Protagonista dell'intervista rampante di questa settimana è Simona Baldelli, scrittrice pesarese il cui romanzo d'esordio,
Evelina e le fate, pubblicato nel 2013 con la casa editrice Giunti, è stata finalista al Premio Calvino.
Il libro è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale in una paesino della provincia di Pesaro e racconta il dramma degli sfollati dal punto di vista di una bambina di cinque anni, che nonostante si renda conto di tutto il male e il dolore che la circonda non perde la sua innocenza e la sua semplicità. Un esordio notevole!
Ringrazio ovviamente Simona per aver accettato di rispondere alle mie domande.
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immagine tratta dal sito della Giunti |
Da bambina dicevi “da grande farò la scrittrice”?
No, no. Dicevo “voglio fare l’attrice”, e poi l’ho fatto davvero per più di dieci anni, occupandomi in seguito anche di regia e drammaturgia.
Il tuo romanzo d’esordio, Evelina e le fate, parla di guerra e di resistenza, argomenti ancora presenti nella letteratura italiana contemporanea, ma che tu hai presentato da un punto di vista differente, quello dello sguardo di una bambina. E’ stato difficile adattare la tua scrittura all’età della protagonista, per far si che risultasse credibile?
Sì, direi che la parte relativa al linguaggio è stata la più difficile. Avendo scelto di raccontare la storia attraverso lo sguardo di una bambina analfabeta di cinque anni, volevo usare solo parole e metafore che fossero credibili nella sua bocca e nei suoi pensieri e, contemporaneamente, creare una scrittura che non fosse “povera” per un lettore adulto.
Come sei stato scoperta (o come sei riuscita a farti scoprire) dalla casa editrice che ti ha pubblicato?
Sono stata finalista al Premio Italo Calvino 2012. Ormai le case editrici, specialmente le maggiori, corteggiano moltissimo gli esordienti del PIC. Io, personalmente, a 72 ore dalla cerimonia di premiazione, avevo già ricevuto proposte editoriali da cinque case editrici.
Qual è il tuo rapporto con i critici e con i book blog?
Buonissimo, leggo con curiosità recensioni e segnalazioni, specialmente sui blog, poiché sono più liberi di esprimere il loro pensiero in quanto non devono sottostare a “linee editoriali”. Sai meglio di me che le maggiori testate sono spesso collegate a case editrici… In più, per quel che riguarda il mio Evelina e le fate ho avuto solo ottime recensioni. Come posso, dunque, non volergli bene?
Qual è la cosa più bella che è stata detta riguardo a un tuo romanzo? E la più brutta?
La più bella, che mi è spesso stata detta è che “il libro è un incanto”. Onestamente, di brutte non ne ho sentite…
Hai qualche mania come scrittrice? Che so, riesci a scrivere solo in un posto preciso o a una particolare ora del giorno o della notte?
Scrivo preferibilmente la mattina, molto presto, quando il cervello è ancora imbrigliato nei sogni. Credo che le prime ore del mattino mi aiutino ad avere una scrittura più immaginifica.
Io ho un’ossessione per le copertine dei libri, che condizionano molto la mia decisione di leggere o meno un’opera. Hai avuto voce in capitolo nella scelta di quella del tuo libro?
Sì, la copertina l’ho costruita insieme alla direttrice della collana, Benedetta Centovalli, ed i grafici della casa editrice. So che di norma gli scrittori non hanno voce in capitolo sulle copertine, ma a Giunti sono attenti anche alle opinioni degli scrittori.
Cosa consiglieresti a un aspirante scrittore ?
