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mercoledì 27 luglio 2011

LETTERA A UN BAMBINO MAI NATO- Oriana Fallaci

Il libro è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente e lavora. Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà un sogno, l'amore una parola dal significato non chiaro.


Mi sono sempre tenuta il più possibile alla larga da questa autrice, giornalista. E la mia resistenza nei suoi confronti è dovuta soprattutto alle sue esternazioni pochi anni prima di morire, che l'hanno addirittura portata ad avere il sostegno del quotidiano Libero. Questo per me è stato sufficiente per non leggere mai niente di suo. Certo, non bisogna giudicare i libri da chi li ha scritti, ma di solito chi scrive nelle sue parole non esprimerà mai qualcosa di diverso da quello che in realtà pensa.
Però mi è stato prestato questo libro, da due "suoceri" entusiasti che me lo hanno praticamente messo in mano. E quindi oggi l'ho letto.
E sono perplessa. Forse per apprezzare al meglio questo libro bisognerebbe essere incinte, o esserlo già state, o averlo comunque in programma. Si tratta di un dialogo tra una madre, single, e il piccolo esserino che sta crescendo dentro di lei. La madre gli parla, cerca di insegnargli come va il mondo, di metterlo in guardia da tutto il male che incontrerà. E' una gravidanza difficile, che dopo pochi mesi la costringe a letto. Ma lei è una donna libera ed emancipata, che non può sacrificare la sua vita per la creatura che ha in corpo, ha altro da fare lei, e quindi decide di comportarsi come se il bambino non ci fosse. Finchè ovviamente non lo perde e si sente in colpa.
Questo libro mi ha fatto principalmente arrabbiare. Sono favorevole all'aborto, così come a chi anche nelle difficoltà non se la sente di farlo. Sono per la libera scelta, senza pregiudizi o condanne per chi sceglie l'una e l'altra strada. Ma se scegli una strada, la devi seguire fino in fondo. E la Fallaci invece è come se giustificasse la scelta della sua protagonista di lasciare che il bambino muoia se l'unico modo che ha per stare bene è che la madre sacrifichi nove mesi della sua vita e della sua carriera. No. Mi dispiace, ma questo non lo posso accettare.
Non mi è piaciuto. Non so se comunque per via dei pregiudizi o semplicemente perché io, se e quando mai avrò un figlio, non credo che gli dirò che il mondo fa schifo, che forse se se ne resta dentro è meglio, che c'è più dolore e sofferenza che gioia e felicità. Nemmeno io, come la protagonista, come la Fallaci, come nessuno su questa Terra credo, so bene che cosa sia l'amore. Ma esiste.

Continuerò a stare alla larga dalla Fallaci. Le ho dato una chance ma, almeno nel mio caso, è andata sprecata.

AGOTA KRISTOF -Csikvánd, 30 ottobre 1935 – Neuchatel, 27 Luglio 2011


"ROMA - La scrittrice ungherese Agota Kristof, autrice della Trilogia della città di K, è morta a Neuchâtel, in Svizzera. Nata a il 30 ottobre 1935 a Csikvánd, in Ungheria, nel 1956, in seguito all'intervento dell'Armata Rossa in Ungheria per soffocare la rivolta popolare contro l'invasione sovietica, fuggì con il marito e la figlia in Svizzera, a Neuchâtel, dove imparò il francese e dove ha vissuto fino alla sua morte. E' il francese la lingua scelta dalla scrittrice, naturalizzata svizzera, per comporre le sue opere. Raggiunse il successo internazionale nel 1987, con la pubblicazione de Le grand cahier (Il grande quaderno), che viene eletto "Livre Européen". Le grand cahier confluirà, insieme a La preuve (La prova) e Le troisième mensonge (La terza menzogna), nella Trilogie (Trilogia della città di K.), il riconosciuto capolavoro letterario di Agota Kristof, stampato in oltre 30 paesi. In italiano sono stati pubblicati Quello che resta (in seguito Il grande quaderno), Milano, Guanda, 1988. La prova, Milano, Guanda, 1989. Trilogia della città di K. (Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna), Torino, Einaudi, 1998. La chiave dell'ascensore. L'ora grigia, Torino, Einaudi, 1999. Ieri, Torino, Einaudi, 2002. La vendetta, Torino, Einaudi, 2005. L'analfabeta. Racconto autobiografico, Bellinzona, Casagrande, 2005. Dove sei Mathias?, Bellinzona, Casagrande, 2006. Dal suo romanzo Ieri era stato tratto il film Brucio nel vento di Silvio Soldini."
La Repubblica- 27/07/2011


Ho letto la "Triologia della Città di K" pochi mesi fa, dopo averne sentito parlare parecchio... tre romanzi incredibili e bellissimi, un pugno nello stomaco che tutti dovrebbero leggere.

