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giovedì 30 maggio 2013

LA BANDA DEGLI INVISIBILI - Fabio Bartolomei

Non riesco davvero a spiegarmi come sia possibile che io mi sia lasciata sfuggire per così tanto tempo un piccolo gioiello come questo. Non conoscevo nemmeno l'autore e probabilmente non l'avrei mai conosciuto se una delle mie blogger di fiducia non avesse parlato di questo libro in un suo post, in modo talmente tanto entusiasta e allo stesso tempo commovente, che avrebbe convinto chiunque a leggerlo (certo, il fatto che questi fantastici vecchini non provino esattamente simpatia per Berlusconi ha aiutato parecchio).

Fatto sta che ho comprato il libro quasi d'impulso, ho iniziato a leggerlo e l'ho divorato tutto d'un fiato. Ridendo, ma anche arrabbiandomi e versando qualche lacrimuccia nel finale.

Io non ho conosciuto i miei nonni, l'ultimo è mancato quando io ero troppo piccola. Di lui ho qualche ricordo fugace: la panna montata con il cacao, la maionese che faceva rigorosamente a mano seguendo un procedimento tutto suo, la marca di sigarette che fumava e quel disgustoso vizio di togliersi la dentiera che da bambina mi faceva tanto ridere. Per cui questo libro mi ha provocato anche un po' tristezza, pensando a chi i nonni invece ce li ha ma che fa di tutto per evitarli.
Perché qui si parla di anziani lasciati soli, praticamente da tutti: dallo stato, dai parenti, da chiunque li consideri troppo vecchi e inutili per avere un qualche scopo nella società. E loro, Angelo, Osvaldo, Filippo, Lauretta ed Ettore non ci stanno. E si riuniscono, si aiutano a vicenda, si ingegnano e si vendicano come possono con chi li tratta male.

Perché sono stati partigiani, loro. E nessuno può permettersi di dimenticarselo. Partigiani che hanno combattuto per liberare la patria e ora la vedono in mano di politici a cui di questa stessa patria non frega assolutamente niente. Sono anziani, certo. Ma hanno ancora tanto da dire e tanto da fare e non riescono ad accettare che il loro paese sia diventato quello che è diventato.

"Ho ricominciato a considerarmi semplicemente un ex partigiano. Perché un partigiano è un partigiano, non ne esistono di moderati, estremisti o centristi. Esistono soltanto quelli che per restituire la dignità al Paese erano disposti a tutto, quelli che anche se gli americani erano sbarcati e avrebbero potuto aspettare che facessero tutto da soli, hanno scelto di resistere. Volevamo chiarire al mondo intero che non tutti gli italiani  erano afflitti da quel ridicolo tic al braccio destro, che i più non provavano nessun desiderio di andare a spezzare le reni a chicchessia."
E quindi, tra della cacca inviata per posta per insegnare ai cittadini che i bisognini dei cani vanno puliti, una sfuriata alla centralinista della Telecom, un agguato notturno a un imbrattatore di muri e una lezione di Hully Gully, questi uomini si barcamenano nella vita di tutti i giorni, cercando di arrivare a fine mese, con una pensione misera e tanti sacrifici. Ah sì, tra una cosa e l'altra, progettano anche un rapimento, di colui che incarna tutte le sofferenze e le ingiustizie inflitte agli italiani. 

E' davvero un libro bello. Di quelli che ti fa sorridere ma che ti fa anche tanto riflettere: sulla vecchiaia, sulle difficoltà di chi viene lasciato solo, ma anche sulla forza dell'amicizia e, perché no, anche dell'amore, che è proprio vero che non ha età. Un punto di vista differente sull'Italia attuale, di quelle persone che vengono spesso lasciate indietro, quando in realtà avrebbero ancora tanto, tantissimo da dare. E' un inno all'amicizia, alla lotta contro le ingiustizie e un inno a sognare, sempre.

E' impossibile restare insensibili e indifferenti di fronte alla forza di volontà e alla capacità di vivere e sopravvivere di questo gruppo di amici. Anche quando non capiscono, anche quando il mondo va davvero troppo veloce per loro, di rimanere  indietro non ci pensano proprio.

Davvero bravo, Fabio Bartolomei. Bravo nel pensare una trama del genere, bravo nello scriverla immedesimandosi perfettamente in uno dei protagonisti e di svilupparla in questo modo, bravo a rappresentare ogni sfaccettatura di una realtà, purtroppo dai più sconosciuta, senza pietismi, senza giudizi. E con tanto affetto, tanto amore e tanta, tantissima verità.

E quindi posso concludere solo in un modo: dicendovi di leggere assolutamente questo bellissimo libro.
"Questo bisogna fare con la donna della propria vita, bisogna farla camminare, tenerla viva, alimentare la speranza che ci sia un posto in questo mondo nel quale la vecchiaia come lei l'ha sempre immaginata non esiste. E farle sentire che è lì che state andando, mano nella mano."

Titolo: La banda degli invisibili
Autore: Fabio Bartolomei
Pagine: 202
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: e/o
ISBN: 978-8866320838
Prezzo di copertina: 9,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:La banda degli invisibili

mercoledì 29 maggio 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #35

E' tutta la settimana che ho voglia di Spagna. Ascolto canzoni, guardo film, progetto vacanze future... e quindi inevitabilmente la scelta del libro di cui parlare questa settimana è ricaduta su un romanzo spagnolo. Che mi è anche stato suggerito da una fan, quando ho chiesto aiuto per questa rubrica... e quindi insomma, non potevo non parlarvene. Anche perché il cambio di titolo è notevole e ancora non sono sicura di riuscire a trovare una motivazione.

Sto parlando di EL TIEMPO ENTRE COSTURAS ovvero LA NOTTE HA CAMBIATO RUMORE di María Dueñas:


Uscito in lingua originale nel 2009, il romanzo è stato tradotto lo stesso anno in italiano per Mondadori da F. Niola. E' la storia di una donna, una giovane sarta madrileña, che scappa da Madrid poco prima del colpo di stato e dello scoppio della guerra civile, per inseguire l'amore di un impreditore di cui si è follemente innamorata. I due fuggono in Marocco, ma ben presto la donna scoprirà di essere stata ingannata. Dalla disperazione iniziale, la donna riesce a poco a poco a riscattarsi e risalire, grazie all'aiuto dei personaggi che incontra, alcuni realmente esistiti e che hanno svolto un ruolo fondamentale durante il periodo della guerra civile. 
Insomma, un misto tra romanzo storico e romanzo d'amore, che aveva tutti i presupposti per piacermi immensamente ma che però non mi aveva convinto del tutto, soprattutto per via della protagonista stessa. (trovate la recensione completa qui)

Per quanto riguarda il titolo, il cambio tra spagnolo e italiano è decisamente evidente e, ancora una volta, non del tutto comprensibile. La traduzione letterale dell'originale sarebbe "Il tempo tra le cuciture", chiaro riferimento al lavoro di sarta svolto dalla protagonista. Da lì, come si sia arrivati a "La notte ha cambiato rumore" onestamente non riesco a spiegarmelo. Non che il titolo italiano sia brutto, anzi, però perde completamente ogni qualsiasi riferimento alla protagonista e alla storia stessa.
Forse una traduzione letterale non avrebbe funzionato, ma a mio avviso sarebbe stato meglio mantenere in qualche modo un legame con il contenuto del libro.

Apprezzo invece il mantenimento della stessa copertina... non so perché, ma è una cosa che mi dà una strana sicurezza (anche se ammetto con somma ignoranza di non sapere se l'autore ha voce in capitolo in questa scelta)

lunedì 27 maggio 2013

ORIENTARSI CON LE STELLE - Raymond Carver

E poi ci sono dei libri talmente tanto belli che non riesci a recensire, per paura di non riuscire a trasmettere a tutti la loro bellezza.

Questo è il primo, primissimo pensiero che ti viene in mente quando chiudi un'opera di Carver, in qualunque forma essa sia.
Non importa se i racconti solitamente non ti piacciono. Non importa se non leggi mai la poesia contemporanea perché su di te non ha effetto. Non importa qualunque obiezione ti possa venire in mente di fare rispetto a un libro. Perché ti basta prendere in mano uno dei suoi libri e qualunque tua motivazione perderà di senso. Perché Carver ti conquisterà fin dalla prima parola, fin dal primo concetto, dalla prima immagine, dal primo pensiero e non ti lascerà più andare.

Io non leggo mai poesia, credo di non aver la sensibilità adatta, di non capirla, non so. Ma non potevo non comprare "Orientarsi con le stelle", era da troppo che aspettavo di trovare qualcosa di questo autore che ancora non avessi letto. Avevo un po' di timore, è inutile negarlo. E l'idea iniziale era quella di leggere una poesia ogni tanto, per rifletterci su, per essere sicura di averla capita completamente. Ma non ce n'è stato bisogno. E quando ho iniziato non ho più potuto smettere. Come se Carver stesso, con le sue parole, mi obbligasse a continuare. 

