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domenica 30 gennaio 2011

TRAINSPOTTING- Irvine Welsh

Un pugno di ragazzi a Edimburgo e dintorni: il sesso, lo sballo, la rabbia, il vuoto delle giornate. Sono i dannati di un modernissimo inferno "chimico", con la loro vita sfilacciata e senza scampo. Alla ricerca di un riscatto, di un senso da dare alla propria esistenza - che non sia il vicolo cieco fatto di casa, famiglia e impiego ordinario - trovano nella droga e nella violenza l'unica risposta possibile. Sboccato, indiavolato, travolgente: l'esordio di un talento letterario, il romanzo shock che ha fatto epoca e dato voce a una nuova generazione.


Arrivata al secondo capitolo di questo libro, sull'orlo del vomito, sono stata tentata, tentatissima, di abbandonarlo. Insomma, dice in tre pagine più parolacce di quante ne abbia mai dette in tutta la mia vita (e non sono una persona proprio finissima io) e la crudeltà e il realismo con cui descrive certe scene, dal sesso al bucarsi, è talmente forte da far quasi male.
Però poi ho voluto continuare, un po' forse perché peggio di come sono stata leggendo il capitolo 2 non potevo stare, un po' perché in tanti mi han parlato di questo libro come di un piccolo cult. Violento, crudo, un pugno nello stomaco. Ma un cult che va letto. Ed effettivamente una volta terminato (in molto meno tempo di quanto pensassi), ci sono diverse cose che mi sono rimaste. La disperazione di questo gruppo di tossici, una disperazione di cui forse nemmeno si accorgono. Il potere che ha l'eroina su chi ne fa uso. E poi anche l'HIV e quanto ti divora dentro. Il male che si prova cercando di disintossicarsi.
Il tutto descritto in maniera diretta, senza sconti e senza mezzi termini. Un linguaggio sboccato, sesso, violenza, siringhe che entrano in vena e permettono a questi ragazzi di sopravvivere nel mondo. Tutto questo descrive Welsh in questo romanzo. Più che un romanzo, ci troviamo di fronte a una raccolta di episodi che si succedono (e di cui non sempre, almeno per me, è stata chiara la logica), con i vari protagonisti che si alternano nella narrazione (chi si droga e basta, chi cerca invano di disintossicarsi, chi si è ammalato non per colpa sua e cerca vendetta).
E' un pugno nello stomaco, e certi capitoli per me sono stati un po' troppo eccessivi (credo sia veramente la prima volta che un libro mi fa quasi venir da vomitare). Eppure, mi rendo conto della "bellezza" di questo romanzo. Della disperazione che racchiude.
Sicuramente non da leggere se si è depressi o se si sta cercando di disintossicarsi perché a tratti riesce a farti quasi venire voglia di drogarti. Ma per tutti gli altri, se non siete facilmente impressionabili e riuscite a superare il senso che certe scene fanno, è da leggere.


Nota alla traduzione: il traduttore avrebbe bisogno di un bel ripasso sul congiuntivo...


"Scegli la vita. Scegli il mutuo da pagare, la lavatrice, la macchina; scegli di startene seduto su un divano a guardare i giochini alla televisione, a distruggerti il cervello e l'anima, a riempirti la pancia di porcherie che ti avvelenano. Scegli di marcire in un ospizio, cacandoti e pisciandoti sotto, cazzo, per la gioia di quegli stronzi egoisti e fottuti che hai messo al mondo. Scegli la vita.
Beh, io invece scelgo di non sceglierla la vita. E se quei coglioni non sanno come prenderla, una cosa del genere, beh, cazzo, il problema è loro, non mio."

