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sabato 20 dicembre 2014

Di editoria a pagamento, di doppi binari e di politiche discriminatorie dei blogger

©Kaan Bagci
Oggi parliamo di editoria a pagamento. Sì, di nuovo, anche se forse l’argomento rispetto a qualche anno fa sta passando un po’ di moda. E non che io ne abbia parlato poi così spesso qui sul blog. Direttamente solo una volta, quando ho intervistato un autore che aveva pubblicato a pagamento. Indirettamente, invece, ne parlo sempre, ogni volta che non accetto di leggere o di recensire un libro che so arrivare da una di queste case editrici.
Però ne voglio parlare di nuovo, perché proprio in questi giorni mi è capitata una cosa che, credo, meriti un post. Non farò alcun nome, un po’ perché questo non vuole essere un post di condanna verso nessuno, un po’ perché sono convinta che un autore o un’autrice che è in grado di scrivere un libro dovrebbe essere anche in grado, prima di pubblicarlo, di fare un minimo di ricerca e decidere da solo/a a quale editore rivolgersi e quale no.

Un po’ di tempo fa mi ha contattata l’Ufficio Stampa di un autore, giunto già al suo terzo libro, per propormene la lettura ed eventualmente una recensione sul blog. Conosco da diversi anni, proprio grazie al blog, la persona che mi ha scritto e quindi, senza pormi troppi problemi (leggi “stupidamente”), ho deciso di accettare.
Ho letto il libro e mi è piaciuto molto. Prima di scrivere la recensione ho deciso di fare qualche ricerca sull’editore che l’ha pubblicato, più per curiosità che non per indagine, abbastanza sicura, vista anche la bellezza del libro, di trovarmi di fronte a una di quelle piccole case editrici che tanto amo ultimamente, che fanno della loro passione per la letteratura il loro lavoro. 
E magari sarà così anche in questo caso, ma la casa editrice in questione è una casa editrice a pagamento (sotto forma di acquisto copie da parte dell’autore) e doppio binario. Il primo caso non viene dichiarato sul loro sito internet, il secondo, molto apertamente, sì. 

Mi sono consultata con un paio di blogger, una che aveva ricevuto il libro come me e che, ancor prima di me, aveva avuto qualche dubbio in merito, e un’altra che so conoscere questo mondo in modo molto più approfondito. Ho parlato con chi mi ha inviato il libro e, alla fine, ho scritto direttamente all’editore (che, dal canto suo, bisogna ammettere essere stato molto onesto sia nella rapida risposta sia nel contenuto… cosa non poi così scontata quando si fanno certe domande un po’ “scomode”).

La risposta, devo dire, non mi è piaciuta. Il succo è “fanno tutti così, piccoli, medi e grandi editori. La differenza è che noi pubblichiamo anche emergenti, mentre i grandi si affidano solo alle agenzie letterarie, con un esborso economico da parte dell’autore ancor più grande del nostro obbligo di acquisto copie”.

Ammetto che per un momento ho avuto il dubbio che fosse vero. Ok, è durato mezzo secondo, ma credo, non essendo una vera addetta ai lavori ma una semplice lettrice un po’ curiosa, che fosse anche giusto che questo dubbio nascesse. Per togliermelo del tutto ho fatto l’unica cosa che potevo fare: scrivere ai piccoli e medi editori che conosco e chiedere loro come funziona la pubblicazione con la loro casa editrice. 

© Illulla
Nessuno di quelli con cui ho parlato chiede soldi agli autori per la pubblicazione, né impone alcun obbligo di acquisto copie. Anzi, solitamente qualche copia del libro viene mandata all’autore “in omaggio” e poi sono previsti sconti se l’autore decide di acquistarne altre copie.
Alcuni si sono anche un po’, e giustamente, alterati non tanto di fronte alla mia domanda quanto al motivo della mia domanda. “Un editore mi ha detto che questa prassi è comune a tutti gli editori. Confermi, smentisci?”.

