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mercoledì 30 aprile 2014

OLIVE COMPRESE - Andrea Vitali

Lo so, lo so, non sono una persona molto coerente. Passo buona parte del mio tempo a criticare quegli scrittori che pubblicano (di dire "scrivono" non me la sento) tre o quattro romanzi nuovi all'anno e poi però alla fine li leggo. In realtà, di questi autori così prolifici leggo solo Andrea Vitali e solo i romanzi più vecchi, quelli che potevano definirsi "il nuovo romanzo di..." per più di sei mesi. L'ho già detto e ripetuto più volte che i romanzi più vecchi di Andrea Vitali mi piacciono molto. Letture leggere leggere che mi divertono un sacco.

Era a un po' di tempo che volevo leggere Olive comprese. Con questo suo titolo, molto curioso, era forse uno dei romanzi di Vitali che mi ispirava di più, sebbene non avessi idea di quale fosse la trama. Anche perché, alla lunga,  le trame dei romanzi di Vitali sono tutte un po' simili e, soprattutto, non sono poi così fondamentali.
Di fondamentale c'è Bellano, questo paesino sul lago di Como, con i suoi caratteristici abitanti e i loro piccoli grandi drammi a sconvolgere la normale vita di paese, questa volta negli anni '30, ai tempi del fascismo.  E poi ci sono un medico, un maresciallo, un podestà con una moglie strampalata, una gattara dall'oscuro passato e un impiegato delle poste che ha un figlio disperso in guerra. C'è un gruppo di amici, che si divertono a commettere piccolo crimini e a fare un po' di casino (oltre che andarci, al casino), che con il passare del tempo però uno per uno mettono la testa a posto: c'è chi rimane a Bellano e si sposa, chi se ne va definitivamente per non tornarci più.

Raccontare la trama di un romanzo di Vitali è davvero un'impresa ardua, se non impossibile. E' un po' come se chiedeste a una vecchina del vostro paese o del vostro condominio se c'è qualche novità. E lei partirà a parlare, a raccontare, a fare collegamenti che all'apparenza non hanno alcun senso ma che messi tutti insieme dipingono un ritratto fedele di quello che succede attorno a lei. E sta proprio lì la forza dei romanzi di Vitali secondo me. Nella loro apparente banalità e semplicità, negli intrecci che sembrano non avere senso ma che invece un senso ce l'hanno eccome. Nella comicità quasi involontaria delle situazioni e delle reazioni dei vari personaggi.
E' insomma una lettura leggera, che tira fuori il lato pettegolo di ognuno di noi (è inutile negarlo, ce l'abbiamo tutti un lato pettegolo!) e per questo riesce a conquistare e appassionare. E poi il momento in cui il titolo viene spiegato è davvero divertente.

Insomma, Olive comprese è un romanzo che merita. E magari lo sono anche tutti quelli nuovi di Andrea Vitali (al momento non sono nemmeno sicura di quale sia il titolo dell'ultimo, che ne sono usciti due in due mesi), ma questa sua eccessiva prolificità secondo me gli toglie un po' di fascino e aumenta quel senso di ripetitività che romanzi come i suoi necessariamente hanno. Se  se ne legge uno all'anno questa ripetitività non disturba, uno ogni due mesi diventa un po' noioso.


Titolo: Olive comprese
Autore: Andrea Vitali
Pagine: 448
Anno: 2006
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811682752
Prezzo di copertina: 9,90€
Acquista su amazon:
formato ebook:Olive comprese (Garzanti Narratori)

Due titoli, un solo libro: ma perché? #77

La puntata di oggi nasce da una storia vera. Quella di una dolce fanciulla, appassionata di libri e che ama spendere ore in libreria, che un pomeriggio si trovava di fronte al reparto dei classici, davanti ai libri di Oscar Wilde, per l'esattezza.

C'erano Il ritratto di Dorian Gray e Il fantasma di Canterville, De profundis e una raccolta di aforismi, l'opera teatrale L'importanza di chiamarsi Ernesto e l'opera teatrale L'importanza di essere onesto...




 "Cavolo! Questi ultimi due si assomigliano proprio! Cambia solo la casa editrice che li pubblica! Vuoi vedere che dietro c'è qualche problema traduttivo?" ha pensato tra sé la fanciulla. Poi ha aperto entrambi i libri e confermato la sua supposizione: il titolo originale era lo stesso per entrambi, ovvero The Importance of Being Earnest, una commedia teatrale in 3 atti andata in scena per la prima volta a Londra il 14 febbraio 1895:




Ma da dove arrivano i due titoli italiani? Ovviamente da un serio problema traduttivo del titolo originale. Da quella parolina finale, quell'Earnest che in inglese può avere diversi significati che in italiano non possono essere racchiusi da una stessa parola.

Oltre che un nome proprio, Ernesto appunto, earnest può anche essere un aggettivo, che significa onesto, serio, affidabile, probo. Difficile trovare un nome proprio italiano che sia anche un aggettivo. E questa difficoltà ha dato vita a diverse versioni del titolo in italiano. Oltre a L'importanza di chiamarsi Ernesto e L'Importanza di essere onesto, esiste anche un L'importanza di essere Franco, che rispetta il gioco di parole originale ma ne cambia il significato (essere franco ed essere onesto e affidabile non è la stessa cosa), e un L'importanza di essere Fedele (idem come Franco).

Sono due però le cose che hanno sconvolto maggiormente la dolce fanciulla il libreria: la prima è che non si sia riusciti a stabilire un titolo definitivo, valido per tutte le edizioni e per tutte le case editrici, invece di avere titoli diversi. Forse questo è dovuto dalla difficoltà di capire quale sia la soluzione migliore... una difficoltà comprensibile. Nemmeno io onestamente saprei come tradurlo. Mi piace di più L'importanza di chiamarsi Ernesto, se devo essere sincera, ma mi rendo conto che la perdita del doppio significato è davvero enorme.