Buon viaggio Agota...

lunedì 25 luglio 2011

IO UCCIDO- Giorgio Faletti

Un DJ di radio Monte Carlo riceve, durante la sua trasmissione notturna, una telefonata delirante. Uno sconosciuto rivela di essere un assassino. Il caso viene archiviato come uno scherzo di pessimo gusto. Il giorno dopo un pilota di Formula Uno e la sua compagna vengono trovati orrendamente mutilati. Da questo momento ha inizio una serie di delitti, preceduti ogni volta da una telefonata con un indizio sulla prossima vittima e sottolineati da una scritta tracciata con il sangue: «io uccido». Non c'è mai stato un serial killer nel Principato di Monaco. Adesso c'è. Il romanzo d'esordio nel thriller del comico italiano.

E finalmente mi sono decisa e ho letto anche io "Io Uccido", il romanzo d'esordio del comico/cantante/attore Giorgio Faletti, best seller tradotto in diverse lingue, dal successo strepitoso, etc etc... Questa mia introduzione raccoglie in se tutti i motivi per cui ho resistito anni prima di leggerlo: io non amo molto i best seller (cioè, quelli scritti apposta per diventarlo, non quelli che per merito lo sono diventati), nè amo molto gli scrittori tuttofare (mi sono sempre chiesta che professione hanno scritta sulla carta d'identità). Alla fine però, se ho dato una possibilità alla Kinsella e più di una a Fabio Volo, non vedo perché non darne una anche a Faletti.
E ancora non riesco a capire se ho fatto bene oppure no.
Il romanzo si legge sicuramente bene, riesce a catturare e a mettere quella giusta dose di suspance tipica dei thriller. Faletti riesce anche a confondere su chi potrebbe essere il possibile assassino, lasciando aperte tante possibilità tutte abbastanza plausibili (che però rovinano un po' il colpo di scena... sospettare di tutti non è come non sospettare di nessuno). Anche i personaggi, a partire dal nostro eroe americano, Frank Ottobre, in vacanza a Montecarlo per cercare di scacciare i fantasmi che lo tormentano, sono tutti ben caratterizzati.
Dove sta il problema quindi? Beh, ce ne sono almeno un paio. Il primo è che la storia di questo serial killer, una volta catturato, viene liquidata in poche pagine, non viene spiegata quale sia stata la causa scatenante, nè la logica di scelta delle vittime, se non in modo molto superficiale (che dopo 500 pagine di dubbi, supposizioni e sospetti, ti lascia parecchio perplesso). L'altro è la storia parallela, che si interseca a quella della caccia all'assassino, e che colpisce ancor più da vicino il protagonista. L'ho trovata completamente inutile, basata su coincidenze troppo improbabili persino per un thriller, oltre che confondere e complicare senza motivo la trama principale. Lo scopo qual era? Forse il "lieto fine" dopo tanto sangue? O forse Faletti non era sicuro che la storia principale avrebbe retto da sola per tutto il romanzo?
Peccato, perché il libro perde parte del suo fascino e della sua bellezza nelle ultime cento pagine, quando tutti i nodi vengono al pettine.

Non voglio dire che non sia un buon thriller, nè voglio sconsigliarvi di leggerlo. Alcune trovate sono semplicemente geniali (come quello di usare la musica come filo conduttore) e l'autore riesce con il suo stile a tenere il lettore ancorato alle pagine. E anche la trama è meglio di quasi tutti i (pochi) thriller che ho letto nella mia vita (principalmente in spiaggia, dopo che avevo finito tutti i libri che mi ero portata dietro).
Però penso che questo non sia proprio il mio genere.

Comunque, per chi invece non lo legge perché un po' splatter e ha paura di sognarselo di notte, direi che potete andare tranquilli: io sono la persona più impressionabile di questo mondo e l'unica scena che veramente mi ha turbato è quella finale, con un rimando non indifferente a Psycho di Hitchcock. Quindi, andate tranquilli!


Forse il denaro non da' la felicità, ma aspettando che la felicità arrivi è un bel passatempo.

Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare. Non le hai scelte e nemmeno le vorresti ma arrivano e dopo non sei più uguale. A quel punto le soluzioni sono due: o scappi cercando di lasciartele alle spalle o ti fermi e le affronti. Qualsiasi soluzione tu scelga ti cambia, e tu hai solo la possibilità di scegliere se in bene o in male.