martedì 25 gennaio 2011

SENZA TETTE NON C'E' PARADISO- Gustavo Bolivar Moreno

A Pereira, Colombia, dove le case hanno lenzuola colorate al posto delle tende e i giardinetti di quartiere raccolgono ogni sera pettegolezzi e piccanti confidenze, tre ragazze belle e ambiziose stanno per cambiare vita. Grazie alla loro "agente" Yésica, instancabile organizzatrice di incontri galanti, sono entrate, neppure quindicenni, nello sfavillante e festaiolo mondo dei narcos, i ricchissimi signori della droga e della città. Mentre le protette di Yésica trascorrono notti da favola nelle monumentali ville dei boss, Catalina resta a guardare. Le vede tornare a casa all'alba a bordo di macchinoni di lusso, barcollanti sui tacchi alti, cariche di soldi, storie e regali. A lei tocca invece Albeiro, il fidanzatino tanto affettuoso ma squattrinato, che da anni le regala orsacchiotti e aspetta paziente che lei gli conceda la verginità. Ma l'occasione di entrare nel giro giusto arriva anche per lei: peccato che El Titi, trafficante in ascesa dagli smodati appetiti sessuali, le preferisca nettamente una ragazza dal seno più grande. È così che Catalina scopre il segreto dell'altrui felicità: un bel paio di tette al silicone da far perdere la testa ai malavitosi più ricchi e pericolosi in circolazione. Decisa a trovare i soldi per l'intervento che le cambierà la vita e il décolleté, la ex brava ragazza dovrà affrontare ogni sorta di disavventure prima di affidarsi alle dubbie cure di Mauricio Contento, l'uomo sotto le cui mani sono passati i nasi, le natiche e i seni dell'intero jet-set di Bogotà.

La prima cosa che ha attratto la mia attenzione e mi ha spinta a voler leggere questo libro è il titolo. Sì, perché volevo capire se cosa si potesse nascondere dietro a un titolo così, come definirlo, estroso, diretto e provocante. Poi ovviamente ho letto anche la trama e ho capito che questo libro doveva essere mio (e che la copertina, citando una mia amica a proposito, è un "marketing fail"... nessuno infatti di quelli che verrebbero attratti da queste due tette in silicone in primo piano, apprezzerebbe temo il vero senso di questo romanzo).
Un romanzo che parla dei narcos sudarmericani e dei sogni di tante ragazze povere che vivono nei paesi di provincia. Non studiare e diventare buone moglie e madri. Ma trovarsi un fidanzato narcotrafficante che le mantenga e paghi loro tutti gli interventi di chirurgia plastica che vogliono. E sarà questo la scopo della vita di Catalina, nata con la sfortuna di avere il seno piccolo e quindi destinata a non trovare un ricco amante. E' disposta a tutto pur di rifarsi il seno e di poter quindi vivere una vita di agi e di sprechi. Poco importa se ha solo 15 anni e un fidanzato che ama ma che non capisce il suo sogno. Poco importa se per ottenere le sue tette in silicone debba prostituirsi e andare a letto con uomini schifosi molto più vecchi di lei.
Una critica violenta quella che fa Gustavo Bolivar Moreno. Verso i potenti che distruggono i sogni delle ragazzine povere, troppo ingenue e troppo desiderose di togliersi dalla povertà per rendersi conto dello squallore e della bassezza di tutto questo. E Catalina non è che una delle tante vittime, del sogno di un paradiso che si può avere solo con le tette.

Perdonatemi, ma non resisto a fare un paragone con la situazione italiana attuale, dove sesso e potere e aspetto fisico ormai stanno andando di pari passo da mesi, dove i sogni di molte ragazzine (non tutte per fortuna) vanno di pari passo con la prorompenza del loro aspetto fisico e i compromessi che sono disposte a fare pur di raggiungere i loro obiettivi. (Dai, su, potevo andarci molto più pesante).

Da leggere comunque!

Nota alla traduzione: non male direi!

domenica 23 gennaio 2011

IO E TE- Niccolò Ammaniti

Barricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca, Lorenzo, un quattordicenne introverso e un po' nevrotico, si prepara a vivere il suo sogno solipsistico di felicità: niente conflitti, niente fastidiosi compagni di scuola, niente commedie e finzioni. Il mondo con le sue regole incomprensibili fuori della porta e lui stravaccato su un divano, circondato di Coca-Cola, scatolette di tonno e romanzi horror. Sarà Olivia, che piomba all'improvviso nel bunker con la sua ruvida e cagionevole vitalità, a far varcare a Lorenzo la linea d'ombra, a fargli gettare la maschera di adolescente difficile e accettare il gioco caotico della vita là fuori. Con questo racconto di formazione Ammaniti aggiunge un nuovo, lancinante scorcio a quel paesaggio dell'adolescenza di cui è impareggiabile ritrattista. E ci dà con Olivia una figura femminile di fugace e struggente bellezza.


