i complimenti a Margherita Losacco e all'inteso lavoro di ricerca che ha sicuramente fatto (lo si vede dalla bibliografia) per permettere a Carofiglio di scrivere il libro. Io personalmente avrei messo in copertina anche il suo nome.

Titolo: La manomissione delle parole
Autore: Gianrico Carofiglio
Pagine: 190
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: BUR
ISBN: 978-8817052344
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: La manomissione delle parole

venerdì 22 febbraio 2013

QUESTO BACIO VADA AL MONDO INTERO - Colum McCann

1974. È un'estate torrida, di tradimenti e morti, Watergate e Vietnam. Un'estate di tormento e violenza. Poi, un mattino, New York si ferma incantata per osservare la passeggiata nel vuoto di un funambolo. Lieve e misterioso nel suo gioco di equilibrio, l'uomo ricama un sogno di purezza e speranza percorrendo una corda tesa a 110 metri dal suolo, fra le Torri Gemelle. Sotto di lui, in strada, la città trattiene il respiro e dimentica per un attimo le sue tragedie. Inizia così la storia poetica e convulsa di una manciata di newyorchesi - un monaco di strada che porta la sua missione fra le prostitute nel Bronx; una di loro, giovane e bellissima, che divide il marciapiede con la madre; un'artista corrosa dal rimorso ma decisa a ripulire la propria vita; madri in lutto e una nonna che non vuole arrendersi - le cui vite si sfiorano e si scontrano come biglie, sotto i grattacieli e nei sobborghi di una città dolente e umana. Una città che tiene ben nascosta la propria anima, sospesa come un equilibrista sul filo sottile tra il bene e il male. Un grande romanzo americano, crocevia di voci e destini che sanno aprire la porta alla speranza in un mondo abitato dal dolore.

Questo libro è semplicemente meraviglioso. Potrei girarci intorno, cercare parole su parole per descrivere quanto mi sia piaciuto, ma alla fine approderei sempre a quell'aggettivo lì: meraviglioso. Un libro che un po' ti prende a pugni e ti fa male e un po' ti accarezza e ti lascia sperare.

Ed è proprio la speranza ciò di cui hanno bisogno tutti i protagonisti, abitanti di una New York che ancora deve fare i conti con la guerra in Vietnam, con il razzismo, con la povertà, con la paura di vivere e di non riuscire a farlo, con la paura di giudicare e di venir giudicato, con la paura di amare e di non essere amati. 
E' una mattina del 1974. Una mattina che cambierà la vita a molti: qualcuno morirà, qualcun altro verrà arrestato, qualcuno perderà l'amore della sua vita dopo averlo appena trovato, qualcuno dovrà semplicemente continuare a vivere in quel sogno che una guerra a migliaia di kilometri di distanza ha infranto, qualcuno incomincerà la sua nuova vita proprio oggi. Oh sì, e c'è anche qualcuno che deciderà di tendere un cavo tra le Torri Gemelle e le attraverserà, una, due, dieci volte... dimostrando che nonostante la tristezza, nonostante i problemi, nonostante la paura e nonostante il destino che a volte sembra esserci avverso, si può sempre, SEMPRE, arrivare dall'altra parte del filo.

Non voglio farvi un riassunto della trama, né parlarvi dei personaggi. Non servirebbe a niente. Il bello di questo libro è dato anche dal non sapere cosa aspettarsi, dal non riuscire a capire cosa arriverà dopo: il funambolo cadrà? Le madri riusciranno a superare la morte in battaglia dei figli? Le figlie delle prostitute riusciranno a vivere in un mondo migliore? I neri potranno camminare liberi per le strade? L'amore, quello vero, quello che fa tanta paura, trionferà? Non ve lo dico. Non posso dirvelo. Non tanto perché vi rovinerei la "sorpresa", quanto perché vi toglierei il gusto di una vostra libera interpretazione, che sarà sicuramente diversa dalla mia o da quella di chiunque altro, perché questo libro è fatto perché ognuno ci veda quello che vuole: speranza o rassegnazione. Un po' come l'America oggi, che ancora sta ricercando una sua identità dopo la caduta di quelle due torri, che vive nella speranza ma anche nel dolore.

Colum McCann è davvero, davvero bravo con le parole. Bravo a creare poeticità anche nei momenti più squallidi, perché non è vero che una puttana ama meno di qualcun altro, e a trasmettere i sentimenti e le sensazioni di tutti i protagonisti come se fossero le nostre. Al punto che non esagero dicendo che, soffrendo io parecchio di vertigini, quando descriveva il funambolo lassù su quella corda, mi girava la testa. Come se ci fossi stata io là.