In questa raccolta si trovano tutte le poesie scritte da Carver, da quelle giovanili fino alle ultime, quando il tumore ormai lo stava consumando. Si trovano poesie d'amore. Poesie sulla pesca. Poesie sulla famiglia. Poesie sul suo passato e sul suo presente. Poesie sui libri e sulla letteratura. Scritte come solo lui potrebbe scriverle, creando immagini reali eppure poetiche, che a volte ti tolgono il respiro per la loro semplice bellezza.

Potrei andare avanti così, per ore e ore. Ma per quante parole io possa spendere, non saranno mai sufficienti a riuscire a trasmettere tutto ciò che questo libro mi ha lasciato. Per cui l'unica cosa che posso fare è quella di cedere la parola a Carver stesso e lasciare che sia lui, con i suoi versi, a convincervi. 

E andavo a letto con il tuo libro
per averlo a portata di mano. Una notte un treno
è passato nei miei sogni e mi ha svegliato.
E' la prima cosa che mi è venuta in mente, con il cuore a cento,
nella stanza buia, è stata:
Va tutto bene, tanto c'è Machado.
E poi sono riuscito ad addormentarmi.



Mi piace amare i fiumi.

Amarli a monte fino


alla sorgente.
Amare tutto quello che mi fa crescere.

L'ho visto di persona
come può ridurre un uomo la frustrazione.
Può farlo piangere, può fargli sfondare
una parete a pugni. Può fargli sognare
una casa tutta sua
alla fine di una lunga strada. Una casa
piena di musica, agio e generosità.
Una casa che non è stata ancora vissuta.


Si esce e si chiude la porta

senza pensarci. E quando ci si volta
a vedere quel che si è combinato
è troppo tardi. Se vi sembra

la storia di una vita, d'accordo.

L'ho abbracciato e l'ho stretto forte.
Non tanto forte quanto avrei potuto. Avevo paura
che uno di noi, o tutti e due, potessimo andare in pezzi.


Se il mio entusiasmo o queste citazioni ancora non vi hanno convinti, entrate in libreria, prendete in mano questo libro, andate alle ultime pagine e leggete "Introduzione a  Il Nuovo Sentiero per la Cascata", scritto da Tess Gallagher, curatrice della raccolta, nonché compagna di Carver negli ultimi undici anni della sua vita. E sono sicura che così, finalmente, vi deciderete. E non potrete più farne a meno.

Nota alla traduzione: la poesia è uno dei generi più difficili da tradurre. E in questo caso è stato fatto un lavoro magistrale.

Titolo: Orientarsi con le stelle
Autore: Raymond Carver
Traduttore: Riccardo Duranti e Francesco Durante
Pagine: 510
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: minimumfax
ISBN: 978-88-7521-488-3
Prezzo di copertina: 12,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Orientarsi con le stelle. Tutte le poesie

domenica 26 maggio 2013

Requiem per Fnac

Come credo molti di voi già sapranno, Fnac sta chiudendo.
E' una notizia che gira già da diversi mesi: il proprietario francese ha deciso di tagliare i rami secchi e gli store in Italia sono stati i primi a venire fatti fuori. Molti hanno già chiuso, i dipendenti sono stati messi in cassa integrazione senza che sia stato ancora ben chiarito quale sarà il loro futuro.

L'ultima notizia, che dovrebbe essere definitiva, è quella che la Fnac è stata comprata dal gruppo Trony che la ingloberà in qualche modo al suo interno. Se rimarrà il marchio o meno, non si sa.
Se andate sul sito in questi giorni troverete questo annuncio:



Dal 17 maggio non è stato più possibile fare acquisti online e tutti i negozi sopravvissuti stanno facendo svendite fino al 70%. Lo scopo è sicuramente quello di svuotare i magazzini, di vendere il più possibile fino alla fine e poi... Eggià, e poi? Cosa succederà domani, 27 maggio? Chi passeggerà in via Roma a Torino troverà ancora lo store Fnac aperto? E in via XX Settembre a Genova? E a Milano, a Napoli e a Verona? 
Non sono riuscita a trovare notizie in merito... e quindi l'unica soluzione è guardare il sito domani e vedere cosa ci sarà scritto.

La chiusura di Fnac mi intristisce parecchio. Lo so, essendo una grande amante dei libri e della lettura a detta dei più dovrei fare acquisti solo nelle piccole librerie, ignorando negozi online o grandi catene. Ma me ne sono sempre un po' fregata, devo essere onesta. Certo, mi piacerebbe che non ci fossero librerie di catena e che ogni piccola libreria potesse avere tanti clienti e poter sopravvivere. Ma abito in un paesino e se non facessi acquisti online leggerei molto ma molto meno. 

E con la Fnac, quella di via Roma a Torino, ho un grande, grandissimo legame affettivo. Lì è dove compravo i libri in lingua originale. Lì è dove andavo in pausa pranzo tra una lezione e l'altra all'università o dove mi rifugiavo dopo gli esami, per consolarmi o per festeggiare in base all'esito. Lì potevo perdermici per ore, finché il caldo soffocante non aveva la meglio sulla mia voglia di curiosare tra gli scaffali. Grazie a loro sono riuscita a completare la mia collezione di Mafalda in spagnolo senza dover comprarli direttamente in Spagna (non li avevano nemmeno in catalogo, ma nel giro di neanche un mese mi hanno procurato tutto). Lì è dove compravo dvd a prezzi stracciati e le agende scontate a metà febbraio.
E mi fa strano pensare che da domani forse non ci sarà più (o ci sarà con un altro marchio che ho il terribile sospetto che farà sparire il settore libri).

Non ho approfittato di questi sconti perché non sono potuta andare a Torino in quell'arco di tempo. Chi c'è stato me ne ha parlato con una profonda tristezza, per quel senso di arresa e di desolazione che si respirava tra ogni scaffale. E quindi da un lato sono contenta di non esserci andata. Anche se mi spiace non averla potuta salutare forse per l'ultima volta.

(PS: magari poi domani invece sul sito ci sarà scritto che riaprono più belli e più forniti di prima. E mi auguro proprio che sia così. Ma nel dubbio che questo non possa succedere, mi sembrava giusto scrivere questo post per salutare la Fnac e ricordare tutto quello che ha rappresentato per me).

venerdì 24 maggio 2013

UOMINI E TOPI - John Steinbeck

Pensato per un pubblico - i braccianti della California - che non sapeva né leggere né scrivere, "Uomini e topi" (1937) è un breve romanzo, ricco di dialoghi, che, nelle intenzioni di Steinbeck, avrebbe dovuto essere in seguito adattato, come difatti avvenne, per il teatro e per il cinema. Protagonisti, due lavoratori stagionali, George Milton, e l'inseparabile Lennie Little, un gigante con il cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli uomini sospingono verso una fine straziante. Il ritratto di un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella drammatica rappresentazione di un maestro.

Un paio di settimane fa sono stata colta da una voglia irresistibile di leggere "Uomini e topi" di Steinbeck. Ho cercato tra i libri di mio padre e non l'ho trovato. Sono allora andata nella libreria di mio suocero, che possiede tutti i romanzi di Steinbeck, tranne ovviamente questo, e alla fine ho deciso di comprarlo. Sono arrivata allo stand Bompiani del Salone del Libro e non c'era. Sono andata disperata dal libraio dello stand e gli ho detto "La prego, mi dica che ha qualche copia in magazzino. Perché io lo devo assolutamente leggere". E' andato a cercare ed è ritornato sorridendo porgendomi il libro. E quindi, finalmente, sono riuscita a togliermi questa voglia.

Mi ero dimenticata quanto fosse bello leggere un romanzo di Steinbeck. Quanto lui riesca, tramite le sue parole, a prenderti e portarti in un mondo diverso e lontano, come lo può essere quello dell'America degli anni '30. Un mondo semplice, di braccianti e contadini in questo caso, che però in realtà racchiude tutte le complessità, tutte le sfumature del genere umano.

Un romanzo breve, questo "Uomini e topi". Poco più di cento pagine, che raccontano di due uomini, George e Lennie, lavoratori stagionali che viaggiano sempre in coppia. George è intelligente, forte, buono. Lennie è un gigante con il cervello di un bambino che non ha alcuna colpa o alcun potere sulle azioni che compie. George gli guarda le spalle, lo protegge, cullandolo nel sogno di un futuro idilliaco, con una casa e una terra tutta loro, dove allevare conigli e coltivare piante, senza dover più lavorare per altri. Un sogno a cui Lennie crede e per cui vive. Un sogno che a poco a poco conquista anche altri lavoratori, nell'ultima fattoria in cui i due si ritrovano a lavorare: un uomo che ha perso una mano e che vive con un vecchio cane puzzolente, entrambi inutili, entrambi sacrificabili; un uomo di colore che a quei tempi non poteva nemmeno vivere in mezzo agli uomini bianchi.
Un sogno a cui anche George per un certo periodo ha quasi creduto. Finché la realtà, pura e semplice, ha infranto tutto.

