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venerdì 31 ottobre 2014

BREVE STORIA DI (QUASI) TUTTO - Bill Bryson

Io ho frequentato un liceo scientifico. Mio padre avrebbe tanto voluto che uno dei suoi figli facesse il classico (e io, essendo l'ultima, ero la sua ultima speranza), ma per fortuna non ha insistito più di tanto. Non so nemmeno io perché non volessi fare il classico. Forse avevo un po' paura del greco, forse a quattordici anni, quando è stato il momento di scegliere, ero ancora nella fase "da grande farò l'astronauta!" e lo scientifico mi è sembrata la scelta migliore. La scienza mi ha sempre affascinata e mi affascina ancora oggi, sebbene poi mi sia lanciata nell'ambito umanistico.Tutto quello che è intorno a noi, il modo in cui è fatto, il modo in cui è nato, il modo in cui funziona mi lascia stupita ogni volta che provo anche per un secondo a pensarci. Al punto che mi chiedo perché andiamo disperatamente in cerca di altri mondi quando è ancora così poco quello che sappiamo del nostro.

Breve storia di (quasi) tutto di Bill Bryson, che innanzitutto ci tengo a precisare proprio breve non è, racconta parte della storia del mondo, gli studi che sono stati fatti, i protagonisti delle principali scoperte e il modo in cui vennero accolte quando sono state annunciate per la prima volta. Parla di dinosauri e di estinzione, di crosta terrestre, terremoti e vulcani (uno dei miei sogni è sempre stato quello di andare a Yellowstone, ma ammetto di avere un po' di paura adesso), di origine della specie e di teorie genetiche (i piselli di Mendel!), di elementi chimici, di atomi, molecole, cellule e dna. E parla poi di noi uomini, ovviamente, di come siamo composti, di come siamo nati e delle grandi conoscenze che abbiamo acquisito negli anni, ma anche di come abbiamo il potere di distruggere tutto.

Breve storia di (quasi) tutto è stata sicuramente una lettura molto interessante, che mi ha rinfrescato un po' la memoria su cose che avevo studiato in passato e che mi avevano appassionata, oltre a farmi scoprire tante piccole curiosità degli uomini e delle donne, a volte dimenticati, che ci hanno permesso di arrivare a sapere quello che sappiamo. Certo, alla fine ho un po' faticato, forse perché avrei dovuto leggerlo in più tempo, magari un capitolo al giorno, usarlo più come un libro di consultazione che non una lettura di intrattenimento, perché per quanto scritto in modo semplice e scorrevole (e Bill Bryson è davvero bravo a rendere ogni cosa alla portata di tutti), sono comunque quasi 500 pagine di saggio scientifico, che credo proverebbero chiunque.
Credo mi sarebbe piaciuto leggere questo libro quando ero a scuola, accanto al classico libro da studiare. Avrebbe forse facilitato un po' lo studio, addolcendo un po' l'aspetto puramente nozionistico che inevitabilmente queste materie hanno quando vengono affrontate nelle scuole.

Insomma, se siete appassionati di scienza questo libro vale sicuramente la lettura. E la vale anche se non lo siete, in realtà, perché vi renderete conto di quanto complesso ma fantastico sia il nostro mondo.


Titolo: Breve storia di (quasi) tutto
Autore: Bill Bryson
Traduttore: M. Fillioley
Pagine: 580
Editore: Guanda - Tea
Acquista su Amazon:

mercoledì 29 ottobre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #96


Questa volta non so davvero se ridere o piangere. È terribile il titolo italiano, con la solita struttura della frase (ma un "In cerca di me" o un "Cercandomi"era troppo difficile?) e ancor più terribile la copertina, ennesimo esempio della scarsa fantasia e della standardizzazione che ormai si trova in certi tipi di libro.
Possibile che nessuno si ribelli?

Titolo originale: Looking for me
Titolo italiano tradotto in modo assai bislacco: La bottea dei sogni smarriti
Autore: Beth Hoffman
Traduttore italiano:  F. Merani
Editore italiano: Piemme

domenica 26 ottobre 2014

Un libro per tè: Bill Bryson e il tè alla menta

Di tutti i luoghi comuni sui lettori, quello che più mi piace e in cui mi identifico di più è quello che li vede sempre con in mano, oltre a un libro, una tazza di tè.
Non so bene da dove sia nata questa immagine, onestamente. Però se ci penso, soprattutto in inverno, quando sono a casa, è molto probabile che verso le cinque di pomeriggio o la sera prima di andare a dormire io mi ritrovi con un tazza di tè, tisana, infuso, camomilla, etc etc... in mano. È una cosa che trovo molto rilassante (anche se la maggior parte delle volte, soprattutto se bevo di sera, comporta che poi io debba alzarmi più e più volte durante la notte per andare in bagno). E poi, ogni volta che vado in tisaneria, o nei negozi di prodotti biologici o anche solo al supermercato, adoro perdermi tra le varie scatole, scoprire gusti nuovi, immaginare come possano essere e criticare a prescindere quelli che so già difficilmente potranno piacermi... un po' quello che faccio in libreria, insomma.

Quindi ho deciso di iniziare una nuova rubrica, che verrà pubblicata principalmente nel fine settimana, in cui vi annuncio che cosa sto leggendo in questo momento e che cosa mi sta accompagnando nella lettura. Non so se una rubrica simile esista già su qualche altro blog (molto probabilmente sì, visto quanto il tè è inflazionato), nel caso me ne scuso, non ho nessuna intenzione di copiare o rubare idee ad altri (anche se sul mondo del web è difficile capire chi ha fatto prima che cosa, se qualcuno ha qualche rivendicazione da fare me lo dica che ne parliamo!),
È poi il caso di fare una premessa: non sono assolutamente un'esperta di tè, proprio come non lo sono di libri. Parlerò di té, tisane, infusi che bevo e che mi piacciono, indipendentemente da chi li ha prodotti e da chi li vende. Riporterò ovviamente il produttore e, se me lo ricordo, il posto in cui li ho comprati. Ma lo scopo non è assolutamente pubblicitario. Semplicemente, proprio come i libri, mi piace condividere con gli altri le cose che mi piacciono, aiutare magari qualcuno a conoscerle, scambiare punti di vista e opinioni e, di conseguenza, scoprire qualcosa di nuovo anche io.