Non so se il dire “lo fanno tutti”  sia davvero ciò che certi editori credono (che poi è il motivo per cui non faccio nomi, perché non riguarda sicuramente solo l’editore con cui ho parlato io) o se venga semplicemente usato per far credere agli autori, a volte un tantino allocchi, che la prassi sia quella e che quindi possano tranquillamente pubblicare con loro. Non lo so. Così come non so bene come funzioni con le grandi case editrici, perché non ho mai avuto modo di rivolgermi direttamente a loro per fare una domanda del genere. Sicuramente alcuni passano tramite agenzie editoriali, che altrettanto sicuramente non costano poi così poco, però credo anche che altri invece abbiano avuto, oltre all’indiscussa bravura, la fortuna di essere scoperti e pubblicati senza dover sborsare un euro.
L’editore mi fa notare poi che non applicano questo obbligo di acquisto a tutti i libri che pubblicano (e qui sta il doppio binario, se ho capito bene), ma solo a quelli che vengono loro proposti direttamente dagli autori o dalle agenzie letterarie. Ci sono quindi due canali, quelli selezionati da loro, su cui hanno un certo rischio d’impresa, e quelli che invece pubblicano su richiesta, anche se ammetto non mi è ben chiaro se utilizzino lo stesso marchio o se differenzino bene le due modalità. (Avrebbe più senso? Ne avrebbe meno? Non lo so…  da un lato farebbe sorgere qualche dubbio sui libri pubblicati gratis, dall'altro farebbe sì che la casa editrice stessa considerasse, in qualche modo, i libri pubblicati a pagamento “inferiori” o comunque diversi).
Nella mail mi viene fatto notare (in modo, ripeto, molto, molto educato) che forse con questa politica di non leggere o recensire libri pubblicati dalle case editrici che prevedono un pagamento, di soldi o di acquisto copie, da parte dell’autore in qualche modo io sia discriminatoria e crei uno svantaggio nei confronti di quelle piccole case editrici indipendenti e di quegli autori con la passione per la scrittura (che immagino siano un po’ tutti) che per poter sopravvivere e farsi conoscere avrebbero bisogno proprio dell’incoraggiamento di tutti.

Anche su questo ho riflettuto a lungo. E se da un lato comunque dubito che una recensione sul mio blog possa avere questo effetto, dall’altro credo che di spazio sul mio blog per i piccoli editori ce ne sia. Per quelli che, a mio personalissimo giudizio, questo spazio se lo meritano davvero, però.
 Per quelli che fanno cultura e letteratura, senza  far leva sull’ego dell’autore che crede talmente tanto nel suo lavoro (e ci sta, ci mancherebbe!) da essere disposto anche ad acquistare qualche copia pur di vederlo pubblicato.

Per quelli che investono e rischiano, perché quello è il loro lavoro. Che pubblicano magari poco, ma buono.

Per quelli che non rispondono mai “fanno tutti così”. 

Pur non essendo un’esperta del settore, so anche io che il mondo dell’editoria dall’interno è molto complesso. So che per un autore è difficile farsi pubblicare e che forse, a volte, oltre alla bravura ci va anche la fortuna. Così come so che sulla frase “gli editori oggi non rischiano e non pubblicano emergenti” si fondano le basi sia dell’autopubblicazione sia, soprattutto, degli editori a pagamento.

Quindi, l'unica cosa che posso dire agli autori è di valutare bene cosa vogliono dal loro libro e a quali condizioni pubblicarlo, perché in alcuni casi è meglio tenerlo in un cassetto che pubblicarlo con una casa editrice che su di voi non è poi così disposta a scommetere.

lunedì 2 dicembre 2013

Interviste rampanti: editoria a pagamento e autopubblicazione

Nessuna intervista rampante in programma per questa settimana. Sto aspettando che mi arrivino le risposte di un ultimo autore e poi, almeno per il momento, direi che l'esperienza delle interviste può dichiararsi conclusa.
Come già avevo fatto una volta, ho deciso di ingannare questa attesa pubblicando un breve riepilogo di alcune risposte. Oggi vorrei soffermarmi su quelle riferite alla domanda "Cosa pensi dell'editoria a pagamento? E dell'autopubblicazione?". Si tratta di un tema sempre molto attuale e che, immancabilmente, scatena molti dibattiti. 

