Pagine

lunedì 2 dicembre 2013

Interviste rampanti: editoria a pagamento e autopubblicazione

Nessuna intervista rampante in programma per questa settimana. Sto aspettando che mi arrivino le risposte di un ultimo autore e poi, almeno per il momento, direi che l'esperienza delle interviste può dichiararsi conclusa.
Come già avevo fatto una volta, ho deciso di ingannare questa attesa pubblicando un breve riepilogo di alcune risposte. Oggi vorrei soffermarmi su quelle riferite alla domanda "Cosa pensi dell'editoria a pagamento? E dell'autopubblicazione?". Si tratta di un tema sempre molto attuale e che, immancabilmente, scatena molti dibattiti. 

© Luo Qianxi
Di editoria a pagamento su questo blog avevo già in qualche modo parlato, nel post Quella volta in cui ho pubblicato a pagamento: uno scambio di mail con un ragazzo che aveva scelto, più o meno consapevolmente, questa forma di pubblicazione e che mi aveva dato di che riflettere. Sull'autopubblicazione non mi sono mai invece espressa molto chiaramente, forse perché un'idea troppo chiara non ce l'ho nemmeno io. Credo che dipenda molto dall'uso che se fa, da quali obiettivi ci si pone autopubblicandosi: se si tratta di raccogliere qualche proprio lavoro e regalarlo ad amici e parenti, ci può stare. Se si tratta di autopubblicarsi per vendere, sono invece un po' più titubante. Forse perché sono affezionata all'idea dell'editore che, oltre che investire, lavora su un romanzo, offrendo suggerimenti, editandolo, aiutando nella promozione (questo non sempre, bisogna ammetterlo) ma, ancora prima e soprattutto, valutandone il potenziale e il valore. Tutto questo viene a mancare quando qualcuno si autopubblica. Dall'altro lato però ci sono molti autori che hanno iniziato proprio con il selfpublishing e sono riusciti così a farsi notare dalle case editrici che, altrimenti, forse se li sarebbero persi per strada. Quindi, non lo so, sono ancora un po' indecisa su quale sia la mia opinione a proposito.

Vediamo però cosa pensano di queste due forme di pubblicazione gli scrittori italiani protagonisti della interviste rampanti (se la vostra reazione prima, durante o dopo la lettura è quella di esclamare un "grazie al cavolo, loro hanno già pubblicato, vi consiglio di dare un'occhiata sia a tutte le interviste sia al post "Come farsi scoprire dalle case editrici").

Marco Missiroli
L’editoria a pagamento non è editoria. Non pubblicate se vi chiedono soldi o “sponsorizzazioni”. Meglio autopubblicare, allora.

Stefano Piedimonte
L’editoria a pagamento, per quel che mi riguarda è una truffa. So bene che per la legge italiana non è così, ed esprimo quindi il mio parere personale. Qualcuno può non condividerlo. Se un editore crede in un testo, investe energie e denaro per pubblicarlo e promuoverlo. Se un editore ti chiede soldi per pubblicare un libro vuol dire che non crede nel tuo romanzo o che non ha gli strumenti per promuoverlo. In entrambi i casi non ti condurrà molto lontano. L’autopubblicazione? Dipende da come ci arrivi. Anche in quel caso le possibilità di arrivare lontano sono quasi pari a zero (i casi di grossi bestseller partiti da un’autopubblicazione sono così pochi da risultare praticamente irrilevanti ai fini statistici: sono le classiche eccezioni che confermano la regola), ma può rappresentare una scelta, e va rispettata. Certo, se arrivi all’autopubblicazione dopo essere stato rifiutato da cento editori, sarebbe il caso che prima tu dessi un ulteriore sguardo al tuo manoscritto. Una volta gli editori erano dieci. Essere rifiutato da dieci editori può voler dire che stanno sbagliando. Se sono in cento, a dirti di no, è probabile che tu debba riconsiderare ciò che hai scritto.

