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lunedì 21 ottobre 2013

Interviste rampanti: PAOLO COGNETTI

Protagonista dell'intervista rampante di questa settimana è Paolo Cognetti. Nato a Milano nel 1978, Paolo Cognetti esordisce come scrittore nel 2004, nell'antologia La qualità dell'aria curata da Nicola La gioia e Christian Raimo. Nel 2004 esce la sua prima raccolta di racconti per minimum fax, Manuale per ragazze di successo, seguita nel 2007 da Una cosa piccola che sta per esplodere. Nel 2012, per la stessa casa editrice, pubblica Sofia si veste sempre di nero, finalista al Premio Strega. Cognetti è anche autore di due opere di saggistica: New York è una finestra senza tende,  pubblicata con Laterza, e Il ragazzo selvatico, pubblicato con Terre di Mezzo.
Io ho scoperto Cognetti grazie a Sofia si veste sempre di nero, un romanzo fatto di racconti in cui protagonista è la giovane Sofia. Il libro mi è piaciuto molto e dopo averlo letto ho iniziato a seguire il blog dell'autore (Capitano mio Capitano). Dopo averlo incontrato al festival La grande invasione a Ivrea, ho poi letto anche la raccolta Una cosa piccola che sta per esplodere, che mi ha confermato la sua incredibile bravura nello scrivere i racconti, un genere un po' bistrattato dai lettori ma che meriterebbe invece molta più attenzione.
Ringrazio ovviamente Paolo per aver accettato di rispondere alle mie domande.


Da bambino dicevi “da grande farò lo scrittore”?
No, dicevo che avrei fatto il falegname. In montagna conoscevo due fratelli che d'estate facevano le guide alpine e d'inverno i falegnami, e mi sembrava una vita ideale. La penso così ancora adesso a dir la verità.

Io ti ho conosciuto grazie alla mitica Sofia e a questo suo romanzo, i cui capitoli sono dei piccoli racconti che potrebbero vivere di vita propria. Poi ho letto anche Una cosa piccola che sta per esplodere, altra raccolta di racconti, questa volta tra loro indipendenti. Come mai prediligi questa forma letteraria, considerando anche che i racconti solitamente non attirano molto il grande pubblico?
Bè, ma se uno parte pensando a cosa attira il grande pubblico non va molto lontano, non credi? Anche perché il pubblico dei lettori è minuscolo, non è proprio la strada giusta per chi sogna di diventare ricco. Quanto al racconto, a me sembra una forma che per certi versi si avvicina alla poesia. Puoi scriverli e riscriverli fino a impararli a memoria. Puoi sperimentare stili, punti di vista, strutture narrative. E ogni parola è importante, da un racconto andrebbero tolte tutte quelle di cui si può fare a meno. In più mi piace l'idea di non dire tutto, in un racconto più che in un romanzo è importante quello che non c'è.

Come sei stato scoperto (o come sei riuscito a farti scoprire) dalle case editrici che ti hanno pubblicato?
Io sono fortunato: pubblico con quella che, da lettore, era la mia casa editrice preferita. Mi sono formato sugli americani di minimum fax, Carver prima di tutto ma anche Moody, A.M. Homes, Charles D'Ambrosio, Peter Orner e tanti altri. A venticinque anni, quando ho avuto in mano un po' di racconti che mi sembravano buoni, sono partito per Roma e sono andato a portarglieli, approfittando di un evento pubblico. E' andata bene, un anno dopo quei racconti sono diventati il mio primo libro.

Qual è il tuo rapporto con i critici professionisti e con i book blog?
Distinguerei tra critico e recensore. Il critico letterario è uno che sa fare un discorso intorno a un libro, è capace di inquadrarlo e capire da dove viene, di collocarlo nel suo tempo è alla fine dire se è un'opera importante o trascurabile, significativa oppure no. Un critico così aiuta anche lo scrittore a capire il proprio lavoro, e a volte succede che tra scrittore e critico ci sia un dialogo costruttivo (a me è successo con Goffredo Fofi e Giovanni Pacchiano, due che stimo molto). I recensori invece commentano secondo il proprio gusto, danno un giudizio o un voto che spesso, tra l'altro, è condizionato da giudizi precedenti, dalle vendite, dai premi, da quello che si dice in giro. Detesto quando un commento comincia con: avevo tanto sentito parlare di questo libro, ma poi, leggendolo... E' come ammettere subito di non essere obiettivi, di averlo letto con dei pregiudizi. Poi per carità, il parere di ogni lettore è legittimo ma uno scrittore sano dovrebbe esaltarsi poco quando ne trova di entusiastici, e non deprimersi per le stroncature. Quelli che valgono davvero sono i commenti che ti fanno scoprire qualcosa del tuo libro che non sapevi, illuminano zone che erano oscure anche per te.

