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giovedì 19 gennaio 2017

NON SCRIVERE DI ME - Livia Manera Sambuy

Ha senso raccontare tutto questo? Non lo so, non credo stia a me dirlo. So solo che è la mia vita, la vita di una persona che ha fatto del leggere il proprio mestiere, e che nel corso del tempo ha coltivato la convinzione che abbiamo bisogno di storie perché le storie ci aiutano a vivere.


Di letteratura anglo-americana io non so praticamente niente. Non è un granché, come inizio di una recensione di un libro che parla di scrittori americani, me ne rendo conto, ma credo sia giusto essere onesti fin da subito. Certo, qualche autore lo conosco e qualcuno l'ho anche amato tantissimo: penso a Philip Roth, a Paul Auster, a Williams, a Saunders, a Carver, a Franzen e alla Strout, giusto per citare i primi che mi vengono in mente. Uh sì, e ci sono anche Hemingway, Capote, Fitzgerald e Salinger. 
Però, ecco, mi limito a conoscerne qualche romanzo o qualche racconta di racconti, senza avere ben chiaro, se non a semplice logica, quale sia il loro ruolo nel panorama letterario americano. E mi va bene così, se devo dire la verità, perché per quanto bella e affascinante sia indubbiamente la letteratura americana, mi sembrerebbe un po’ un peccato concentrarmi esclusivamente su quella e quasi ignorare tutte le altre.
Forse è per questo motivo che a Non scrivere di me di Livia Manera Sambuy, pubblicato da Feltrinelli nel 2015, ci sono arrivata così tardi. E quasi per caso, aggiungerei, perché il libro mi è stato messo in mano durante una discussione riguardo alle copertine Feltrinelli e al fatto che non sempre siano così ben riuscite. Questa, che riporta un’illustrazione di Adrian Tomine, le cui illustrazioni hanno fatto spesso da copertina al The New Yorker, è forse la più bella degli ultimi anni.

© Adrian Tomine (fonte: http://bit.ly/2iMHDMx)

Ma veniamo a Non scrivere di me, una raccolta degli incontri fatti dalla stessa Livia Manera Sambuy, giornalista specializzata in letteratura ango-americana che scrive sul Corriere della Sera, con alcuni grandi scrittori e grandi scrittrici americani nel corso degli anni.
E così il lettore si ritrova a Parigi, a casa di Mavis Gallant, scrittrice amatissima in America ma poco conosciuta in Europa, che Livia Manera Sambuy incontra ormai da anziana, un po’ intimorita per quella fama di donna dal brutto carattere che la accompagna, dopo che i suoi racconti le hanno tenuto compagnia da giovane, quando se ne è andata dall’Italia in cerca di una nuova vita.

Si chiamava Mavis Gallant, ed era una ragazza di ventotto anni – parliamo del 1950- indipendente, coraggiosa, senza un soldo e senza amicizie, ma così ricca di immaginazione narrativa, senso dell’umorismo e intelligenza, da scrivere una cosa che mi ha sempre divertita. E cioè che a Parigi le storie d’amore e i matrimoni finiscono tra le sette e le otto di sera, l’ora della pioggia e dei taxi introvabili, quando in tutta la città ci sono coppie che si separano per sempre, lasciando lungo i marciapiedi rottami di cene al ristorante annullate, biglietti per il balletto inutilizzati e brandelli di orgoglio.

Poi, il lettore va a New York, seduto al tavolo di un ristorante con l’autrice, Philip Roth e Judith Thurman, la grande biografa di Karen Blixen e poi di Colette, che rivela quanto possa essere difficile andare d’accordo con i personaggi di cui si racconta la vita.

Da New York si passa a uno sperduto McDonald’s in una stazione di servizio, tra Chicago e Bloomington, a incontrare David Foster Wallace. Lo scrittore è già un mito, per i suoi libri ma anche per il suo modo schivo di rapportarsi con gli altri. 
Poi si torna a New York, per conoscere Joe Mitchell, e poi a incontrare Richard Ford, famoso per il suo grande legame con Carver e per la sua suscettibilità di fronte alle recensioni negative, come per esempio quella della scrittrice Alice Hoffman apparsa sul New York Times.