La felicità non si analizza, si vive.


mercoledì 20 luglio 2011

IL CASO JANE EYRE- Jasper FForde

È un 1985 diverso, in un mondo dove i libri sono il bene più prezioso. E i confini tra realtà e fantasia sono più morbidi del consueto. Mycroft, vecchio inventore, escogita un sistema per entrare di persona in romanzi e poesie. Acheron Hades, criminale diabolico, se ne appropria e rapisce "Jane Eyre" dal manoscritto originale di Charlotte Brontë: a indagare arriva Thursday Next, Detective Letteraria. Reduce dalla guerra di Crimea (che imperversa da centotrent'anni), ha in sospeso un amore. Le indagini la riportano a Swindon, sua città natale; sbarcata da un dirigibile di linea, salta in groppa a una fuoriserie decappottabile dai mille colori. Riuscirà a salvare Jane Eyre e a rimettere in sesto la sua vita.

E' con mia somma vergogna che ammetto di non avere mai letto Jane Eyre . Certo, so di cosa tratta la storia, dopo averla studiata sia al liceo sia all'università nei corsi di letteratura inglese. Ma non ho mai amato molto quel genere di letteratura al femminile (anche per convincermi a leggere Pride & Prejudice c'è voluto parecchio).
E probabilmente, con questa mia lacuna, difficilmente sarei sopravvissuta nel mondo in cui è ambientato questo singolare romanzo. Un mondo dove i libri sono il bene più prezioso, al punto che esistono delle forze speciali istituite apposta per difenderli dai potenziali criminali che tramite i libri vogliono arricchirsi. Un mondo, ahimè, utopico e bellissimo, dove è possibile entrare in un romanzo, conversare con i suoi protagonisti, rischiando anche di modificarne la trama. Ed è proprio questo il piano malefico di Acheron Hades. Rubare un marchingegno che permette di entrare nei romanzi e modificarli, in modo da causare il panico tra milioni di lettori. La vittima designata, dopo il fallimento con un romanzo di Dickens, altri non è che Jane Eyre. Ci penserà Thursday Next, una donna coraggiosa che ha perso un fratello e l'amore in una fantomatica guerra di Crimea, ad aiutare la fanciulla a tornare nel romanzo. Si ritroverà così catapultata nel romanzo, insieme ad Acheron e a dei turisti giapponesi. E proprio grazie all'aiuto di Mr. Rochester riuscirà a salvare il celebre romanzo della Bronte.

Uno dei libri più strambi e bislacchi che abbia mai letto. E anche uno dei più appassionanti. Certo, forse a volte, l'autore esagera un po' e ci si perde in questo mondo di salti temporali, associazioni criminali ed enti governativi segreti. Ma rimane comunque un libro geniale, che non si riesce a smettere di leggere.
Un romanzo che fa divertire e che fa sognare chi ama leggere e chi almeno una volta nella vita ha sognato e sperato di entrare in uno dei suoi romanzi preferiti, immaginando quali conseguenze la sua presenza potrebbe apportare.

Un libro che chi ama i libri dovrebbe assolutamente leggere! (certo, se avete un minimo di conoscenza della letteratura inglese lo apprezzerete ancora di più... ma merita comunque tanto!)

Nota alla traduzione: ho solo un appunto, la scelta del termine "cretinetti" per tradurre il vezzeggiativo con cui il fratello chiama la protagonista... semplicemente terribile.


"Non darmi mai più del matto, Mycroft. Non sono matto, sono solo... bè, diversamente etico, ecco tutto."

"Ci sono cose più importanti delle leggi e dei regolamenti. Le mode e i governi passano, ma Jane Eyre è per sempre"

"Probabilmente le decisioni su questioni di vita e di morte sono più facili da prendere perché sono radicali, bianco o nero. Le affronto meglio perché è più facile. Le emozioni umane, bé... sono un'infinita gradazione di grigi e io non mi trovo bene con le mezze tinte"

domenica 17 luglio 2011

SEI BIBLIOTECHE- Zoran Zivkovic

Dopo il giallo atipico "L'ultimo libro", Zivkovic continua la sua esplorazione narrativa del mondo dei libri con un romanzo a mosaico che esplora in sei storie collegate tra loro il tema della biblioteca, da quella personale a quella pubblica. Nella biblioteca virtuale uno scrittore scopre i libri che non ha ancora scritto; un appassionato lettore si trova ad affrontare una biblioteca di casa che cresce a dismisura sino a occupare ogni centimetro quadrato del proprio appartamento; nella biblioteca notturna un lettore può consultare, per una sola notte, le vite di tutti gli esseri umani come se fossero altrettanti libri; nella biblioteca infernale si scopre quale sarà la pena dei peccatori; la biblioteca più piccola si trova su una bancarella; e nella biblioteca più raffinata... Sempre surreale, spiazzante e intrigante, Zivkovic è capace di sorprendere nel giro di una pagina e ha il dono unico di trasformare la nostra passione di lettori in narrazioni avvincenti e curiose.