La voce di George si fece più cupa. Ripeteva le parole, cadenzate, come le avesse pronunciate tante volte. "La gente come noi, che lavora nei ranches, è la gente più abbandonata del mondo. Non hanno famiglia. Non sono di nessun paese. Arrivano nel ranch e raccolgono una paga, poi vanno in città e gettano via la paga, e l'indomani sono già in cammino alla ricerca di lavoro e d'un altro ranch. Non hanno niente da pensare per l'indomani."
Lennie era felice. "E' così, è così. E adesso dimmi com'è per noi."
George riprese. "Per noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui parlare, a cui importa qualcosa di noi. Non ci tocca di sederci all'osteria e gettar via i nostri soldi, solamente perchè non c'è altro posto dove andare. Ma se quegli altri li mettono in prigione, possono crepare perchè a nessuno gliene importa. Noi invece è diverso."
Lennie interruppe. "Noi invece è diverso! E perchè? Perchè... perchè ci sei tu che pensi a me e ci sono io che penso a te, ecco perchè."


Forse si riesce a capire come andrà a finire ben prima che la fine arrivi. Eppure, mentre leggevo le ultime pagine, non ho potuto fare a meno di provare un forte magone dentro di me. Di quei magoni che ti perseguiteranno per qualche giorno e che lasceranno sempre un segno.

Il romanzo è scritto in modo semplicissimo, proprio perché alla gente più semplice era indirizzato: eppure è pieno di segnali, di simboli, di messaggi nascosti anche nei più piccoli dettagli, che probabilmente richiedono più di una lettura, a una certa distanza di tempo, per essere colti completamente. 

Si tratta, insomma, di uno di quei libri che vanno assolutamente letti, e poi riletti e riletti ancora. Forse farà un po' male, ma alla fine è un po' tutto il mondo che lo fa.


Nota alla traduzione: la traduzione di questo romanzo è di Cesare Pavese. E' a lui che si deve l'arrivo di Steinbeck e di altri autori della letteratura americana negli anni '30, e sono contenta che il romanzo non sia stato ritradotto. Certo, lo stile è forse un po' antiquato ma rispecchia perfettamente l'epoca di ambientazione, rendendogli giustizia.

Titolo: Uomini e topi
Autore: John Steinbeck
Traduttore: Cesare Pavese
Pagine: 132
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Bompiani
ISBN: 978-8845268427
Prezzo di copertina: 8,90 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Uomini e topi

mercoledì 22 maggio 2013

Riflessioni casuali sul leggere e lo scrivere (attività da svolgere rigorosamente in quest'ordine)

C'è una domanda che mi viene rivolta ogni tanto quando dico che ho un blog letterario. Ed è "hai mai pensato di scrivere un libro?".


E' una domanda che in parte mi fa sorridere, perché sì, certo che ci ho pensato... da giovane, quando scrivevo racconti strappalacrime sugli amori tormentati di liceali sfigate, sognavo addirittura di vincere il Nobel.  Una mia amica aveva anche raccolto questi scritti in una raccolta (con copertina pacchianissima, da far invidia a quelle di alcune case editrici di oggi).
Quindi credo sia abbastanza comune, tra gli amanti dei libri, sognare di scriverne uno proprio.


Dall'altra parte però questa domanda mi fa anche molto pensare. Perché esistono davvero tante, tantissime persone che credono che scrivere un libro sia una cosa semplice, che possono fare tutti. Come se non servisse nessuna abilità, nessun talento, nessuna capacità. Certo, di solito la domanda mi viene posta solo dopo aver detto che leggo tantissimo, quindi posso quasi capirla.
Però l'idea che uno si alza al mattino, si prende un caffè, si siede e scrive è ormai molto presente nella nostra società ed è, a mio avviso, completamente sbagliata. "Sai, ho pensato di scrivere un libro". "Appena ho un attimo di tempo scrivo un libro". "Se pubblicano Fabio Volo posso pubblicare anche me" (ok, su questa vi posso anche dare ragione).
Pensieri diffusi, questi, che fanno tornare in mente la frase pronunciata qualche anno fa da Roberto Benigni riguardo al fatto che "In Italia ci sono più scrittori che lettori". Un'esagerazione, quando è stata pronunciata, trasformatasi poi in una triste, tristissima realtà ora.

Perché davvero là fuori è pieno di persone che non leggono mai o che leggono poco, pochissimo, ma che credono di essere grandi, grandissimi scrittori. Incompresi, solitamente, da quelle cattivone delle case editrici che non riconoscono il loro indiscusso talento.

Eppure, non mi sembra così difficile capire che se non si legge tanto (e bene, spaziando tra più generi, più stili) difficilmente si potrà anche scrivere bene. Se non si legge tanto non si riuscirà mai a dare fluidità al proprio discorso né a scrivere con una grammatica, un'ortografia, una sintassi corretta e coerente. Anche perché se no allora potremmo davvero scrivere tutti, visto che le basi di grammatica, di ortografia e di sintassi ci vengono insegnate alle elementari.
Ma è con la lettura che le assimiliamo, che le miglioriamo, che le facciamo diventare parte di noi, così da essere in grado di utilizzarle, combinarle, giocarci, creando qualcosa di bello e originale.

Ma, per quanto assurdo possa sembrare, è un concetto che molti non vogliono nemmeno ascoltare. "Ci sono gli editor che mi correggono la grammatica". "Le mie sono scelte stilistiche sperimentali". "Non ho tempo per leggere, devo scrivere libri io", "la mia trama è originale... assomiglia tanto a quella di X."
Non sto scherzando, succede davvero. Me ne sono accorta grazie al mio lavoretto come editor ma anche da certe proposte di lettura che ricevo qui sul blog. Opere in cui è palese che manchi qualcosa. Non è solo una questione di talento... perché a scrivere una trama originale magari non si può imparare, ma a scrivere correttamente in italiano sì.

In soccorso di questi autori arrivano le case editrici a pagamento: "le altre case editrici non capiscono il tuo talento? Tranquillo, noi lo capiamo se ci paghi". Sono scelte, sicuramente, e ognuno con i suoi soldi è libero di fare quello che vuole. Ma ammetto che io, se fossi in quella situazione, mi metterei semplicemente l'anima in pace e direi "ok, forse allora dovrei lasciar perdere".

Una cosa che ho notato durante l'ultimo Salone del libro e che credo rientri in questa logica del "siamo tutti scrittori, checché ne dicano gli editori" (o i lettori che non sono parenti e che cercano educatamente di farvi capire che c'è qualcosa che non va) è stata l'incredibile quantità di scrittori che distribuivano ai passanti volantini dei loro libri, pubblicati tramite amazon o altri sistemi. Che, di nuovo, non c'è assolutamente nulla di male... ma non riesco a fare a meno di chiedermi se questa autopubblicazione sia avvenuta prima o dopo aver sottoposto il manoscritto al giudizio di una casa editrice. Ti autopubblichi per scelta o perché altri non hanno ritenuto la tua opera pubblicabile? In entrambi i casi: perché?
Un fenomeno sicuramente aiutato dall'avvento degli e-book: pubblicazioni a basso costo (sia di produzione sia di vendita) e per questo accessibili a tutti.

Certo, le case editrici hanno dei tempi di risposta lunghissimi, è inutile negarlo. Le big non pescano tra i manoscritti inviati ma si rivolgono ad agenzie (spesso a pagamento) o tramite scuole e corsi, per cui se il tuo sogno è pubblicare immediatamente con Mondadori o Einaudi, forse non sarà proprio semplice da realizzare, nemmeno se scrivi  benissimo (non semplice è diverso da impossibile).
Ma non ci sono solo le big, ci sono anche case editrici più piccole, altrettanto competenti, che leggono tutto e che soprattutto investono su chi pubblicano...
E ovviamente non si vive con i soldi guadagnati da un libro. Credo che siano ancora pochi gli autori che possono permettersi di scrivere libri e basta, anche tra quelli pubblicati con le grandi case editrici.

Ok,  in realtà non so bene dove voglia andare a parare con questo post. Ma era un po' che mi girava in testa questa riflessione su come viene visto il mondo dei libri e della scrittura da molte, troppe persone, e come questo inevitabilmente penalizzi la nostra letteratura.

Per cui prima di avere un libro nel cassetto, assicuratevi di averne tanti sul comodino. E di leggerli.

(PS: ci tengo a precisare che non tutti quelli che si autopubblicano scrivono male o non sanno l'italiano. Così come può essere che a volte una casa editrice si sbagli e si lasci scappare un capolavoro o semplicemente che non lo pubblichi perché non rientra nelle sue solite pubblicazioni. Ma sono sicura che se uno è davvero bravo a scrivere, prima o poi il suo momento arriverà.)