© Luo Qianxi
Di editoria a pagamento su questo blog avevo già in qualche modo parlato, nel post Quella volta in cui ho pubblicato a pagamento: uno scambio di mail con un ragazzo che aveva scelto, più o meno consapevolmente, questa forma di pubblicazione e che mi aveva dato di che riflettere. Sull'autopubblicazione non mi sono mai invece espressa molto chiaramente, forse perché un'idea troppo chiara non ce l'ho nemmeno io. Credo che dipenda molto dall'uso che se fa, da quali obiettivi ci si pone autopubblicandosi: se si tratta di raccogliere qualche proprio lavoro e regalarlo ad amici e parenti, ci può stare. Se si tratta di autopubblicarsi per vendere, sono invece un po' più titubante. Forse perché sono affezionata all'idea dell'editore che, oltre che investire, lavora su un romanzo, offrendo suggerimenti, editandolo, aiutando nella promozione (questo non sempre, bisogna ammetterlo) ma, ancora prima e soprattutto, valutandone il potenziale e il valore. Tutto questo viene a mancare quando qualcuno si autopubblica. Dall'altro lato però ci sono molti autori che hanno iniziato proprio con il selfpublishing e sono riusciti così a farsi notare dalle case editrici che, altrimenti, forse se li sarebbero persi per strada. Quindi, non lo so, sono ancora un po' indecisa su quale sia la mia opinione a proposito.

Vediamo però cosa pensano di queste due forme di pubblicazione gli scrittori italiani protagonisti della interviste rampanti (se la vostra reazione prima, durante o dopo la lettura è quella di esclamare un "grazie al cavolo, loro hanno già pubblicato, vi consiglio di dare un'occhiata sia a tutte le interviste sia al post "Come farsi scoprire dalle case editrici").

Marco Missiroli
L’editoria a pagamento non è editoria. Non pubblicate se vi chiedono soldi o “sponsorizzazioni”. Meglio autopubblicare, allora.

Stefano Piedimonte
L’editoria a pagamento, per quel che mi riguarda è una truffa. So bene che per la legge italiana non è così, ed esprimo quindi il mio parere personale. Qualcuno può non condividerlo. Se un editore crede in un testo, investe energie e denaro per pubblicarlo e promuoverlo. Se un editore ti chiede soldi per pubblicare un libro vuol dire che non crede nel tuo romanzo o che non ha gli strumenti per promuoverlo. In entrambi i casi non ti condurrà molto lontano. L’autopubblicazione? Dipende da come ci arrivi. Anche in quel caso le possibilità di arrivare lontano sono quasi pari a zero (i casi di grossi bestseller partiti da un’autopubblicazione sono così pochi da risultare praticamente irrilevanti ai fini statistici: sono le classiche eccezioni che confermano la regola), ma può rappresentare una scelta, e va rispettata. Certo, se arrivi all’autopubblicazione dopo essere stato rifiutato da cento editori, sarebbe il caso che prima tu dessi un ulteriore sguardo al tuo manoscritto. Una volta gli editori erano dieci. Essere rifiutato da dieci editori può voler dire che stanno sbagliando. Se sono in cento, a dirti di no, è probabile che tu debba riconsiderare ciò che hai scritto.

Marco Malvaldi
Sugli editori a pagamento, sarò brutale: tutto il male possibile. L’editore è uno che sceglie, e in un mondo in cui il cinquanta per cento degli abitanti ha un romanzo nel cassetto questa è una mera pratica di circonvenzione di incapace. Per l’autopubblicazione, se una persona  è consapevole che lo fa solo per motivi pratici (spedire ad un editore, o regalarlo agli amici) perché no? 

Paolo Pasi
Sono molto scettico sulla prima. Un editore che si fa pagare non è disposto a rischiare, e dunque non credo possa sostenere con convinzione un libro che pubblica. Meglio allora pubblicarsi a proprie spese, a patto che un autore creda fermamente in se stesso e abbia energie sufficienti per farsi conoscere. 