Ho finito questo libro ieri ma, sebbene avessi del tempo a disposizione, non avevo voglia di recensirlo. Forse perché avevo bisogno di "digerirlo" un po', anche perché essendo composto da sei brevi racconti manca il tempo di riflettere bene su quel che si sta leggendo che già parte qualcosa di nuovo. (A parte qualche rara eccezione, non amo molto leggere i racconti, o almeno non le raccolte, perché non hai tempo di entrare in quel che stai leggendo).
L'altra cosa che mi ha convinto ad aspettare a recensire questi racconti è il loro surrealismo. Ero stata avvisata da chi me l'ha prestato che per leggerlo avrei dovuto utilizzare parecchia "sospensione dell'incredulità", non farmi domande e leggere le storie così come sono, senza preoccuparmi del fatto che alla fin fine non avessero nessun senso nè spiegazione.
Quindi, dopo più di 24 ore eccomi qui, a cercare di scrivere un commento. Sicuramente il fatto che sia un libro che parla di libri renderà meno inclemente il mio giudizio (amo molto i libri sui libri) e devo anche ammettere che due delle storie sono semplicemente geniali (La Biblioteca Infernale e La Biblioteca Minima, la prima dare come castigo per espiare le proprie colpe all'inferno leggere libri, la seconda su un scrittore in cerca di ispirazione che riesce a trovarla dove meno se l'aspetta), e direi che due su sei è una buona media. Però non lo so, mi aspettavo credo qualcosa di più, anche per le lodi e la fama di questa piccola raccolta. Si poteva rendere molto più onore ai libri, nostri compagni di avventura nella vita, con storie magari meno ricercate ma molto molto più belle.
Ok, forse avrei dovuto aspettare 48 ore.

Nota alla traduzione: nulla da dire!

venerdì 15 luglio 2011

MISS ALABAMA E LA CASA DEI SOGNI- Fannie Flagg

Una vera signora sa sempre quand'è il momento di uscire di scena. E Maggie Fortenberry, affascinante sessantenne che conosce almeno 48 modi diversi di piegare un fazzoletto e non ha mai detto una parolaccia in vita sua, ha deciso che il suo momento è arrivato. Ex Miss Alabama e quasi Miss America, dei suoi sogni di ragazza Maggie ha realizzato ben poco: non ha conquistato un marito adorante, non ha avuto con lui la nidia ta di pargoli d'ordinanza, e oggi è una single depressa con una noiosa carriera da agente immobiliare a Birmingham. Ormai ha deciso, vuole farla finita. Non senza però aver prima saldato ogni debito, sbrinato il frigorifero e salutato gli amici con un'impeccabile lettera d'addio. Ma quando tutto sembra finalmente pronto per girare l'ultimo ciak, ecco che un bizzarro scheletro in kilt manda all'aria i suoi piani. Nella villa dove l'ha ritrovato, e che Maggie ha ricevuto l'incarico di vendere, si celano infatti segreti che aspettano solo lei per essere svelati. E se poi a scombinare il suo progetto ci si mettono anche una dispettosa capretta dal muso nero e il ritorno inaspettato di un vecchio amore, ecco che forse organizzare la sua dipartita non è più così urgente...