Appena finito il libro ho pensato tra me e me: "aspetto un po' va a scrivere il commento, magari è uno di quei libri che hanno bisogno di un pochino di tempo per lasciarti qualcosa".
Ma ovviamente non è stato così. Già mentre lo leggevo, la sensazione che trasmetteva ad ogni pagina era "e quindi?", oppure "tutto qui?". Eppure si, è tutto qui. Cosa volesse darci Ammaniti non è tanto chiaro. E forse la cosa che ha penalizzato di più questo libro sono le sue misere 110 pagine. Se avesse approfondito di più i personaggi, quell'io e quel te che formano il titolo, forse qualcosa si sarebbe salvato. Forse qualcosa sarebbe rimasto. Ma parlare di un bambino complessato e paranoico, isolato e con problemi a relazionarsi e nel mentre della sorellastra drogata che va nella cantina dove lui si è nascosto per cercare di disintossicarsi in 110 pagine... beh... non riuscirebbe nemmeno ai più bravi tra i nobel per la letteratura. Figuriamoci ad Ammaniti.
Prosegue quindi il mio strano rapporto con questo autore. Rimango delusa praticamente da tutti i suoi libri, eppure continuo a leggere i nuovi che scrive. Perché sa scrivere. Ma è cosa scrive il problema.

giovedì 20 gennaio 2011

LE HO MAI RACCONTATO DEL VENTO DEL NORD- Daniel Glatteur

Un'email all'indirizzo sbagliato e tra due perfetti sconosciuti scatta la scintilla. Come in una favola moderna, dopo aver superato l'impaccio iniziale, tra Emmi Rothner - 34 anni, sposa e madre irreprensibile dei due figli del marito - e Leo Leike - psicolinguista reduce dall'ennesimo fallimento sentimentale - si instaura un'amicizia giocosa, segnata dalla complicità e da stoccate di ironia reciproca, e destinata ben presto a evolvere in un sentimento ben più potente, che rischia di travolgere entrambi. Romanzo d'amore epistolare dell'era Internet, il romanzo descrive la nascita di un legame intenso, di una relazione che coppia non è, ma lo diventa virtualmente. Un rapporto di questo tipo potrà mai sopravvivere a un vero incontro?


Un romanzo epistolare nell'era di internet. Una storia che si sviluppa solo ed esclusivamente tramite le e-mail, i botta e risposta di quest'uomo e questa donna che per uno sbaglio d'indirizzo iniziano a scriversi continuamente, assiduamente, al punto da non riuscire più a fare a meno l'uno dell'altro. Ma ci si può innamorare delle parole senza vedere in faccia chi le ha scritte? E' giusto decidere di non incontrarsi per paura che il viso nascosto dietro a uno schermo per tanti mesi non sia all'altezza delle parole lette?
Detta così, probabilmente potrebbe sembrare una storia d'adolescenti nell'era di internet: conosco qualcuno in chat e non so se incontrarlo dal vivo o meno. Ma questo romanzo è qualcosa di più. Vuoi perché i protagonisti sono adulti e si sono "conosciuti" casualmente, vuoi perché le emozioni narrate e descritte vanno oltre le cotte adolescenziali e analizzano in modo più profondo la differenza tra storie reali e storie virtuali.
Con un finale... che beh... a mio avviso è l'unico realmente possibile...

Certo, si tratta sostanzialmente di una storia d'amore (platonico, virtuale, ma sempre amore è) e quindi magari non è un libro proprio per tutti. Anche perché ci sono dei momenti della lettura in cui questo scambio di mail è talmente realistico ed efficace che il lettore quasi si sente un terzo incomodo (e forse questo è indice della bravura dell'autore).

A me è piaciuto molto, l'ho letto in meno di 6 ore... se è il vostro generee se le storie d'amore un pochino vi piacciono (ma a leggere Harmony, Sparks, Steel e Kinsella, come me, non ce la fate) leggetelo!