L'altra cosa, più che sconvolgere, ha fatta ridere la dolce fanciulla. C'è un editore che ha pubblicato il libro con entrambi i titoli. No, non entrambi i titoli sulla stessa copertina. Due titoli diversi in due edizioni diverse. Riuscite a indovinare di quale casa editrice sto parlando? Dai su, che non è mica difficile!
Esatto, proprio lei, la Newton Compton!

L'importanza di chiamarsi Ernesto è incluso in una raccolta che raccoglie diverse opere di Wilde con l'introduzione di Masolino D'Amico e le traduzioni di Aldo Camerino, Lucio Chiavarelli e Ginevra Vivante. L'importanza di essere onesto invece è da poco arrivato in libreria (e nei supermercati, negli autogrill, etc etc) nella nuova collana live deluxe, a 1.90 € (è deluxe perché ha la copertina cartonata). La traduzione è sempre di Lucio Chiavarelli, l'introduzione sempre di Masolino D'amico... insomma, solo il titolo cambia. Ma perché?
Ci sta che abbiano cambiato idea, che ritengano la scelta di Onesto migliore rispetto a quella di Ernesto, però secondo me un cambiamento del genere, piccolo ma profondo, avrebbe dovuto riguardare tutte le versioni da loro commercializzate, non averne un po' in un modo e un po' nell'altro.

Ma questa ovviamente è solo l'opinione di una dolce e pignola fanciulla, che si diverte a passare i suoi pomeriggi in libreria in cerca di libri e di titoli di cui (s)parlare in una rubrica sul suo blog.

domenica 27 aprile 2014

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA MUCCA INNAMORATA - David Safier

E poi, non si sa bene come, ti ritrovi a leggere un libro che ha come protagonista una mucca. Un gruppo di mucche, in realtà, a cui fanno compagnia anche un gatto spagnolo e un toro smemorato. Ed è strano perché, sebbene direttamente solo da poco, io ci lavoro persino nel campo dei bovini e degli animali da reddito. Eppure, mai mi era venuto in mente che potessi leggere un romanzo che ha come protagoniste delle mucche e che con loro mi portasse a immedesimarmi.

Ci voleva David Safier, autore di cui avevo già letto L'orribile attesa del giudizio universale, per farmelo fare e, devo ammettere, è stato molto più divertente di quanto mai avrei potuto immaginare.
La fattoria in cui vive Lolle con le sue amiche Gilda e Ravanella sta per essere venduta e, se non vogliono finire in un panino di McDonald, devono fuggire da lì prima che sia troppo tardi. E quale posto migliore per una mucca dell'India, paese in cui sono sacre e venerate? A convincerle di ciò è Santiago, gatto spagnolo dal passato oscuro (e terribilmente simile al Gatto con gli stivali di Shrek) che piomba nel vita di Lolle per caso, mentre sta fuggendo dal temibile Old Dog che se lo vuole mangiare. Lolle lo aiuta a salvarsi ma, così facendo, attira su di sé la terribile minaccia del perfido cane che l'accompagnerà per tutto il viaggio. Perché sì, Lolle riesce a convincere un paio di sue amiche a seguirla: Ravanella e Gilda proprio solo per il legame che le unisce, e Susi, invece, per fuggire dalla delusione d'amore con Champion, in realtà fidanzato di Lolle, che l'ha lasciata dopo che quest'ultima li ha colti sul fatto. Inizia così un lungo viaggio che porterà le mucche in giro per il mondo, alla ricerca della felicità.

Il romanzo è sicuramente molto divertente, soprattutto grazie alle sue protagoniste, la mucca Ravanella fra tutte, ma offre anche diversi spunti di riflessione. Oltre a quello, abbastanza prevedibile, sul mangiare la carne e su come vivono gli animali destinati all'alimentazione, ci sono tanti aspetti umani riportati in chiave bovina: il tema dell'accettazione del diverso e di come questa presunta diversità faccia sentire chi la vive, il tema dell'amore e del tradimento e, soprattutto, tanta, tanta amicizia.
Certo, il punto di vista è in realtà totalmente umano (e non potrebbe essere altrimenti), ma l'autore riesce a immaginare in modo molto divertente e quasi credibile come potrebbe essere il mondo visto dagli occhi di una mucca.
Unica pecca è forse l'eccessiva somiglianza del gatto Santiago con il Gatto con gli Stivali di Shrek: spagnolo, un po' malizioso e un po' sboccato. Ma se avete adorato il felino spadaccino della Dreamworks adorerete anche questo.

Sicuramente non smetterò di mangiare carne dopo aver letto questo libro (mi spiace, ma non ci riuscirei mai), però è stata davvero una lettura piacevole, che mi ha fatta ridere, sorridere, riflettere e un po' anche commuovere, e che quindi mi sento caldamente di consigliare se si è in cerca di un libro leggero ma non banale.

Titolo:  L'insostenibile leggerezza della mucca innamorata
Autore: David Safier
Traduttore: L. Bortot, S. Camatta
Pagine: 275
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Sperling Kupfer
ISBN: 978-8820054199
Prezzo di copertina: 18,90 €
Acquista su amazon:
formato brossura: L'insostenibile leggerezza della mucca innamorata

mercoledì 23 aprile 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #76

La puntata di oggi della rubrica dei titoli è dedicata a un classico. E probabilmente molti di voi già conoscono la storia che c'è dietro al titolo italiano. Io non me la ricordavo, ma poi dopo la segnalazione e le ricerche mi sono resa conto di averla già sentita in passato, all'Università probabilmente, quando ci parlavano degli errori di traduzione e di come questi possano influenzare in modo irreparabile il destino del libro che li subisce. Già, perché ai tempi in cui è uscito il romanzo erano ancora i traduttori a decidere i titoli, e ci si basava solitamente su una traduzione letterale.