Detto questo, andiamo a incominciare con:



 Il libro di questo fine settimana è Breve storia di (quasi) tutto di Bill Bryson, edito dalla casa editrice Guanda e tradotto da Mario Fillioley. L'opera è una sorta di saggio che racconta, in modo scorrevole e divertente, la storia di alcune delle più grandi scoperte scientifiche del mondo. Al momento sono circa a metà, che il libro è scritto molto, molto bene ma è talmente ricco di nozioni e racconti che non si può divorare in pochi giorni.
Il tè invece è un tè bianco alla menta della Clipper. Oltre alla scatola, che trovo bellissima (come tutte quelle dei tè di questa marca), ad attrarmi e convincermi a comprarlo è stato il fatto che si trattasse di tè bianco, di cui, devo ammettere, ignoravo completamente l'esistenza. Stavo cercando un tè alla menta per il dopopranzo e questa è stata davvero una piacevole scoperta (sebbene non sia poi così sicura delle sue proprietà digestive). 
Unica cosa, se lo bevete dopo cena, pur essendo molto leggero potrà comunque darvi qualche problema nel dormire. Ma se avete intenzione di leggere tutta la notte, questo non può che essere un vantaggio!

venerdì 24 ottobre 2014

5 anni rampanti

Oggi il blog compie 5 anni. Sono tanti, eh? 
Inizialmente avevo pensato di far finta di nulla, di lasciare che la ricorrenza passasse senza dire niente a nessuno. E' un periodo della mia vita un po' strano e difficile, soprattutto dal punto di vista lavorativo, e per quanto io ami questo blog, mi ricorda sempre quanto quello che faccio per guadagnarmi da vivere sia ben distante da quello che i miei sogni dicevano e dicono ancora che vorrei fare.
Però a questo blog voglio talmente tanto bene e, soprattutto, gli devo talmente tante cose che non sarebbe stato giusto non festeggiarlo a dovere.


source: http://www.mentalfloss.com/blogs/archives/127194

Cinque anni, dicevamo, in cui sono cambiate tantissime cose. Quando l'ho aperto, il 24 ottobre del 2009, mancavano due settimane alla mia laurea specialistica e avevo accanto una persona diversa dal lettore rampante. 
Poi mi sono laureata, ho iniziato a lavorare e il lettore rampante è entrato nella mia vita. Ho aperto la pagina Facebook del blog, ho visto i fan a poco a poco aumentare ma, soprattutto, interagire con me, pur non conoscendomi e non sapendo quasi nulla di me. Forse quello dei libri è un linguaggio universale, che accomuna un po' tutti quelli che li leggono.

Ho visto le mie recensioni condivise e apprezzate, e mi sono beccata gli insulti per quelle non troppo gradite. Ho conosciuto autori e autrici bravissime e case editrici appassionate. Proprio grazie a questo blog ho iniziato a collaborare come editor di una piccola casa editrice e sono finita in radio, su rai letteratura e intervistata qua e là. Nel mentre è nata Casa Rampante, prima solo virtualmente e poi fatta di mura, libri, lego e tanto, tanto amore tutto sotto lo stesso tetto. E poi beh, mi sono ritrovata seduta su una sedia di cartone a presentare un libro al Salone del Libro. 

Insomma, sono stati stati cinque anni davvero incredibili e questo blog, per esserci stato sempre, per essere stato una valvola di sfogo più o meno diretta e per tutte le cose belle che mi ha regalato, si meriterebbe davvero qualcosa di grande per festeggiare.

E qui entrate in gioco voi, miei cari lettori e assidui frequentatori di questo blog. Perché senza di voi tutto questo non sarebbe davvero stato possibile. Volevo quindi chiedervi un piccolo regalo, qualche minuto del vostro tempo, perché mi raccontiate, se ve lo ricordate, come siete arrivati qui (o sul blog o sulla pagine Facebook, che va bene lo stesso) la prima volta, grazie a quale libro o a quale post.

Intanto che scrivete, io vado a mangiare la torta e a farmi regalare dal lettore rampante un libro per festeggiare (sì, lo so, avrei fatto fioretto di non comprarne più fino a Dicembre... ma il fioretto non riguarda i regali e poi questa è davvero un'occasione speciale!).

Tanti auguri a me, al blog e mille di questi libri!

ALCUNI STUPEFACENTI CASI TRA CUI UN GUFO ROTTO - Davide Predosin

Come abbiamo già detto e ripetuto più volte, ogni lettore ha le sue manie. Una delle mie, di quelle che mi condizionano di più tra l’altro, è che odio partire per un viaggio con un libro iniziato  e tornare da un viaggio con un libro a metà. Sembrerà assurdo, anche perché è davvero difficile riuscire a calcolare esattamente quanto tempo avrai per leggere quando sarai via e quanto tempo ti richiederà ogni libro (si sa che a breve lunghezza non corrisponde breve tempo di lettura), eppure è una cosa che mi mette davvero in difficoltà.

Immaginatevi quindi come mi sono sentita l’altro giorno quando, in aeroporto in attesa del volo di ritorno a casa da un viaggio, ho terminato la lettura del libro che stavo leggendo. Avrei di sicuro avuto ancora almeno tre ore di tempo, da impiegare in qualche modo. Tre ore di tempo e un libro intonso dal buffo titolo in valigia, Alcuni stupefacenti casi tra cui un gufo rotto di Davide Predosin. Che faccio, lo inizio e poi me lo ritrovo a metà una volta arrivata a casa? Lascio perdere e in aereo leggo compulsivamente la bruchure di Easyjet fino a impararla a memoria? Ovviamente alla fine ho scelto di iniziarlo. 
La cosa buffa è che mi ha preso talmente tanto che ho fatto le pratiche di imbarco, mi sono seduta al mio posto sempre continuando a leggere, al punto che non mi sono accorta né del ritardo del volo né dell’annuncio alla partenza in cui si annunciava che tutte le luci sarebbe state spente (ringrazio lo steward che invece si è accorto che non mi ero accorta ed è venuto ad accendermi la luce di cortesia). 
Ho letto, un po’ ridendo un po’ stupendomi, il libro fino alla fine, che è incredibilmente coincisa con l’atterraggio a Malpensa. Il libro giusto al momento giusto, insomma.

Alcuni stupefacenti casi tra cui un gufo rotto è una raccolta di racconti, alcuni molto brevi, altri più lunghi, completamente strampalati. Stupefacenti, come dice il titolo. C’è è un uomo che scopre ad esempio di avere una sorta di zip sul torace, che può aprire e chiudere a piacimento. Un altro la cui fidanzata sembra apparire e scomparire all'improvviso e proprio mentre lui sta parlando, anche se lei afferma di non essersi mai mossa. C’è un morto che è davvero morto, ma ogni tanto emette qualche verso di soddisfazione. Un ragazzo che ogni mattina si sveglia sul divano del vicino di casa, senza che abbia le chiavi o nessuno gli abbia mai aperto la porta. E così via. 