Marco Malvaldi
Sugli editori a pagamento, sarò brutale: tutto il male possibile. L’editore è uno che sceglie, e in un mondo in cui il cinquanta per cento degli abitanti ha un romanzo nel cassetto questa è una mera pratica di circonvenzione di incapace. Per l’autopubblicazione, se una persona  è consapevole che lo fa solo per motivi pratici (spedire ad un editore, o regalarlo agli amici) perché no? 

Paolo Pasi
Sono molto scettico sulla prima. Un editore che si fa pagare non è disposto a rischiare, e dunque non credo possa sostenere con convinzione un libro che pubblica. Meglio allora pubblicarsi a proprie spese, a patto che un autore creda fermamente in se stesso e abbia energie sufficienti per farsi conoscere. 

Fabio Bartolomei
C'è un equivoco che va avanti da anni. Chiunque chieda denaro per stampare un libro non fa Editoria a pagamento, fa tipografia. Se proprio ci si vuole togliere la soddisfazione di vedere il proprio romanzo stampato e rilegato, è molto meglio rivolgersi a un tipografo vero, orgoglioso del suo mestiere, e autopubblicarsi. 

Simona Baldelli
Non mi sento di demonizzare chi sceglie l’autopubblicazione per cercare di emergere. Vorrei solo un po’ più di onestà da parte delle case editrici. Credo che sarebbe molto più rispettoso, non solo per gli scrittori ma specialmente per i lettori, se sulla copertina ci fosse una segnalazione che indica se il libro è stato acquistato dalla casa editrice oppure se lo scrittore ha pagato per essere pubblicato. 
Ad, esempio, una piccola casa editrice la Zero91, sta facendo una campagna di sensibilizzazione molto importante su questo argomento ed ha creato un logo, che qui ti allego, che potrebbe essere inserito sulle copertine dei libri che non sono stati pubblicati con il finanziamento diretto dello scrittore. Spesso i libri editi con il sistema dell’autopubblicazione, non hanno subito nessuna selezione, sono fatti a volte senza cura, non hanno avuto editing, correzione di bozze, sono pieni di errori, strafalcioni, non tutti, chiaro, ma la maggior parte sono così, poiché è chiaro che vengono pubblicati non perché un editore crede ed investe su un autore, ma perché rappresenta semplicemente un “business”. I lettori dovrebbero sapere tutto ciò. E poi scegliere.

Paolo Cognetti
Spero che l'autopubblicazione uccida definitivamente l'editoria a pagamento, che è una truffa: ora almeno, se uno proprio ci tiene, il libro se lo pubblica da solo senza dare soldi a nessuno. Dopodiché, penso che il ruolo dell'editore sia fondamentale. Come quello del libraio, di nuovo. E del critico letterario. Sono come setacci che filtrano tutta la sabbia che c'è, e ogni tanto, se va bene, trovano una pepita d'oro.  

Stefania Bertola
Un mio grande desiderio è non consigliare niente agli aspiranti scrittori. Ma proprio dovendo, ora come ora mi pare che il sistema migliore per verificare se quello che scrivi interessi a qualcuno siano tutte le varie forme di auto pubblicazione on line. Gli o le direi: “Scrivi, scrivi, non mandare da leggere a me per favore, scrivi, scrivi, pubblica online e vedi che succede. E fai concorsi, tutti i concorsini e concorsetti che trovi, è matematico che se vali qualcosa prima o poi qualcuno se ne accorge.”
Editoria a pagamento, niet. Autopubblicazione, ho già risposto.

Sandro Bonvissuto
L’editoria a pagamento è come il sesso a pagamento, puoi conquistarti una donna o pagarla (o anche un uomo), e per rimanere nell'ambito delle abitudini sessuali credo che l’autopubblicazione sia come l’autoerotismo. Comunque niente che non rientri nelle umane cose.