Ma bando agli sproloqui! Oggi vi parlo di DELITTO E CASTIGO di Fëdor Dostoevskij:


E' uno dei pochi romanzi russi che ho letto e, onestamente, non mi è piaciuto molto. Credo che per leggere i russi ci vada una mente particolare, che io non possiedo (così come per leggere qualunque altra letteratura classica).

Ma parliamo del titolo! Il titolo originale è Преступление и наказание, che in italiano significa "Il delitto e la pena". Il rimando al trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria è abbastanza evidente (trattato che era stato tradotto in Russo nel 1803). La prima versione italiana del romanzo di Dostoevskij è datata 1889 ed è stata tradotta però partendo dalla versione francese del 1884 e non da quella originale russa. Il traduttore francese aveva reso il titolo originale con Le crime et le châtiment. Il problema è che, mentre probabilmente "châtiment" in francese può voler dire sia pena sia castigo, in italiano può essere però tradotto solo con "castigo", parola che, a differenza di "pena" non ha però la valenza giuridica che c'era nell'originale e che era voluta da Dostoevskij, per indicare il percorso compiuto dal protagonista all'interno del romanzo.
Insomma, il titolo italiano, così conosciuto e famoso, nasce in realtà da un errore traduttivo, che però si è consolidato nel tempo e che quindi non poteva più essere corretto.
Però dai, stiamo parlando della fine dell'800, i mezzi per tradurre erano molto diversi e c'erano anche meno possibilità di contatto e confronto. E poi "Il delitto e la pena" suona davvero male...
(sì, lo so, è perché siamo abituati a sentirlo diverso... ma lasciatemi difendere quel povero traduttore ignoto!) 

martedì 22 aprile 2014

LATTE - Christian Raimo

L'ordine in cui compaiono i racconti all'interno di una raccolta, secondo me, è fondamentale. Che sia cronologico o che sia casuale, che sia scelto dall'autore stesso o dall'editore, per me l'ordine influenza molto la lettura, la percezione da parte del lettore di quello che sta leggendo. Può aiutarlo a capire meglio, a entusiasmarlo, e, perché no, a volte anche a fregarlo un po', generando alte aspettative.

E' un po' quello che ho provato leggendo questi racconti di Christian Raimo, un autore che ho conosciuto di persona ma mai tramite la sua penna e che, quindi, mi incuriosiva parecchio. E il racconto posto in apertura, Ricorrenze, è uno racconto molto bello, molto intenso, che mi ha fatto subito pensare "cavolo, se sono tutti così, sono di fronte a un grande, grandissimo libro". Poi ho letto il secondo e l'entusiasmo è un pochino scemato, non tanto eh, ma comunque non hai livello del primo. Dal terzo in poi, ho iniziato davvero a perdermi. A non capire cosa l'autore volesse dire, cosa volesse raccontare. E lo stesso mi è successo con il quarto, il quinto, il sesto e il settimo. E poi l'ottavo è arrivato e, come il primo, mi è piaciuto tantissimo.

Insomma, la lettura di Latte è stata un po' demoralizzante. Nel senso che non ho capito se il problema è mio, se sono io a non avere le capacità di capire e apprezzare questo stile e questo modo di raccontare, o se il problema fosse dell'autore e dei suoi racconti. E odio questa sensazione, odio leggere e non capire, leggere e sentirmi imbecille perché sicuramente c'è qualcosa che non colgo e che non mi permette di apprezzare ciò che sto leggendo, di coglierne le sfumature. Però poi penso anche che forse è voluto, che lo scopo era proprio quello di farsi capire solo ed esclusivamente da chi ne è in grado.. E gli scrittori che si divertono a far sentire cretini i lettori non è che mi stiano poi così simpatici.

Per carità, Raimo sa scrivere e lo sa fare molto bene. Sa giocare con la lingua e con le parole. E non perde occasione, in ognuno dei racconti, per ribadire queste sue capacità e questa sua bravura. E forse è proprio questo che mi ha dato più fastidio, che mi ha reso la lettura così tanto ostica e difficoltosa.

Certo è che non posso dire di essere totalmente delusa, perché la raccolta si apre e si chiude in modo egregio, con due racconti che difficilmente si possono dimenticare. E quindi complimenti a chi li ha messi proprio lì, in quella posizione.

Titolo:  Latte
Autore: Christian Raimo
Pagine: 183
Editore: minimum fax
ISBN: 978-8875213305
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su amazon:
formato ebook:Latte (Nichel)

sabato 19 aprile 2014

Dialogando con i titoli dei libri #7

"Dialogando con i titoli dei libri" è una nuova rubrica che nasce da una mia forma di pazzia che mi porta, in alcuni casi, a rispondere ai titoli dei libri. Sono frasi che scattano nella mia mente quasi in automatico quando vedo un determinato titolo e che non rappresentano in alcun modo un giudizio sul libro stesso.

venerdì 18 aprile 2014

Adiós Gabo.


