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martedì 10 maggio 2016

MI CHIAMO LUCY BARTON - Elizabeth Strout

Certe volte mi dispiace che Tennessee Williams abbia scritto per Blanche DuBois la battuta in cui dice: «Ho sempre confidato nella gentilezza degli estranei». È capitato spesso a molti di noi di essere salvati dalla gentilezza degli estranei; peccato che a lungo andare la battuta risulti trita, buona per un adesivo da appiccicare sulla macchina. Ed è questo che mi rattrista, che per quanto bella e piena di verità possa essere una frase, a furia di ripeterla si riduca a una battuta da adesivo.

Sono corsa in libreria a comprare Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout il giorno stesso dell'uscita. Sì, anche se questa volta è uscito con Einaudi e non più con Fazi, rovinando la mia bella collezione. Perché Elizabeth Strout, da quando l'ho conosciuta la prima volta con Olive Kitteridge, è diventata per me una grande garanzia. Una delle mie scrittrici preferite, direi, di quelle di cui leggerei anche la lista della spesa, per intenderci.
Tutti e quattro i romanzi precedenti di questa donna mi hanno fatto impazzire. Per il suo stile, per il modo di caratterizzare i personaggi (Olive è per me indimenticabile, e anche il reverendo Tyler di Resta con me) e per le storie famigliari che racconta.
E quindi eccomi qui, a una settimana di distanza dall'uscita, a parlarvi di questo nuovo romanzo.

Protagoniste questa volta sono una madre e una figlia, la Lucy Barton del titolo. È lei la voce narrante del libro, che racconta di quelle tre settimane che ha dovuto passare in ospedale a causa delle complicazioni di una banale operazione. Proprio lì, un giorno, vede spuntare sua madre, che corre da lei per la prima volta dopo anni che non si vedevano. La donna le tiene compagnia raccontandole di vecchie conoscenze del paesino da cui arriva e da cui Lucy è scappata tanto tempo prima, oppure le sta semplicemente accanto, senza quasi mai dormire. Lucy è contenta, ma al tempo stesso arrabbiata, perché da quell'incontro torneranno alla luce tutta una serie di ricordi del passato, della sua vita di bambina e ragazzina che viveva in un garage e che non ha mai avuto niente. Ricordi spesso dolorosi, a tratti nitidi, a tratti confusi, che la madre sembra (o finge di) non ricordare.
Poi dopo cinque giorni la madre se ne va e Lucy si ritrova di nuovo nel presente, a fare i conti con la sua vita di adesso.

Ancora una volta mi ritrovo a dover usare un superlativo per descrivervi un libro. Mi chiamo Lucy Barton è un libro bellissimo. La storia di una madre e di una figlia, che si amano nonostante tutto ma che non possono dirselo apertamente, perché non sono mai state capaci e perché c'è un passato troppo difficile perché possano ammetterlo.
È un libro che parla di forza, quella di una figlia di fuggire da un passato che l'avrebbe distrutta e quella di una madre che prende per la prima volta l'aereo per correre al capezzale della figlia quando sente che ne ha bisogno, nonostante non si sentano e non si vedano da anni, e di fragilità, dovuta a un passato di privazioni e di dolore che poi si è riversato sul presente. 

Ma ci sono anche momenti in cui, all'improvviso, mentre percorro un marciapiede assolato, o guardo la chioma di un albero piegata dal vento, o vedo il cielo di novembre calare sull'East River, mi sento invadere dalla consapevolezza di un buio talmente abissale che potrei urlare, e allora entro nel primo negozio di vestiti e mi metto a chiacchierare con una sconosciuta dei modelli dei maglioni appena arrivati. Deve essere il sistema che adottiamo quasi tutti per muoverci nel mondo, sapendo e non sapendo, infestati dai ricordi che non possono assolutamente essere veri. Eppure, quando vedo gli altri incedere sicuri per la strada, come se non conoscessero per niente la paura, mi accorgo che non so cos'hanno dentro.
Mi chiamo Lucy Barton mi è piaciuto molto, credo si sia capito. Però, prima di mettermi a scrivere questa recensione ho dovuto riflettere un attimo e parlarne a voce con qualcuno, perché c'è anche una piccola nota stonata e fino all'ultimo sono stata indecisa se segnalarla o meno. Alla fine ha vinto il sì, perché è una cosa che la mia lettura un po' l'ha condizionata.
Il problema è che, sparse per tutto il libro, ci sono alcune imperfezioni a livello di italiano. Non voglio assolutamente dire che Susanna Basso, bravissima traduttrice dall'inglese, abbia tradotto male il libro, perché non credo sia lì la questione. La mia sensazione, smentibile e confutabile in qualsiasi momento e da chiunque più esperto di me, è che sia mancata una revisione approfondita del testo una volta tradotto e che ha portato ad avere nel testo frasi come "andò a vomitare in gabinetto" o "D'altronde chiunque utilizzi le proprie competenze per mortificare una persona in quel modo, è giusto un emerito stronzo", per fare due degli esempi più lampanti. Piccolezze, sicuramente, che non condizionano la comprensione del testo, ma che mi hanno un po' distratta nella lettura e un po' infastidita, oltre ad aver rovinato lo stile dell'autrice.

