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lunedì 9 gennaio 2017

ORFANI BIANCHI - Antonio Manzini

Chi è il colpevole? La storia, il nostro paese, il capitalismo, la fame, la sventura, il destino? Se lo scelga lei. Però su una cosa vorrei farla ragionare. Che paese è quello che ti costringe a partire e andare a vivere in una famiglia straniera incapace di badare ai propri anziani costringendoti a sputare sulla tua?

Non è stato semplice decidere con quale aneddoto personale legato al mondo delle badanti iniziare la recensione di Orfani Bianchi, l'ultimo romanzo di Antonio Manzini pubblicato da Chiarelettere.

Quello della zia di mia madre, che, stando a certe leggende tramandate dai parenti, ha cacciato quattro o cinque badanti, tra cui una inseguendola con il bastone, prima di trovarne una con cui andasse talmente d’accordo da insegnarle addirittura la sua ricetta segreta per fare la pasta? Quello di quella ragazza che sarebbe dovuta arrivare a casa dei miei genitori verso le 10.30 di una mattina di agosto del 2002 e che ancora oggi non si è vista? O quando quella volta mi sono ritrovata coinvolta in un’assurda conversazione con una persona che sosteneva che tutte le badanti sono brutte persone, perché chi parte e lascia i propri figli è sicuramente una cattiva madre (rimanere senza aver nulla da dare da mangiare, a questi figli, è molto meglio invece)?

Ne avrei anche altri a disposizione, in realtà, alcuni bruttissimi, altri molto belli, accumulatisi nel corso degli anni. Ma pensandoci quello che più mi sembra adatto per parlarvi di questo libro è successo pochi giorni fa, proprio il giorno dopo averlo finito. Ero in una sala d’aspetto all’ASL e, nell’attesa, ho scambiato due chiacchiere veloci con uno sconosciuto, che mi raccontava trafelato che era tutta la mattina che rimbalzava da un ufficio all’altro per recuperare tutto il necessario per il ritorno a casa dall’ospedale di qualcuno. Era preoccupato di non farcela, che il letto e il materasso non arrivassero in tempo, che mancasse sempre qualcosa. Era preoccupato di ritrovarsi completamente impreparato. 
Questo aneddoto, abbastanza banale (e comune, se bazzicate un po’ in quegli ambienti dell’ASL), mi ha fatto capire quanto davvero mi avesse fatto arrabbiare la lettura di Orfani Bianchi di Antonio Manzini.

Il romanzo racconta la storia di Mirta, una giovane donna moldava trasferitasi a Roma in cerca di lavoro, per poter mantenere il figlio Ilie, rimasto a casa con la nonna. All’inizio, Mirta lavora come badante, poi, quando il figlio della signora che accudisce decide di mettere la madre in casa di riposo per venderne la casa, si ritrova a vivere in un minuscolo appartamento con altre donne e a far le pulizie, con uno stipendio ridicolo. Proprio in quei giorni, Mirta viene raggiunta dalla notizia della morte della madre. La donna torna in patria per il funerale e, soprattutto, per cercare di capire che cosa fare adesso con il figlio: a Roma con sé non lo può portare e nessuno dei pochi, e poverissimi, abitanti del suo paese può ospitarlo. Resta solo una soluzione, quella più terribile: metterlo in un internat, una sorta di orfanotrofio che raccoglie sia i bambini rimasti senza genitori sia quelli, come Ilie, che li hanno all’estero, in cerca di lavoro e di fortuna. Gli orfani bianchi, appunto. Tutti sanno quanto tristi e squallidi siano quei luoghi. Quanta sofferenza ci sia. Ma Mirta non vede altra soluzione e si convince che sarà solo una cosa temporanea. Quindi lascia il figlio lì e riparte per Roma. La fortuna, fin a quel momento avversa, sembra a un certo punto girare: grazie all’intervento dell’amico Pavel, Mirta riesce a trovare un nuovo lavoro come badante, in una lussuosa villa su un colle romano, che le garantisce uno stipendio altissimo. Mirta deve solo resistere qualche mese, tra le angherie della anziana signora che accudisce e il clima da caserma impostole dall’intera famiglia che l’ha assunta, e poi potrà andare a riprendere Ilie e iniziare una nuova vita. Ma qualcosa, ancora una volta, va storto.

Dicevo che Orfani bianchi mi ha fatto arrabbiare molto, anche se me ne sono resa conto solo da un certo punto in poi. Fino a circa metà, lo stavo trovando un libro molto bello e, soprattutto, stavo provando una pena infinita per Mirta e per la sua vita sfortunata, che è molto comune a quella di tanti, tantissimi stranieri dell’est che sono qui in Italia per sfuggire alla povertà del loro paese e per garantire a chi invece ci è restato una vita migliore.