Fabio Bartolomei
C'è un equivoco che va avanti da anni. Chiunque chieda denaro per stampare un libro non fa Editoria a pagamento, fa tipografia. Se proprio ci si vuole togliere la soddisfazione di vedere il proprio romanzo stampato e rilegato, è molto meglio rivolgersi a un tipografo vero, orgoglioso del suo mestiere, e autopubblicarsi. 

Simona Baldelli
Non mi sento di demonizzare chi sceglie l’autopubblicazione per cercare di emergere. Vorrei solo un po’ più di onestà da parte delle case editrici. Credo che sarebbe molto più rispettoso, non solo per gli scrittori ma specialmente per i lettori, se sulla copertina ci fosse una segnalazione che indica se il libro è stato acquistato dalla casa editrice oppure se lo scrittore ha pagato per essere pubblicato. 
Ad, esempio, una piccola casa editrice la Zero91, sta facendo una campagna di sensibilizzazione molto importante su questo argomento ed ha creato un logo, che qui ti allego, che potrebbe essere inserito sulle copertine dei libri che non sono stati pubblicati con il finanziamento diretto dello scrittore. Spesso i libri editi con il sistema dell’autopubblicazione, non hanno subito nessuna selezione, sono fatti a volte senza cura, non hanno avuto editing, correzione di bozze, sono pieni di errori, strafalcioni, non tutti, chiaro, ma la maggior parte sono così, poiché è chiaro che vengono pubblicati non perché un editore crede ed investe su un autore, ma perché rappresenta semplicemente un “business”. I lettori dovrebbero sapere tutto ciò. E poi scegliere.

Paolo Cognetti
Spero che l'autopubblicazione uccida definitivamente l'editoria a pagamento, che è una truffa: ora almeno, se uno proprio ci tiene, il libro se lo pubblica da solo senza dare soldi a nessuno. Dopodiché, penso che il ruolo dell'editore sia fondamentale. Come quello del libraio, di nuovo. E del critico letterario. Sono come setacci che filtrano tutta la sabbia che c'è, e ogni tanto, se va bene, trovano una pepita d'oro.  

Stefania Bertola
Un mio grande desiderio è non consigliare niente agli aspiranti scrittori. Ma proprio dovendo, ora come ora mi pare che il sistema migliore per verificare se quello che scrivi interessi a qualcuno siano tutte le varie forme di auto pubblicazione on line. Gli o le direi: “Scrivi, scrivi, non mandare da leggere a me per favore, scrivi, scrivi, pubblica online e vedi che succede. E fai concorsi, tutti i concorsini e concorsetti che trovi, è matematico che se vali qualcosa prima o poi qualcuno se ne accorge.”
Editoria a pagamento, niet. Autopubblicazione, ho già risposto.

Sandro Bonvissuto
L’editoria a pagamento è come il sesso a pagamento, puoi conquistarti una donna o pagarla (o anche un uomo), e per rimanere nell'ambito delle abitudini sessuali credo che l’autopubblicazione sia come l’autoerotismo. Comunque niente che non rientri nelle umane cose.

Fabio Stassi
Ne penso male. Questo sì, posso consigliarlo, di non pagare mai per pubblicare. Ci sono banditi che hanno costruito fortune sulle ambizioni sbagliate della gente. L’autopubblicazione è invece una cosa privata. Ognuno può stampare, anche con la propria stampante, un dattiloscritto, magari solo per farlo leggere agli amici. Ma è un’altra cosa. Nell’epoca delle foto digitali, come dice Busi, si fanno migliaia di scatti e non ce n’è uno che si salvi. Allo stesso modo, non si dovrebbero scrivere romanzi con la stessa facilità. Ma avere più attenzione, più pudore, più cura. La letteratura è un antidoto all'egocentrismo, una dichiarazione di guerra all’autocompiacenza. Una volta, una scrittrice cilena mi ha detto che si scrive per il proprio disonore, non per il proprio onore.