Nota alla traduzione: non mi convince molto la scelta delle frasi lasciate in inglese, senza corsivi, quando è particolarmente evidente che fossero in inglese anche nel testo originale tedesco. E poi c'è un "orso di grandine" che non mi torna tanto...


Su chiamava Marlene. Dopo cinque anni di presente senza futuro, ho trovato finalmente l'imperfetto.

Penso spesso a lei, al mattino, a mezzodì, di sera, di notte, negli intermezzi, appena prima e appena dopo... e anche durante.

-"La prego, incontriamoci! Forse è la nostra ultima occasione. Che rischio corre? Cos'ha da perdere?"
-"1.Lei
2.Me
3.Noi"

mercoledì 19 gennaio 2011

THE ROAD (La Strada)- Cormac McCarthy

Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un'apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c'è storia e non c'è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all'olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d'infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l'uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d'acqua grigia, senza neppure l'odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile.

Ci sono libri che aspettano fermi per qualche mese su una mensola prima di essere letti. Libri che si pensa abbiano bisogno del giusto momento per essere letti. Libri di cui si legge la prima pagina anche diverse volte, a intervalli di tempo più o meno distanziati, prima di decidere di andare avanti. The Road per me è stato uno di quei libri. Vuoi per la difficoltà dell'inglese, vuoi per i commenti letti in giro che parlavano di questo romanzo come di uno struggente capolavoro.

E' un libro difficile da leggere penso anche in traduzione, un libro che angoscia ad ogni pagina, senza crescendi e senza arrivare a colpi di scena. Pura angoscia, la stessa dall'inizio fino alle ultime pagine.
E' la storia di un padre e un figlio, di cui non si conosce il nome, che vagano lungo "la strada" in cerca di non si sa bene che cosa. Il mondo è stato distrutto da una guerra nucleare, anche se non viene detto nè come nè quando nè perché. E ci sono là fuori uomini cattivi, dei mostri, da cui bisogna nascondersi e fuggire. Rimanere lungo la strada, sempre, non fermarsi per più di due giorni, per salvarsi la vita.
Un libro angosciante, che forse a tratti può sembrare noioso ma la cui noisità è funzionale all'angoscia che l'autore vuole trasmettere (e che un mondo così può provocare). Un libro che raggiunge il suo apice d'effetto nei dialoghi padre e figlio, il genitore disposto a tutto per difenderlo, il bambino a volte incapace di capire cosa sta succedendo, che ancora non riesce a capire che nel mondo c'è soprattutto male.

All'inizio ho avuto qualche difficoltà. Mi ricordava a tratti Io Sono Leggenda (ho visto solo il film, che mi ha schifata, e ho preferito non leggere il libro) e quindi per un momento sono stata indecisa se continuare o meno. Ma presto si capisce che è tutt'altro. Non c'è speranza, non c'è possibilità (e nemmeno zombie assassini), solo camminare, senza fermarsi.

Se siete abituati a leggere in inglese, sicuramente rende di più. Ma se è tanto che non lo fate, non ricominciate con questo perché lo stile di McCarthy è molto complesso (fa un uso tutto suo delle regole di punteggiatura).

Da leggere, assolutamente.

Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso.

giovedì 13 gennaio 2011

STURMTRUPPEN- Bonvi

Come avevo già fatto in precedenza con Andy Capp, ho deciso di dedicare un post di questo mio blog letterario a un altro fumetto che adoro e che ultimamente sto leggendo spesso: le Sturmtruppen di Bonvi.
Ho scoperto per la prima volta questo fumetto una decina di anni fa, quando ho ricevuto una raccolta come regalo di compleanno. E da allora l'ho adorato.
Le Sturmtruppen altro non sono che una parodia della guerra e della vita da campo di un gruppo di soldati dell'esercito tedesco, che rivoltano in chiave grottesca tutte le situazioni più comuni in cui i soldati si possono trovare quando sono in prima linea: le latrine condivise, i campi minati da attraversare, la nostalgia di casa, i bombardamenti e le fucilazioni, i feriti e i morti in battaglia. Il tutto raccontato in maniera buffa e comica, per rendere ancora più evidente l'assurdità della guerra in generale. Un inno all'antimilitarismo che si basa sull'ironia, a volte anche un pochino macabra e pesante.
E' quasi impossibile non sorridere davanti a questi soldati che hanno allucinazioni dopo mesi e mesi di guardia, che ubbidiscono a qualunque ordine ("Siate felici! E' un ordine!"- "Basta singhiozzo! E' un ordine"- "Vietato impazzire"), che paracadutandosi finiscono nella pentola del rancio o nelle latrinen, che nascondono per scherzo i cartelli del campo minaten e che si parlano da morti rievocando i bei tempi che furono (per non parlare delle passioni sessuali e delle fucilazioni mancate). E a rendere ancora più divertente e caratterizzante il fumetto è la parlata "TETESCHEN" di questi soldati e il riferimento a personaggi famosi della seconda guerra mondiale.