E finalmente sono riuscita a leggere il nuovo libro di Fannie Flagg, un'autrice che ho imparato ad amare grazie al suo capolavoro, Pomodori Verdi Fritti al Caffè di Whistle Stop, e di cui ho poi letto tutti i romanzi.
Ho aspettato tanto un nuovo romanzo, e l'attesa si sa genera sempre aspettative che non è sempre è facile soddisfare. E mi dispiace dirlo, ma questo è proprio il caso di Miss Alabama e La Casa dei Sogni. E' un bel romanzo, sia chiaro. Si legge, anzi si divora, in fretta, e alcuni personaggi sono ben caratterizzati. Brenda ad esempio, la migliore amica della protagonista, è fenomenale, sempre in lotta con la sua voglia di mangiare e pratica e spiccia nei momenti di emergenza. E Hazel anche, una nana simpatica che ha fatto della sua altezza la sua forza per conquistare tutti i suoi sogni.
Il problema di questo romanzo però, a mio avviso, è proprio la protagonista. Maggie, ex Miss Alabama e quasi Miss America, impiegata presso un'agenzia immobiliare insieme all'amica Brenda, sulla soglia dei sessant'anni, che ha deciso che è giunta l'ora di farla finita e abbandonare questo mondo. E vuole farlo nel modo meno fastidioso possibile, per sé ma soprattutto per gli altri. Ha quindi un piano, che prevede di dar via tutti i suoi vestiti, chiudere tutti i conti corrente, pagare tutte le bollette, sbrinare il frigo. Insomma, andarsene senza recare disturbo. Ma per un motivo o per l'altro, una serie di imprevisti le impedisce di compiere questo suo estremo gesto.
L'idea è quindi geniale, e a tratti comica, ma la protagonista non è riuscita a suscitare in me la simpatia che molti, quasi tutti direi, i personaggi degli altri romanzi di Fannie Flagg avevano suscitato in me. Non è buffa, non è allegra. E' semplicemente a modo.
L'altra cosa che mi ha lasciata un po' perplessa e che quindi mi ha forse fatto apprezzare meno il romanzo è la storia dentro la storia, quella della casa dei sogni del titolo, e dei suoi proprietari. Una storia che viene a poco a poco scoperta dopo che Maggie e Brenda hanno trovato una "sorpresa" nella casa che stanno cercando di vendere. Una storia appassionante, per carità, ma forse sbrigata troppo in fretta e che perde quindi parte del suo valore.
Non lo so. Non sto dicendo che il libro sia brutto. Certo, manca un po' della tenerezza degli altri romanzi dell'autrice e, a parte i due personaggi sopracitati, gli altri sembrano solo delle macchiette. E mi rendo conto anche che il lieto fine in un romanzo del genere è d'obbligo e l'ho sempre adorato, e che effettivamente per quanto il mondo ci faccia soffrire, per quanto male si possa stare, la vita non fa schifo proprio perché ce l'abbiamo, che "è troppo breve per perdere tempo ad essere cinici" e che "tutti abbiamo diritto a un lieto fine".
Però boh, mi ha appassionato meno degli altri. Ma forse, come dicevo all'inizio, proprio perché l'ho aspettato tanto.
E comunque eguagliare Pomodori Verdi Fritti al Caffè di Whistle Stop è impossibile.

Nota alla traduzione: "Hai detto giusto o destro? Non ho capito!". Questa frase è il classico esempio del perché sarebbe meglio leggere i libri in lingua originale.

martedì 12 luglio 2011

TOCCARE I LIBRI- Jesús Marchando

Una notte insonne in cui l'autore conta i libri della propria biblioteca al posto delle pecore, diventa il pretesto per intraprendere un viaggio sentimentale attraverso le proprie scelte letterarie e la passione per i libri. Viaggio che diventa un'analisi di che cosa vuol dire possedere una biblioteca, cioè intrattenere una relazione affettuosa e durevole con quegli oggetti del desiderio che sono i libri: significa affrontare problemi di spazio per la loro custodia; decidere in che ordine catalogarli; a chi prestarli e come farseli restituire; annusare con voluttà l'odore dell'inchiostro; leggere e rileggere le annotazioni che abbiamo lasciato sulle loro pagine; proteggerli dalla distruzione da insetti e da polvere; regalarli alle persone che amiamo; usarli per conservare le banconote o i fiori secchi; in che posizione ci piace leggerli. Un libro che racconta la grande storia d'amore tra i lettori di tutto il mondo, e di tutti i tipi, e i libri.


Mi ero quasi dimenticata di possedere questo piccolo saggio, che mi è stato regalato non so più in quale stand durante il Salone del Libro di Torino.
E' rimasto quindi lì sulla mensola a prendere polvere, incastrato tra una marea di altri libri. Ma forse, come l'autore stesso dice, è rimasto lì fino ad oggi proprio perché non era ancora arrivato il momento per leggerlo.
E' un piccolo saggio sul libri (saggi che ultimamente forse vanno un po' troppo di moda) e sulle manie e le abitudini di Marchando e di molti altri scrittori famosi al momento di rapportarsi a un libro.
Ogni capitolo affronta un "argomento" diverso, dalla disposizione in casa al numero totale di libri che uno "dovrebbe" avere, a quanti libri ipoteticamente potremmo leggere rispetto a quanti vengono realmente pubblicati e a quale romanzo dovremmo sempre portare con noi, passando anche per le dediche e lo stato in cui i libri devono essere conservati.
Ciò che rende questo breve saggio ancor più interessante è la presenza di aneddoti sulle manie, i vizi e le abitudini di scrittori famosi del passato e del presente (per lo più spagnoli o sudamericani) nel momento di leggere un libro.
Ed è bello scoprire che certi vizi, certe manie non le ho solo io o noi lettori "comuni mortali" ma anche i grandi della letteratura.