Due titoli, un solo libro: ma perché? #34

Ed eccoci a una nuova puntata della rubrica di confronto tra titoli. Per quest'oggi ho avuto un po' di difficoltà... sarà che ho iniziato a pensare al post quando non ero a casa e quindi non avevo sottomano la mia  libreria da cui poter pescare e scegliere. Ho anche chiesto aiuto e mi sono arrivati un paio di suggerimenti che, però, terrò buoni per le prossime volte.
Perché non appena ho iniziato a spostare libri dai miei scaffali, ho trovato la giusta ispirazione e preferisco non lasciarmela sfuggire.

Oggi parliamo di un romanzo di  uscito un paio di anni fa, che sembra ricalcare la solita moda dei titoli tutti uguali. Sto parlando del libro di Anjali Banerjee HAUNTING JASMINE ovvero LA LIBRERIA DEI NUOVI INIZI:


Uscito in lingua originale nel 2011, il romanzo è stato tradotto in Italia lo stesso anno da Roberta Cristofani e Valentina Zaffagnini per la  Rizzoli.
Il romanzo racconta di Jasmine, donna in carriera che fugge dalla sua vita e dal suo matrimonio per correre in aiuto di sua zia, libraia, che deve andare in India. La libreria di cui dovrà occuparsi Jasmine è però particolare, quasi magica. Peccato che questo bellissimo espediente venga sprecato dall'autrice con una storia banale e prevedibile, da classico romanzetto rosa (trovate una recensione più approfondita qui).

La differenza tra titolo originale e titolo tradotto è evidente. Se si fosse tradotto letteralmente il romanzo si sarebbe dovuto intitolare "Tormentando Jasmine"... che è esattamente quello che sembrano fare i libri della libreria di cui si sta occupando. Nel titolo italiano si è scelto di porre in primo piano la libreria e il fatto che per la protagonista sia un nuovo inizio, un rifugio ma anche un punto da cui ripartire. La moda delle librerie colpisce ancora, unita in questo caso alla voglia di sfruttare quel sogno che tutte le appassionate di libri hanno di aprire una libreria (io sono la prima a essermi lasciata fregare).

Per carità, il titolo italiano ha comunque un suo senso e rispecchia abbastanza la trama. Però è davvero troppo distante dall'originale.

Cercando le copertine del libro nelle due versioni, mi sono imbattuta anche nella traduzione spagnola, che riprende la stessa immagine e lo stesso titolo, con solo una piccola modifica, di quella italiana:


"La libreria dei nuovi inizi" diventa così "La librería de las nuevas oportunidades", ovvero "La libreria delle nuove opportunità".
Quindi, non solo in Italia vengono "tradotti" male i titoli... ma questi vengono poi anche esportati all'estero.
Per curiosità, già che c'ero, sono andata a cercare anche la versione tedesca, trovando una copertina più simile a quella originale (c'è una donna e c'è un fiore) ma anche una terza versione del titolo: DIE BÜCHERFLÜSTERIN


Non sono sicurissima del significato del titolo in italiano, dovrebbe essere qualcosa tipo "I libri bisbliglianti" o "La bisbligliatrice di libri" (che non ha alcun senso... ma che potrebbe essere l'inizio di una nuova moda). In ogni caso riprendere quell'idea dell'originale di essere tormentati, infestati da qualcosa. E' diverso, certo, ma è comunque più simile rispetto a italiano e spagnolo.

In ogni caso, abbiamo appena visto come nessuna lingua è immune ai cambiamenti rispetto al titolo originale.
E torno, ancora una volta, a domandarmi: ma perché?

martedì 21 maggio 2013

LA BANDA DEL FORMAGGIO - Paolo Nori


Ermanno Baistrocchi fa l'editore. Va in giro a far notare le impercettibili differenze tra i suoi libri e quelli delle altre case editrici. Paride Spaggiari fa il libraio. Invita Ermanno nella sua libreria e poi gli fa delle telefonate bellissime, tutte piene di zioboja, ma non sono zioboja d'impazienza, sono come il basso che suona l'un due tre di un valzer, i suoi discorsi sono dei valzer, mettono di buon umore.Poi quando Ermanno ha la possibilità di comprare tre librerie Paride si offre di diventare suo socio, che si trova con una certa liquidità. E per quindici anni Ermanno, tutto quello che fa, ne ha prima parlato con Paride.Poi salta fuori il buridone che i soldi per le librerie a Paride venivano dalla banda del formaggio, come se i delinquenti a Parma fossero tutti della gente che non vedeva l'ora di comprarsi una libreria, come se avere una libreria fosse una specie di status symbol per i ladri.E finisce che Paride si butta giù dal settimo piano, e dicono che sia stato per via dei giornali, per via di quello che avevano scritto sopra i giornali, ma secondo Ermanno non era mica per quello. La banda del formaggio è la storia di un editore che un giorno sull'autobus prova affetto per il suo cuore che batte, e gli verrebbe da ricominciare. È la storia di un libraio che il delinquente avrebbe voluto farlo come Raskol'nikov, o come il conte di Montecristo, e che ha lasciato a suo nipote, che ancora non c'è, una filastrocca che Ermanno impara a memoria, per lasciarla anche al suo, di nipote, che chissà se mai ci sarà.


Se assaggiate per la prima volta il Parmigiano Reggiano o il Grana, il primo morso vi lascerà una strana sensazione in bocca, un gusto difficile da definire, qualcosa di nuovo che non avete mai provato prima e che vi spingerà inevitabilmente verso un secondo assaggio chiarificatore. Per apprezzarlo al meglio, dovete darlo subito, quel secondo morso, per far sì che la vostra bocca si abitui a quel gusto. E da lì vi toccherà sicuramente darne anche un terzo, e un quarto... fino a che non riuscirete più a fermarvi.

Questo romanzo di Paolo Nori potrebbe essere un pezzo di quel Parmigiano. Non solo perché compare nel titolo e svolge un ruolo principale all'interno del libro, ma per via dello stile. Le prime pagine, i primi morsi, se come me è la prima volta che vi approcciate a lui, vi lasceranno in testa una strana sensazione, un misto di confusione e stupore, ma anche un'incredibile voglia di andare avanti, di dare un altro morso. Al secondo già vi sarete abituati al suo stile, a questo strano flusso di coscienza, a questi capitoletti brevi e concisi che a volte sembrano non c'entrare nulla ma che invece c'entrano eccome. Dal terzo morso in poi, vi accorgerete di non poterne più fare a meno, di dover continuare, continuare, continuare finché non sarà la fine del libro a obbligarvi a smettere.

E' un romanzo molto particolare, "La banda del formaggio". Parla di libri, parla di editoria, parla del mondo e delle sue piccole cose, parla di furti, parla di uomini che a una certa età devono fare i conti con se stessi,  con quello che è stata la loro vita finora e con quello che sarà. Protagonista e voce narrante è Ermanno, piccolo editore, che vive a Casalecchio di Reno ma che è nato a Parma e che da qualche anno è entrato in società con Paride, un uomo con un braccio solo, che ha antenati ladri di formaggio. E che forse un po' ne ha rubato anche lui. O forse ha vinto al superenalotto, non si sa, ma non è nemmeno così importante. 

"[...] Che lui, tramite suo zio, che era il padrone della libreria dove ero poi andato io, e qualcuno pensa che suo zio fosse anche lui un associato alla banda, e che i soldi per la libreria anche a lui gli venivan dalla banda, come se i delinquenti a Parma fossero tutti della gente che non vedeva l'ora di comprarsi una libreria, come se avere una libreria fosse una specie di status symbol per i ladri."

Tanti piccoli capitoli, numerati in modo strategico (ovvero, quasi a caso), come Paol... scusate, Ermanno stesso rivela per far si che chi lo recensirà possa facilmente farvi riferimento, che trascinano il lettore in un turbinio di pensieri ed emozioni a tratti tristi, a tratti comiche, a tratti geniali e sempre e soprattutto molto vere, sulla società moderna e sulle sue infinite contraddizioni, che poi rispecchiano esattamente quelle presenti in ognuno di noi. 
"Attenzione, cancello automatico: non passare o fermarsi se il cancello è in movimento. Che io penso «Be', se non posso passare e non posso fermarmi, cosa devo fare?»"
Se il primo assaggio non vi ha convinto, dategli ancora un paio di morsi, proprio come fareste con il primo boccone di un formaggio che non avete mai assaggiato prima. E sono sicura che dopo due, tre, quattro assaggi non potrete più farne a meno.

Ci tengo a concludere riportando una citazione di Giorgio Manganelli e riportata nel libro da Ermanno/Paolo Nori e che mi è piaciuta tantissimo (ce ne sono diverse in realtà, molto belle, ma questa parla di libri):
"Non vi sono libri innocui, e non v'è cultura che «non fa male a nessuno» e rende migliori. Un grande libro è terribile, perché la sua storia dentro di noi non si spegnerà mai; e sarà la storia della nostra libertà.Una biblioteca è molte, strane, inquietanti cose; è un circo, una balera, una cerimonia, un incantesimo, una magheria, un viaggio per la terra, un viaggio al centro della terra, un viaggio per i cieli; è silenzio, ed è una moltitudine di voci; è sussurro ed è urlo; è favola, è chiacchiera, è discorso delle cose ultime, è memoria, è riso, è profezia."