Tanti piccoli racconti insomma, di storie e situazioni assurde eppure raccontate quasi come se fossero normali. Alcuni li ho trovati davvero geniali, altri che devo ammettere non sono riuscita del tutto comprendere. La cosa che però mi è piaciuta di più in assoluto sono le reazioni dei vari personaggi di fronte a questi “stupefacenti casi”. Adoro le reazioni normali di fronte alle cose assurde. Il tuo torace si può aprire con una zip? Va bene, ma stai attento che non ci vada niente dentro. Un cameriere che non hai mai visto in vita tua ti porta la colazione a letto? Beh, chissene frega come è entrato, l’importante è che sia buona.

Davide Predosin è stato bravo nel creare queste strambe situazioni e nel presentarle, con la giusta dose di ironia e angoscia. E’ stato bravo nel caratterizzare i vari personaggi a cui queste strambe vicende succedono. Certo, come dicevo prima, alcuni racconti sono davvero troppo “stupefacenti” e strampalati e ho avuto qualche difficoltà a comprenderne il vero significato (sempre che un vero significato ci fosse). Ma nel complesso è stata una piacevole e divertente lettura, che mi ha tenuto compagnia e distratta a sufficienza, senza poi farmi andare in paranoia da “cavolo, ho un libro iniziato”.


Titolo: Alcuni stupefacenti casi tra cui un gufo rotto
Autore: Davide Predosin
Pagine: 235
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Gorilla Sapiens
ISBN: 9788898978007
Prezzo di copertina: 13,70 €
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formato brossura: Alcuni stupefacenti casi tra cui un gufo rotto

giovedì 23 ottobre 2014

OPEN - Andre Agassi

E così alla fine anche io ho letto Open di Andre Agassi. Era da un po’ che volevo leggerlo, in realtà. Non perché il tennis mi abbia mai entusiasmato più di tanto (o meglio, non l’ho mai seguito, magari se iniziassi mi piacerebbe anche), o perché tutti urlano al capolavoro ogni volta  che il titolo del libro viene anche solo pronunciato. No, ho letto Open di Andre Agassi perché dietro al libro e al suo successo c’è J. R. Moehringer. Il grande J.R. Moehringer, che nemmeno viene riportato in copertina o nella quarta, ma semplicemente nei ringraziamenti, sebbene sia evidente, soprattutto a chi ha già letto gli altri libri di Moehringer, quanto di suo ci sia nella storia che Agassi racconta, nel modo in cui viene raccontata.

Non credo abbia molto senso fare un riassunto della trama di un autobiografia. È la storia di Andre Agassi, di come ha iniziato per forza a giocare a tennis e di come questo obbligo abbia influito in tutta la sua vita di grande giocatore. Lo ripete più e più volte, Andre, di odiare il tennis. Di non giocare perché gli piace ma perché si è sempre sentito in qualche modo costretto: per non deludere suo padre, che non ha mai pensato che lui potesse fare altro, per non deludere chi ha creduto, anche in malo modo, nel suo talento, e anche un po’ per non deludere il suo talento stesso. Racconto dei match vinti e di quelli miseramente persi. Delle sue manie, delle persone che lo hanno accompagnato da quando ha iniziato fino alla fine della sua carriera. Della sua eterna rivalità con Pete Sampras e del suo grande, grandissimo amore per Stefanie Graff, altra grande tennista, che Andre ha faticato non poco a conquistare. Racconta dei suoi momenti di debolezza e dei suoi gesti d’altruismo (io fossi Pete Sampras un pochino mi sarei arrabbiata quando parla della scarsa mancia data al parcheggiatore), dei sui grandi incontri, sul campo e fuori dal campo, fino all’ultimo match e al ritiro.

Una storia, quella di Agassi, che è sicuramente una grande storia, come credo lo sia quella di qualunque sportivo che arriva ai suoi livelli. Eppure, sono convinta che se non ci fosse stato Moehringer, Open non sarebbe diventato il best seller che ora è. Perché un libro per essere grande deve essere scritto bene, la storia da sola non basta (che poi magari Moehringer ha solo consigliato, dato qualche suggerimento, corretto qualche virgola, ma il suo contributo è più che evidente). 
Devo ammettere poi che ho trovato alcune parti davvero faticose da leggere. I racconti dei match alla lunga, soprattutto se non si è particolarmente appassionati, sono un po’ pesanti, un po’ ripetitivi. Altre volte, invece, mi è quasi sembrato che mancasse qualche passaggio, che ci fosse qualche salto temporale troppo lungo.

Nel complesso, comunque, Open mi è sicuramente piaciuto. Anche se non so dire se abbia soddisfatto appieno le mie aspettative, perché mi rendo conto che erano davvero troppo alte.


Titolo: Open
Autore: Andre Agassi
Traduttore: Giuliana Lupi
Pagine: 502
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806207267
Prezzo di copertina: 20 €
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formato brossura:OPEN, la mia storia

sabato 18 ottobre 2014

MORTE DI UN UOMO FELICE - Giorgio Fontana

Conoscevo solo di sfuggita Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana, prima che gli venisse assegnato il premio Campiello. Sapevo che era pubblicato da Sellerio. Sapevo della piacevole sorpresa di ritrovare un giovane scrittore nei cinque finalisti del premio,  tra cui c'erano anche Mauro Corona e Michele Mari. Eppure, per un motivo o per l’altro, non mi era ancora venuto in mente di leggere il suo libro. Nemmeno avevo ben chiaro di cosa parlasse, se devo essere sincera.
Poi ha vinto il Premio Campiello e ha iniziato a incuriosirmi. E infine ho letto il post che Paolo Cognetti gli ha dedicato sul suo blog. Se Paolo Cognetti, giovane autore che adoro, parla così bene di un altro giovane autore e del suo libro (cosa rara ultimamente, che pare che uno dei passatempi migliori degli scrittori italiani contemporanei di oggi sia di criticare il lavoro degli altri autori contemporanei di oggi), quell'autore e quel libro io avrei dovuto assolutamente conoscerli.