Insomma, un libro imperdibile, che dovete assolutamente leggere.

7 Agosto '74: Philippe Petit attraversa le Torri
"C’è chi pensa che l’amore sia la fine della strada, e che se si è abbastanza fortunati da trovarlo, ci si ferma li. Altri dicono che è come un burrone nel quale si precipita. Ma chiunque abbia vissuto almeno un po’ sa che muta con il passare dei giorni, e secondo l’energia che gli si dedica, lo si conserva o ci si aggrappa, oppure lo si perde, ma a volte capita che non sia nemmeno mai stato lì, fin dall’inizio."



Nota alla traduzione/edizione: mamma mia quanti refusi! 

Titolo: Questo bacio vada al mondo intero
Autore: Colum McCann
Traduttore: Marinella Magrì
Pagine: 451
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: BUR Rizzoli
ISBN: 978-8817061407
Prezzo di copertina: 11,90 €
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mercoledì 29 agosto 2012

IL PASSATO E' UNA TERRA STRANIERA - Gianrico Carofiglio

Giorgio, studente modello figlio di intellettuali borghesi, ha ventidue anni e una vita normale e un po' noiosa. Senza crepe, in apparenza. Francesco è torbido, misterioso e affascinante. E baro. Le loro vite viaggiano separate fino all'incontro che segnerà il destino di entrambi. I due diventano amici e passano da una partita di carte truccata all'altra, da una bravata all'altra, in un vortice ubriacante che a poco a poco diventa un'inarrestabile discesa agli inferi. In parallelo corre un'indagine dei carabinieri su una serie di misteriose violenze. Una storia struggente sull'amicizia e il tradimento. Un'avventura picaresca in una Bari segreta e allucinata.

Prima di scrivere una recensione su questo romanzo di Carofiglio sarebbe utile fare un po' di ricerche. E' un romanzo autobiografico? Lo è solo in parte? L'autore prende spunto dalla sua vita ma poi inventa una trama a sé stante?
La risposta a queste domande infatti è fondamentale per poter dare un'opinione sul libro.
Se fosse un romanzo autobiografico non potrei dire nulla, onde evitare una querela (mi scusi, signor Carofiglio, ma non ho saputo resistere... io amo molto i suoi romanzi e il suo stile, ma il suo aver querelato una persona per aver criticato un suo libro proprio non mi è andato). Se fosse solo in parte una storia vera sarebbe interessante capire quali parti sono realmente successe e quali sono invece frutto della fantasia dell'autore: la seduzione del poker? la crisi esistenziale che colpisce più o meno tutti durante la carriera universitaria? La cocaina e gli stupri? Il potere che un'altra persona può esercitare su di noi senza che possiamo fare nulla per impedirlo?

Se invece è una storia totalmente inventata con solo qualche spunto autobiografico, beh... ragazzi, che noia! La trama è scontata e prevedibile sia nel suo svolgersi sia nell'epilogo, e risulta quasi difficile credere che un ragazzo di 25 anni, con una certa cultura alle spalle, si lasci influenzare così tanto da un suo coetaneo, affabulatore e misterioso, certo, intelligente e affascinante, anche... ma con delle debolezze e delle incongruenze troppo evidenti per non essere notate.
Eppure il rapporto tra Giorgio e Francesco è così. Giorgio, studente modello di giurisprudenza, si lascia totalmente ammaliare e conquistare da Francesco al punto da andare completamente fuori di testa. Si inizia con il poker, che gli farà assaporare per la prima volta l'ebbrezza di avere tanti soldi, per arrivare poi a qualcosa di più grande, troppo grande da gestire.
Possibile che la morale del protagonista sia così facile da zittire e venga fuori solo alla fine? (e meno male che almeno lì è venuta fuori!!) Possibile che i soldi possano far passare in secondo piano cose più importanti e rendere accettabili cose che accettabili non sono? Il protagonista ha studiato, ha una casa, una famiglia, non è povero o ignorante. Eppure si lascia conquistare da una persona che non ricambia minimamente questa sua venerazione, che lo usa come se niente fosse.
Possibile che le debolezze umane possano trascinare le persone sempre più in basso, in un vortice da cui solo una botta (o tante, meritate, nel caso di Giorgio!) ci può fare uscire?

Beh, se è un romanzo autobiografico, la risposta direi che è sì.