Titolo: La banda del formaggio
Autore: Paolo Nori
Pagine: 224
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Marcos y marcos
ISBN: 978.88.7168.662.2
Prezzo di copertina: 15 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: La banda del formaggio

lunedì 20 maggio 2013

AMORI IMPREVISTI DI UN RISPETTABILE BIOGRAFO - Penelope Lively

Raggiunta la boa della mezz'età, Mark Lamming si sente una persona realizzata: infatti, il suo sogno di bambino di diventare un uomo di lettere si è avverato e adesso è un rispettabile biografo. Insieme alla moglie Diana, donna pragmatica e di classe, impiegata in una rinomata galleria d'arte londinese, si gode i piaceri e la tranquilla routine di un'intimità condivisa da vent'anni. Mark sta scrivendo un libro su Gilbert Strong, saggista conservatore d'inizio secolo per cui nutre una sconfinata ammirazione. Convinto di sapere praticamente tutto di lui, di fronte a due grandi bauli pieni di fogli ingialliti rinvenuti a Dean Close - la casa dello scrittore nel Dorset - è costretto a ricredersi. I diari rivelano un altro Gilbert Strong, cinico e donnaiolo, disposto a tutto pur di avere successo. Dopo la prima notte trascorsa a Dean Close, lo stesso Mark è scombussolato dalla "sensazione di essere una persona diversa da quella che si era alzata dal letto quel mattino" e confessa di sentirsi inspiegabilmente attratto da Carrie, la nipote di Strong, che ha trasformato la residenza di campagna del nonno in un vivaio. Eppure lei, che vive con la testa fra le nuvole in mezzo a conifere e violette e in trent'anni non è mai arrivata in fondo a un libro, è tutt'altro che il suo tipo... 

Ci possono essere diversi motivi per cui ci metto più di tre giorni a leggere un romanzo con meno di trecento pagine. O nel mentre mi sta succedendo altro che mi tiene lontana dalla lettura. O il romanzo è particolarmente intenso e per questo non semplice da leggere. Oppure è estremamente noioso, di quella noiosità che ti fa passare la voglia di prenderlo in mano e che rende la lettura pesante, faticosa al punto che ti porta a chiederti "ma chi me lo fa fare?"

Nel caso di "Amori imprevisti di un rispettabile biografo" posso escludere senza esitazione la seconda ipotesi. Scegliere quale sia stata più predominante tra la prima e la terza è invece molto difficile.
Perché ammetto che forse non ho dedicato a questo libro tutta l'attenzione che avrei dovuto, leggendolo a volte con la testa altrove e non portandomelo appresso sempre e ovunque come faccio di solito con i libri che sto leggendo. Il fatto è che di solito, se un libro è bello e mi conquista, riesce a vincere anche sulla scarsa attenzione e sul poco tempo. Anzi, è un ulteriore conferma che sia un bel libro. Per cui temo che la prima ipotesi sia una diretta conseguenza della terza: il libro è noioso e pesante, quindi non avevo voglia, tempo, testa per leggerlo. Ma odio abbandonare le letture e quindi mi sono trascinata tra queste pagine, sperando che finissero in fretta.

Che poi la trama avrebbe anche parecchi spunti interessanti: la crisi di mezz'età e il rapporto tra marito e moglie dopo anni di matrimonio; il rapporto tra un biografo e il personaggio di cui sta raccontando la vita, fatto di scoperte sensazionali ma anche di remore nel mettere in piazza fatti solitamente privati; le differenze culturali e il conseguente snobismo che un po' ne deriva tra chi legge tanto e ha una cultura smisurata e chi invece ama curarsi delle sue piante e del suo giardino ed è felice così. L'amore, in ogni sua forma e bizzaria.
Tanti elementi, tanti spunti, che avrebbero potuto essere approfonditi molto meglio ma, soprattutto, raccontati con un po' più di brio per renderli più interessanti.
E invece Penelope Lively si perde negli stereotipi, che alla lunga risultano irritanti (vedi il personaggio di Carrie), e in un po' di autocompiacimento da scrittrice e donna di cultura che non so dire se siano presenti anche negli altri suoi romanzi ma che qui traspaiono da ogni pagina.

Insomma, questo libro non mi ha convinta. Può darsi non si sia creata empatia con i personaggi, di cui troppo spesso non riuscivo a comprendere logiche e motivazioni, o con lo stile dell'autrice. C'è qualche frase bella, qualche situazione divertente... di cui comunque avrei potuto fare anche a meno.

(Vi dico solo che persino scrivere la recensione mi ha annoiata... e se leggerla vi fa lo stesso effetto vi giuro che non mi offendo)

«Non ci si innamora delle persone per quello che hanno letto.» Purtroppo, pensò con amarezza.

Nota alla traduzione: del titolo avevo già parlato in una puntata di "Due titoli, un solo libro, ma perché?" quindi non mi ci soffermo più. Nel complesso direi ben fatta comunque.

Titolo: Amori imprevisti di un rispettabile biografo
Autore: Penelope Lively
Traduttore: C. Piazzetta
Pagine: 296
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Guanda
ISBN: 978-8860884206
Prezzo di copertina: 17 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Amori imprevisti di un rispettabile biografo

domenica 19 maggio 2013

UN SABATO AL SALONE DEL LIBRO

Ed eccomi qua, davanti a questa pagina bianca a cercare di fare mente locale per raccontarvi come è andato il mio Salone del Libro quest'anno.
Non è per niente semplice, perché mi sono successe tante di quelle cose belle che non so nemmeno da dove cominciare. E un po' ho anche paura di annoiarvi, visto che ormai sono giorni che tra qui e la pagina Facebook vi parlo del Salone.
Eppure, come mi succede con tutte le cose belle, ho bisogno di scriverle per poterle fissare definitivamente nella mia testa e, soprattutto, per rendermi conto che sono successe davvero.
La prima, primissima cosa che sento di dover fare è ringraziare il Lettore Rampante, che mi ha accompagnata/sopportata e supportata per tutto il giorno. Non sarebbe stato lo stesso senza di lui.

Ma bando alle smancerie (visto che comunque questo post ne sarà pieno) e incominciamo a parlare di questo sabato che abbiamo trascorso là dentro.
La prima cosa bella, bellissima che mi è successa è stata quella di poter entrare per la prima volta in vita mia con il pass stampa. Fa davvero figo saltare la coda e girare tra gli stand con quel bellissimo foglietto al collo. L'ho ottenuto non grazie al blog (e mi dispiace avervelo forse fatto credere) ma tramite il giornale con cui collaboro (e grazie anche a loro).

Entrati, ci siamo subito imbattuti in Francesco De Gregori che presentava il suo libro e firmava autografi. Ho fatto una foto ma non mi sono fermata, perché avevo un obiettivo, per me, ancor più importante e che inseguivo già da un po': Roberto Saviano. La sua presenza allo stand della Feltrinelli era prevista per le 11.30. Noi siamo arrivati alle 11 e la coda per gli autografi circondava già tutto lo stand. "Al diavolo" ho pensato. O adesso o mai più. ("Al diavolo, devo star qui a far coda e manco ho letto i suoi libri" deve aver pensato invece il lettore rampante... ma vabbè). Abbiamo aspettato circa un'ora e mezza, con una coda nemmeno poi così lenta in realtà e finalmente me lo sono trovata davanti. 
Lì, seduto, circondato da poliziotti e guardie del corpo a fare da muro e da scudo, che vietavano persino le foto troppo ravvicinate, c'era un uomo normalissimo, che trasudava emozione per il contatto con il pubblico da ogni poro. Non sapevo come dovevo rivolgermi a lui, se dirgli "ciao", "salve", "buongiorno". Lui mi ha guardata, mi ha sorriso e mi ha detto "ciao, come ti chiami?". E' durato poco, pochissimo. Ma è stato davvero emozionante.


Da lì, ci siamo diretti allo stand della minimumfax per il mio primo acquisto della giornata: "Orientarsi con le stelle" di Raymond Carver. Vado a pagare, il libraio mi guarda e mi fa: "Oh, Carver, ottima scelta! Anche se sei la prima a comprarlo oggi". Ma come?? Io aspettavo un "nuovo" libro di Carver da mesi e alle 12.30 di sabato ero la prima a comprarlo?!? Misteri...