Morte di un uomo felice è un libro incredibile. Non so nemmeno bene che aggettivo usare per poterlo descrivere senza sembrare esagerata. Parla di terrorismo, quello che ha devastato l’Italia negli anni ’70 e ’80, e parla di fascismo e di partigiani. Lo fa tramite Giacomo Colnaghi, giovane magistrato che sta indagano sull'omicidio di un politico democristiano e sul nuovo gruppo armato che lo ha messo a segno. Un personaggio coraggioso, che rifiuta la scorta pur sapendo che ne avrebbe bisogno, ma è anche pieno di dubbi, di contraddizioni, di inquietudini che gli rendono il lavoro più difficile: è estremamente religioso, ma a volte mette in dubbio ciò che la chiesa e la Bibbia hanno insegnato; è sposato e crede molto nel matrimonio, ma il rapporto con la moglie e i due figli è estremamente fragile; sa di dover condannare ma allo stesso tempo vuole capire cosa passa nella testa dei terroristi per cercare in qualche modo di fermarli. E soprattutto ha alle spalle il ricordo del padre Ernesto e del vuoto che ha lasciato: era un partigiano, ma è morto quasi subito, lasciando una moglie piena di rancore nei suoi confronti e due figli, tra cui appunto il piccolo Giacomo, che di lui non ha conosciuto niente se non quel breve biglietto che gli ha dedicato prima di morire. Giacomo, forse senza nemmeno rendersene conto, sta un po’ rivivendo su se stesso la vita del padre, commettendo forse gli stessi errori per lottare per qualcosa che ritiene giusto.

La forza del libro sta proprio in questo grande personaggio e nel modo in cui Giorgio Fontana è riuscito a rappresentarne le inquietudini e i pensieri, quasi eliminando ogni implicazione politica del periodo e descrivendo semplicemente un uomo, che cerca di far bene il suo lavoro e di vivere bene la sua vita e di essere, in qualche modo, felice.

La vendetta è uno strumento inutile; in primo luogo per voi stessi. E sì, certo, so che una parte di voi non vuole affatto essere migliore, ma solo prendere l'uomo che vi ha fatto così male e distruggerlo, fargli comprendere quanto dolore avete dovuto subire. Ma un complice di quell'uomo vorrà a sua volta vendetta, e colpirà un altro uomo innocente, e a tutto questo non c'è termine: alla fine di tutto resta solo la morte. Non c'è più spazio per la conoscenza, per l'amore, per una pizza, per una passeggiata: il mondo sparisce completamente, il mondo che volevi salvare. Restano solo il gelo e la vendetta. È un'ossessione da cui non si esce.

L’autore è stato anche bravo, soprattutto in relazione alla sua età, a riprodurre il clima dei due periodi che racconta, quello della guerra e quello degli anni ’70:  leggendo sembrava di esserci dentro, di sentire addosso la stessa ansia, la stessa sensazione di attesa e di inquietudine che si viveva allora.

Se proprio dobbiamo trovare una nota negativa, per quanto mi riguarda riguarda l’uso della punteggiatura. Tutti questi due punti mi hanno fatta un po’ impazzire. Ma in questo articolo Giorgio Fontana spiega il perché li utilizza… Non mi ha convinta del tutto, ma almeno una spiegazione c’è.

Insomma, Morte di un uomo felice è un altro, ennesimo per fortuna, segnale che la letteratura italiana contemporanea esiste eccome ed è di grande qualità; che le voci nuove e giovani ci sono, e che meritano di essere lette. Cosa state aspettando?

Titolo: Morte di un uomo felice
Autore: Giorgio Fontana
Pagine: 260
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838931727
Prezzo di copertina: 14 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Morte di un uomo felice

mercoledì 15 ottobre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #95

Anche quella di oggi non sarà una delle classiche puntate della rubrica di confronto tra titolo originale. Un po' perché non ho avuto il temp... va beh, diciamola proprio tutta, la voglia di cercare un titolo (rischio l'esaurimento nervoso ogni volta che entro nei siti di certe case editrici); un po' perché il titolo del libro di cui vi parlo oggi mi ha lasciata talmente perplessa che ho bisogno di capire se sia un problema solo mio (molto probabile), o anche di chi quel titolo l'ha messo. 

Oggi si parla quindi di un libro solo, scritto tra l'altro in italiano e dedicato a Papa Francesco (no, non sono impazzita, non ancora del tutto almeno).

Parlo di NON E' FRANCESCO di Antonio Socci, edito da Mondadori:


Ho come l'impressione (o il timore, forse) che chi ha pensato questo titolo si sia sentito un genio. Il Papa nuovo si chiama Francesco e uno dei più grandi successi di uno dei cantanti italiani più famosi del passato, Lucio Battisti, si intitola Non è Francesca:



"Possiamo mica farci scappare un'occasione del genere e non fare questo geniale gioco di parole?" avranno esclamato in Mondadori. Peccato che la canzone parli di tradimento: un amico del protagonista del testo (che spero ben non sia Battisti stesso, che poverino in ogni sua canzone viene sempre cornificato) ha visto la fidanzata del protagonista a spasso con un altro, è andato a dirglielo e il protagonista, disperato, cerca di autoconvincersi che non sia vero.
Quindi, io vedo il libro sul Papa, inizio a canticchiare Battisti e nella mia mente partono le immagini di uno scandalo amoroso in Vaticano.

Per carità, può darsi che lo scopo fosse proprio questo, ché non c'è niente che venda di più di un morboso scandalo tra papi e cardinali. Però, ecco, se invece l'obiettivo era un altro... forse forse ora non mi sentirei così geniale, ad aver pensato questo titolo.

martedì 14 ottobre 2014

L'AVARO DI MAYFAIR - M.C Beaton

Molti di voi conosceranno M.C Beaton grazie alla serie di romanzi gialli che hanno come protagonista Agatha Raisin. O almeno, io l'ho conosciuta così, per puro caso, quando ho trovato il primo romanzo della serie, Agatha Raisin e la quiche letale, in offerta in ebook. Un libro molto carino, nonché un omaggio alla grande Agatha Christie. 

Prima di questa serie di gialli, però, M.C. Beaton ha scritto anche diversi romanzi storici, tra cui quelli della serie "67 Clarges Street", di cui L'avaro di Mayfair è il primo volume.

Un libro leggero leggero, che ha come protagonista Roderick Sinclair, un ex giudice rimasto senza un soldo e dedito al bere a più non posso,  a cui il defunto fratello, anziché tutti i soldi che aveva immaginato, lascia in eredità Fiona, una bellissima ragazza che aveva adottato da un orfanotrofio di Edimburgo. Mr Sinclair inizialmente è disperato e non sa bene cosa farsene di questa donna, che non sembra nemmeno brillare per intelligenza. Decide quindi di sfruttare la sua bellezza e portarla a Londra per farle trovare un ricco marito che mantenga tutti quanti. Vende quindi i suoi miseri possedimenti e affitta una casa, al n°67 di Clarges Street. Una casa da tutti considerata un po' iellata, dopo una serie di tragedie che si sono verificate al suo interno nel corso degli anni, e al momento abitata da una numerosa servitù sottopagata ma impossibilitata ad andarsene. L'arrivo di Mr Sinclair e di Fiona stravolgerà completamente l'ambiente, sia per i domestici, che faranno di tutto per aiutarla a realizzare il suo sogno, sia soprattutto per la ricca e ipocrita alta società londinese, che invece cercherà di rovinarla.