In ogni caso, siamo di nuovo di fronte a un grande, grandissimo libro di Elizabeth Strout. Il grosso problema è che l'ho comprato e letto appena uscito, quindi ora mi toccherà di nuovo aspettare con ansia un sacco di tempo per l'uscita di quello nuovo.

Titolo: Mi chiamo Lucy Barton
Autore: Elizabeth Strout
Traduttore: Susanna Basso
Pagine: 158
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Einaudi
ISBN: 9978-8806229689
Prezzo di copertina: 17,50 €
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formato brossura:Mi chiamo Lucy Barton

14 commenti:

  1. Della Strout ho amato molto Amy ed Isabelle: ancora adesso, dopo tanti anni, ricordo la trama e i brani che mi avevano colpita. Leggendo la tua recensione mi sono resta conto di non aver letto Resta con me, quindi sono felice...perchè oltre ad aspettare Mi chiamo Lucy Barton (che ho ordinato per la biblioteca e che dovrebbe arrivare fra una settimana) ho anche questo libro da recuperare! Anche i fratelli Burgess mi era piaciuto, ma meno del primo. I suoi libri li colloco con quelli, come Stoner per intenderci, che magari non ti intrattengono, ma ti regalano delle rivelazioni e poi ti restano nella testa. Non so perchè mi esce l'accostamento con Stoner: sarà che Franzen non l'ho ancora affrontato e che invece Stoner è stato il miglior libro che ho letto lo scorso anno.
    Bellissima recensione.
    un saluto da Lea

    P.S. Ora vado a spasso tra le tue "vecchie" recensioni per vedere se trovo Stoner, Non lasciarmi, Chi manda le onde, La casa del sonno e altri libri che ho amato.

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    1. Bingo! Sono tutti tra gli imperdibili, tranne non lasciarmi!
      Soddisfazione.
      Lea

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    2. Il mio preferito della Strout rimane Olive Kitteridge, che ti consiglio caldamente di leggere prima di tutti gli altri che ti mancano :) Comunque mi sono piaciuti tutti :)

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  2. concordo: un libro bellissimo, di quelli che ti spiace aver terminato perche' vorresti essere ancora nella storia! io l'ho letto in lingua originale

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    1. Devo assolutamente recuperare il libro in lingua originale... me lo godrei sicuramente ancor di più!
      Questa edizione Einaudi è un tantino imbarazzante -.-

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. Sei stata velocissima! :D
      Io faccio ancora un po' di fatica a vedere il suo nome su una copertina Einaudi e non Fazi, ma è un'autrice che mi interessa moltissimo e quindi supererò il trauma e la questione.
      Di suo mi mancano ancora da leggere Resta con me e Amy e Isabelle, ma al momento in pole position per interesse c'è il nuovissimo.
      Quando lo leggerò potrò dirti se le stonature di cui parli le ho percepite anch'io.

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    2. Anche a me ha fatto un sacco impressione... e anche vederli ora separati in libreria mi disturba (ma io li divido per editore, e sono troppo metodica per cambiare :P).
      Fammi poi sapere se trovi queste stonature... perché ho ancora il dubbio di essere io troppo pignola :P

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  4. Ecco grazie alla tua recensione forse ho capito perché questo libro mi è piaciuto tantissimo e al tempo stesso mi ha deluso. La traduzione è sicuramente l'imputata numero uno. Ho letto (e amato) tutti i libri di E.S., in particolare Olive e I fratelli sono i miei preferiti. E questo Lucy...mi ha lasciata interdetta. Alcuni passaggi sono veramente notevoli - e li ho ben sottolineati - nell'insieme però mi ha lasciata perplessa: è come se la autrice non fosse solo la Strout. Mi spiego meglio: paragonando il libro ad un puzzle, i 4 angoli e il bordo sono suoi, il resto un mix suo e di altri scrittori. Hai fatto bene a chiedere l'autografo su Olive e nella pagina dove è indicata la traduttrice! Einaudi questa volta mi ha delusa, anzi forse non è neanche la prima volta. Complimenti per il tuo lavoro! barbara

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    1. Forse non sta tanto bene dirlo, ma mi rassicura molto il fatto di non aver notato solo io queste problematiche. Più che traduttive, l'impressione per me è che sia mancata proprio la revisione della traduzione. Il testo è grossolano, come se fosse appunto una prima stesura.
      Anche a me Einaudi ha deluso moltissimo :(

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    2. Una traduttrice esperta e competente come Susanna Basso non consegnerebbe mai, e sottolineo MAI, una prima stesura. Nemmeno a un editore insignificante, figuriamoci a Einaudi. Il problema potrebbe essere l'opposto, vale a dire che la revisione ci sia stata, ma sia stata fatta con imperizia da una persona non abbastanza esperta.

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    3. Infatti ho specificato che più che un problema di traduzione si sia trattato di un problema di revisione... magari non tanto dovuto a incapacità di chi l'ha fatta (come giustamente non si accusa la Basso non si dovrebbe accusare neanche il revisore, secondo me), ma a questioni più di tempistiche, magari, che hanno impedito una pulitura un po' più fine del testo.
      poi questa è la mia opinione ovviamente :)

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  5. Un libro bello, vero e commovente. Bella recensione, cmplimenti

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