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martedì 23 giugno 2015

FUGA DAL CAMPO 14 - Blaine Harden


I campi di lavoro nordcoreani, tuttora funzionanti, esistono da un periodo di tempo doppio rispetto ai gulag sovietici e dodici volte superiore rispetto ai campi di concentramento nazisti. Sulla loro collocazione geografica non ci sono dubbi: le immagini satellitari ad alta risoluzione, disponibili su Google Earth a chiunque abbia accesso a internet, mostrano ampi perimetri recintati disseminati lungo le impervie montagne della Corea del Nord. Secondo le stime del governo Sudcoreano sarebbero circa centocinquantamila i prigionieri rinchiusi nei campi, mentre secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America il numero toccherebbe quota duecentomila.
Ho deciso di partire da qui, da questi dati tratti dall’introduzione, per tentare di parlare di Fuga dal Campo 14 di Blaine Harden. Ero molto indecisa se citare questo o una delle dieci regole, “i dieci comandamenti”, che i prigionieri di questi campi di lavoro devono seguire per riuscire a vivere lì dentro senza venire pestati, torturati o fucilati (non che seguirle sia una garanzia che una di queste cose non succeda comunque, sia chiaro). Ma alla fine ho scelto per dei dati concreti, dati alla portata di tutti. Basta andare su Google Earth per vedere tutto questo.
Ci sono dei campi di lavoro in Corea del Nord. C’erano ancora nel 2012, quando il libro è uscito, e ci sono ancora oggi nel 2015. Campi di lavoro in cui si viene rinchiusi per generazioni, per espiare colpe (come quella di abbandonare il paese) a volte proprie, ma molto più spesso di parenti lontani e sconosciuti. 

Fuga dal Campo 14 racconta la storia di Shin, che in questo campo ci è nato e vissuto fino ai 22 anni. Ne ha seguito le regole in modo ferreo, perché così gli è stato insegnato fin da piccolo. Fare la spia alle guardie è cosa buona e giusta. Partecipare ai pestaggi collettivi di altri per punirli è cosa buona e giusta. Non ci sono legami, non c’è affetto, non c’è amore, nemmeno in famiglia, nemmeno verso la propria madre, colpevole, con le sue scelte, di avergli provocato del dolore inutile.
Poi, un giorno, un nuovo prigioniero gli svela che là fuori c’è un mondo. E Shin decide quindi di provare a scappare. L’unico, proveniente da quel campo, ad esserci riuscito. Il libro racconta la sua fuga, le difficoltà incontrate per raggiungere la Cina prima e la Corea del Sud dopo. Il suo arrivo negli Stati Uniti e il suo impegno di oggi per denunciare quei crimini di fronte a un mondo che sembra ignorarli.

Il libro è agghiacciante. Per la vita nel campo, le torture, le sofferenze, l’ingiustizia e l’incredibile negazione da parte del governo. È agghiacciante perché sembra di leggere un romanzo utopico, di quelli ambientati in quei posti in cui tutto è controllato, tutto è imposto (anche il pentimento… e quei momenti di “pentimento collettivo” richiamano tantissimo 1984 di Orwell), ma in realtà un romanzo non è. È vita vera. 
Per me è stato davvero sconvolgente scoprire tutto questo. Sì, sapevo che esistono questi campi ma ne avevo un’idea molto vaga, molto imprecisa. Come quasi sempre succede di quelle cose che sentiamo distanti e di cui quindi tendiamo a disinteressarci. Eppure, cavolo, basta aprire google maps per vederli. Possibile davvero che nessuno faccia niente?
In America gli studenti delle scuole superiori discutono sul perché Franklin D. Roosvelt non abbia bombardato le linee ferroviarie che portavano ai campi di concentramento nazisti. I loro figli potrebbero chiedere, più o meno tra una generazione, perché l’occidente sia rimasto a guardare le ben più esplicite immagini satellitare dei campi di Kim Jong Il. Senza far nulla.
Il libro è scritto molto bene. Non è una lettura difficile a livello di scrittura o di comprensione. E di questo bisogna dare merito a Blaine Harden, il giornalista che ha raccolto le parole di Shin e ne ha scritto la storia. Solo scrivendolo in questo modo, con il giusto numero di dati e di riferimenti bibliografici, soffermandosi principalmente sulla vita di Shin, questo libro può arrivare a tutti. 

Magari non servirà a cambiare le cose. Ma forse saperne di più del mondo in cui viviamo, delle atrocità che ancora oggi vengono commesse senza alcun motivo logico (non che le guerre di oggi abbiano un motivo logico, ma essere rinchiusi in un campo, essere pestati a sangue o lasciati alla fame per me hanno ancora meno senso) e forse cambieremo un po’ le nostre battaglie personali.

Da leggere, preparandosi a stare male.

Titolo: Fuga dal campo 14
Autore: Blaine Harden
Traduttore: I. Oddenino
Pagine: 290
Editore: Codice edizioni
Acquista su Amazon:
formato brossura: Fuga dal campo 14
formato ebook:Fuga dal campo 14

6 commenti:

  1. Ciao Elisa!
    Ho paura che il mondo stia a guardare e non intervenga per evitarsi "rogne" o crisi internazionali.
    Ne parli come un buon libro ma molto difficile da leggere a causa del contenuto. Lo terrò in considerazione per il futuro, ora come ora credo che non ce la farei :(

    Claudia

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    1. Eh temo anche io che il motivo sia quello... Oltre al fatto che è una cosa che tutti, io compresa eh, percepiamo come molto lontana.

      Sì, è un buon libro, scritto anche molto bene, ma che va letto nel momento giusto..

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  2. Ciao, consiglio anche IL SIGNORE DEGLI ORFANI, di Adam Johnson, premio Pulitzer 2013. Un romanzo che però racconta cose purtroppo vere, aprendo uno squarcio sulla realtà quotidiana di questo popolo. Grazie del tuo post, molto bello. Christian.

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    1. Me lo segno! Che piano piano sto recuperando la lettura tutti i premio Pulitzer, una certezza di qualità ormai.
      Grazie per il suggerimento!

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  3. Ciao, anche io ho finito da poco questo libro e ne sono rimasta spiazzata benchè più o meno conoscessi già la situazione politica della Corea del Nord.
    E' ingiusto che la grande problematica della Corea sia circondata dal silenzio e non mi spiego come il mondo possa ignorarla visti i numeri e le evidenti prove dell'esistenza di quanto il governo di Pyongyang si ostina a negare.
    Un applauso sincero a Harden per aver reso la lettura snella e non pensante come invece si ritrova in molti libri che parlano di altri campi di concentramento. Snella, si, ma non per questo meno incisiva.
    Se ti interessa leggere la recensione che ho postato sul mio blog ti lascio il link: Raggy - Recensione de Fuga dal Campo 14.
    Scusa per l'eventuale spam indesiderato.

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  4. ciao, da Il Post http://www.ilpost.it/2016/02/16/the-accusation-bandi-corea/ a quanto pare c'è uno scrittore dissidente che è ben conosciuto dal regime e che pubblicherà l'anno prossimo dei racconti. Il fatto che viva ancora lì sinceramente non mi tranquillizza, viste le notizie provenienti da quel paese violentato da un regime infame. Continuiamo a leggere e diffondere, è importante anche per loro. Christian

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