Alessio Torino
Dell’editoria a pagamento – parlo della narrativa – penso tutto il male possibile. Nel lungo periodo di tempo in cui sono rimasto sommerso, mi sono sempre detto che avrei fatto più bella figura con me stesso ad accettare di aver fallito in qualcosa, più che riuscirci pagando. 

Il parere sull'editoria a pagamento mi sembra essere abbastanza univoco e coincide con il mio. L'editoria  a pagamento non è editoria, pagare un editore per pubblicare non può essere di alcuna soddisfazione perché è evidente che si tratta solo di una questione economica. Una truffa legalizzata, una circonvenzione di incapace... trovo che la metafora usata da Sandro Bonvissuto sia estremamente efficace.
Per quanto riguarda l'autopubblicazione, c'è chi lo vede come un buon strumento per emergere, un sistema che potrebbe portare dei frutti in un'epoca in cui si pubblica davvero troppo, ma anche chi lo considera invece una forma di autocompiacimento (o di "autoerotismo" come dice, ancora una volta, Bonvissuto). Dai più viene vista come un'alternativa sicuramente migliore dell'editoria a pagamento, ma comunque non sempre efficace.

Voi che ne pensate?

venerdì 7 giugno 2013

Di quella volta in cui ho pubblicato a pagamento...

In questo post si parlerà di editoria a pagamento. Argomento forse un po' inflazionato, sicuramente molto controverso, che tende a scaldare un po' troppo gli animi. Per cui la prima, primissima cosa che chiedo a chi commenterà è di andarci cauto. Che qui si scambiano opinioni e non insulti.

Pur non avendone mai parlato apertamente e direttamente, credo che si sia capito quale sia la mia opinione in merito all'editoria a pagamento. La trovo svilente per l'autore e mi viene spesso da pensare che se hai pubblicato a pagamento è perché gratis nessun editore ha voluto scommettere su dite... perché la tua opera non merita. Pregiudizi? Forse, anzi sicuramente sì. Ma finora nessuno è mai riuscito a farmi cambiare idea. Certo è che se le case editrici a pagamento esistono è perché sono legali e, soprattutto, perché qualcuno a loro ricorre. Autori sprovveduti? Autori troppo egocentrici e convinti che tutta l'editoria non sia in grado di apprezzare il loro lavoro? Autori che non hanno voglia di aspettare i lunghi (effettivamente lo sono) tempi di lettura delle case editrici free?
Non lo so quali possano essere le vere motivazioni, anche perché queste sicuramente possono cambiare da persona a persona. Fatto sta che l'editoria a pagamento esiste, così come esistono autori che hanno pubblicato a pagamento. E che poi si trovano a rapportarsi con il mondo esterno.

Questo post nasce proprio da qui. Da un autore che ha pagato per pubblicare il suo libro. Qualche giorno fa sono stata infatti contattata da un autore emergente che voleva propormi la lettura del suo libro. La sua mail iniziava così:
Ho pubblicato con Albatros; ora, so che questo nome ti farà probabilmente sputare sangue e piangere lacrime amare...
Ora proprio sputare sangue e piangere lacrime amare no, ma sicuramente il primo istinto è stato quello di liquidarlo immediatamente. Ne ho già tanti di libri da leggere, che sono stati sottoposti all'iter tradizionale... figuriamoci se mi metto a perdere tempo con altri.
Poi però sono andata avanti a leggere e mi sono resa conto di trovarmi di fronte a una persona con una buona proprietà di linguaggio (cosa che, come forse vi ho già detto in precedenza, non sempre succede con certi emergenti) e soprattutto con una strana consapevolezza. Non so spiegarvi. L'ho sentito quasi come se si pentisse di averlo fatto ma che non voglia comunque rinnegarlo. E quindi, curiosa come una scimmia, ho provato a chiedergli le motivazioni per cui ha pubblicato a pagamento.
Ne è nato un per me interessante scambio di mail che mi ha portato a questo post.

