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domenica 14 aprile 2013

MIRTILLI A COLAZIONE - Meg Mitchell Moore

Burlington, Vermont. Il tavolo della colazione sembra un campo di battaglia. Uova strapazzate sbocconcellate, macchie di marmellata mista a yogurt, briciole di pane sulla tovaglia. In salotto giocattoli sparsi a terra e il pianto di un neonato. Ginny e William pensavano di non doversi più occupare di queste cose. Tutti i figli sono ormai grandi e se ne sono andati finalmente a vivere per conto proprio. Il loro programma era quello di godersi in pace gli anni della vecchiaia, curare il giardino, scaldarsi alle chiacchiere serene dell'ultimo sole. Ma è bastato un solo, breve weekend perché la casa fosse improvvisamente invasa da tutta la loro progenie. La prima a presentarsi è Lillian, in fuga da un marito fedifrago, con al seguito la sua bambina di tre anni e il neonato Philip. Poi Stephen, accompagnato dalla moglie che scopre proprio in quel momento che la sua gravidanza è a rischio ed è costretta all'immobilità immediata. E infine Rachel, la figlia minore, che ha perso il lavoro e non può più permettersi le scarpe costose e l'affitto nel pieno centro di Manhattan. Dovevano fermarsi solo pochi giorni, ma sono diventati ospiti a tempo indeterminato. William e Ginny hanno di fronte a loro una lunga, lunghissima estate in cui, fra piatti rotti, urla selvagge, ma anche le carezze tenere delle dita paffute di un nipotino, devono imparare a conoscere di nuovo i figli e i loro problemi, ormai molto più complessi di una caduta dalla bicicletta e un ginocchio sbucciato.

Eppure lo so che dovrei stare ben lontana dai libri con i faccioni in copertina. Dai libri con titoli che non c'entrano assolutamente nulla con l'originale e che hanno qualche cibo al loro interno. Dai libri che ultimamente la Garzanti sforna alla media di uno a settimana, con una bella fascetta che li dichiara "casi editoriali" o "libri dell'anno". Lo so, ma ci sono cascata ugualmente. Vuoi per curiosità, perché comunque la trama di questo mi ispirava parecchio, vuoi per vedere se magari i miei sono solo pregiudizi.
Pregiudizi che però non sarà questo libro a farmi passare. Anzi. E' riuscito a farmi crescere ancora di più l'irritazione, verso le copertine, verso i titoli e verso la casa editrice che li pubblica. E quindi questa recensione non sarà per niente ragionata. Non cercherò scusanti né giustificazioni. Perché non ce ne sono.

E' un libro insulso. Insulsi sono i protagonisti. Insulsa è la classica famiglia americana stereotipata che viene descritta e altrettanto insulse sono le vicende che a tutti i personaggi capitano. Una serie di luoghi comuni, di banalità, messi tutti insieme sotto lo stesso tetto, quello dei perfettissimi William e Ginny, che di colpo si ritrovano in casa tutti e tre i figli ormai adulti: c'è chi è in fuga da una vita deludente o da un marito fedifrago, e chi  era semplicemente in visita ma poi costretto a restare. Un'analisi dei legami tra i vari famigliari non viene mai fatta. Sono tutti semplicemente antipatici, non solo al lettore ma anche tra di loro, e tutti troppo presi dai loro problemi e dal "andiamo da mamma e papà che ci pensano loro". Certo, come no. (Anche perché, pure 'sti genitori, non è che siano così contenti di vedere i figli eh...).

Il problema principale di questo libro è che mette troppa carne al fuoco, lanciandola sulla griglia quasi a caso,  mischiando tanti elementi (il tradimento, le difficoltà delle neomamme, le mogli che guadagnano più dei mariti, il senso di smarrimento che si prova quando la vita non sta andando dove vogliamo, la religione, le gravidanze difficili), senza poi essere però in grado di seguirli. Risultato: una storia con tanto potenziale andata in fumo, che più che di mirtillo (che, per la cronaca,  l'unico modo in cui compare nel libro è sotto forma di Blackberry, inteso come cellulare) sa di bruciato.

Insomma, uno di quei libri che non appena lo chiudi (per fortuna scorre abbastanza in fretta, questo bisogna ammetterlo) non puoi fare a meno di domandarti: perché? Perché è stato scritto, perché è stato pubblicato, perché è stato tradotto e, soprattutto, perché diavolo l'ho letto.

Nota alla traduzione: c'è una nota per spiegare che il "blackberry", inteso come il cellulare tuttofare, vuol dire anche "mirtillo". E mi viene il sospetto che sia stata aggiunta dopo la scelta del titolo italiano (quello originale è "The arrivals")

Titolo: Mirtilli a colazione
Autore: Meg Mitchell Moore
Traduttore: Enrica Budetta
Pagine: 312
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811681779
Prezzo di copertina: 16,40 €
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formato brossura: Mirtilli a colazione

4 commenti:

  1. Non ricordo in che altro blog ne avevo letto malerrimo, comunque... beh, me ne sarei tenuta alla larga comunque, ora ho un motivo in più.
    ... resta giusto la domanda 'Perché?' >_>

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    1. Volevo dare una nuova opportunità alla garzanti...e ho preso uno dei libri di cui quasi non si era parlato (nessuna anteprima su blog e poco sul fb della casa editrice), pensando che magari, almeno in questo caso, non fosse solo marketing.
      Ma sarebbe stato meglio se avessi lasciato perdere -.-'

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  2. Ti toccherà creare, prima o poi, una rubrica come Francamente me ne infischio xD E pensare che volevo leggerlo, davvero! La trama mi sembrava carina. E invece... Vabbè, quando non avrò nulla da fare lo leggerò. Certo che è curioso che ci lasciamo fregare dagli stessi libri e sono tutti della Garzanti poi! xD

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    1. Mi stava andando troppo bene ultimamente: ho trovato solo libri che non mi piacevano, ma mai libri COSI' tanto brutti.
      Comunque se non hai niente di meglio leggilo eh, così poi vediamo se suscita le stesse emozioni anche a te :P

      (sulla Garzanti, davvero, preferisco non esprimermi più -.-')

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