Forse non è un fumetto per tutti, i più facilmente impressionabili potrebbero aver da ridire sulle vignette in cui i soldati muoiono uccisi dai cecchini o esplodono sui campi minati o ricevono medaglie al valore quando di loro non è rimasto che torso e testa. Ma la bravura di Bonvi, che fa si che non ci sia il ben che minimo dubbio sul valore antimilitare del suo fumetto (a differenza, ad esempio, di quanto succede con Beetle Bailey di Mort Walker, che è un po' più ambiguo) è proprio il far passare queste cose come normali e non come tragedie.
Perché tragedie sono, ma molto spesso, a causa della brama di potere e di conquista che solo le armi riescono a dare, certi potenti se ne dimenticano.

le vignette si vedono maluccio... ma se ci cliccate sopra si ingrandiscono!

LA CASA DEI FIAMMINGHI- Georges Simenon

Chi ha ucciso Germaine Piedboeuf sfondandole il cranio a colpi di martello? E perché il corpo è stato gettato nella Mosa solo tre giorni dopo l'assassinio? Ma soprattutto: può una donna avere tanta forza da uccidere qualcuno a martellate? Maigret osserva e registra, com'è sua abitudine, i gesti e gli sguardi, gli ambienti e gli odori. E quando avrà trovato l'autore di questo delitto se ne tornerà a casa, lasciando che la colpa trovi il suo castigo nella progressiva rovina della "casa dei fiamminghi".



Inizialmente la tentazione è stata di scrivere come commento semplicemente un: "vedi qualche recensione precedente", visto che più o meno si confermano le stesse impressioni già dette in precedenza. Maigret come investigatore non mi convince molto, perché non investiga, non deduce (o meglio, deduce ma non lo dice al lettore) e si sofferma su particolari che sembrano rilevanti e invece non lo sono (un tentativo di depistaggio, forse?). Non amo i suoi modi burberi, né il suo modo di gestire i casi e i sospettati. Però questo romanzo ha effettivamente qualcosina in più del giallo, rispetto al precedente che ho letto. Riesce a insinuarti il dubbio e i sospetti, a farti immaginare trame e intrighi... fino al finale, forse un pochino scontato ma l'unico possibile...
Insomma, un giallo che va bene da leggere in spiaggia o sul treno o svaccati sul divano, per passare il tempo senza impegnare troppo la mente.
Diciamo che se non avete mai letto un giallo in vita vostra (non ci credo, dai!), non iniziate con quelli di Simenon...

Nota alla traduzione: è di nuovo una traduzione Adelphi...