Anche in questo romanzo, si ritrova lo stile ironico dell'autrice. Uno stile che rende la lettura scorrevole e molto divertente, e che riesce a esaltare in qualche modo le caratteristiche di tutti i personaggi. M.C. Beaton è bravissima a fare una critica di quella società, senza mai esagerare, in modo garbato, sfruttando il personaggio dell'ingenua e dolce Fiona, che in realtà è tutto fuorché una sprovveduta. E poi c'è la storia d'amore, assolutamente prevedibile, ma non per questo meno riuscita, grazie soprattutto al buffo intervento dei domestici, che vedono nella passione di Fiona una possibilità di riscatto anche per loro stessi.

Non è sicuramente alta letteratura, né M.C. Beaton ha alcuna pretesa che lo sia. Si tratta di un romanzo leggero, piacevole, di puro intrattenimento, ma  nella sua semplicità caratterizzato anche da una certa intelligenza. Insomma,  L'avaro di Mayfair è il romanzo ideale da leggere in un pomeriggio d'inverno, magari coperti da un plaid e con una tazza di te in mano. Sono sicura che non ne rimarrete delusi.


Titolo: L'avaro di Mayfair
Autore: M.C. Beaton
Traduttore: Simona Garavelli
Pagine: 194
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Astoria
ISBN: 978-8896919842
Prezzo di copertina: 15 €
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formato ebook: L'avaro di Mayfair


lunedì 13 ottobre 2014

IL PIU' GRANDE UOMO SCIMMIA DEL PLEISTOCENE - Roy Lewis

Essere un uomo delle caverne non doveva certo essere una cosa semplice, senza tutti gli agi e le comodità a cui siamo abituati oggi. Senza potersi lavare (e nemmeno pensare di doverlo fare, in realtà), senza poter cucinare o vestirsi come si voleva e con il pericolo quotidiano di imbattersi in strani animali che non desideravano altro che trasformarti nel loro pasto.

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene racconta, in modo ironico e un tantino canzonatorio, la vita di una famiglia di quei tempi: un padre geniale, Edward, che prima è andato su un vulcano a prendere il fuoco, poi ha trovato un modo per accenderlo direttamente senza dover percorrere ogni volta che si spegneva venti km a piedi. Un padre che crede nel progresso, che vuole che i suoi figli e nipoti smettano di arrampicarsi sugli alberi e spulciarsi a vicenda, ma che si alzino subito in piedi e pensino anche un po’ al futuro. Peccato che quasi tutti i parenti attorno a lui lo considerino un po’ pazzo, un po’ invasato e non vedano sempre di buon occhio tutti i suoi esperimenti: certo, la moglie scopre ben presto che vivere in una grotta piena di lussi sia molto, ma molto più comodo che accamparsi in mezzo alla foresta ogni sera o che la carne cucinata è molto più tenera e facile da digerire di quella cruda. Ma i figli, beh, i figli sono il vero problema. Soprattutto Ernest, narratore della storia, che pare non abbia alcuna predisposizione mentale, alcun talento, nello scoprire nuove cose. Anzi, sembra quasi che in qualche modo voglia ostacolare il progresso, che voglia tenersi per sé tutte le scoperte che invece potrebbero davvero migliorare la vita di tutti.  Ma l’uomo è un sognatore e non si lascerà certo fermare dalla mentalità chiusa e “bigotta” (la religione non c’era ancora,  lo so, ma è per dire) del figlio. O almeno, ci prova.

Il libro è sicuramente molto piacevole e divertente da leggere. Ok, forse non l’avrei definito, come ha fatto Terry Pratcher in copertina, “Il libro che avete tra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni", però ha davvero dei momenti esilaranti e una genialità di fondo notevole, considerando anche che è stato scritto negli anni ’60.
Leggendolo mi sono venuti in mente il fumetto di B.C. di Johnny Hart, che se non conoscete vi consiglio davvero di rimediare, di questi uomini primitivi (un po’ meno primitivi rispetto al libro di Roy Lewis in realtà), che parlando di oggetto, invenzioni e concetti del futuro che ancora non hanno e che non vedono l’ora di avere, proprio come in Il più grande uomo scimmia del Pleistocene. E questo espediente a me fa davvero ridere (non per niente i Flinstones, quando ero bambina, erano uno dei miei cartoni animati preferiti).

Insomma, non un capolavoro sicuramente, ma una lettura che comunque secondo me vale davvero la pena di fare: scorrevole (per una volta leggendo un romanzo tradotto per la prima volta negli anni ’50 e ’60 non ho sentito il bisogno di una nuova traduzione, forse perché in un libro che parla di uomini primitivi nemmeno le traduzioni possono invecchiare) e divertente. Leggetelo!



Titolo: Il più grande uomo scimmia del Pleistocene
Autore: Roy Lewis
Traduttore: C. Brera
Pagine: 178
Anno di pubblicazione: 1960
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845915918
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

venerdì 10 ottobre 2014

Di cali di vendite, di piccole case editrici, di librerie indipendenti e delle colpe dei lettori.

Oggi vi voglio raccontare tre piccole storie. Due episodi diciamo personali e un fatto invece di portata nazionale che credo quasi tutti gli appassionati lettori hanno già sentito.
Illustrazione di  A Richard Allen
Inizio proprio da quest’ultimo. Come ogni anno, in occasione della Fiera del Libro di Fraconforte (che, non so perché, io mi immagino come un posto fichissimo in cui volano libri durante le aste per i diritti), sono stati divulgati i dati sulla situazione delle vendite dei libri in Italia. Dati, ovviamente, terribili, secondo cui, nel 2014,  più di un italiano su due non ha acquistato nemmeno un libro (trovate tutti i dati qui). Da lì ovviamente è partita la solita tiritera che “gli italiani sono un popolo di ignoranti”, “gli italiani non leggono”, “gli italiani preferiscono andare allo stadio/rincoglionirsi con la tv/ andare a catturar farfalle invece di leggere”.  Se da un lato almeno in parte mi trovo d’accordo, dall'altro però non credo che questi dati siano così tanto significativi per quanto riguarda la quantità di lettori: c’è chi i libri li prende in biblioteca (a cui stanno tagliando sempre di più i fondi), chi se li fa prestare, chi se li ritrova in casa ereditati da biblioteche passate, chi li pirata (ai tempi degli ebook si può fare anche questo), chi li trova abbandonati su una panchina, etc etc… Dire a prescindere da tutte queste considerazioni, che gli italiani sono tutti un branco di caproni perché si vendono meno libri mi sembra un po’ un’esagerazione.