E poi ci siamo avvicinati allo stand in cui sarebbero avvenute le interviste. Ero parecchio agitata, inutile negarlo, ma credo che tutto sommato siano andate bene (ho il terrore di quando uscirà il podcast e mi risentirò). Entrambe le interviste avrebbero dovuto essere in coppia: insieme a me Fabio, un ragazzo che ho conosciuto proprio grazie a questo blog, con cui ero già andata alla presentazione del libro di De Silva e senza il quale nessuna delle due interviste mi sarebbe mai stata fatta. E che quindi ringrazio tanto, tantissimo!
A causa di qualche ritardo e di qualche problema di trasmissione, l'intervista andata in onda su Radio Sound City è stata fatta solo a me. Mi è stato chiesto del blog, del mio lavoro "vero" e di cosa si potrebbe fare (o dovrebbero fare le case editrici) per aiutare gli emergenti meritevoli a farsi conoscere e leggere. E spero vivamente di non aver detto cavolate.

In attesa della seconda intervista, abbiam fatto una capatina alla marcos y marcos, dove ho acquistato altri due libri e visto Fulvio Ervas... se ne stava andando però e non ho osato chiedergli l'autografo (anche perché non avevo con me il libro).

E poi è arrivato il momento della seconda intervista, con GET IT ON RADIO. Ero ancora un po' agitata, devo ammetterlo. Ma poi mi sono divertita molto! E' stato bello perché eravamo seduti su dei divanetti attorno a un tavolino, un po' come se chiacchierassimo normalmente davanti a un caffè ma con cuffie in testa e microfoni, con il lettore rampante e la moglie di Fabio, Chiara, a scattarci le foto e a rispondere alle domande incuriosite dei passanti. E direi che è andata bene anche questa! Anche perché i due intervistatori, Andrea e Mauro sono davvero bravi (a parte quando mi han chiesto le province del Molise... ehm...)!


Uh sì, prima delle interviste ho anche avuto modo di incontrare un paio di blogger, conosciute tramite i blog ma mai viste dal vivo. Ed è stato strano, ma anche bello, poter finalmente dare un viso alle parole.

Ok, dopo le interviste e il nostro piccolo momento di gloria, abbiamo salutato Fabio e Chiara e siamo andati allo stand della Spartaco Edizioni. Ho avuto modo di conoscere questa casa editrice tramite il blog: mi hanno inviato qualche libro, che ho letto e recensito. Tra questi, ci sono anche i due romanzi di Paolo Pasi, "Memorie di un sognatore abusivo" e "Il sabotatore di campane", che mi sono piaciuti particolarmente. E Paolo Pasi era lì, allo stand. Ed è stato fantastico. Un'accoglienza calorosa, un sacco di chiacchiere e qualche aneddoto... più ovviamente due bellissimi autografi.

Da lì poi siamo andati alla Bompiani, perché volevo assolutamente comprare "Uomini e topi" di Steinbeck. Ho cercato sullo scaffale ma non c'era. Allora ho chiesto e il libraio, visto quanto lo volessi, è andato a cercarlo prima in tutto lo stand e poi in magazzino. Quando l'ha trovato me l'ha sporto con un grande sorriso.

Poi è stato il turno di Zerocalcare (un contentino al povero lettore rampante lo dovevo pur dare, no?). Abbiamo acquistato l'ultima raccolta e ci siam messi in coda per l'autografo... ma c'era troppa gente, e gli autografi di Zerocalcare sono delle vere opere d'arte che richiedono però parecchio tempo. E quindi alla fine, con sommo rammarico, abbiamo lasciato stare. 
Ancora un paio di giri tra gli stand, due acquisti, da Beat e da e/o edizioni (entrambe con sconto fiera), due passi nel padiglione 5, riservato alle attività didattiche e alle mostre e finalmente, verso le 20, siamo arrivati a casa.

Stamattina sono tornata, da sola (perché la pazienza del mio ragazzo ha un limite), per ascoltare la conferenza sui Book blog con eFFe. E' stata interessante, ma ci devo meditare un po' prima di poterne parlare. Poi sono tornata a casa, dopo essermi  persa Cognetti per un soffio, perché la quantità di gente era davvero impressionante e perché, devo ammetterlo, a girare da sola un po' mi annoio.

Ecco qui, questo è stato il mio salone quest'anno. Sono ancora abbastanza emozionata e credo che lo rimarrò per un bel po'. Lo so, alla fine ho seguito una sola conferenza rispetto alle tante che avevo in programma... ma quando entro lì dentro mi perdo completamente nell'ambiente, nell'aria che si respira... e per essere felice mi basta anche solo passeggiare.

Ci tengo a chiudere questo post ribadendo tutta una serie di ringraziamenti che ho già piazzato qua e là nel post ma, nel dubbio di aver dimenticato qualcuno, li riscrivo anche qui.
Ringrazio i follower e i fan del blog che mi hanno vista e si sono fermati a salutarmi, nonostante l'imbarazzo di fermare una sconosciuta per strada. Ringrazio le blogger che sono venute a salutarmi davanti alla radio: mi spiace non essere stata più tempo con voi e di non avervi conosciute tutte. Ringrazio Fabio e Chiara. I due presentatori di GET IT ON RADIO e quello di RADIO SOUND CITY. Ringrazio la Spartaco edizioni, Francesco e il grande Paolo Pasi per l'incredibile accoglienza. Ringrazio il libraio della Bompiani per avermi trovato il libro e quello della minimumfax per la sua passione per Carver. E ringrazio ancora una volta Marco, il mio lettore rampante (che da qualcuno è stato salutato proprio per questo!), per avermi accompagnata e sopportata tutto il tempo.
Ora potete tranquillizzarvi, perché finalmente smetterò di tormentarvi con questo Salone del libro... fino al prossimo, ovviamente!

Ah si, dimenticavo, i miei acquisti:


sabato 18 maggio 2013

SALONE DEL LIBRO 2013: CI SIAMO!

Un piccolo post per comunicarvi che domani, finalmente, andrò al Salone del Libro! Ho tutto pronto: maglietta rampante, libri da autografare, block notes per gli autografi "imprevisti", borsa fashion per gadget e nuovi acquisti!

Oltre ad andare a conoscere qualche editore, incontrare qualche blogger e soprattutto (spero) tanti autori, mi succederà anche una cosa nuova, che mi emoziona e mi terrorizza allo stesso tempo. 

Se domani siete al salone, potreste passare allo stand L153 del padiglione 2, verso le 13.30 e/o verso le 14.45. E mi troverete, in compagnia di Fabio, scrittore in erba, nonché amico, con delle cuffie in testa davanti a un microfono ad affrontare le mie prime due interviste.

La prima ci verrà fatta da Radio Sound City, una web radio che potrete ascoltare a questo http://www.radiosoundcity.net/nw/.

La seconda invece da GET IT ON RADIO e la potrete seguire in diretta qui: http://getitonradio.com/2013/05/14/get-it-on-al-salone-del-libro/

Parleremo del blog, di libri e del mondo della lettura in generale... Sperando ovviamente di non fare figuracce! Se vi va quindi venite ad ascoltarmi dal vivo o sintonizzatevi sui due link... (così scoprirete che La Lettrice Rampante ha la r moscia ed è di una timidezza esagerata).

Ovviamente porterò con me la macchina fotografica e documenterò tutto... per poi parlarne qui e condividere con voi la giornata.

mercoledì 15 maggio 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #33

La puntata di oggi della rubrica di confronto tra titolo originale e titolo in traduzione sarà un po' particolare perché, oltre all'analisi vera e propria, comprenderà anche una riflessione personale e una specie di recensione. Tutto insieme, per risparmiare spazio e non fare tre post diversi troppo simili tra loro.

Domani uscirà al cinema "Il grande Gatsby" trasposizione cinematografica (la quarta se non erro) del libro di Francis Scott Fitzgerald, diretto da Baz Luhrmann. La campagna pubblicitaria dietro a questa uscita è stata molto forte. Il libro è tornato a far sentire la sua presenza in libreria e nelle classifiche, grazie anche all'edizione da 0.99 € della Newton Compton. Tutti ne parlano e chi ancora non aveva letto il libro è prontamente corso ai ripari. Così che adesso tutti stanno parlando di questo libro e di questo film.
I"Il grande Gatsby" è un romanzo che ho letto diverse volte, in diverse lingue e in diversi momenti della mia vita. La prima volta ero molto giovane e, ammetto, credo di non averci capito molto. Poi l'ho studiato, l'ho riletto in inglese e mi si è aperto un mondo. Non tanto per la trama, che può piacere o meno, quanto per l'incredibile caratterizzazione dei personaggi e per il ritratto di quella fantastica società degli anni '20 in America. 
Un libro che amo molto, che consiglierei a chiunque di leggere, anche se capisco perfettamente che possa lasciare un po' interdetti e che non si possa sempre cogliere, soprattutto dopo una singola lettura, tutta la sua forza.