Fabio Stassi
Ne penso male. Questo sì, posso consigliarlo, di non pagare mai per pubblicare. Ci sono banditi che hanno costruito fortune sulle ambizioni sbagliate della gente. L’autopubblicazione è invece una cosa privata. Ognuno può stampare, anche con la propria stampante, un dattiloscritto, magari solo per farlo leggere agli amici. Ma è un’altra cosa. Nell’epoca delle foto digitali, come dice Busi, si fanno migliaia di scatti e non ce n’è uno che si salvi. Allo stesso modo, non si dovrebbero scrivere romanzi con la stessa facilità. Ma avere più attenzione, più pudore, più cura. La letteratura è un antidoto all'egocentrismo, una dichiarazione di guerra all’autocompiacenza. Una volta, una scrittrice cilena mi ha detto che si scrive per il proprio disonore, non per il proprio onore.

Alessio Torino
Dell’editoria a pagamento – parlo della narrativa – penso tutto il male possibile. Nel lungo periodo di tempo in cui sono rimasto sommerso, mi sono sempre detto che avrei fatto più bella figura con me stesso ad accettare di aver fallito in qualcosa, più che riuscirci pagando. 

Il parere sull'editoria a pagamento mi sembra essere abbastanza univoco e coincide con il mio. L'editoria  a pagamento non è editoria, pagare un editore per pubblicare non può essere di alcuna soddisfazione perché è evidente che si tratta solo di una questione economica. Una truffa legalizzata, una circonvenzione di incapace... trovo che la metafora usata da Sandro Bonvissuto sia estremamente efficace.
Per quanto riguarda l'autopubblicazione, c'è chi lo vede come un buon strumento per emergere, un sistema che potrebbe portare dei frutti in un'epoca in cui si pubblica davvero troppo, ma anche chi lo considera invece una forma di autocompiacimento (o di "autoerotismo" come dice, ancora una volta, Bonvissuto). Dai più viene vista come un'alternativa sicuramente migliore dell'editoria a pagamento, ma comunque non sempre efficace.

Voi che ne pensate?

17 commenti:

  1. Concordo pienamente con il tuo pensiero e con quello degli autori intervistati: l'editoria a pagamento non deve essere una strada perseguibile da parte degli autori emergenti perché non gli porterà mai alcun beneficio. Sceglierei l'autopubblicazione (è vero che vengono meno alcune tappe fondamentali del lavoro editoriale) per evitare di cadere in mano agli "strozzini".
    Spesso si scoprono astri nascenti spesso ignorati dall'editoria tradizionale.
    Concludo, sono un tantino più a favore di te all'autopubblicazione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti dirò, sull'autopubblicazione sono più che altro perplessa... ma forse anche perché non ho mai letto alcun libro autopubblicato. Ho visto solo qualche spezzone, qualche pubblicità, che mi hanno lasciata un po' basita e quindi sono molto diffidente.
      Ma mi rendo conto che potrebbe anche essere un canale per farsi scoprire!

      Elimina
  2. Sono completamente d'accordo con tutte le opinioni proposte sull'editoria a pagamento.
    In realtà penso maluccio anche dell'autopubblicazione, a meno che si tratti di manuali o cose del genere... Un romanzo no, dai, che tristezza. O meglio, io non lo leggerei ugualmente.
    Posso forse capire uno che lo faccia dopo moltissimi tentativi vani di essere pubblicato, ma se uno lo fa al primo rifiuto no...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io conosco diverse persone che si autopubblicano senza nemmeno provarci con le case editrici! E che poi quando chiedi ti dicono "eh, ma ormai le case editrici ti pubblicano solo sei sei raccomandato". E' quello che mi lascia parecchio perplessa dell'autopubblicazione...

      Elimina
    2. Esatto, la cosa brutta è proprio quando non si tratta di una presa di coscienza bensì di una sconfitta in partenza... Ormai queste autogiustificazioni si usano in ogni ambito della vita.