La seconda storia mi è successa qualche giorno fa, sulla pagina Facebook di questo blog, quando un lettore/scrittore ha commentato dicendo che noi “lettori non professionisti leggete solo i libri di moda, non considerate i piccoli editori e gli scrittori emergenti”. Ammetto che non mi sia ben chiaro cosa sia un lettore non professionista, comunque, dopo la prima mezz’ora d’imprecazioni da “io leggo un po’ quel cavolo che mi pare”, ho riflettuto un po’ meglio e mi sono resa conto che, effettivamente, la scelta o meno di leggere un libro, per molti, dipende principalmente da quanto di quel libro si è parlato, da che casa editrice è stato pubblicato, da quanto è passato in tv o si è visto in lettura sui mezzi pubblici. Le mode, così come esistono nella tecnologia o nei vestiti, esistono sicuramente anche nel mondo dei libri. Non serve che dica che spesso non coincidono con la qualità letteraria del libro. Però, d’altro canto, non mi sento nemmeno di criticare chi legge solo questi libri.  Almeno legge qualcosa. 
Certo, questo per le case editrici più piccoline e, spesso, più meritevoli è sicuramente un grosso problema, perché non sempre la qualità riesce a imporsi sul mercato a discapito della quantità.

La terza e ultima storia mi è capitata invece quest’estate, nella tappa fiorentina delle ferie. Dopo essere stati alla Feltrinelli RED e aver lì acquistato un libro, passeggiando ci siamo ritrovati di fronte a una piccola libreria indipendente. Mentre stavamo per entrare, abbiamo notato che sia sulla porta sia sulle vetrine c’era una sorta di lettera del libraio di cui non mi ricordo le parole esatte, ma il cui succo era: “noi non siamo la Feltrinelli e facciamo fatica a sopravvivere perché la Feltrinelli ha troppo potere, non entrate chiedendoci lo sconto perché non possiamo permetterci di farlo e se ci provate comunque non arrabbiatevi di fronte al mio no dicendo “Alla Feltrinelli me lo fanno”. Voi continuate a comprare anche là, poi non lamentatevi se le piccole librerie chiudono e vi ritroverete con un monopolio”. Ora, so che a Firenze la Feltrinelli ha fatto chiudere, più o meno indirettamente, diverse librerie indipendenti con la sua politica espansionistica, e quindi posso in parte capire la rabbia e la foga di questo libraio in un periodo così difficile. Però, ecco, alla fine non sono entrata. Perché avevo in mano un sacchettino Feltrinelli e mi sono sentita prima un po’ in colpa e poi un pochino offesa, come lettrice che compra indistintamente online e nelle libreria di catena, sulle bancarelle dell’usato e nelle librerie indipendenti.

La cosa che accomuna queste tre storie è la responsabilità che viene attribuita ai lettori. Nel prima caso, del calo delle vendite, è il lettore che non compra più e manda l’editoria in crisi. Nel secondo caso, è il  potenziale lettore che non legge sempre e solo gli stessi libri e non fa uno sforzo per conoscere le piccole case editrici, che legge solo quello che gli viene messo davanti e non si impegna minimamente a cercare altro. Nel terzo, è il lettore che compra alla Feltrinelli (o su Amazon, ovviamente) invece che in una libreria indipendente e fa fallire tutte le librerie indipendenti.
Ma siamo davvero sicuri che ai lettori spettino davvero tutte le colpe? Certo, se consideriamo il libro come un semplice prodotto, se questo prodotto non vende è perché nessuno lo compra. E idem se le piccole librerie falliscono o faticano a stare a galla, è perché chi compra i libri li compra da qualche altra parte, perché pensa solo ed esclusivamente allo sconto.
Ma qualcuno si è mai domandato perché (è una domanda retorica, ovviamente, spero ben che qualcuno prima di me se lo sia già domandato)? Perché prima si compravano più libri e ora se ne comprano meno? Di colpo tutti i lettori sono diventati non lettori, o c’è qualcosa dietro (tipo: la crisi economica che colpisce le famiglie, l’eccessiva produzione di roba di pessima qualità, la mancanza di politiche atte a diffondere e salvaguardare l’importanza e la necessità del leggere…)? E davvero i lettori frequentano meno le librerie indipendenti solo ed esclusivamente per il discorso dello sconto? 

Non lo so, onestamente trovo che colpevolizzare così i lettori, o potenziali tali, non sia una cosa molto furba. Sarà, come dicevo prima, che io leggo tanto, che compro tanto ma che sfrutto anche prestiti e biblioteche, e sono davvero un po’ stufa di sentirmi colpevolizzata, più o meno direttamente (che so che il librario di Firenze non ce l’aveva con me, lettrice rampante), per una crisi che ha sicuramente in parte origine nel fruitore finale, ma anche in chi i libri li produce e li vende. E’ troppo semplice dire “gli italiani sono tutti un branco di caproni ignoranti ed è per questo che noi stiamo fallendo”, senza fermarsi a riflettere su cosa si potrebbe fare per invertire questa tendenza. 
Io conosco poi tanti, tantissimi lettori forti come me, se non anche di più. Possibile che davvero noi non contiamo assolutamente nulla? Che le statistiche siano sempre così negative, così pessimiste? Certo, è giusto dire e sottolineare e scandalizzarsi di fronte a “il 50% degli italiani l’anno scorso non ha letto nemmeno un libro”, ma perché non sottolineare anche che c’è un 5% o un 10% (sono cifre a caso, magari sono anche più alte), che l’anno scorso ne ha letti 30 o 50? 
Premesso che anche io sono convinta che chi non legge dovrebbe farlo, perché si sta perdendo qualcosa oltre che di bello anche di utile per affrontare il mondo che lo circonda, perché bisogna sempre guardare al negativo? Perché si ha questa tendenza a colpevolizzare quel 50% anziché elogiare l'altra metà? Perché si pensa che l’unico modo per stimolare sia far nascere sensi di colpa?

Ora, non sono sicura che questo post abbia un suo senso, né di quello che effettivamente avevo intenzione di dire. Dico solo che, secondo me, si passa molto più tempo a lamentarsi che non a fare effettivamente qualcosa. 
Quel libraio di Firenze ha visto benissimo che stavo per entrare e mi sono fermata.  Magari avrà pensato che era perché lui non faceva sconti e mi ha lasciata andare. Avrebbe potuto uscire e parlarmi. 
Quell’editore le cui vendite si sono ridotte potrebbe ad esempio riflettere un attimo su cosa sta pubblicando, sul prezzo a cui lo sta pubblicando (eddai su, 20€ per un libro nuovo di meno di 300 pagine è un furto).
Quegli scrittori che pubblicano con case editrici piccole, riflettere meglio su come fare a promuoversi, senza limitarsi semplicemente a inviare comunicati stampa copia-incolla o mail cumulative in cui, guarda caso, dicono che hanno appena scoperto il tuo bellissimo blog. (Non è il caso dello scrittore di cui vi ho raccontato qui eh, è un discorso generico).