Rispetto agli altri romanzi di Carofiglio, "Il passato è una terra straniera" mi è piaciuto meno. Lo stile dell'autore è sempre magnifico e impeccabile, capace di tenerti ancorato alle pagine senza possibilità di fuga (e non per niente l'ho iniziato e finito in poche ore). 
Eppure qualcosa mi ha lasciata perplessa. I personaggi, forse. Giorgio, troppo debole e incosciente. Francesco, troppo misterioso e inesplicabile. Il giovane tenente, la cui storia non si capisce molto cosa possa centrare con tutto il resto (seppur molto bella, eh!). Oppure la trama, perché non riesco a credere che quanto raccontato nel libro possa davvero succedere. O ancora, perché odio i bari (mi arrabbio sempre con il mio ragazzo e mio fratello quando, sempre in coppia insieme, imbrogliano contro me e mia mamma a briscola) e chi mente in generale, e tutto il romanzo si basa su menzogne e giustificazioni.

Non sto dicendo che il libro non merita di essere letto, anzi. Amo talmente tanto Carofiglio che di questo autore leggerei anche la lista della spesa. Però boh, forse inizierei dagli altri.

Comunque, alla fine mica sono riuscita a capire se è o meno autobiografico.


Titolo: Il passato è una terra straniera
Autore: Gianrico Carofiglio
Pagine: 297
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: BUR
ISBN:978-88-09-05657-2
Prezzo di copertina: 10€
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domenica 18 settembre 2011

APPUNTAMENTO A GLENMARA- Heather Barbieri

Kate Robinson lascia Seattle per una vacanza in Irlanda, ma in realtà sta scappando dal fallimento di un amore, della sua carriera da stilista, e soprattutto dal dolore per la perdita della madre. Quando una serie di incidenti di percorso la fanno approdare a Glenmara, un placido villaggio sulla costa occidentale irlandese, Kate non progetta di fermarsi. Ma l'ospitalità di Bernie Cullen, una donna del posto, sembra stregarla, e giorno dopo giorno Kate impara ad amare i ritmi di Glenmara, così diversi dalla sua solita vita, si affeziona a Bernie e al suo circolo del ricamo e insieme a loro mette in piedi un ambizioso atelier di biancheria intima. Poco per volta il dolore da cui stava fuggendo inizia a sbiadire...


Grazie al cielo l'estate sta finendo! Perché di leggere altri insulsi libri da spiaggia non ne ho proprio più voglia. Con questo credo di aver toccato il fondo, per cui piuttosto di leggere altri libri così mi dedico alle parole crociate.
Intendiamoci, questo libro non è poi più brutto di altri libri "leggeri" che ho letto quest'anno. Forse il problema è che ne ho letti troppi, mi sono detta troppe volte "massì, tanto è solo un libro da spiaggia, l'autrice lo fa apposta a non richiederci nessuno sforzo mentale" e quindi mi sono un po' assuefatta, e l'unica colpa di questo romanzo è quella di essere l'ultimo che ho letto in spiaggia.
Beh, forse ne ha anche un'altra. Ovvero quello di voler a tutti i costi riscuotere lo stesso successo di Chocolat della Harris, di cui risulta essere una copia quasi identica ma senza cioccolato.
Una ragazza viene lasciata dal fidanzato e decide di partire per un viaggio in Irlanda alla scoperta delle sue origini, un viaggio che avrebbe dovuto fare con sua madre se una malattia non l'avesse portata via. Finisce per caso a Glenmara, un paesino sperduto tra le colline, molto ancorato alle tradizioni popolari e dove il bigottismo la fa ancora da padrone. Lei, che nella vita è una sarta, conoscerà un gruppo di signore del paese, una specie di club del ricamo, e le aiuterà a riscoprire sé stesse e a riaccendere la passione nei rapporti con i loro mariti. Ovviamente conoscerà anche lei qualcuno, con un passato triste quanto il suo, e ovviamente si scontrerà con il prete bigotto che le dedicherà sermoni in chiesa come se fosse il demonio. Non so perché, ma questa storia mi sembra di averla già sentita.
In realtà il libro avrebbe anche del potenziale. Se non fosse che tutto è trattato in modo molto superficiale: il rapporto tra le varie amiche del club del ricamo, il passato di Kate e la sua integrazione nel piccolo paesino, il suo amore con Sullivan. A tutto viene dato molto meno spazio di quel che avrebbe bisogno, e questo rende il romanzo ancor più seccante.
Però bisogna ammettere che la copertina è bellissima...