Nota alla traduzione: ahimè il libro non è in commercio in italiano (o almeno così c'è scritto all'interno dell'edizione che mi hanno regalato) e anche la traduzione pare non essere stata rivista. Ma comunque non c'è male.


Ora, qualche considerazione su quel che dice l'autore e su come vivo io i libri (una per capitolo circa):

Voi sapete quanti libri avete in casa? Io onestamente no. E contarli diventerebbe piuttosto lunga. Dovrei sommare i miei in italiano,con quelli in lingua originale (inglese e spagnolo) (ma i doppioni li devo contare), con quelli che ho ereditato dal mio babbo, con quelli che si compra (raramente) mio fratello, con i manuale di scuola e dell'università, con chissà quanta altra roba. Impresa epica.

In che ordine disponete i libri sulle mensole? Io puramente a caso. L'unica classificazione che faccio è in base alla lingua (inglese e spagnolo da un lato, italiano dall'altro). Poi ho anche provato a mettere tutti vicini i libri degli stessi autori, ma a un certo punto mi stufo e li posizioni così come capitano. Anche perché ormai le mie mensole trasbordano, ho libri ovunque (ok, alcuni sono fumetti) e sto iniziando a chiedermi dove metterò i prossimi.

Avete mai buttato via un libro? No, credo di no. O forse uno una volta, ma perché ormai non assomigliava più a un libro, ma avevo già pronto in casa il sostituto. Eppure ne avrei di libri che meriterebbero di finire nel wat...ehm... nel cestino... Però boh, non ci riesco proprio. Li presto sempre e volentieri, e per fortuna per ora tutti quelli che ho prestato mi sono tornati. Ma buttarli, abbandonarli... buh, non ci riesco...

Quanti libri leggete? Ne leggo tanti, tantissimi (troppi a detta di qualcuno). Eppure scoprire che solo negli ultimi 50 anni ne sono stati pubblicati 36 milioni mi fa rendere conto che in realtà ne leggo pochi, pochissimi. Di quelli che possiedo però, solo pochi non sono stati letti (Eco dice che ci sono libri da leggere e libri da possedere), e pochi sono stati abbandonati a metà. Diciamo che se un libro non mi ispira tendo a non leggerlo a priori, se lo inizio difficilmente lo abbandono.

Libri vecchi, libri nuovi, libri usati, libri sgangherati? Non riesco a comprare libri usati, è più forte di me. Un conto sono quelli "ereditati", che sono stati consumati da un membro della mia famiglia. Un altro è prenderli a caso nelle bancarelle, senza sapere bene cosa ti potrebbe capitare. Odio chi sottolinea i libri. Odio chi fa le orecchie alle pagine. Poi certo, nemmeno io li tratto benissimo (soprattutto se leggo in spiaggia), e prediligo le edizioni economiche a quelle rilegate. Amo i libri con le dediche (quello non è rovinare i libri!), così come amo scriverle.

E voi? che vizi/manie/abitudini avete con i vostri libri?

I NEWYORKESI- Cathleen Schine

New York! New York! Al riparo dal traffico e dal trambusto cittadino dell'Upper West Side c'è un piccolo quartiere tranquillo vicino a Central Park dove, tra gli altri, abitano alcuni proprietari di cani. Vivere in un posto come questo, con un cane al guinzaglio, è come vivere in un piccolo villaggio. Persone spesso sole, riservate, talvolta un po' eccentriche, persone che mai si sarebbero incontrate altrimenti, si conoscono, stringono amicizia o si innamorano, a volte si lasciano. Succede anche a Jody, signora quasi quarantenne, di conoscere l'amore grazie al suo cane, un grosso pit bull femmina di nome Beatrice che lei adora. Perché i cani fungono da veri e propri cupidi, obbligando i loro padroni a legare con altri esseri umani, a superare timidezze e inibizioni in un lieve e romantico minuetto.