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
Il fatto è che a un libro ci lavoro per anni. Per l'ultimo ce ne ho messi quasi cinque. Anche se uno lo critica o lo contesta, sono contento quando riconosce la serietà del mio lavoro; mi arrabbio o mi offendo quando invece lo definisce inconsistente, superficiale, carino, scontato e così via. Io l'ho scritto in cinque anni, tu l'hai letto in due giorni: può essere che ci siano cose che non hai visto, me la concedi un po' più di riflessione?

Hai qualche mania come scrittore?  Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
Scrivo su dei grandi quaderni a righe, solo alla fine copio tutto al computer. Non ho manie che riguardano luoghi o orari ma il mio quaderno viene con me ovunque, così lo posso tirare fuori al bar, in cima a una montagna o in macchina se ne ho bisogno.

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai avuto voce in capitolo nella scelta di quella dei tuoi libri?
Sì, e anche questa è stata una fortuna. Sia per "Una cosa piccola" che per Sofia ho lavorato insieme all'illustratore, Alessandro Gottardo, che ha la mia età e vive a Milano. Noi due abbiamo tante cose in comune, siamo subito diventati amici. Io gli passo qualche racconto e un'immagine che ho in testa - la prima volta era una roulotte, la seconda una vasca da bagno - poi Alessandro ne fa qualcosa di tutto suo. 

Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore?
Di conoscere i piccoli editori. Magari di farsi guidare da quello, nella scelta di un libro, più che dalla copertina... (scusa, è un colpo basso!) Sembra impossibile, ma molti ragazzi che vogliono scrivere non sanno elencare nessun editore oltre ai grandi marchi, nessuno scrittore italiano oltre a quelli di best-seller, nessuna libreria indipendente della propria città (e ce ne sono, ce ne sono). Bisogna leggere tanto ma soprattutto leggere bene, leggere libri che valgano qualcosa. E un libraio, un editore, quei libri ti aiutano a trovarli.

Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione?
Spero che l'autopubblicazione uccida definitivamente l'editoria a pagamento, che è una truffa: ora almeno, se uno proprio ci tiene, il libro se lo pubblica da solo senza dare soldi a nessuno. Dopodiché, penso che il ruolo dell'editore sia fondamentale. Come quello del libraio, di nuovo. E del critico letterario. Sono come setacci che filtrano tutta la sabbia che c'è, e ogni tanto, se va bene, trovano una pepita d'oro.  

Ebook o cartacei?
Ultimamente non ho più abitato in una casa sola, e il vecchio amore per i libri di carta ne ha risentito. Per avere una libreria bisogna essere sedentari, l'ebook è la fortuna del nomade. Sono sicuro che a Chatwin e Kerouac il digitale sarebbe piaciuto molto.

Qual è il libro, non tuo, a cui sei più legato?
I quarantanove racconti di Hemingway. Nove racconti di Salinger. Da dove sto chiamando di Carver. Sono quelli che considero i miei maestri.

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Per restare ai racconti: I ventitré giorni della città di Alba di Fenoglio e Il sistema periodico di Primo Levi. Secondo me sono i loro libri migliori. Tra i viventi ho un debole per Susanna Bissoli (Caterina sulla soglia) ed Elena Varvello (L'economia delle cose), che sono bravissime.

Hai letto le Cinquanta Sfumature?
No, perché? Figurati che mi manca ancora Guerra e pace, ho tanti di quei libri che aspettano di essere letti...

Qual è Il tuo colore preferito?
Il verde.

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