Antonio Manzini, però, secondo me fa due errori. Il primo è nel finale, che ho trovato molto frettoloso, con tanti, troppi elementi presentati e poi lasciati lì (che ne è della signora Eleonora, per esempio?), e soprattutto tanto, troppo, davvero troppo tragico. Cercava forse la lacrima, la commozione, l’eccessivo stupore nel lettore. Certo, non mi aspettavo un lieto fine, questo no. Ma nemmeno che tutto finisse così, velocemente.

Il secondo errore per me è ancora più grave, ed è quello che più in assoluto mi ha fatto arrabbiare. In Orfani bianchi si generalizza troppo: italiani cattivi, italiani menefreghisti, italiani incapaci di accudire i propri cari. E ce ne sono, in effetti. Ce ne sono anche tante, di persone che ricorrono alle badanti o alle case di riposo per menefreghismo. Ma ce ne sono anche tante, tantissime che invece cercano questo genere di aiuto perché semplicemente non hanno altra soluzione, perché semplicemente da soli non ce la possono fare. Tantissime persone che farebbero di tutto pur di garantire il massimo benessere possibile alle persone a cui vogliono bene, anche fare su e giù tra mille uffici in una fredda mattinata d’inverno, come il signore che ho trovato l’altro giorno nella sala d’aspetto.
Non c’è assolutamente nulla di male o di deprecabile, nel farsi aiutare da qualcuno.
E poi, anche tra le badanti, di qualunque nazionalità siano, ci sono persone oneste e persone disoneste, persone eccezionali e altre davvero spregevoli. 
In questo libro, la dicotomia, la contrapposizione è davvero troppo forte, troppo generalizzata, con continue citazioni che fanno riferimento a quanto ingrati, anzi stronzi, siano gli italiani.
Adesso siamo lontani, tanti chilometri ci dividono, ma presto le cose andranno meglio e noi non saremo mai una famiglia così. Io se potessi starei lì, accanto a te e a nonna a vivere insieme e fare le cose insieme. Qui in Italia ognuno vive per i fatti suoi. Hanno tutto ma sorridono poco e non gli viene da essere felici. Per questo la signora Olivia mi fa una tenerezza enorme. La lasciano qui, con me, un'estranea che viene da lontano. E quando se ne andrà, forse avrà solo i miei occhi accanto. Quelli di una sconosciuta che le sta vicino solo per il mensile.
Questa scelta, probabilmente voluta, per estremizzare al massimo il concetto, butta al vento la possibilità di aprire una riflessione più seria e più profonda su un tema di cui, in effetti, non si parla poi così tanto.

Orfani bianchi è sicuramente scritto bene (non credo ci sia bisogno che sia io a dire che Antonio Manzini sa scrivere bene) e altrettanto sicuramente mette bene in luce la povertà e la disperazione che spingono persone a lasciare il proprio paese e la propria famiglia in cerca di un posto migliore. Però forse ha calcato un po’ troppo la mano, forse conosce troppo poche storie di famiglie che hanno fatto ricorso a una badante per accudire qualcuno e si è fermato alla soluzione più facile, quella che fa più scalpore e fa più indignare.
Sbagliando, secondo me.


Titolo: Orfani bianchi
Autore: Antonio Manzini
Pagine: 256
Editore: Chiarelettere
Anno: 2016
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Orfani bianchi
formato ebook: Orfani bianchi

8 commenti:

  1. Un libro dalla trama non banale e molto attuale! Peccato per gli aspetti negativi che hai messo in evidenza, che so già che infastidirebbero anche me nel caso leggessi questo libro!

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    1. Molto attuale e, soprattutto, non affrontata così spesso in ambito letterario! Peccato, davvero, che si sia lasciato prendere dalla generalizzazione, forse per fare più scalpore.

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  2. Hai ragione, troppo dramma e tanti stereotipi, l'ho pensato anch'io. Il personaggio migliore, secondo me, è la signora Eleonora, che a un certo punto fa una disamina sui cambiamenti della nostra società molto acuta.

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    1. Anche a me il personaggio di Eleonora è piaciuto, e mi dispiace che la sua storia sia stata sviluppata così poco (lì, da parlare, ce ne sarebbe stato tantissimo). Evidentemente Manzini ha preferito puntare sulla lacrima facile, o forse non si è accorto di quale altra grande storia aveva tra le mani.

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  3. Caxxo se hai ragione! Sei davvero in gamba. A me ha colpito tantissimo la Signora Eleonora e il suo -Voglio morire!- Il libro mi è piaciuto ma tu hai ragione. Un bacione

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    1. La storia della signora Eleonora secondo me è stata quella più sprecata di tutte... poteva approfondirla di più e costruirci, anche lì, una grande storia. Invece Manzini ha puntato al "facciamo commuovere tutti", forse perché era la soluzione più semplice.

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  4. Non so se è comparso il mio commento ma lo ripropongo: innanzitutto scrivi benissimo, complimenti :) in secondo luogo vorrei sapere il finale del libro, se puoi! Grazie in anticipo!

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  5. Finito da poco... concordo con te su tutta la linea!

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