Sapevo che sarebbe successo, prima o poi. D'altronde aveva 87 anni ed era malato da tempo. Eppure, quando ieri sera ha iniziato a rimbalzare la notizia della morte di Gabriel García Márquez, ho subito un piccolo shock. E ho pianto anche un po', devo ammetterlo. Sembrerà stupido, e forse effettivamente lo è, ma le emozioni sono difficili da controllare. 
Lo so, non lo conoscevo di persona, non era un mio parente né lo avevo mai incontrato di persona. Però nel mondo della letteratura e dei libri, posso dire che Gabriel García Márquez è l'autore che ha svolto il ruolo più importante, che ha determinato molte mie scelte e credo anche parte del mio modo di essere.

Ve ne ho già parlato più e più volte, di cosa ha significato Gabo per me. Del ruolo che ha avuto nella mia vita e di come tutto è cominciato. 
Ho letto Cent'anni di solitudine quasi per obbligo, dopo anni di insistenze di mio padre, che continuava a dirmi "leggilo, leggilo, leggilo" e poi, una volta riuscito a convincermi, a dirmi "te l'avevo detto! Te l'avevo detto! Te l'avevo detto!"
Da quella volta, ho letto quello che da tutti viene considerato il capolavoro di Márquez almeno quattro volte: in italiano all'inizio, e in spagnolo poi, una volta imparata la lingua. Ma ho letto tre o quattro volte L'amore ai tempi del colera, un paio Cronache di una morte annunciata. E poi il meraviglioso Dell'amore e di altri demoni, i racconti raccolti in La storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata. Ora che ci penso bene credo di averli letti tutti. Anche quelli più recenti, forse un po' meno amati, Le memorie delle mie puttane tristi e Diatriba d'amore contro un uomo seduto. Ho conosciuto il suo ultimo traduttore, il grande Morino, che se ne andato già qualche anno fa, e insieme a lui ho scoperto ancora più a fondo i suoi romanzi. Ho scoperto ad esempio come la sua produzione sia cambiata una volta vinto il Nobel, come si sia forse un po' europeizzato, trasformandosi quasi in autore di bestseller da supermercato. Eppure, tutti i suoi romanzi sono dei grandi romanzi.

Ma tutto è ovviamente cominciato da lì, da Cent'anni di solitudine e dal suo realismo magico. Da Macondo, il paese dei Buendía, di Melquiades il gitano, di Fernanda e Ursula, il paese dove amore, morte, passione, gioia e dolore sono possibili. Dove tutto è possibile. Anche volar via portandosi via le lenzuola buone, come fa il mio personaggio preferito in assoluto, Remedios la bella. 

E' la prima volta che mi succede di essere così triste, di stare male, per la morte di uno scrittore. Eppure, vedendo i messaggi di commozione e di commemorazione di ieri e di oggi sui social network e sui giornali, mi rendo conto che forse poi così strana non sono. Che forse sono in tanti a stare male per lui e per la sua scomparsa (non prendo neanche in considerazione quelli che invece condividono frasi a caso, spesso anche sbagliate... fa parte di quello strano gioco che inizia quando un personaggio famoso muore).
 E credo che questo  affetto, questi ricordi collettivi dimostrino fin dove i libri possono arrivare. Cosa possono fare le parole, quanto possono influenzarci, quanto possono cambiarci. Perché alla fine, io Márquez lo conoscevo davvero. L'ho conosciuto dai suoi romanzi, dalle sue parole, dalle sue storie e dai fantastici personaggi che si è inventato. E quelli, quelli non scompariranno mai.

Caro Gabo, può darsi che ovunque tu sia incontrerai mio padre, che ti dirà che ce l'aveva fatta, che aveva ragione, che me l'aveva detto. Ringrazialo ancora da parte mia, per essere riuscito a convincermi.
Buon viaggio Gabo, e grazie davvero di tutto.

giovedì 17 aprile 2014

COME UN RESPIRO INTERROTTO -Fabio Stassi

E poi ci sono dei libri semplicemente irrecensibili. Dei libri che si possono consigliare e basta, senza che nemmeno sia ben chiaro il motivo.
Non capita spesso di trovarne, di libri così. E anche le poche volte che succede, si ha sempre un po' paura di ammetterlo. Perché non sapere perché si è amato tanto un libro è una strana sensazione.

Come un respiro interrotto di Fabio Stassi è uno di questi romanzi irrecensibili. Uno di quei romanzi di cui vi posso dire solo "fidatevi, leggetelo, è meraviglioso". Non provate a chiedermi di cosa parla, perché, a conti fatti, forse non lo so nemmeno io.
Forse parla di passato e di presente. Forse parla di solitudine e compagnia. Parla di amicizia, di famiglia, di radici sradicate e impossibili da ripiantare. Parla di malattia, di morte, di dolore. Parla di talento, di sogni e di lotta, ma forse anche un po' di disillusione. E parla anche, e soprattutto, d'amore.

Parla di tutto queste cose ruotando intorno a Sole, Soledad, una ragazza dalla voce magnifica, di cui tutti si innamorano. Una ragazza che vive con la sua numerosa famiglia, una famiglia di migranti, che approda a Roma da mille posti e mille origini diverse. Una ragazza che vive gli anni '70, anni di ribellione e di lotta, di compagni e di amici. Una ragazza che con la sua voce parrebbe poter conquistare il mondo. Una ragazza che poi diventa donna, con problemi da affrontare e con un bagaglio di sogni infranti sulle spalle.

Fabio Stassi scrive in un modo incantevole, con uno stile poetico e coinvolgente, come da un po' non mi capitava di leggere. All'inizio si è un po' spaesati, dalle diverse voci che raccontano, da quella di Matteo che si alterna a quella di Sole, dal passato e dal presente che si mescolano. Poi a un certo punto però, senza quasi accorgersene, ci si ritrova persi dentro al libro, tra le sue parole, tra la vita di Sole, tra i suoi amici e la sua famiglia. Sembra quasi di sentirla cantare, mentre si legge. E di sentire la sua voce che si incrina, che cede, man mano che le pagine passano e la vita a poco a poco la schiaccia. 