Ok, ora voglio un cane. Cioè, lo volevo già anche prima in realtà ma dopo aver letto questo romanzo lo vorrei ancora di più. Certo, io non avrei Central Park a due passi dove portarlo a passeggiare (vivo in campagna, lo porterei per campi), nè i miei vicini sono così problematici e interessanti come quelli di Jody (sono tutti troppo vecchi per me). Però voglio un cane, perché alla fine forse è l'unico a darti un amore così incondizionato e fedele, e a capirti e consolarti quando sei giù.
In questo libro i cani, sebbene non parlino, sono i veri protagonisti. Senza di loro, la storia non si svilupperebbe, i vicini di questo quartiere nascosto di New York non si conoscerebbero e non interagirebbero. Everett ad esempio se non avesse visto il pit bull Beatrice non avrebbe nemmeno conosciuto la sua padrona Jody, nè avrebbe avuto problemi a rompere con Polly se non fosse stato per il suo cane Howdy. Senza Howdy, nemmeno George avrebbe scoperto qual è lo scopo della sua vita, così come Doris se non avesse conosciuto un volpino sarebbe rimasta della sua idea di bandire i "canidi" dalla faccia della terra.
Un libro semplice e leggero, una storia corale di un quartiere di New York lontano dal caos della città, una New York diversa e sconosciuta, dove i vicini di casa a poco a poco si conoscono e legano.
Certo, non è un capolavoro,e non penso fosse questo lo scopo dell'autrice. Un libro carino e divertente con cui passare un pomeriggio.

Nota alla traduzione: nulla da dire!

giovedì 7 luglio 2011

IL LINGUAGGIO SEGRETO DEI FIORI- Vanessa Diffenbaugh

Victoria ha paura del contatto fisico. Ha paura delle parole, le sue e quelle degli altri. Soprattutto, ha paura di amare e lasciarsi amare. C'è solo un posto in cui tutte le sue paure sfumano nel silenzio e nella pace: è il suo giardino segreto nel parco pubblico di Portero Hill, a San Francisco. I fiori, che ha piantato lei stessa in questo angolo sconosciuto della città, sono la sua casa. Il suo rifugio. La sua voce. È attraverso il loro linguaggio che Victoria comunica le sue emozioni più profonde. La lavanda per la diffidenza, il cardo per la misantropia, la rosa bianca per la solitudine. Perché Victoria non ha avuto una vita facile. Abbandonata in culla, ha passato l'infanzia saltando da una famiglia adottiva a un'altra. Fino all'incontro, drammatico e sconvolgente, con Elizabeth, l'unica vera madre che abbia mai avuto, la donna che le ha insegnato il linguaggio segreto dei fiori. E adesso, è proprio grazie a questo magico dono che Victoria ha preso in mano la sua vita: ha diciotto anni ormai, e lavora come fioraia. I suoi fiori sono tra i più richiesti della città, regalano la felicità e curano l'anima. Ma Victoria non ha ancora trovato il fiore in grado di rimarginare la sua ferita. Perché il suo cuore si porta dietro una colpa segreta. L'unico capace di estirparla è Grant, un ragazzo misterioso che sembra sapere tutto di lei. Solo lui può levare quel peso dal cuore di Victoria, come spine strappate a uno stelo. Solo lui può prendersi cura delle sue radici invisibili.

Io di fiori non me ne intendo molto. Per carità, mi piace vedere un bel campo fiorito, così come ricevere un bel mazzo nelle grandi occasioni (ma ancor di più quando meno te lo aspetti). Ma prima di leggere questo incredibile romanzo, non mi ero mai resa conto di quanto fosse importante il significato che i fiori sono in grado di trasmettere.
Ho scoperto, per esempio, che il mio fiore preferito, il tulipano rosso, altro non è che una dichiarazione d'amore. Però, se lo si associa all'altro fiore che amo, il girasole, ovvero amore infedele e diffidenza (oltre che falsa ricchezza), si crea un po' una contraddizione.
Insomma, i fiori "parlano". E lo sa bene Victoria, la protagonista e voce narrante di questo libro, in grado di comunicare e rapportarsi con il mondo sono ed esclusivamente grazie ai fiori.
Ha imparato a conoscerli e ad amarli grazie a Elizabeth, la sua ultima madre adottiva, a 10 anni, dopo essere stata sballottata da una famiglia all'altra. Ha continuato ad amarli e a trovare in essi conforto negli anni successivi, di casa di accoglienza in casa di accoglienza, dopo che per un evento tragico ha dovuto lasciare la madre.
Il rimorso e il senso di colpa, la solitudine e l'abbandono, l'hanno resa la ragazza problematica e diffidente che è ora. Ma sarà di nuovo grazie ai fiori che ricomincerà a vivere e a fare inaspettatamente i conti con il suo passato. Che non per forza deve condizionare il futuro.
Un libro semplicemente incredibile, che ti tiene incollato alle sue pagine senza possibilità di scampo. Devi leggere per forza, devi sapere per forza come andrà a finire, devi scoprire quale altro fiore aiuterà la protagonista a ritrovare sé stessa.
Capitoli ambientati nel passato si alternano a capitoli ai giorni nostri, con uno stile chiaro, rapido e mai noioso.
Certo, alla fin fine altro non è che una storia d'amore. Ma tratta anche temi più difficili e profondi: il senso di abbandono e la difficoltà a crescere dei bambini abbandonati da piccolo e mai accettati. La paura e la "misantropia" (i cardi) di chi ha sofferto tanto.
E poi ci sono i fiori, i veri protagonisti di tutta la vicenda.
Da leggere assolutamente.