      Elimina
  3. Anch'io sono d'accordo con gli autori intervistati e con la tua sintesi e mi complimento con te per l'eleganza con cui hai presentato una questione che spesso viene purtroppo affrontata con toni troppo accesi e un registro lessicale non sempre rispettabile. Sono più che contraria all'EAP e per questo sono stata anche criticata da alcuni responsabili di case editrici di questo genere come una che parla senza conoscere i meccanismi editoriali, ma mi pare che i personaggi che hai intervistato, pur essendo completamente calati nel mondo dei libri, convengano con il mio parere di "ignorante": ulteriore motivo di orgoglio per me che ho sempre sostenuto il carattere truffaldino dei contratti a pagamento.
    Un editore investe, altrimenti è un tipografo. Quanto all'autopubblicazione, è decisamente più onesta e comprensibile, in quanto ritengo che ciascuno possa spendersi in questo senso come meglio crede, avendo però la consapevolezza della mancanza dei filtri di cui parla Cognetti. A questo punto, se uno scrittore vuole mettersi in gioco, tanto vale che lo faccia in prima persona senza pagare altri che non credono minimamente nel progetto, qualunque sia poi l'esito della sua avventura...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' un argomento quello dell'editoria a pagamento che fa sempre scaldare un po' gli animi e che alza i toni... e alla fine la discussione vera e propria sparisce un po'.

      Un editore a pagamento ovviamente difenderà sempre il suo lavoro, ma sotto sotto sono convinta che anche loro sappiano quanto poco valgono, nella maggior parte dei casi almeno, i libri che pubblicano. O almeno sanno che non verranno considerati allo stesso modo di romanzi pubblicati free.
      L'autopubblicazione è decisamente più onesta... ma a livello di risultati non so bene quanto cambi...

      Elimina
  4. Vabé, niente da aggiungere né al post né ai commenti sotto.
    L'eap è il male in terra e si sa, l'autopubblicazione... ecco, per quanto io la accetti come alternativa in determinate situazione, ancora non riesco bene a entrare nell'ottica di chi la sceglie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco, esatto. Non riesco a comprendere le motivazioni di chi sceglie l'autopubblicazione, soprattutto di quelle persone che prima non provano nemmeno a contattare un editore

      Elimina
    2. No EAP tutta la vita, e su questo siamo d'accordo.
      Però ci sono alcuni tipi di testo che per forma e contenuti (vedi i pamphlet di settore) non riescono a trovare altro sbocco. Il self-publishing, in questo caso, è una soluzione perfetta.
      Dipende molto dal libro secondo me: un romanzo autopubblicato non mi fa molto gola, mentre di saggi autopubblicati ne leggo un bel po' senza problemi.

      Elimina
    3. Vero sì, per quanto riguarda l'autopubblicazione bisogna fare una distinzione di testi e di intenti. Io ho ragionato solo in funzione dei romanzi... per certi saggi l'autopubblicazione è forse una delle uniche forme possibili

      Elimina
    4. Mmmh, io in realtà capisco di più quelli che non contattano neanche l'editore ma decidono anzi di fare tutto da soli per potersi gestire meglio. Che magari hanno già un loro discreto seguito, si fanno due conti e preferiscono così. Invece quelli che ricevono millemila rifiuti e poi si autopubblicano senza cambiare niente, 'nzomma...

      Elimina
  5. Non spendo parole sull'EAP che è Il Male e mi sembra siamo tutti sulla stessa lunghezza d'onda.

    Sul self-publishing invece...

    Ho avuto la fortuna di incrociare per caso una scrittrice che si autopubblica, non so precisamente la sua storia; a grandi linee so che non ha mai avuto riscontri dalle case editrici contattate e poi ha scoperto la funzione KDP della Amazon (giusto per non fare nomi). Devo ammettere che a seguito della lettura dei suoi libri mi è sorta spontanea una domanda: com'è possibile che vengano pubblicati certi "aborti letterari" e vengano non considerate altre piccole perle?

    Ora, mi rendo benissimo conto che non sono una editor, che conosco poco il funzionamento del mercato, che sono una mera lettrice e blablabla, ma possibile che si sia fatto tanto scalpore per un libercolo (che diciamocelo, non avesse trattato temi pruriginosi non avrebbe avuto motivo di esistere) e altri meritevoli di pubblicazione vengano invece non considerati degni di riscontro?