Un libro meraviglioso, vi dicevo. Un libro dolce e poetico, commovente e doloroso, che si apprezza anche se non si è di quella generazione, anche se non si è vissuto in quegli anni e anche se le proprie radici sembrano ben radicate. Mi spiace, ma più di così non riesco a dirvi, mi mancano proprio le parole per poter esprimere tutto quello che c'è in questo libro.
Vi dovete fidare, leggetelo e capirete.

Titolo:  Come un respiro interrotto
Autore: Fabio Stassi
Pagine: 308
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838931413
Prezzo di copertina: 16 €
Acquista su amazon:
formato brossura:Come un respiro interrotto

mercoledì 16 aprile 2014

LE GIOCATRICI. Lotto. Slot Machine. Bingo - Marilena Lucente

Una delle cose più difficili da fare quando si sta per partire è scegliere quali libri portare con sé. Perché una scelta sbagliata potrebbe condizionare l'intero viaggio e, di conseguenza, il ricordo che si avrà di esso. E' come viaggiare con qualcuno con cui non hai affinità, con cui non riesci nemmeno a parlare, ma che devi comunque sopportare. Alla fine lo odierai. 
Ma come il libro condiziona il viaggio, anche il viaggio può condizionare il libro, se non gli si può dedicare la giusta attenzione o il giusto tempo, se la mente è troppo altrove o troppo concentrata su altro. Insomma, per me è sempre un momento importante mettere un libro in valigia.
La settimana scorsa sono partita per la prima volta da sola per lavoro e avevo bisogno di un compagno di viaggio che riuscisse a distrarmi, a non farmi pensare a quello a cui andavo incontro e all'ansia che, da sempre, le cose nuove mi procurano. E di fronte a me era da poco arrivato un libro dalla copertina rosa: Le giocatrici, di Marilena Lucente. Protagoniste tre donne, afflitte da un unico grande morbo, quello del gioco, in tre diverse sue forme. E anche se io non ho mai giocato al lotto, né alle slot machine, nè al poker, e il mio picco massimo di azzardo è stato alle medie quando, insieme ai miei compagni di pulmino e all'autista del bus, abbiamo giocato qualche volta al superenalotto, ho sentito che questo era il libro giusto.

Tre donne, dicevamo. Tre racconti di un unico vizio in tre forme diverse, che porta ognuna delle protagoniste vicina a un baratro, a un passo dal caderci dentro. La prima che ci viene presentata è Teresa, il cui marito l'ha vinta a carte contro il padre. Un marito fortunato, a carte, al lotto e a qualunque altra cosa a cui decida di giocare. Solo con la famiglia non gli va poi così bene: con Teresa non sa come comportarsi, e nemmeno con i due figli, Anna e Nicola. Non sa nemmeno che la moglie tutte le settimane gioca al lotto, rubandogli i soldi dalla giacca. Gioca, gioca, gioca, ma non vince mai. Finché un giorno il padre, quello che l'aveva scommessa e perduta, le compare in sogno e, per sdebitarsi, le dà dei numeri vincenti. Ma Teresa non ha i soldi per giocarli e arriva a pensare di fare qualcosa di terribile. Da Teresa si passa poi, nel secondo racconto, alla figlia Anna, rimasta disoccupata da poco e miseramente caduta nel vizio delle slot machine. Anche lei sembra disposta a tutto pur di continuare a giocare. Anche lei non si rende conto di quanto in basso stia cadendo, di quanto quelle poche vincite le stiano piano piano facendo perdere tutto. Se ne renderà conto solo quando non avrà altra scelta, quando più in basso non potrà andare. E alla fine c'è Silvana, grande appassionata di bingo. Appassionata al punto da tornare a giocare proprio nella stessa sala in cui una sera estremamente fortunata è stata vittima di un furto che ha ridotto suo genero, intervenuto per aiutarla, in fin di vita. Silvana sa quanto sia brutto quello che sta facendo, sa quanto questo gesto la allontanerà ancora di più dalla figlia Moira, eppure non può fare a meno di andare a giocare, di chiamare Nicola, già, proprio quel Nicola fratello di Anna e figlio di Teresa, perché la accompagni alla sala. E pazienza se le altre giocatrici dei tavoli la guardano male, le sparlano dietro. Tanto tutte lì hanno qualcosa da nascondere, indipendentemente da dove stanno sedute.

Tutti e tre i racconti si leggono d'un fiato, senza quasi accorgersi delle pagine che scorrono, talmente sono coinvolgenti. Marilena Lucente è stata molto brava nel mettere su carta le ansie e le angosce di queste tre donne. Brava nel descrivere il modo in cui il gioco può distruggere la vita di chi ne diventa schiavo, ma anche come, a un certo punto, se ne possa uscire, per quanto tardi possa sembrare.
Mi è piaciuto molto il legame che l'autrice ha creato tra i vari racconti tramite i vari personaggi, Teresa e Anna come protagoniste, Nicola come spettatore, perché rende il tutto ancor più collegato, vicino, e dimostra come, nonostante tutto, ce la si possa fare.

Insomma, per me Le giocatrici è stato una piccola rivelazione, un ottimo compagno di viaggio. Un libro decisamente da leggere.