(Curiosità: il libro è disponibile con quattro copertine differenti con altrettanti fiori, ognuno con il suo significato. Io ho la rosa rosa, simbolo di eleganza, nonchè del fatto che chi me l'ha regalato lo ha scelto quasi sicuramente a caso...)

Nota alla traduzione: la traduttrice deve avere avuto qualche difficoltà a tradurre il dizionario dei fiori in fondo al libro, ma per il resto tutto ok.

mercoledì 6 luglio 2011

CARTAS QUE SIEMPRE ESPERE'- Maria de La Pau Janer

Hay un lugar donde las cartas van a morir. Hay quien espera una carta toda la vida» Así comienza esta novela marcada por el azar, la espera y los secretos. Cada mañana Miguel, el cartero de un pequeño pueblo, pasa por delante de la ventana de Ricarda. Ella espera desde hace años una carta, pero cuando ésta fi nalmente llega, ya es demasiado tarde. Luís, su hijo, queda marcado por la imagen de una madre melancólica, siempre esperando noticias, y comienza a trabajar en el departamento de «cartas muertas», el lugar a donde van a parar las cartas que nunca llegaron a su destino. Allí encuentra las cartas perdidas de «Paula», cuyo nombre le atrae de forma misteriosa e inexplicable. Cartas que siempre esperé es una novela cautivadora y hermosa que gira en torno a unos personajes que buscan resolver los enigmas de su vida, para así cerrar el pasado y poder vivir el presente.

Innanzitutto mi scuso con chi non conosce lo spagnolo e non potrà quindi leggere la trama, ma questo romanzo ancora non è stato tradotto in italiano (quindi non riuscireste a leggere nemmeno il libro). Ed effettivamente un pensiero che ha accompagnato la mia lettura è legato proprio alla traduzione: che strano che ancora non sia arrivato in Italia questo romanzo, perché a mio avviso, avrebbe tutte le potenzialità per avere successo.
La trama è molto bella (anche se forse a volte un po' troppo articolata), il ritmo della narrazione è veloce e conquista e l'idea delle lettere non lette, non consegnate o consegnate troppo tardi è affascinante e geniale.
Non vi è mai capitato di chiedervi dove vanno a finire quelle lettere che non vengono ricevute? O di immaginare cosa si possa nascondere dietro a delle parole messe per iscritto? Quelle lettere, quelle parole possono cambiare il destino di chi le legge o di chi non le legge.
Ed è poi quello che succede ai personaggi del libro. A Luís, la cui madre è morta nell'attesa di una missiva importante, che vivrà in questo ricordo che influenzerà anche il suo futuro. A Paula, che scrive per distrarsi, per sfogarsi della sua vita di tutti i giorni con un padre pittore ormai malato, con una figlia nata da una storia senza amore con un uomo che ora la perseguita e la minaccia di rivelare il suo segreto. Ed è grazie a queste lettere che Luis e Paula si incontreranno e si innamoreranno.
Ma come ho detto, le lettere sono solo il filo conduttore, lo sfondo, per una trama ben più complessa (forse troppo a volte), con molti personaggi che ruotano attorno a Luís e a Paula, che a essi si legano e che per essi si sacrificano.
Certo, l'autrice si fa forse prendere un po' troppo la mano, intrecciando tante, troppe storie tutte insieme, e dimenticandosi forse a volte di caratterizzare meglio i personaggi (soprattutto quello di Jaime, legato più o meno indirettamente a tutti gli altri protagonisti, ma descritto a mio avviso troppo poco). Così come i colpi di scena sono fin troppo prevedibili (ma forse questo è voluto).
Nonostante questo, a mio avviso rimane un romanzo con molto potenziale, che sa interessare e catturare il lettore.
Potrei sempre propormi per tradurlo!