domenica 9 gennaio 2011

SOLAR- Ian McEwan

Pochi altri autori riescono come McEwan a far appassionare il lettore ai destini di personaggi quantomeno discutibili, "eroi" che attraggono in misura proporzionale al disgusto che suscitano. È il caso di Michael Beard: basso, grasso, inverosimile seduttore, fedifrago patentato e marito seriale al quinto matrimonio, a poco più di cinquant'anni è ormai uno svogliato e dispotico burocrate della scienza da quando la genialità, che pure in gioventù gli valse il Nobel per la Fisica, lo ha abbandonato. Da successore di Einstein ad almanacco vivente dei sette peccati capitali (con una certa predilezione per gola e lussuria): la parabola esistenziale di Beard sembra condurlo inesorabilmente verso la malinconica contemplazione della propria decadenza. Almeno fino al giorno in cui gli viene affidato il Centro nazionale per le energie rinnovabili: tra i suoi sottoposti non tarda a mettersi in luce un giovane, Tom Aldous, tanto brillante quanto ingenuo (almeno agli occhi del cinico Beard) nella sua aspirazione a "salvare il mondo". Eppure il progetto di Tom non è cosi campato per aria se, come dice, la sua scoperta è in grado di risolvere una volta per tutte i problemi energetici del pianeta. L'incontro tra il giovane ricercatore e il maturo scienziato avrà sviluppi inaspettati: un intreccio che, lungi dall'essere fine a se stesso, è l'occasione per un confronto spietato con una morale collettiva indifferente, al di là degli slogan, ai rischi del riscaldamento globale.

Prima di questo, ho letti quattro romanzi di McEwan. Due, Espiazione e Sabato, li ho divorati e adorati, al punto da averli più volte consigliati. Gli altri due, L'Amore Fatale e Cortesie per gli Ospiti, mi avevano momentaneamente portato a decidere di non leggere più nulla di questo autore, talmente mi avevano sconvolto e impressionato. Poi è uscito Solar e la descrizione riportata sulla quarta di copertina mi ha incuriosito molto e spinto a dare un'altra possibilità a McEwan.
E questo romanzo si va a collocare esattamente in mezzo. Si può leggere come si può non leggere. Se lo leggete, non è comunque tempo sprecato. In caso contrario, non vi siete persi niente.
Questo giudizio è in parte dovuto a carenze e interessi miei: di fisica mi intendo poco o nulla e mi sono quindi un po' annoiata a leggere le (numerose) pagine di teorie e prototipi di strumenti per salvare il mondo dal surriscaldamento globale.
Anche la trama, a mio avviso, manca di qualcosa. Il romanzo si sviluppa in tre periodi di tempo, distanti quattro o cinque anni l'uno dall'altro: da una parte all'altra si vede sia l'evoluzione delle teorie e dei progetti per "salvare il mondo", sia della vita personale del protagonista (che è tutto fuorchè simpatico), un genio insignito qualche anno prima del premio Nobel che si divincola tra i suoi problemi di salute, le sue tante amanti (con tutti gli scandali e gli strascichi nel tempo che ne conseguono) e la sua voglia di potere e successo più forte di tutto.
Il problema è che è tutto abbastanza scontanto e prevedibile. E' prevedibile il ritorno di certi personaggi della prima parte nella terza, è prevedibile il fallimento del protagonista ed è prevedibile anche quel che non viene detto nel finale, volutamente lasciato in sospeso dall'autore in un tentativo di attirare l'attenzione del lettore (non so voi, ma io odio i finali in sospeso quando non c'è nessun motivo che lo siano).
Però qualcosa che si salva c'è: qualche aneddoto tragicomico (come quello della motoslitta), qualche critica più o meno implicita allo stile di governo passato e presente e allo scarso interesse per l'ambiente quando i soldi in gioco sono tanti.

E poi mi sono riconosciuta in una cosa del protagonista (e una cavolata, ma mi ha fatto proprio sorridere quando l'ho letta): l'essere vestito con quindici strati per andare sulla motoslitta e sentire proprio in quel momento la necessità di fare pipì...

Insomma, vedete un po' voi se leggerlo o meno... non consiglio nè sconsiglio...

Nota alla traduzione: nulla da segnalare direi!