Titolo:  Le giocatrici. Lotto. Slot machine. Bingo
Autore: Marilena Lucente
Pagine: 155
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Edizioni Spartaco
ISBN: 978-8896350393
Prezzo di copertina: 10€

Due titoli, un solo libro: ma perché? #75

Ritorna la rubrica di confronto tra titoli e inizio il post di oggi scusandomi per l'assenza della settimana scorsa. Sono stata via tre giorni per lavoro e, tra un preparativo e l'altro, non ho avuto tempo di programmare il post. Spero di non esservi mancata troppo (o almeno che vi siate accorti che non ho pubblicato la puntata della rubrica!).

Dunque, per la puntata di oggi ho fatto un giro sugli scaffali virtuali di una negozio online, in cerca di un bel cambiamento da presentarvi. Avevo voglia di uno di quei titoli scandalosi, quelli che vi fanno esclamare "ma nooo, sono matti!". Sì, lo so, avrei potuto ricorrere alle solite case editrici, ma avevo anche voglia di cambiare un po'.
La ricerca non è stata poi così difficile, devo essere sincera. Ho trovato il libro che faceva al caso mio già nella prima schermata. Si tratta di un romanzo pubblicato ieri dalla casa editrice Piemme, con la traduzione di  D. A. Gewurz e I. Zani, ovvero LA MAGIA DI UN GIORNO IMPERFETTO di Lydia Netzer:


Il romanzo racconta la storia di una coppia, Maxon e Sunny, che si conoscono quando sono bambini e che vent'anni dopo sono sposati, con un figlio autistico e un secondo in arrivo. Una vita normale, abitudinaria, che viene infranta dalla partenza di Maxon, ingegnere alla Nasa, per una missione sulla Luna.

Non so come abbia fatto, ma non ho avuto nemmeno bisogno di controllare per capire che il titolo italiano era sicuramente diverso dall'originale. Forse la struttura del titolo, vista e rivista.
Per cui, non è stato poi tutto sto shock scoprire che in realtà il romanzo si intitolava SHINE, SHINE, SHINE:


Letteralmente si potrebbe tradurre con "Brilla, brilla, brilla". Il titolo originale, però, dovrebbe far riferimento all'omonima canzone di Chris Rea, inclusa nell'album Wired to the Moon. Uso il condizionale, perché leggendo qualche intervista all'autrice non ho trovato un riferimento diretto, ma solo qualche accenno. Diciamo che la mia è una supposizione, data dal titolo di album e di canzone, che bene ci starebbero con il contenuto del libro.
Sicuramente questo riferimento, se voluto, in italiano avrebbe rischiato di essere perso. Così come un po' strana sarebbe stata la traduzione letterale. Quindi posso in qualche modo capire la scelta di cambiare il titolo.  Cambiarlo sì, ma magari con qualcosa che avesse un senso, che in qualche modo si avvicinasse o che comunque richiamasse il brillare, le stelle, che svolgono una parte fondamentale nella trama. 
Visto così, il titolo italiano sembra essere stato messo puramente a caso.

venerdì 11 aprile 2014

PAESE D'OTTOBRE - Ray Bradbury

Ho letto per la prima volta Fahreneith 451 tre anni fa. Lo so, per un amante dei libri è un po' vergognoso aver aspettato così tanto, ma il libro non era mai capito sulla mia strada, finché non ho conosciuto il lettore rampante, che me lo ha prestato. E' un libro forte, un libro strano, un libro angosciante che, purtroppo, rispecchia una realtà non poi così utopistica e lontana.
Da allora, non ho più letto nulla di Bradbury, finché il lettore rampante ha deciso di regalarmi questo Paese d'ottobre. Ha letto la quarta e detto "questo libro secondo me ti piacerà". Ora, non so se è pagato dai parenti di Bradbury per pubblicizzare i suoi libri o se mi conosce talmente tanto bene da riuscire a capire se un libro che non è il mio genere possa comunque piacermi... fatto sta che senza di lui mai lo avrei scoperto e mi sarei persa qualcosa di davvero molto bello.

Paese d'ottobre è una raccolta di diciannove racconti, in cui reale e soprannaturale si mescolano con naturalezza, senza che si colga la linea di demarcazione tra l'uno e l'altro. Non si prova nessun senso di straniamento nell'incontrare tra le pagine vampiri, o nel vedere persone trasformarsi nella morte, o litigare con i becchini che hanno portato via il loro corpo ormai morto. E nemmeno di vedere castelli di sabbia costruiti a metà, neonati assassini e morti improvvise. 
In questi racconti si parla di amore, si parla di morte, ma anche di dolore, di passione, di paura e di angoscia. Si parla della vita di provincia, dell'infanzia, della solitudine, dell'amore, delle diversità. E Bradbury è maledettamente bravo a parlare di tutti questi sentimenti, di tutti questi aspetti che toccano in qualche modo la quotidianità di tutti. E' bravo a metterli su carta, in modi all'apparenza bizzarri, e a suscitare nel lettore tante reazioni diverse.
Credo poi di aver trovato tra questi diciannove racconti, alcuni molto belli, altri un pochino meno,  uno tra i più bei racconti che abbia letto in vita mia. Il racconto è un genere che bazzico parecchio e, per fortuna, di bei racconti ne ho letti abbastanza. Qui ce n'è sicuramente un altro, uno di quelli che, conclusa la lettura, mi ha fatto pensare "cavolo!". Ed Il lago, una storia d'amore e di morte che si esaurisce un pochissime pagine, ma di un'intensità tale da togliere il fiato.