Allora, ammetto che sto per fare una sorta di “copia e incolla” con quanto rilasciato in un’altra intervista, ma sono cose nelle quali credo fermamente e poi, in fin dei conti, copio solo da me stessa… dunque: Leggere, leggere, leggere. Poi, salire sui mezzi pubblici per ascoltare la gente quando è stanca, arrabbiata, sconfortata e quindi parla senza filtri e difese (vengono fuori le verità più assolute), non avere mai idee preconcette e navigare a vista, mangiare cibi sempre diversi (le spezie, oh, le spezie!) e capire perché un vino è sempre diverso dall’altro, ascoltare molto e parlare il giusto; andare al cinema, camminare, possibilmente avere un animale in casa, aiutare gli amici. Provare ad occuparsi delle piccole cose in casa come cambiare un interruttore della luce che non funziona o sturare un lavandino. Ballare e cantare, meglio se contemporaneamente. Essere curiosi, curiosi, curiosi. Fare lavorare meno il cervello e più le mani, gli occhi, la bocca e le orecchie. I pensieri sono brutti da leggere, sanno di pistolotto fatto la domenica mattina da un prete svogliato. I pensieri non si vedono, le cose sì. Meno aggettivi e più sostantivi. Scrivere preferibilmente quando si è un po’ arrabbiati (non tristi, ché si è noiosi, ma arrabbiati!), scrivere quando si è felici, ma poi rileggere quando si è arrabbiati! fare leggere le proprie cose a poche e fidate persone, ascoltare tutti ma non dare retta a nessuno, tener conto delle opinioni ma fare di testa propria. La gente ama sentirsi parlare e non appena può dare un’opinione… infine, sperare nella fortuna. Certo, promuoversi da soli, bussare alle case editrici, alle agenzie, farsi conoscere attraverso blog et similia… ma è dura, dura, dura (a meno di avere tanti Santi in Paradiso…) mandare i propri scritti a festival e concorsi. E sperare di essere finalisti al Premio Calvino, perché allora, qualcosa succede davvero.
Cosa pensi dell’editoria a pagamento? E dell’autopubblicazione?
Non mi sento di demonizzare chi sceglie l’autopubblicazione per cercare di emergere. Vorrei solo un po’ più di onestà da parte delle case editrici. Credo che sarebbe molto più rispettoso, non solo per gli scrittori ma specialmente per i lettori, se sulla copertina ci fosse una segnalazione che indica se il libro è stato acquistato dalla casa editrice oppure se lo scrittore ha pagato per essere pubblicato.
Ad, esempio, una piccola casa editrice la Zero91, sta facendo una campagna di sensibilizzazione molto importante su questo argomento ed ha creato un logo, che qui ti allego, che potrebbe essere inserito sulle copertine dei libri che non sono stati pubblicati con il finanziamento diretto dello scrittore. Spesso i libri editi con il sistema dell’autopubblicazione, non hanno subito nessuna selezione, sono fatti a volte senza cura, non hanno avuto editing, correzione di bozze, sono pieni di errori, strafalcioni, non tutti, chiaro, ma la maggior parte sono così, poiché è chiaro che vengono pubblicati non perché un editore crede ed investe su un autore, ma perché rappresenta semplicemente un “business”. I lettori dovrebbero sapere tutto ciò. E poi scegliere.
Ebook o cartacei?
Personalmente preferisco i cartacei. Ma la lettura è una cosa talmente personale ed intima, che credo ognuno debba poter scegliere il suo “mezzo di comunicazione” ideale.
Qual è il tuo romanzo preferito, quello a cui sei più legata?
Aspetta primavera. Bandini di John Fante. Quando ho letto quel libro ho provato una specie di folgorazione, davvero e mi sono detta: voglio provarci anch’io! Riesci dunque ad immaginare l’emozione quando, lo scorso 23 agosto, ho ricevuto il Premio Letterario John Fante, e proprio dalle mani dei figli, Dan e Victoria?
Un autore/autrice italiana che stimi tantissimo? Consigliaci un suo libro.
Sarebbero tantissimi. Ne indico due: uno è Il birraio di Preston di Andrea Camilleri (non ha nulla a che fare con la serie di Montalbano) e l’altro è Il tempo è un dio breve di Mariapia Veladiano.
Hai letto le Cinquanta Sfumature?
No. Ma non per snobismo, è che proprio non me n’è venuta voglia. Io leggo un libro principalmente “per come” è scritto e non per “per quello” che racconta. E quel che avevo potuto leggere nei vari stralci pubblicati sulla stampa, non mi aveva granché incuriosita. E non mi è sembrato neppure particolarmente intrigante dal punto di vista dell’eros. Una roba da bistecche e salsicce, piuttosto. Nulla a che fare, ad esempio, con la raffinatezza de L’amante di Lady Chatterley.
Qual è Il tuo colore preferito?
Il rosso. Ma proprio rosso, senza sfumature…