Come dicevo, in occasione dell'uscita del film, non si fa altro che parlare di Francis Scott Fitzgerald e delle sue opere. In questo calderone di marketing c'è finita anche la rivista Vanity Fair che ha pubblicato in esclusiva, nel numero della settimana scorsa, un racconto inedito di questo autore. 
Io leggo questa rivista (di cui apprezzo molto le pagine dedicate ai libri e ai film) a sbafo, rubandola a mia suocera che me la passa quando ha finito di leggerla. Solitamente, quindi, la sfoglio con un paio di settimane di ritardo. Però questa volta, saputo della presenza del racconto, non ho potuto fare a meno di chiederle se potesse passarmi quelle pagine (un gesto non esattamente elegante, però per la lettura questo e altro). E quindi domenica, seduta sulla sdraio al sole, ho letto questo raccontino.
Casualmente, sempre domenica mi è arrivata la segnalazione di una fan (che ringrazio tantissimo) per questa rubrica e riguardava proprio questo racconto.

Un racconto inedito, dicevamo. Inedito perché la sua pubblicazione, sebbene Fitzgerald fosse già conosciuto, era stata scartata da tutti le riviste a cui l'aveva proposta. C'è chi dice per il tema non semplice, chi perchè c'era crisi e chi con molti meno scrupoli perché non era all'altezza.
Ma iniziamo dal titolo. Il racconto in lingua originale si intitola "The Nightmare", ovvero "L'incubo". Sulla rivista (deciso da chi, non lo so) è stato invece presentato come "Proposta di matrimonio":


Sì, lo so, detta così potrebbe anche avere un aspetto ironico e non so se questo sia effettivamente stato lo scopo di chi ha scelto il titolo o se si tratta di una casualità. In ogni caso, non riesco a trovarla una scelta azzeccata. Anche perché era davvero semplice da tradurre: "L'incubo".
E il racconto, tradotto da Anna Ravano, effettivamente parla di un incubo, quello vissuto dai degenti di un manicomio e da chi lì ci lavora, che, inevitabilmente, se non sta attento, rischia di diventare più matto dei matti che cerca di curare. L'incubo è quello vissuto da un uomo, i cui tre fratelli vivono in questo manicomio, che decide, scambiando normali segni di stanchezza per sintomi di una malattia mentale, di farsi internare, per sicurezza, per capire se c'è qualcosa che non va. Ma ben presto si renderà conto che il limite tra sanità e malattia mentale è molto labile e può vacillare in chiunque. 
Per carità, una proposta di matrimonio all'interno di queste poche pagine c'è davvero e svolge anche un ruolo importante. Ma perché cambiare il titolo?

L'altra domanda, e mi perdonino gli amanti e gli studiosi di Fitzgerald per osare porla, è: ma se questo racconto era stato scartato e fino ad oggi non era mai stato tradotto e pubblicato da nessuno, ci sarà un motivo, no? Era davvero necessario riproporlo a tutti? E soprattutto, perché proprio adesso? (quest'ultima è ovviamente una domanda retorica).
Per carità, preferirei veder pubblicate le sue liste della spesa o i suoi appunti delle elementari anziché le nuove edizioni di Gatsby con la locandina del film in copertina, come quella di Mondadori.
Può anche darsi che lo stesso Fitzgerald, visti i rifiuti non avesse più voluto saperne di questo raccontino, che se ne fosse lui stesso dimenticato. Il fatto che un racconto sia inedito, per quanto bravo e famoso sia lo scrittore, non implica per forza che sia anche bello, no?

Non ce l'ho assolutamente con il racconto di Fitzgerald, su cui sto ancora un po' meditando (l'ho trovato in parte ben scritto in parte un po' confuso... e non so se questo senso di confusione sia voluto o meno). E' che non riesco tanto a sopportare la moda in letteratura. E' una cosa che proprio mi irrita e mi dispiace che a caderne vittime siano anche autori notevoli, che una persona dovrebbe leggere sempre e comunque, indipendentemente dal film o da quanto sia bello il protagonista che lo interpreta.

lunedì 13 maggio 2013

JIM ENTRA NEL CAMPO DI BASKET - Jim Carroll


"A soli tredici anni, Jim Carroll scrive meglio dell'89 per cento degli autori di romanzi attualmente in attività". Questo il parere che Jack Kerouac espresse alla prima lettura delle pagine di diario da cui nasce "Jim entra nel campo di basket": un memoir che all'epoca della sua pubblicazione, nel 1978, fece immediatamente scalpore e che da allora è sempre rimasto un libro di culto per gli amanti delle figure letterarie più "irregolari" e ribelli. È il racconto di un'adolescenza newyorkese fra l'autunno del 1963 e l'estate del 1966, fatta in parte della normalità delle aule scolastiche e dei campetti di basket, ma nutrita soprattutto di scorribande per le strade, sperimentazioni con l'eroina e l'LSD, scoperta del sesso, contatti di volta in volta illuminanti o violenti con l'umanità più varia: preti, spacciatori, poliziotti, tossici, pervertiti, attivisti marxisti e piccoli campioni di pallacanestro, il tutto raccontato con la vitalità trascinante e l'ironia sferzante del miglior punk.


Credo che la maggior parte delle persone, dai dieci ai sedici-diciassette anni, abbia tenuto un diario. Se lo prendeste in mano adesso difficilmente riuscireste a trattenere un sorriso leggendo quello che avevate scritto, le vostre piccole avventure quotidiane, i vostri primi innamoramenti, le vostre riflessioni profonde sul senso della vita, scritte in maniera semplice, un po' disarticolata a volte, con qualche errore di ortografia e di grammatica, che ora vi farebbe quasi provare vergogna.  

A meno che, ovviamente, voi non siate Jim Carroll. Se lo foste avreste alle spalle un passato difficile, fatto di eroina, erba e qualunque tipo di droga. Un passato di marchette, furti e aggressioni per recuperare i soldi per bucarvi. Un passato da capelli lunghi e da grandi promesse del basket, con la tendenza a rovinare tutto giocando impasticcati. Avreste trascorso un po' di tempo in riformatorio e probabilmente buona parte dei vostri compagni di infanzia e di avventure sarebbe già morta di overdose o sarebbe in galera a scontare pene per i crimini più assurdi. E soprattutto avreste scritto già allora, a soli tredici anni, come un adulto, o come dice Keruack "meglio dell'89 per cento degli autori di romanzi attualmente in attività". 

Perché Jim Carroll scriveva bene, maledettamente bene. Al punto che se non si sapesse che questo è un suo diario di adolescente, sarebbe davvero difficile credere che sia stato scritto, appunto, da un adolescente. Un adolescente in un contesto difficile, la New York degli anni '60, su cui aleggiava continuamente lo spettro del Vietnam e della guerra nucleare. Una New York in cui, se vivi in particolari quartieri, diventa difficile evitare l'alcool e la droga e giocare come adolescenti normali. Certo, c'è il basket, di cui Jim è grande giocatore e appassionato. E c'è la passione per la scrittura, per la poesia, che ogni tanto diventa più forte di tutto il resto. Ma non sempre ci riesce.

Il libro mi ha impressionata e sconvolta. Sconvolta in modo forte e violento per la vita dura e difficile di questo ragazzetto, per il suo modo quasi comico di raccontarla e per la risata dal gusto amaro che alcune situazioni che vive ti lasciano in bocca. Sconvolta in modo altrettanto forte per lo stile in cui tutto questo viene scritto, per la padronanza della penna di questo tredicenne, per i suoi pensieri, per la già grande consapevolezza che ha di sé e della sua vita.

Non sembra che Jim abbia tredici anni. Non lo sembra per quello che vive né per come lo racconta. Eppure li ha. Genio e sregolatezza forse. Una figura letteraria tormentata, ribelle, destinata a fare cose grandi o a morire prima di arrivare ad essere grande.
Leggendolo sarà impossibile non rimanere scandalizzati (io stessa lo sono). Ma sarà altrettanto impossibile non rendersi conto di trovarsi di fronte a un grande, grandissimo scrittore.

"Più leggo più mi accorgo, adesso, ogni giorno di più, che ho bisogno di scrivere. Penso alla poesia e per come la vedo io è solo un blocco di pietra grezza pronto a essere modellato, per cui le parole non le vedo mai come un tremendo ostacolo, ma come gli attrezzi per scolpire. Mi arrivano queste immagini dalla volta celeste (arriva tutto per immagini) e io le scaglio intorno a me come mattoni, a volte si allineano in modo preciso e altre volte di traverso e pronte a caderti in testa. Come fosse una casa dove ogni tanto vado a buttare giù una stanza e rifarla in un'altra misura o forma perché dia un senso a tutto il resto... non gliene dia affatto. E una volta finito sono fatto come quando ti cali tutto quello che hai in tasca, avete presente?"

Nota alla traduzione: una bellissima edizione questa curata da Tiziana Lo Porto per minimumfax (il romanzo era già uscito in passato con la casa editrice Frassinelli), con una traduzione quasi perfetta e un saggio introduttivo che lascia trasparire ad ogni parola il valore letterario di questo libro e di questo autore.

Titolo: Jim entra nel campo di basket
Autore: Jim Carroll
Traduttore: Tiziana Lo Porto
Pagine: 209
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: minimumfax
ISBN: 978-88-7521-485-2
Prezzo di copertina: 10 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Jim entra nel campo di basket

domenica 12 maggio 2013

SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO 2013

Finalmente ci siamo! Tra pochi giorni, giovedì 16, inizia la XXVI edizione del Salone del libro di Torino.