Insomma, questo mio secondo approccio con Bradbury è stato entusiasmante, forse ancor più del primo con Fahreneith.
Però c'è un però. Che non dipende sicuramente dall'autore o dai racconti e che, forse, meriterebbe un post a parte. Mi riferisco alla traduzione dei libri più vecchi, che sono stati magari tradotti quando sono usciti e poi venduti e rivenduti senza alcuna revisione. Quindi, oltre al linguaggio antiquato (le traduzioni invecchiano!), ci sono anche veri e propri errori, dovuti anche al fatto che i mezzi di un tempo erano molto diversi da quelli di oggi. Non me la sto prendendo con Renato Prinzhofer, che ha tradotto il libro per la prima volta nel 1955 quando è uscito, ma con chi poi negli anni non ha più rivisto la traduzione, non ha più voluto investirci, rendendo la lettura, al giorno d'oggi, davvero complessa e difficile (a tratti anche divertente, in realtà, perché quando ho letto "Bubbole!" come esclamazione sono scoppiata a ridere, anche se si parlava di morti...).
E questo secondo me è un problema generale, che non riguarda solo questa raccolta, ma buona parte dei classici, soprattutto quelli un po' meno conosciuti, da cui i lettori (io per prima) si stanno allontanando sempre di più.

Titolo:  Paese d'Ottobre
Autore: Ray Bradbury
Traduttore: Renato Prinzhofer
Pagine: 306
Anno di pubblicazione: 1955
Editore: Mondadori
ISBN: 978-8804495512
Prezzo di copertina: 10 €
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formato brossura:Paese d'ottobre

lunedì 7 aprile 2014

MARY POPPINS - P.L Travers


Sono anni che non leggo un libro per bambini. E probabilmente non lo avrei fatto nemmeno stavolta se un paio di settimane fa non fossi andata al cinema a vedere Saving Mr. Banks, se non mi fosse piaciuto e, soprattutto, se non stessimo parlando del libro della "praticamente perfetta sotto ogni aspetto" Mary Poppins. La mitica Mary Poppins, la tata che tutti vorremmo aver avuto da bambini, quella che ti porta dentro ai quadri o a ballare sui camini.

Peccato che la versione che tutti conosciamo e amiamo sia ben diversa da quella scritta da P.L Travers. La Disney, come spiega bene il bellissimo film che vi accennavo sopra, ne ha fatta una sua versione, più disneyana appunto, un po' più magica, più educatica e togliendo o comunque appiattendo molto tutti i difetti che la tata invece aveva nel libro. Eppure, leggendo il libro di Mary Poppins si riesce comunque a percepire la forza e la magia di questo personaggio. E pazienza se la casa in viale dei Ciliegi non è una vera e propria reggia, se i figli dei Banks in realtà sono quattro e non due, e, soprattutto, se Mary Poppins è un tantino (ok, ammettiamo, parecchio) antipatica. Perché la magia del film si ritrova anche tra le pagine. In modo diverso forse, ma c'è eccome. C'è nelle passeggiate che Giovanna e Michele (terrificante la traduzione italiana dei nomi... lo so) fanno in giro per la città, negli incontri bizzarri che fanno e nel loro interrogarsi su quello che succede. C'è in Mary Poppins e nel suo modo di comportarsi, nel suo essere perfetta, bellissima e parecchio vanitosa. C'è in ogni singolo episodio che poi si ritrova nel film, anche se usato in modo diverso e con un significato forse diverso.

Comprendo perfettamente il successo che il libro ha avuto quando è uscito tra i bambini inglesi. Così come comprendo perfettamente il senso di stupore e delusione in chi ha letto il libro solo dopo aver visto il film. Eppure, nonostante lo shock iniziale, il libro mi è piaciuto molto, e mi è piaciuta molto anche questa strana Mary Poppins e il suo rude carattere.

L'edizione italiana del libro andrebbe sicuramente un po' rivista. I bellissimi disegni di Mary Shepard non bastano a distogliere l'attenzione dalla traduzione antiquata, che rende la lettura un po' faticosa (per me che mi accorgo di queste cose, ma credo anche per un bambino di oggi).

Titolo:  Mary Poppins
Autore: P.L. Travers
Traduttore: L. Bompiani
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Rizzoli
ISBN: 978-8817075572
Prezzo di copertina: 10 €
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formato brossura:Mary Poppins

venerdì 4 aprile 2014

IL BIZZARRO INCIDENTE DEL TEMPO RUBATO - Rachel Joyce

Deve essere difficile per uno scrittore scrivere il secondo libro. Più  difficile che scrivere il primo, secondo me. Perché con il primo c'è l'effetto novità e l'effetto esordiente, quindi se è un bel libro c'è stupore, se è bruttino c'è qualche giustificazione.
Il secondo, invece, è quello che ti segna. Che ti conferma al pubblico di lettori o te ne fa allontanare, più o meno definitivamente.

Il primo romanzo di Rachel Joyce, L'imprevedibile viaggio di Harold Fry, per me è un piccolo capolavoro. Con qualche imperfezione, certo, ma un libro davvero molto bello, molto dolce, che merita di essere letto. 
Ho aperto questo secondo romanzo con titubanza, un po' per la trama riportata sulla quarta, che aveva qualcosa che non mi convinceva, un po' perché i pareri che avevo sentito in merito non erano molto positivi. E non mi ci sono volute molte pagine per capirne il motivo.

Innanzitutto per leggere questo libro ci va del tempo, per entrare nella storia, per comprendere i personaggi e, soprattutto, per riuscire a trovargli un senso, a capire cosa l'autrice volesse davvero dire. Poi, una volta scoperto, ci va del tempo per rifletterci su, per capire se il libro ha convinto oppure no, per guardarsi un po' dentro e vedere che cosa il libro ha lasciato.