Quando gli chiedo com'è andata, dice che veramente è stata sua moglie, Kristina, a prendere un libro di Alice Hoffman, portarlo in giardino, prendere la mira e piantargli dentro una pallottola. Lui ha sparato solo per secondo, dice. Poi ha messo il libro in una busta e lo ha spedito all'autrice. Quando vede che non riesco al trattenermi dal ridere di complicità - siamo amici- si schermisce: "Francamente, non ho mai capito perché questa storia abbia fatto tanto rumore. Ho sparato al libro, mica a lei".

Poi si va da James Purdy e Paula Fox, per finire con l’incontro con Philip Roth, con cui negli anni Livia Manera Sambuy ha instaurato un vero e proprio rapporto di amicizia, che ha portato al documentario “Philip Roth: Unmasked”.
Il grande legame con Philip Roth, in realtà, traspare in quasi tutti i racconti dell’autrice. È stato lui a presentarle Judith Thurman, per esempio, e lui a fare una bellissima disamina sull'importanza dei McDonald’s.

Ma a New York, nella zona di Broadway all'altezza della Novantesima Strada, Philip Roth mi aveva insegnato che è un errore snobbare i McDonald's. Diceva che svolgono una funzione sociale importante, accolgono gente povera e famiglie intere che possono starci ore spendendo poco e usufruendo di bagni puliti. Una sera, passando davanti alle vetrine di uno di questi fast food dell'Upper West Side mentre facevamo una passeggiata notturna, mi aveva fatto notare che seduti a quei tavoli c'erano anziani che vivevano soli nelle case d'affitto vicine, e passavano lì le serate per vedere un po' di gente e rifornirsi di tovagliolini e carta igienica. "Ci vanno i vecchi, bianchi e neri, ci vanno le famiglie con tanti bambini - dove altro potrebbero permettersi di sfamarli?" mi aveva detto aprendomi gli occhi su un aspetto dell'America che non avevo mai preso in considerazione. "Di notte ci vanno i poliziotti, i travestiti, le prostitute, i teenager, e qualche volta ci vado anche io, a sorseggiare una Coca e a vedere che aria tira".

È un libro molto bello, questo Non scrivere di me. Un libro che ti fa provare un po’ di invidia per Livia Manera Sambuy e per le possibilità che ha avuto di conoscere questi grandi nomi e, spesso, di diventarne amica. Certo, alcuni autori, onestamente, proprio non li conoscevo e il racconto dell’autrice, la sua famigliarità,  mi hanno fatto sentire un po’ ignorante. Ma non importa, perché questi ritratti di scrittori sono, in realtà, ritratti di esseri umani, con il loro caratteraccio, le loro manie, le loro fragilità, la loro ironia e i loro ricordi. A volte fanno sorridere, a volte riflettere, e sì, ogni tanto anche un po' commuovere. Bello, bello davvero.


Titolo: Non scrivere di me
Autore: Livia Manera Sambuy
Pagine: 206
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: Feltrinelli editore
Prezzo di copertina: 16 €
Acquista su Amazon:
formato cartaceo: Non scrivere di me
formato ebook: Non scrivere di me

5 commenti:

  1. Come già ti avevo detto su Facebook, ho adorato questo libro, proprio per quella sensazione di familiarità che riesce a trasmettere rispetto a grandissimi autori americani ben conosciuti, ma anche rispetto ad autori che non conosciamo affatto.
    Esordivi nel post dicendo che non sai un granché di letteratura americana. Credimi, nemmeno io. E dire che gli autori americani rientrano tra le mie letture più ricorrenti e che negli anni ne ho accumulati davo molti, belli e meno belli. Però ho sempre la sensazione di ritrovarmi con una zattera in mezzo da un oceano di cui non riesco ad individuare i contorni o la fine (cosa bellissima, ma anche scoraggiante in certi momenti!).
    Ecco Livia Manera Sambuy in qualche modo mi ha dato un remo per la mia piccola zattera :)

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    1. La famigliarità è piaciuta tantissimo anche a me, sì! Mi ha stupito un sacco leggere su aNobii recensioni che dicevano che si tratta di un libro autoreferenziale, perché io ci ho visto solo tanta passione per il proprio lavoro.

      Capisco perfettamente la sensazione che provi riguardo alla letteratura americana, ed effettivamente sì, questo libro un pochino ti aiuta :)

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  2. Uh, sembra interessantissimo.
    E quella copertina, in fondo, può tutto. ;)

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    1. Sì, quella copertina in effetti già da sola fa tantissimo. Ma poi il libro è davvero bello! :)

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  3. Mi piace la trama di questo libro, penso che lo comprerò!

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