Nota alla traduzione: pessimo lavoro di editing della pagina, con parecchie virgole mancanti, con punti dimenticati e a capo fantasiosi. E poi la frase "l'ancora ancora impigliata della nave" è veramente pessima (almeno l'accento per differenziarle potevano metterlo). Assolutamente da rivedere

mercoledì 27 luglio 2011

LETTERA A UN BAMBINO MAI NATO- Oriana Fallaci

Il libro è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente e lavora. Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà un sogno, l'amore una parola dal significato non chiaro.


Mi sono sempre tenuta il più possibile alla larga da questa autrice, giornalista. E la mia resistenza nei suoi confronti è dovuta soprattutto alle sue esternazioni pochi anni prima di morire, che l'hanno addirittura portata ad avere il sostegno del quotidiano Libero. Questo per me è stato sufficiente per non leggere mai niente di suo. Certo, non bisogna giudicare i libri da chi li ha scritti, ma di solito chi scrive nelle sue parole non esprimerà mai qualcosa di diverso da quello che in realtà pensa.
Però mi è stato prestato questo libro, da due "suoceri" entusiasti che me lo hanno praticamente messo in mano. E quindi oggi l'ho letto.
E sono perplessa. Forse per apprezzare al meglio questo libro bisognerebbe essere incinte, o esserlo già state, o averlo comunque in programma. Si tratta di un dialogo tra una madre, single, e il piccolo esserino che sta crescendo dentro di lei. La madre gli parla, cerca di insegnargli come va il mondo, di metterlo in guardia da tutto il male che incontrerà. E' una gravidanza difficile, che dopo pochi mesi la costringe a letto. Ma lei è una donna libera ed emancipata, che non può sacrificare la sua vita per la creatura che ha in corpo, ha altro da fare lei, e quindi decide di comportarsi come se il bambino non ci fosse. Finchè ovviamente non lo perde e si sente in colpa.
Questo libro mi ha fatto principalmente arrabbiare. Sono favorevole all'aborto, così come a chi anche nelle difficoltà non se la sente di farlo. Sono per la libera scelta, senza pregiudizi o condanne per chi sceglie l'una e l'altra strada. Ma se scegli una strada, la devi seguire fino in fondo. E la Fallaci invece è come se giustificasse la scelta della sua protagonista di lasciare che il bambino muoia se l'unico modo che ha per stare bene è che la madre sacrifichi nove mesi della sua vita e della sua carriera. No. Mi dispiace, ma questo non lo posso accettare.
Non mi è piaciuto. Non so se comunque per via dei pregiudizi o semplicemente perché io, se e quando mai avrò un figlio, non credo che gli dirò che il mondo fa schifo, che forse se se ne resta dentro è meglio, che c'è più dolore e sofferenza che gioia e felicità. Nemmeno io, come la protagonista, come la Fallaci, come nessuno su questa Terra credo, so bene che cosa sia l'amore. Ma esiste.

Continuerò a stare alla larga dalla Fallaci. Le ho dato una chance ma, almeno nel mio caso, è andata sprecata.

domenica 17 aprile 2011

RADICI- Alex Haley

Nella seconda metà del Settecento il giovane Kunta Kinte viene strappato dal suo villaggio africano e portato in America come schiavo. La sua vita cambierà, come quella dei suoi discendenti: Bell, Kizzy, Chicken George e tutti gli altri, fino a giungere ad Alex Haley, l'autore di queste pagine.

Leggere un libro come "Radici" richiede uno sforzo non indifferente. Vuoi per la traduzione, ancora oggi in commercio, di quasi quarant'anni fa, vuoi perché si tratta di una lunga saga famigliare che inizia in Africa nella prima metà del '700, attraversa l'oceano e arriva nel Nord America e nel secondo dopoguerra.
Ma se vi armate di un po' di coraggio e di tanta pazienza, questo romanzo alla fine vi piacerà parecchio. Parla di tradizioni secolari, parla della tratta degli schiavi africani e della loro vita nelle piantagioni del Nord America, dei loro rapporti con i padroni, della sofferenza e delle torture subite per ottenere la tanto agognata libertà.

Adoro le saghe famigliari, del passato e del presente. E sebbene a volte in questo romanzo sia facile confondersi tra i vari personaggi e i salti temporali siano a volte un po' troppo bruschi e rapidi, si tratta di un romanzo che merita di essere letto e che narra un periodo della storia dell'umanità che non dovrebbe essere dimenticato.
Un po' noioso il finale, in cui Alex Haley, autore nonchè discendente della famiglia del romanzo, racconta le sue peripezie per ottenere tutte queste informazioni. Ma merita comunque.

Nota alla traduzione: un cane che si morde la coda: non lo ritraduco perché non lo compra nessuno, non lo compra nessuno perché la traduzione fa schifo.