E’ davvero troppo semplice dare la colpa sempre e solo agli altri.

mercoledì 8 ottobre 2014

Due titoli, un solo libro: ma perché? #94

Cliente:«Buongiorno»
Libraio: «Buongiorno a lei, mi dica»
Cliente: «Stavo cercando un libro, mi può aiutare?»
Libraio: «Ci proviamo, certo»
Cliente: «Dunque, non mi ricordo l'autore purtroppo e del titolo conosco solo una parte, ma è talmente particolare che sono sicuro non avrà problemi. Si tratta di "Istruzioni per rendersi... " qualcosa...».
Librario: «Guardi, può scegliere tra "felici" e "infelici"»
Cliente: «Come prego?»
Libraio: « Eh... "Istruzioni per rendersi infelici" di Paul Watzlawick, uscito nel 1997, e "Istruzioni per rendersi felici" di Armando Massarenti, uscito qualche giorno fa».
Cliente: « E io come faccio a scegliere?»
Libraio: «Non saprei... si sente più felice e vuole buttarsi un po' giù, o più triste e vuole tirarsi un po' su?»
Cliente: «Oddio, in realtà mi sento un po' confuso».
Libraio:« Guardi, se li compra entrambi, le regalano sei mesi d'analisi»
Cliente: «A chi ha scelto il titolo del libro uscito per secondo dovrebbero regalarli».


Ovviamente si tratta di una conversazione inventata (ammetto di aver avuto la tentazione di andare in libreria a chiedere, ma non volevo mettere in difficoltà il libraio o la libraia di turno con la mia follia). Credo però sia anche una conversazione abbastanza credibile, vista l'esistenza di questi due libri.

Lo so, questa volta in realtà si tratta di due libri diversi con un titolo ciascuno, però sono talmente tanto simili tra loro che non ho potuto fare a meno di dedicar loro una puntata della rubrica di confronto.
Ho provato a cercare qualche informazione per capire se il libro di Armando Massarenti, edito da Guanda, sia in qualche modo un omaggio al ben più conosciuto e vecchio di Paul Watzlawick (edito da Feltrinelli, con traduzione di Franco Fusaro). Nella quarta di copertina e nella descrizione sul sito nil nome di Watzlawick però non compare. Visto il titolo, forse almeno in quarta lo avrei scritto. Mi auguro per Massarenti comunque che all'interno del libro, questa similitudine venga più volte spiegata e ribadita. D'altronde anche nell'opera di Watzlawick si cerca in qualche modo di insegnare ad essere felici, usando la strategia contraria, ovvero dando motivi futili per essere tristi.
Personalmente, a meno che all'interno non venga citato il primo libro in ogni capitolo, trovo questa somiglianza abbastanza fastidiosa.

Ci sono milioni di parole che possono essere combinate tra loro per creare il titolo di un libro, possibile che non ci sia abbastanza fantasia da trovare un titolo diverso? 

martedì 7 ottobre 2014

MOBY DICK E ALTRI RACCONTI BREVI - Alessandro Sesto

Di questo Moby Dick e altri racconti brevi di Alessandro Sesto non ho intenzione di scrivere alcuna recensione. Non perché sia diventata pigra tutto di un colpo o, peggio, non abbia niente da dire su questo libro. Anzi! E' che credo sia un libro che debba proprio parlare da solo.

Certo, potrei darvi qualche indicazione e dirvi che si tratta di una raccolta di racconti a tema letterario, che hanno come protagonista un amante dei classici che racconta alcuni episodi della sua vita che ha vissuto basandosi sugli insegnamenti che ha ricevuto dai grandi romanzi della storia mondiale: c'è Guerra e Pace e ci sono I promessi sposi, c'è il buon Leopardi e Saramago, Moby Dick e Murakami. Qua e là ci piazza anche qualche riflessione personale su generi, ruoli e strutture dei grandi romanzi classici.
Potrei poi dirvi che questi racconti mi hanno tenuto compagnia in un'uggiosa e noiosa domenica pomeriggio, facendomi ghignare come da un bel po' di tempo un libro non era riuscito a fare.
Ancora, che dopo le prime pagine, io che odio sottolineare sono dovuta correre a cercare una matita perché in ognuno di questi racconti ho ritrovato qualcosa che meritasse di essere ricordato anche in futuro.
Vabbè, già che ci sono vi dico anche che la cosa che più mi ha colpito in assoluto, oltre alla visione di Giulietta che fonda una "fondazione contro le pozioni" in onore di Romeo e a quella del protagonista che entra in posta e chiede se quello fosse "il luogo dove io dovevo andare a perdermi" dietro suggerimento di Murakami... dicevo, la cosa che più mi ha colpito in assoluto è l'enorme, smisurata cultura letteraria di Alessandro Sesto. Perché anche nel racconto più buffo e dissacrante, è evidente che l'autore sappia bene, benissimo di che cosa sta parlando. E quello che fa non è una presa in giro, ma un vero e proprio omaggio a quei libri che hanno influenzato la sua vita.

Non farò nessuna recensione, vi dicevo, perché questo libro lo dovete scoprire da soli. Come? Andate in libreria e cercatelo (spero vivamente che si trovi, perché la Gorilla Sapiens edizioni è una piccola casa editrice indipendente e abbastanza giovane). Prendetelo in mano, apritelo a pagina 121, al racconto Poeti Maledetti e leggete quelle due pagine. Vi renderete conto da soli dell'incredibile genialità di questi racconti e non potrete davvero più farne a meno. 

Ah già, dimenticavo...ancora una volta, viva le piccole case editrici indipendenti che pubblicano libri di qualità!

Titolo: Moby Dick e altri racconti brevi
Autore: Alessandro Sesto
Pagine: 165
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: Gorilla Sapiens Edizoni
ISBN: 978-8890719769
Prezzo di copertina: 12,90 €
Acquista su Amazon:

domenica 5 ottobre 2014

NON DIRMI CHE HAI PAURA - Giuseppe Catozzella

Credo molto poco nella qualità letteraria del premio Strega. Perché è più una questione di case editrici, e di influenza e potenza delle stesse, che non di bravura degli autori. Non sto dicendo che tutti i vincitori o i finalisti dello Strega non siano bravi scrittori, ci mancherebbe. Dico che, per quanto mi riguarda, non è un parametro che può influenzare la mia scelta di leggere o meno un libro (a differenza del Pulitzer, ad esempio, di cui mi fido ciecamente). 
Quest'anno però ho letto sia il vincitore del Premio Strega chiamiamolo ufficiale, Francesco Piccolo, e, adesso, anche il vincitore del Premio Strega Giovani 2014 (che viene assegnato dagli studenti delle scuole superiori), questo giovane Giuseppe Catozzella.