L'autore in questione sa che avevo in mente di scrivere qualcosa e ha letto queste parole in anteprima. E troverete quindi qua e là qualche suo commento o precisazione. Non voglio, per il momento, farne il nome perché non credo che sia poi così necessario. Quindi troverete in carattere normale il mio pensiero, in corsivo gli estratti delle mail precedenti e in viola i commenti diretti dell'autore dopo la lettura in anteprima del post.

Come vi dicevo dopo la sua mail di richiesta di recensione, gli ho risposto chiedendogli perché ha pubblicato a pagamento, cosa lo ha spinto a scegliere quella particolare casa editrice. E mi ha risposto, molto sinceramente, che inizialmente era un po' sprovveduto, che ha inviato il manoscritto un po' a raffica e a casaccio senza soffermarsi più di tanto a pensare, e seguendo un rating trovato su internet, che poneva Albatros nel versante positivo del settore.

Due case editrici gli hanno risposto. Entrambe a pagamento. E lui ha scelto quella che tra le due gli sembrava più seria e che gli forniva di più. A posteriori, ammette di non essere un granché soddisfatto del Gruppo Albatros, ma non per il discorso economico.

Da lì, si è passato a parlare di case editrici in generale, perché gli ho fatto notare che esistono anche case editrici piccole o medie che puntano sugli emergenti (o che pubblicano solo emergenti), con comitati di lettura e selezione e con un certo lavoro di cura del testo prima di mandarlo in stampa (esiste anche chi pubblica a gratis e non fa editing eh, sia chiaro.) Ancora una volta, ho trovato le sue parole molto consapevoli, molto ben sviluppate e pur non riuscendo a condividere il suo pensiero, credo che valga la pena analizzarle un attimo.

La prima cosa che si riscontra è il disincanto, misto forse a una piccola dose di autoconvincimento:
"Nessuno è realmente disposto a puntare sugli esordienti, e scegliere fra questa o quella casa editrice è come scegliere fra le mele e le banane dopo pranzo: irrilevante.
Le case editrici che pubblicano gratuitamente le conosco [una mia amica di famiglia è la responsabile di una catena di librerie], ma le conosco giusto perché me ne ha parlato lei, altrimenti rimarrebbero buchi neri nella galassia dell'editoria."
E' davvero così? Non è una domanda retorica, è una domanda vera. Da quel poco che so io di editoria, no, non è così. Certo, ci sono tante, tantissime case editrici che non investono sull'autore o sul testo ma semplicemente sul prodotto e che quindi magari se un romanzo è bello ma non "di moda" viene scartato. Ci sono tante, tantissime case editrici che sì ti pubblicano, gratuitamente, ma che poi lasciano a te l'onere della promozione o delle vendite. Ci sono case editrici che pubblicano tutto, in ordine di arrivo. Ma poi ci sono anche case editrici che davvero investono sugli autori e sui loro libri, accompagnandoli e seguendoli in ogni passo. Certo, hanno tempistiche di lettura magari lunghe e la selezione è ristretta, proprio perché devono investire. Ma esistono. 

Le case editrici a pagamento sono più scelte e guadagnano di più, questo è evidente anche solo guardando al Gruppo Albatros. Quelle gratuite sono pressoché sconosciute, almeno a livello popolare [il mio livello prima di pubblicare, appunto], modeste, ridotte o fallimentari. Vuoi che non sorgano delle invidie e dei malumori?  Visto che segare le gambe alle case editrici non si può, perché appunto, sono legali, ecco che il carico di merda se lo devono sorbire i poveri incolpevoli autori, accusati di pubblicare a scatola chiusa, senza selezione alle spalle. Così è nato il pregiudizio, colpendo il prodotto invece del produttore.