domenica 2 gennaio 2011

IL PALAZZO DELLA MEZZANOTTE- Carlos Ruiz Zafón

Calcutta, 1916. Una locomotiva infuocata squarcia la notte portandosi dietro un carico di morti innocenti. Sotto una pioggia scrosciante, quella stessa notte, un giovane tenente inglese sacrifica la vita per portare in salvo due gemelli neonati inseguiti da un tragico destino. Calcutta, 1932. Ben, il gemello maschio, compie sedici anni, lascia l'orfanotrofio St. Patricks e festeggia l'inizio della sua vita adulta. È anche l'ultimo giorno della Chowbar Society, un club segreto che conta sette orfani come Ben, riunitosi per anni allo scoccare della mezzanotte sotto un tetto di stelle, nella sala principale di un antico edificio in rovina, il Palazzo della Mezzanotte. I sette ragazzi sono sicuri che quella sarà la loro ultima notte insieme, ma il passato bussa alla porta di Ben: la bellissima gemella che non sapeva di avere entra nel Palazzo con una pazzesca storia da raccontare. Le braci dell'incendio di sedici anni prima ricominciano ad ardere. Per tre interminabili giorni i membri della Chowbar Society cercano di decifrare ciò che si nasconde dietro al passato di Ben e di sua sorella, mentre combattono contro un secondo terribile incendio appiccato da un'ombra misteriosa. E, quando ormai l'inferno sembra aver preso il sopravvento e il compiersi del destino inevitabile, il fuoco all'improvviso si spegne... e una candida neve scende sulle strade di Calcutta.

Scrivere un commento ai libri di Zafón è sempre difficile. Sono dell'idea che, a parte qualche più o meno rara eccezione, molti autori siano in grado di scrivere un solo capolavoro in tutta la loro carriera. Quello di Zafón è senza ombra di dubbio "L'Ombra del Vento". Tutti gli altri, scritti prima o dopo, gli assomigliano tutti, con però un qualcosina in meno, che non li rende all'altezza.
Questo autore scrive indubbiamente bene (era un po' che non iniziavo e finivo un libro in un pomeriggio) e ha la straordinaria capacità di coinvolgerti a pieno nella vicenda che narra, al punto da non poterti staccare fino alla fine. Questo romanzo però l'ho trovato un po' troppo "sbrigativo". Le vicende si sviluppano in un paio di giorni, e Zafón ricorre spesso all'espediente, già utilizzato negli altri romanzi, di far narrare a un personaggio tutte le cose che altrimenti non potrebbero essere spiegate, come se lui stesso avesse qualche dubbio sulla trama che vuole seguire. E anche la scena clou, all'interno della stazione sotterranea, è un susseguirsi di colpo di scena un po' troppo prevedibili che si concludono in un finale troppo smorto (insomma, quest'uomo è una specie di torcia umana che alla fine muore per un fiammifero?!).
Sono convinta che chi come me ha amato tanto L'Ombra del Vento sia rimasto un pochino deluso (o più che deluso, perplesso) da questo romanzo (così come da "Il Gioco dell'Angelo" e da "Marina", che però dalla loro avevano l'ambientazione barcellonese).
Detto questo però, non me la sento assolutamente di sconsigliarlo, perché è difficile trovare tra gli autori di best seller, categoria in cui Zafón rientra ormai da qualche anno, uno con tanta abilità nell'uso delle parole.

Nota alla traduzione: è il primo Zafón che leggo tradotto, in quanto quando mi è possibile preferisco leggere gli autori spagnoli in lingua originale. Ma direi che è stato bravo.

E I PEGGIORI 10 DEL 2010

Considerando quanto mi diverto a massacrare i libri quando non mi sono piaciuti, mi è stato fatto notare che, dopo il post sui migliori libri dell'anno appena trascorso, è quasi d'obbligo fare anche quello sui peggiori.
Ho faticato un po' a trovarne 10... però i selezionati non li consiglierei mai nemmeno a qualcuno che mi sta antipatico :P

(di nuovo, non sono in ordine di bruttezza ma di lettura, partendo da inizio anno)



-LA LAMPADA DI ALADINO Luis Sepulveda

-CHE LA FESTA COMINCI Niccolò Ammaniti

-IL DIAVOLO VESTE PRADA Lauren Weisberg

-UN'INQUIETANTE SIMMETRIA Audrey Niffenegger

-IL DIAVOLO NELLA CATTEDRALE Frank Schatzing

-IL RAGAZZO CHE AMAVA SHAKESPEARE Bob Smith

-LE RICETTE DI CLHOE ZIVAGO PER IL MATRIMONIO E L'ADULTERIO Olivia Liechestein

-IL TEMPO CHE VORREI Fabio Volo

-L'ULTIMA RIGA DELLE FAVOLE Massimo Gramellini

- SAI TENERE UN SEGRETO Sophie Kinsella


che nessuno me ne voglia :P