D'altronde il tempo è un elemento chiave del romanzo. Lo è per Byron, bambino protagonista del romanzo, rimasto affascinato e turbato dalla notizia che quell'anno verranno aggiunti due secondi al tempo. Lui non sa quando succederà e osserva continuamente l'orologio, sperando di accorgersene. E infatti se ne accorge, quando succede, ed è talmente entusiasta che mostra l'orologio alla madre  Diana mentre sta guidando. Lei però sbanda e investe una bambina. Non so se ne accorge e riparte. Il tempo è anche quelle due settimane che Byron ci mette a dire alla madre quello che è successo. E lei inizialmente non gli crede, poi controlla e scopre che forse sì, ha davvero investito qualcuno. I sensi di colpa invadono la già sua provata mente, accanto a un marito che forse non ha mai amato e che si fa vedere solo nei fine settimana. Per cui va a cercare la bambina e conosce la madre Beverly. Da lì, il tempo nella mente di Diana inizia a correre veloce, passato e presente che si mescolano, con l'infelicità e i sensi di colpa.
Ma il tempo è importante anche per Jim, altro protagonista del libro, che lavora come pulisci tavoli in una tavola calda di un centro commerciale, dopo che gli innumerevoli elettroshock a cui è stato sottoposto da giovane non gli hanno fornito altre possibilità. Il tempo è quello che ricorda, è quello che trascorre da solo, quello che gli serve per compiere i suoi rituali e, forse, anche per perdonarsi e per perdonare.

Se avessi scritto questa recensione a metà lettura, lo avrei massacrato. Non scherzo. Troppo lento. Troppo angoscioso e, soprattutto, troppo oscuro. Non si riesce a capire cosa l'autrice vuole dire, che storia ci vuole raccontare. Poi, a poco a poco i tasselli tornano al loro posto e le cose diventano un po' più chiare. E il giudizio sul libro migliora un po'. Ci sono tanti aspetti che però avrebbero dovuto essere trattati meglio, meglio approfonditi e non lasciati in sospeso. Così come avrebbe dovuto essere meglio approfondito il rapporto tra i vari personaggi, perché così si fa davvero troppa fatica a capire.
Ha del grande potenziale, sicuramente. Ma gli manca qualcosa e questa mancanza si sente parecchio. Peccato.

Ah comunque, prima di mettere un "bizzarro" nel titolo, forse bisognerebbe assicurarsi che di bizzarro ci sia davvero qualcosa nel romanzo. Questo romanzo è tutto fuorché bizzarro.

Titolo:  Il bizzarro incidente del tempo rubato
Autore: Rachel Joyce
Traduttore: A. Arduini
Pagine: 371
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Sperling & Kupfer
ISBN:978-8820055196
Prezzo di copertina: 17 90€
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formato brossura: Il bizzarro incidente del tempo rubato




mercoledì 2 aprile 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #74

"Dobbiamo andare in libreria!"
"Ma hai un sacco di libri ancora da leggere"
"No, ma non devo comprare nulla. Mi serve ispirazione per la rubrica dei titoli"
"Ah ok, andiamo allora"

Per la puntata di questa settimana è andata così. Ieri pomeriggio ho preso il lettore rampante e siamo andati in libreria, una di quelle dove puoi girare senza che nessuno ti dica niente, alla ricerca di qualche titolo per oggi. L'inizio è stato un po' scoraggiante: titoli scemi, bruttini, che però riprendono esattamente l'originale. Ho avuto seriamente paura di dover chiudere baracca. Poi però ci siamo avvicinati allo scaffale Garzanti e Newton Compton e indovinate un po'? Ora ho materiale per almeno tre settimane. E' un po' che non seguo le loro nuove uscite, un po' per mancanza di tempo, un po' perché comunque quei romanzi a causa dei titoli non riesco proprio più a leggerli. Sbaglio, lo so, ma è davvero più forte di me.

D'altronde, come questa rubrica sta cercando di mettere in luce già da un po', certe politiche sui titoli stanno diventando davvero imbarazzanti e il fatto che ancora nessuno si sia ribellato e che questi libri con questi titoli vendano ancora mi fa un po' arrabbiare.

Ma basta chiacchiere! Vi faccio vedere cosa abbiamo trovato in libreria oggi!
Il primo romanzo dal titolo stranamente tradotto che abbiamo visto è VOLEVO SOLO AVERTI ACCANTO di Ronald H Bolsom, pubblicato dalla Garzanti nel 2014 con la traduzione di Lucia Ferratini:

Ci siamo avvicinati, abbiamo aperto il libro e scoperto che, in originale, il romanzo si intitola ONCE WE WERE BROTHER, traducibile letteralmente con "Una volta eravamo fratelli" o "Quando eravamo fratelli":


Accanto a questo libro se ne trova poi un altro, pubblicato dalla stessa casa editrice sempre nel 2014, intitolato ALL'IMPROVVISO LA FELICITA', tradotto da Stefano Beretta:


Anche qui, il sospetto che il titolo originale fosse diverso è stato fin da subito molto forte. E poi immediatamente confermato aprendo il libro e scoprendo che in lingua originale è in realtà intitolato THE ENGAGEMENTS:


Letteralmente significa "I fidanzamenti" ... fidanzamenti evidentemente improvvisi, tipo che uno ti incrocia sulle strisce pedonali e ti chiede di sposarlo, visto poi come è diventato in italiano.

Per ora mi fermo qui, per tenermi materiale per le prossime puntate e perché comunque a un certo punto il lettore rampante si è stufato di guardarmi aprire romanzi di soppiatto (e anche la libraia ha iniziato a insospettirsi...).
Concludo questa puntata con un piccolo appello: ribelliamoci a questi titoli idioti, porca miseria!