    Considerare il self publishing "strumento per emergere" piuttosto che "autoerotismo" (definizione per altro azzeccatissima, secondo me) penso dipenda molto dai propri incontri, fortunati o sfortunati, sul campo.

    Insomma, tutto questo papiro per dire che il self-publishing è un'area spinosa che oltre a sòle clamorose può nascondere gioiellini...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credo che il problema principale dell'autopubblicazione sia che in mezzo ci trovi di tutto, dagli scrittori davvero bravi a quelli che pubblicano per il proprio ego, incuranti della qualità della loro opera. Purtroppo, da quel poco che ho visto io, i secondi superano e schiacciano i primi, facendo quindi nascere parecchio pregiudizi (almeno per quanto mi riguarda) su questa forma di pubblicazione.

      Sul discorso degli "aborti letterari", bisogna tener presente anche le questioni di marketing, per quanto possano risultare irritanti... Chi pubblica ci ha visto qualcosa, magari non la qualità letteraria, ma la possibilità di guadagnarci. E le sfumature, purtroppo, lo hanno dimostrato...

      Elimina
  6. Fermo restando che l'EAP dovrebbe essere altro, ovvero un servizio editoriale per un pubblico ristretto anziché la truffa che è - o era, perché spero che con la possibilità di pubblicarsi a zero spese convogli in questa direzione tutta la vanity press che purtroppo esiste, inutile negarlo.
    Riguardo gli autori autoprodotti, mi sembra riduttivo pensare al "romanzo". Magari è un limite della cerchia di scrittori che seguo, ma l'impressione è che il formato di maggior successo è quello "agile", che vive a metà fra il racconto e la novella. Quello che, in altre parole, è penalizzato dal cartaceo. (Penso al digitale perché per autopubblicarsi su carta ci si rimette un rene, se penso a quanto ho speso per stampare la mia tesi!) Stavo giusto leggendo su un libro di come la fantascienza, per esempio, dall'epoca d'oro delle riviste alla diffusione del paperbak. Dal predominio di racconti e di storie seriali (magari poi messe insieme in una fix-up novel) alla produzione di romanzi di lunghezza compresa in 200-300 cartelle. La pubblicazione di Dune ruppe una consuetudine e da allora si pubblica nei formati più vari, anche se la narrativa breve ha gradualmente perso gli spazi. Oggi ci sono molte testate solo digitali, e naturalmente le autoproduzioni o pubblicazioni per editori nativi digitali.
    Mi sono accorto che sto mischiando due commenti su due post differenti. Proverò a fare un fix-up anche qui! :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Parlare solo ed esclusivamente di romanzo è sicuramente un limite mio, dettato molto dall'ignoranza. Per dire, io non leggo fantascienza, quindi non vado a cercare i singoli racconti autopubblicati... e credo che sia una forma scelta soprattutto in questo genere.

      Ovviamente le testate digitali o gli editori nativi digitali sono un'altra cosa e, per me, non rientrano nel concetto di autopubblicazione (io penso ad amazon, a il mio libro e simili)

      Elimina
    2. Scusa, era un ragionamento incompleto. Volevo dire che il medium, in una certa misura, determina i contenuti e la forma delle storie che ci vengono raccontate, non solo il formato. Ma come dicevo, ho messo insieme due discorsi, poiché sono in realtà strettamente connessi. La mia opinione stretta sull'autoproduzione è chiara: come per qualsiasi altro libro, è di qualità se ci viene fatto un lavoro di qualità. Se carico il mio file word che non ha letto nessuno, non c'è qualità. Se trovo chi me lo impagina, chi si occupa di illustrazioni e di editing, è qualcosa che non ha nulla di meno di un'edizione tradizionale. Solo che certe cose gli editori non le pubblicano. Credo inoltre che autoprodursi sia una faticaccia, molto più che presentare il manoscritto, semplicemente perché ti accolli un doppio lavoro: quello dello scrittore e quello dell'editore.

      Elimina