Pagine

lunedì 25 novembre 2013

Interviste rampanti: ALESSIO TORINO

E' di nuovo lunedì, giornata di interviste rampanti! Protagonista di questa settimana è Alessio Torino.
Nato a Urbino nel 1975, Alessio Torino ha esordito come scrittore nel 2010 con il romanzo Undici decimi, pubblicato con la casa editrice Italic/Pequod. L'anno successivo è uscito per la casa editrice minimumfax il suo secondo romanzo, Tetano, e, da poche settimane, è in libreria anche il suo ultimo lavoro, Urbino, Nebraska.
Io ho conosciuto Alessio Torino quasi per caso, partecipando a una conferenza in cui era presente insieme a Fabio Stassi e Paolo Cognetti. Incuriosita, ho acquistato e poi divorato Tetano, un romanzo davvero molto bello che racconta di un gruppo di bambini in un paesino di provincia. Ve lo consiglio caldamente. E da qualche giorno è approdato sul mio comodino anche Urbino,Nebraska.

Ringrazio ovviamente Alessio per la disponibilità e per aver risposto alle mie domande.


Da bambino dicevi “da grande farò lo scrittore”?
No. Per fortuna mi attiravano altri lavori. Tempo fa ho ritrovato in un cassetto un paio di vecchi disegni. In uno c’è un palombaro con lo scafandro, nell'altro un alpinista, tutto bardato e con tanto di casco, che scala una montagna. Non sono autoritratti, ma un po’ è come se lo fossero, perché sono proiezioni. In quei disegni mi hanno colpito due cose: che i soggetti sono impegnati in gesta coraggiose e che in entrambi i casi la faccia è nascosta. Basta un Freud di quarta mano per sospettare che lo scrittore covava…

Tu sei nato a Urbino e nelle Marche hai ambientato tutti i tuoi romanzi: Undici decimi, Tetano e anche il fresco di pubblicazione Urbino, Nebraska. Quanto è importante per te e per la tua scrittura il legame con il territorio? Riusciresti a scrivere un libro non ambientato nelle Marche?
Undici decimi e Tetano sono ambientati in un paesino immaginario dell’Appennino Umbro-Marchigiano, Urbino, Nebraska in una cittadina universitaria, dove si respira un’atmosfera del tutto diversa rispetto al paese con il corso di sampietrini, dove c’è un solo forno e dove tutti conoscono tutti. Al di là dei pochi chilometri in linea d’aria che li potrebbero in teoria separare, sono due mondi molto lontani. Che siano entrambi geograficamente riconducibili alle Marche è un caso, almeno per come la vedo io. Uno deve scrivere di quello che sente di dover scrivere, senza farsi tante domande, senza porsi il dilemma se ambientare il prossimo romanzo a Urbino o a New York.

Come sei stato scoperto (o come sei riuscito a farti scoprire) dalle case editrici che ti hanno pubblicato?
Il mio romanzo d’esordio è stato pubblicato da Italic/Pequod, dopo molti anni di illusioni e disillusioni. L’attesa era stata così lunga che successivamente ci ho messo quasi un anno a provare soddisfazione per aver vinto il premio Bagutta Opera Prima. Dopo l’uscita di Undici decimi, ho deciso di rivolgermi a chi si rapporta di mestiere con gli editori: dal 2010 mi segue Stefano Tettamanti della Grandi & Associati ed è lui che mi ha portato in Minimum fax, casa editrice che mi ha accolto come meglio non si potrebbe chiedere.  

Qual è il tuo rapporto con i critici professionisti e con i book blog?
Da lettore, se un critico letterario di lungo corso o un blogger consigliano un libro che poi conferma anche a me le loro opinioni, continuo a seguirli. Provo un piacere in più a leggere un libro consigliato da altri, non so perché. 

Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
La cosa più bella è stata sapere che uno psicoterapeuta di XXX consigliava Tetano ai suoi pazienti, immagino per il discorso di fondo che c’è nel romanzo sull'accettazione dei propri limiti. L’idea che un tuo libro possa contribuire, per quanto in minima parte, ad aiutare qualcuno, va ben al di là delle solite aspettative dello scrittore. La più brutta, sempre su Tetano, me l’ha detta un conoscente in un bar, in mezzo al chiasso. Essendomi stata detta in privato non la ripeto, ma posso dire che mi ha fatto capire fino a che punto i romanzi che scrivi, una volta pubblicati, non sono più tuoi, e chiunque può leggerci qualsiasi cosa, anche stravolgerli.

Hai qualche mania come scrittore?  Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
Cambio font a secondo del romanzo che scrivo. 

Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai avuto voce in capitolo nella scelta di quella dei tuoi libri?
Le copertine mi sono sempre state sottoposte per un parere e ne sono sempre stato entusiasta. In particolare, la copertina di Urbino, Nebraska disegnata da Alessandro Gottardo è un capolavoro nel suo genere. Lo posso dire perché io non ho alcun merito.

Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore?
La cosa più banale: di leggere la narrativa contemporanea, perché è assurdo snobbare o ignorare quel mondo di cui si vorrebbe fare parte, cosa che invece capita spesso.

Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione?
Dell’editoria a pagamento – parlo della narrativa – penso tutto il male possibile. Nel lungo periodo di tempo in cui sono rimasto sommerso, mi sono sempre detto che avrei fatto più bella figura con me stesso ad accettare di aver fallito in qualcosa, più che riuscirci pagando. 

Ebook o cartacei?
C’è una marea di libri che invecchia così velocemente – manuali, certa pseudosaggistica – che mi fa pensare che se riusciamo a risparmiare qualche albero, è una cosa buona e giusta. 

Qual è il libro, non tuo, a cui sei più legato?
Ce ne sono davvero tanti… Con i libri è consentita la poligamia!

Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Sarebbe bello se Einaudi ristampasse La Strada per Roma di Paolo Volponi, così da poterlo consigliare a chi non lo abbia ancora letto. 

Hai letto le Cinquanta Sfumature?
Per ora no.

Qual è il tuo colore preferito?
Potrei dirtene uno diverso ogni giorno. Però ti dico che mi ha sempre colpito un colore che non sono mai riuscito a definire. È quello di un cardo che cresce sui monti dell’Appennino. Il nome scientifico è Eryngium campestre, ma i mulari lo chiamano ‘gli spini dei somari’ perché ha dei petali così rigidi che infilzano. Non si capisce se sia blu o viola. Mi fa pensare alla musica dei Cure, spero non sia troppo grave. Scelgo questo, oggi almeno.

4 commenti:

  1. Grazie per avermi fatto scoprire che è uscito un nuovo libro della Bertola! Che gioia!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma prego, figurati! :)

      Però poi se hai tempo e voglia prova anche con Alessio Torino! Ovviamente è completamente diverso dalla Bertola, ma scrive davvero bene :)

      Elimina
  2. Già solo per aver consigliato Volponi merita :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gliel'ho sentito consigliare spesso, nelle varie interviste sue che ho letto :)

      Elimina