E quest'anno sono ancor più presa bene degli altri anni. Sarà che ho una fichissima maglietta con il nome del blog (così potete riconoscermi e salutarmi, se vi va!). Sarà che per il primo anno nella mia vita ho anche l'accredito stampa che mi permette di entrare tutti i giorni che voglio senza spendere nulla. Sarà che nell'ultimo anno ho mosso qualche passetto un po' più lungo nel mondo dell'editoria e quindi lo sento un po' più mio. Sarà anche che riuscirò finalmente a incontrare qualche altra fantastica blogger. Insomma, sono decisamente in fibrillazione.
Anche perché io amo moltissimo l'ambiente che si respira dentro a quei capannoni. Tu sei lì che passeggi e magari ti scontri con uno scrittore o una scrittrice che sta facendo lo stesso o sta andando a una conferenza. Sei circondato da libri, una montagna di libri che ti chiamano. E ci sono un sacco di persone interessate, che leggono, spulciano, comprano, parlano, consigliano, sconsigliano... e che ti fanno capire che forse per la letteratura e l'editoria in Italia qualche speranza c'è ancora. Insomma, è un ambiente bellissimo. E io aspetto questo momento di anno in anno, con tanta ansia. Un po' come il Natale, quando si è bambini.

E pensare che non ho nemmeno ancora deciso per bene che giorni andare. Ho spulciato un po' il programma, segnato le conferenze che mi interessano di più... e quindi teoricamente dovrei piantare una tenda lì fuori. Comunque, di sicuro mi troverete nella giornata di sabato 18. Perché VOGLIO andare a sentire David Grossman (ore 12.30, Auditorium), Fulvio Ervas (ore 14, sala gialla) e Margherita Oggero (ore 17 - sala azzurra). 
Poi credo che sarò lì anche domenica, perché c'è un incontro sui book blog e la loro influenza (ore 12.30, Book to the future) a cui mi piacerebbe partecipare (sì, lo so, si parla dei book blog più grandi, ma magari un giorno...).
Potete trovare l'intero programma sul sito del salone... prendetevi solo un paio d'ore per leggerlo tutto!

Insomma, saranno due giorni belli intensi. Anche perché oltre agli incontri programmati spero di incontrare anche altri autori qua e là (Paolo Cognetti sarebbe il mio obiettivo quest'anno).
Ho già stilato la lista dei libri che mi porterò da casa da fare autografare, così come quella di quelli che vorrei comprare là (anche se quasi nessuno fa sconto fiera, il vantaggio del Salone è quello di riuscire a trovare tutte insieme tante case editrici, anche quelle più piccole).

Quindi scarpe comode, bottiglietta d'acqua, borsa capientissima, accompagnatore un po' preoccupato ma comunque psicologicamente pronto e si va!
Ovviamente i giorni successivi troverete qui un bel riassunto di tutto quello che ho visto e ho fatto. E mi raccomando, per chi ci sarà, se vedete una pazza con indosso una maglietta con scritto "La Lettrice Rampante" fermatevi e salutatela, non potrà che farle un immenso piacere!

venerdì 10 maggio 2013

LO STRANIERO - Albert Camus


Lo straniero, un classico della letteratura contemporanea, sembra tradurre in immagini quel concetto dell’assurdo che Albert Camus andava allora delineando e che troverà teorizzazione nel coevo Il mito di Sisifo. Protagonista è Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo. Un giorno, dopo un litigio, inesplicabilmente Meursault uccide un arabo. Viene arrestato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto – il processo e la condanna a morte – senza cercare giustificazioni, difese o menzogne. Come Sisifo, Meursault è un eroe “assurdo”: la sua lucida coscienza del reale gli permette di giungere attraverso una logica esasperata alla verità di essere e dì sentire. “È una verità ancora negativa”, ebbe a scrivere Camus in una prefazione per un’edizione americana dello Straniero, “senza la quale però nessuna conquista di sé e del mondo sarà mai possibile”.


"Elisa, che stai facendo?"
"Quello che faccio sempre, cara coscienza, recensisco un libro che ho letto."
"Sì ma ti rendi conto di che libro è? Sei sicura di essere in grado di recensirlo? Cioè tu, che non hai mai letto letteratura francese e soprattutto che ti sei tenuta lontana da questo libro come (dal)la Peste perché ne hai sempre avuto paura, ora ti metti a recensirlo?"
"Sì, cara coscienza, perché ci si può anche sbagliare. E quando ci si sbaglia sarebbe bene ammetterlo. Ma chi è la coscienza qui, io o tu?"

Ebbene sì. Sto cercando di recensire Lo straniero di Camus. Come mi succede spesso quando mi approccio verso romanzi considerati classici contemporanei (una definizione che mi fa sempre sorridere), la prima cosa che provo è una sorta di timore reverenziale, di soggezione. Non sono tanti i libri che me lo provocano. E quindi la mia coscienza si fa sentire, per avvisarmi che forse non sono esattamente la persona migliore per parlare di un libro come questo, perché non ne ho le competenze e forse nemmeno la capacità. E in parte ha anche ragione, perché su questo libro credo sia già stato detto di tutto, da persone molto più autorevoli di me che ne hanno dato una loro interpretazione. Però, magari se ne parlo anche io, lettrice comune, potrei riuscire in qualche modo a convincere anche i più timorosi a leggere questo romanzo.
E' un libro che a me faceva paura e di cui ho rimandato la lettura per più di sei mesi. Accendevo l'e-reader, aprivo l'ebook, lo "sfogliavo" e poi lo richiudevo. "Non lo capirò". "Non mi trasmetterà nulla e farò la figura dell'imbecille perché dai più è considerato un capolavoro". Pensieri che mi giravano sempre in testa e che alla fine, pochi giorni fa, sono riuscita finalmente a zittire. Ho aperto il libro, senza rifletterci troppo, e ho iniziato a leggere.

E sono stata come  rapita da Meursault e dal suo mondo di indifferenza.

Un personaggio che vive senza lasciarsi influenzare dai sentimenti e dalle emozioni, che vive e basta, ignorando il mondo e facendo o non facendo le cose senza rimorsi e senza rimpianti. E' uno straniero, appunto. Uno straniero verso il mondo ma anche verso se stesso. La madre muore? Massì, chiediamo ferie, andiamo a seppellirla, torniamo a casa e il giorno dopo andiamo in spiaggia. Che c'è di male? Un mio amico picchia la compagna e mi chiede di testimoniare in suo favore il falso? Massì, facciamolo. Cammino sulla spiaggia, incontro un uomo che prima mi ha aggredito e vengo abbagliato dal riflesso del coltello che ha in tasca, gli sparo va. Un colpo. Due, tre, quattro... così siamo sicuri. 
La cosa che sconvolge è che Meursault è consapevole di tutto quello che fa. Non ha alcun dilemma morale, tutto nella sua mente ha una logica, una logica che fila. Una logica che il mondo però non può capire. E quindi durante il processo per omicidio è un po' tutta la sua vita che viene processata: il suo non piangere di fronte alla madre morta, il suo andare in spiaggia il giorno dopo, l'aver testimoniato il falso per aiutare un amico, l'aver ucciso un uomo con quattro colpi di pistola anche se dopo il primo era già morto. Basterebbe una parola, un suo pentimento, un suo segno di resa per evitare la condanna capitale. Ma perché dovrebbe pentirsi se non è pentito?

E' un libro davvero strano, quasi alienante. Eppure non si riesce a trovare nella logica di Meursault qualcosa che non funziona. Non si può condividere, certo. Ma si comprende.

Per cui mettete da parte il vostro timore. Fregatevene se leggendo la trama sulla quarta di copertina vi rendete conto di non sapere chi sia Sisifo. Non ascoltate la vostra coscienza quando cerca di convincervi che non è un libro per voi. E leggetelo. Poi rifletteteci un po'. Magari non avrete capito tutto, magari odierete a morte questo personaggio, magari alla fine non vi resterà assolutamente nulla, o magari diventerà il vostro romanzo preferito. In ogni caso, non avrete sprecato il vostro tempo.

("Allora coscienza? Ora non mi dici più nulla?")

"Non sapevo, prima, fino a qual punto i giorni possono essere lunghi e corti allo stesso tempo. Lunghi a vivere, senza dubbio, ma talmente distesi che finiscono per traboccare gli uni sugli altri"

Nota alla traduzione: è sicuramente una traduzione un po' antiquata, ma comunque credo sia molto efficace e ben fatta.

Titolo: Lo straniero
Autore: Albert Camus
Traduttore: Alberto Zevi
Pagine: 176
Anno di pubblicazione: 2001
Editore: Bompiani
ISBN: 978-8845247460
Prezzo di copertina: 9 €
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formato brossura:Lo straniero