Il discorso della selezione è stato un altro argomento di questo piacevole scambio di mail. Io ho sempre dato per scontato che non ci sia alcun processo di selezione nelle case editrici a pagamento. Non ho mai effettivamente indagato a tal proposito, mi sono sempre e solo limitata a leggere qualche articolo qua e là.
L'autore mi fa notare questo:
Un buon concorso letterario, diciamo di livello internazionale, si tiene una volta all'anno, e riceve all'incirca uno-due migliaia di manoscritti [un concorso minore, che ha pubblicato di recente i suoi dati, ha dichiarato, se non ricordo male, 546 partecipanti.. Quindi dovremmo esserci]. Giusto?Proporzionalmente, una casa editrice che pubblica bandi mensili [come l'Albatros] dovrebbe ricevere all'anno qualche decina di migliaia di manoscritti.L'Albatros ha in catalogo 2000 titoli [numero ufficiale presentato al Salone del Libro di Torino, che comprende anche i non esordienti].La domanda a cui accennavo è questa: perché gira voce che in questi tipi di case editrici non si faccia selezione, non esista un comitato di lettura? È ingenuo anche solo pensarlo, dovrebbero essere in migliaia a lavorare, senza dormire la notte.Ovviamente la selezione di Albatros sarà più ampia, perché, essendo mediamente più nota, riceve più manoscritti.Ora, stante la selezione di base presente in entrambi i "circuiti" [gratuito e a pagamento], perché quelli pubblicati gratuitamente dovrebbero essere migliori a prescindere? In base a cosa? E se la qualità del comitato di lettura fosse scadente [ho letto opere semplicemente incommentabili, lautamente premiate in restrittivissimi concorsi letterari]?Se pubblichi con Einaudi, Mondadori & co. sei un figo a prescindere, ma i loro "blasonati" cataloghi sono pieni di merda, e direi che non c'è neanche bisogno di fare nomi.

Quindi quella che non fanno selezione nelle case editrici a pagamento, o almeno in questa nello specifico, è solo una voce? (Di nuovo, non si tratta di una domanda retorica ma di una domanda vera). Se sì, allora, perché se ti selezionano e credono nella tua opera e nel tuo valore, ti chiedono soldi per pubblicarti?

La risposta c'è, ed è piuttosto nota nell'ambiente. Effettivamente è la domanda fondamentale, perché dalla risposta scaturiscono tutti i vari pregiudizi [il fatto che tu davi per scontata l'assenza di selezione è emblematico di ciò, e deriva proprio dagli sviluppi di questa questione].
Alcune case editrici chiedono soldi perché... Possono farlo. È perfettamente legale, l'hai detto tu [e l'ha confermato un avvocato del Codacons, contratto del Gruppo Albatros alla mano]. Certo, è piuttosto immorale, perché potrebbero fare diversamente. E infatti c'è chi fa diversamente e sceglie di preservare la moralità, cioè le CE gratuite.

Dal mio punto di vista, considero "migliori" le selezioni del circuito gratuito proprio perché non chiedendo soldi all'autore devono davvero essere sicuri di quello che pubblicano. Ci guadagnano solo se il libro vende e quindi devono far sì che i libri siano, appunto, di qualità e adatti al pubblico. Io non ti chiedo soldi per pubblicare, i costi sono tutti a carico mio, quindi la tua opera deve davvero essere meritevole. Semplice, no?
Certo, quando dice che anche le case editrici più rinomate hanno cataloghi pieni di merda non posso che dargli ragione. Purtroppo è così. Ma si tratta di libri sicuramente brutti ma per una casa editrice "commerciabili".
(Sui comitati di lettura invece non concordo tanto, ma semplicemente perché può essere scadente sia quello di una free sia quello potenziale di una a pagamento...)

Sarò sincera, alla fine di questo scambio di e-mail, i miei pregiudizi sono rimasti e tra i milioni di libri che devo ancora leggere, quelli pubblicati da una casa editrice a pagamento sono sicuramente gli ultimi in classifica. Forse sbaglio, forse così facendo rischio di perdermi dei capolavori. Però non so, c'è qualcosa in questo meccanismo che, pur essendo sicuramente legale, pur mettendo davanti all'autore un contratto che lui stesso accetta e firma, non mi piace, che mi sembra una presa in giro, dell'autore e del suo talento. Se esiste, perché  mi chiedi soldi e non investi su di me? Se non esiste, non è vile che dici ugualmente che io ce l'abbia per rubarmi dei soldi?