La storia che racconta Catozzella nel suo libro è una storia forte e, soprattutto, una storia vera: quella di Samia, una ragazza somala che nel 2008 è riuscita a qualificarsi per correre i 200 m alle Olimpiadi di Pechino. Ha perso, ovviamente, perché la sua preparazione fisica era nettamente inferiore a quella di tutte le altre: lei si allenava in mezzo alle rovine, coperta da un burqua e senza alcun preparatore atletico, se non il suo migliore Alì. Tutto il mondo però, quando l'ha vista correre e arrivare dieci secondi dopo le altre, ha tifato per lei. Ma è la storia anche di quella Samia che sognava le Olimpiadi del 2012 a Londra ed è morta in mare mentre cercava di raggiungere l'Italia e poi la sorella nel Nord Europa, per potersi preparare al meglio. Inseguiva un sogno, Samia. Un sogno che si infranto in mare, come quello delle migliaia di profughi che ogni giorni tentano disperatamente di fuggire dal loro paese e dalle condizioni terribili in cui vivono, in cerca di una vita migliore.

Quella di Samia è una storia che colpisce molto e che meritava sicuramente di essere raccontata (come sono sicura lo meriti quella di chiunque perda la vita così). Il problema è che non basta una storia forte e potente per fare di un libro un bel libro. Non basta nemmeno avere il coraggio di raccontarla, nonostante sia già di per sé ammirabile. Ci va anche un certo stile, una certa bravura, che, mi spiace dirlo, io in Giuseppe Catozzella non ho trovato. Il suo modo di scrivere è probabilmente indirizzato a un pubblico più giovane (e non per niente ha vinto il Premio Strega Giovani), che fa più attenzione alla storia che non al modo in cui è narrata. Per me, è stata una lettura incredibilmente difficile: troppe similitudini, troppe ripetizioni, un linguaggio troppo semplice che, non si sa bene come, non riesce nemmeno a risultare scorrevole. Più e più volte ho avuto la tentazione di prendere una matita e sistemare le frasi, la sintassi, di eliminare qualcosa. Oltre a questo, c'è stata poi la voglia di saperne di più: è una sorta di diario, certo, ed è scritto in prima persona da una ragazza poco più che adolescente, quindi è normale che non ci siano analisi più approfondite di certi argomenti. Però, ecco, si ha la sensazione di frettolosità, di mancanza di qualcosa, di scarso approfondimento.
E trovo che questo sia davvero un peccato, perché una storia così forte, così toccante e disperata, si sarebbe meritata sicuramente una scrittura migliore.

Titolo: Non dirmi che hai paura
Autore: Giuseppe Catozzella
Pagine: 236
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Feltrinelli
ISBN: 978-8807030772
Prezzo di copertina: 15 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Non dirmi che hai paura

venerdì 3 ottobre 2014

IL TELEFONO SENZA FILI - Marco Malvaldi

Giuro che dopo questa recensione per un po' non mi sentirete parlare di Marco Malvaldi. Almeno fino a che non esce un nuovo libro o non assisto a una nuova presentazione. D'altronde, se frequentate questo blog da un po', sapete quanto io adori questo autore, di cui leggerei anche la lista della spesa.

E poi Il telefono senza fili è un nuovo romanzo della serie del BarLume, con Massimo il barrista e i quattro fantastici vecchietti. Era da due libri che non parlava più di loro (forse gli ha dedicato dei racconti nelle raccolte di gialli di Sellerio, che però ancora non ho letto) e l'attesa era davvero tanta. Dopo la serie tv andata in onda su sky, che non definisco pietosa perché comunque un po' sorridere mi ha fatto, avevo proprio bisogno di immergermi di nuovo nell'atmosfera originale del Barlume, quella cartacea, e lasciarmi coinvolgere dalle avventure di Nonno Ampelio e dei suoi amici.

La struttura di questo romanzo è molto simile a quella dei precedenti. Una donna scompare dopo aver comprato due quintali di carne, il marito viene visto di notte accanto a un fosso con il bagagliaio aperto e il principale accusatore, dopo aver seminato un po' di zizzania in tv, viene ritrovato morto. Vorrete mica che i vecchini rimangano impassibili di fronte a tutti questi avvenimenti? Ma assolutamente no. Iniziano a parlarne, e parlarne, e parlarne, e già che ci sono a fare qualche piccola indagine e a parlare con i giornalisti. E Massimo, come sempre, cerca di tenerli a bada come può, pur essendo anche lui incuriosito dal caso. A indagare ufficialmente questa volta c'è quella che rappresenta l'unica grande novità del libro: una giovane commissaria donna, Alice Martelli, che alle chiacchiere e ai pettegolezzi dei quattro attempati investigatori della domenica sembra dare più credito del necessario.

Ed è proprio questa novità che riporta un po' di brio a questi romanzi. Intendiamoci, adoro i vecchini, adoro Massimo  e adoro soprattutto lo stile di Marco Malvaldi e la sua schietta ironia. Però il rischio di fare romanzi gialli tutti uguali è ormai davvero dietro l'angolo. Succede qualcosa di strano, i vecchini indagano a modo loro, Massimo un po' li tiene a bada un po' riflette e alla fine arriva alla giusta soluzione. Ci andava un diversivo, sicuramente. E Alice Martelli e quell'intesa che si crea tra lei e Massimo, che Ampelio & Co non perdono occasione di mettere in risalto con battutine e risatine, è stato per me il diversivo perfetto, per quanto assolutamente prevedibile fin dalle prime pagine. Anche nei gialli ci va un po' d'amore, su. E l'autore è davvero bravo a non rendere il tutto troppo melenso e a non rinunciare alla sua verve anche in momenti come questi.

Il telefono senza fili mi è piaciuto molto. E' un romanzo di puro intrattenimento, scorrevolissimo e di davvero facile lettura (anche se qualche parte in toscano ho dovuta leggerla un paio di volte, prima di capirla). Ideale per distrarsi un po' e ridere di gusto. Come tutti gli altri romanzi del BarLume, che vi consiglio assolutamente di leggere.

Titolo: Il telefono senza fili
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 208
Anno di pubblicazione: 2014
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838932281
Prezzo di copertina: 13 €
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formato ebook: Il telefono senza fili