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venerdì 14 maggio 2010

CAVALLI SELVAGGI- Cormac McCarthy

Texas, 1949. Lacerato ogni legame che lo stringeva alla terra e alla famiglia, John Grady Cole sella il cavallo e insieme all'amico Rawlins si mette sull'antica pista che conduce alla frontiera e più in là al Messico, inseguendo un passato nobile e, forse, mai esistito. Attraverso la vastità di un territorio maestoso e senza tempo, i due cowboy, cui si aggiunge il tragico e selvaggio Blevins, intraprendono un viaggio mitico che li porterà fin nel cuore aspro e desolato dei monti messicani. Qui la vita sembra palpitare allo stesso ritmo dei cavalli bradi e gli occhi di Alejandra possono "in un batter di cuore sconvolgere il mondo". Con una narrazione che all'asciuttezza stilistica di Hemingway unisce la ritmicità incantatoria di Faulkner, McCarthy strappa al cinema il sogno western e lo restituisce, con sorprendente potere evocativo, alla letteratura.


Non so se è per il genere (il western non è esattamente il mio genere preferito, nemmeno trasposto negli anni '50) o per lo stile dell'autore, molto molto particolare, ma questo romanzo non mi ha entusiasmato. Soprattutto le 50 pagine iniziali, in cui si fatica entrare nella storia e a capire chi siano i veri protagonisti, e le 50 pagine finali, dove ci sono solo cavalli, cavalli e ancora cavalli. Le circa duecento pagine centrali non sono male, quando viene narrata la vita dei due amici (che dovrebbero avere solo 17 anni, ma la descrizione che ne fa l'autore non è molto realistica secondo me) in questa fattoria messicana, con annessa storia d'amore, così come le successive avventure in prigione. Forse mi ero caricata di troppe aspettative. O forse semplicemente lo stile diretto e asciutto di McCarthy, che lascia troppe cose in sospeso senza fornire spiegazioni, non fa per me.
Detto questo però, non me la sento nemmeno di sconsigliarlo perchè mi rendo conto di quanto si tratti di una cosa soggettiva (è indiscusso infatti che il ritratto western fatto da Cormac sia molto bello e realistico, così come che il suo stile possa piacere molto). Vedete voi insomma.

Nota alla traduzione: ci sarebbero un sacco di cose da scrivere su questa a mio avviso pessima traduzione. Ripetizioni continue (non posso escludere che siano volute dall'autore, anche se alcune sono veramente ma veramente pessime), cacofonie continue e utilizzo di parole alquanto discutibili. E poi la scelta di lasciare in spagnolo alcuni discorsi tra i vari personaggi... scelta obbligata, per carità, ma che andava in qualche modo compensata perchè non tutte le cose possono essere facilmente capite anche da chi non sa lo spagnolo. Insomma, da rivedere.

1 commento:

  1. ecco.. io avrei lasciato il libro a metà... come ho fatto con il gattopardo e i dialoghi in siciliano...

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