Certo i pregiudizi, in ogni ambito della vita, sono sbagliati e probabilmente se tutti riuscissimo a smettere di averne il mondo sarebbe migliore. Ma su certi aspetti è davvero difficile.

L'hai detto tu: quasi nessuno è disposto a recensire e fare affidamento su libri a pagamento. E allora CHI ha deciso della loro qualità?  Evidentemente nessuno, se non l'astio delle case editrici gratuite, rapidamente diffusosi su internet e [quindi] immediatamente accolto come vero dalla massa [la maggior parte dei blog letterari sono a tutti gli effetti filiali, succursali delle CE gratuite, questo è abbastanza ovvio].
Prova ne sia il fatto che gli scrittori, gli editori e le figure del settore a cui ho fatto avere il mio libro, l'hanno letto senza pregiudizio alcuno, perché viventi la realtà dei fatti e non quella di internet: chi pubblica un libro, qualche merito deve averlo [tranne magari quelli che si pubblicano da soli sulla rete]. Poi non è detto che la qualità ci sia eh, sia chiaro, ma sicuramente non può essere decisa a priori da una supposta elite di illuminati.
E ancora, sicuramente esisteranno realtà ancora meno oneste che non fanno alcuna selezione, ma devono per forza di cose essere realtà minori, sia in quantità che in importanza. Una grossa casa editrice [e l'Albatros è una grossa fra le piccole, come mezzi] non può farlo, ma proprio matematicamente. La selezione sarà più ampia e tutto quello che vuoi [anche e soprattutto perché arriva più materiale], ma così è.

E poi, in queste mail, ci sono due frasi che mi hanno fatto un po' sorridere, un po' commuovere e un po' arrabbiare. Perché mi sono immedesimata un attimo in questo autore, soprattutto nel momento in cui si è trovato di fronte per la prima volta a quei pregiudizi:

Io sogno un mondo in cui si badi all'autore, e non alla casa editrice.
Un mondo in cui l'autore possa farsi conoscere senza ostacoli dettati da pregiudizi infamanti, che oltretutto non dipendono neanche da lui.
Perché in realtà, come idea di base sarebbe anche molto bella e molto, molto giusta. Perché è vero, bisogna giudicare il libro e la sua storia, non chi lo ha pubblicato. E questo deve valere per qualunque libro. E mi rendo conto che per un emergente, sia che abbia pubblicato con una free sia che abbia pubblicato a pagamento, nella giungla in cui si è trasformata l'editoria negli ultimi anni farsi notare e sopravvivere è difficile. Però trovo anche una certa ingenuità in questa sua posizione. Perché offuscato dall'entusiasmo (che capisco e condivido, ci mancherebbe!) non ha svolto una ricerca prima di accettare di pubblicare. Una ricerca nemmeno poi così difficile, visto che come si diceva all'inizio quello dell'editoria a pagamento è un argomento scottante e di cui gli addetti ai lavori parlano spesso (c'è una famosissima lista... che non mi sento di condividere totalmente, ma che comunque per gli autori emergenti penso sia una buona guida). Forse si sarebbe scontrato lo stesso con altri pregiudizi, forse avrebbe avuto comunque difficoltà a emergere e a farsi notare. Ma sarebbe sicuramente partito meno svantaggiato.

In conclusione: sono stato uno sprovveduto che poteva informarsi meglio ed evitare spese inutili? Sicuro.
Sono un brocco presuntuoso e sopravvalutato senza speranza alcuna perché ho pubblicato a pagamento? No, lì mi girano i coglioni. Almeno conoscetemi e fatemi parlare prima.

Alla fine comunque siamo rimasti d'accordo che, quando avrò esaurito un po' la coda dei libri che mi sono stati inviati dagli emergenti per una lettura, leggerò anche questo. 
Concludo ringraziando ancora una volta questo autore, per la disponibilità al dialogo e per lo scambio di opinioni, che per me è stato davvero molto interessante e utile a farmi un'ulteriore idea su questo strano mondo che ancora una volta ha dimostrato di essere l'editoria.