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giovedì 31 marzo 2016

I bookblog di marzo si vestono di nuovi colori... e di tanti libri!

E siamo arrivati anche alla fine di marzo. Finalmente c'è l'ora legale, le piante sono piene di fiori, il sole quando c'è è già bello caldo e permette le prime letture sul balcone, e questo fine settimana c'è il Book Pride a Milano, l'evento che dà un po' il via alla mia stagione di fiere del libro.

Ma pensiamo al mese che sta finendo. Un mese di letture, come sempre, e anche di qualche incontro. E partiamo subito da quello che da gennaio è diventato un appuntamento mensile fisso e che lo sarà fino a giugno, ovvero Una valigia di libri. Nell'incontro di questo mese, che si è tenuto il 19 marzo, protagonista era la letteratura centro e sud americana. È stato proprio un bell'incontro, ricco di suggerimenti (tantissimi suggerimenti, virtuali e dal vivo) e di spunti di riflessione, ma anche di chiacchiere. Non vedo davvero l'ora che arrivi il 16 aprile per il nuovo appuntamento (destinazione: Asia).

Pochi giorni dopo, il 22, sono invece andata con la mia amica Barbara alla presentazione del nuovo romanzo di Jonathan Coe, Numero undici, alla Scuola Holden di Torino. Avevo già assistito in passato a un incontro con questo autore, ad Alba durante la sagra del tartufo, e avevo proprio voglia di risentirlo. Che dire? Un bellissimo incontro e, soprattutto, una bellissima persona lui. Ci ho anche chiacchierato un po' durante il firmacopie ed è stato proprio emozionante.

Segnalo poi anche la puntata di questo mese di Casa Rampante, Tamponamenti, e il fatto che in questi giorni esce terzo libro tradotto da me, La guerra del marketing (non so se mi abituerò mai all'emozione che si prova vedendo il proprio nome all'interno di un libro).

E ora passiamo ai libri. Un mese di letture e riletture, otto in tutto, con qualche grande scoperta e qualche piccola delusione.
Le letture del mese meno La parte divertente, che ho restituito prima di fare la foto

BENEDIZIONE - Kent Haruf: la prima lettura del mese è stata una grande, grandissima lettura. Pubblicato in Italia da NN editore, con la traduzione di Fabio Cremonesi, Benedizione di Kent Haruf è un libro semplicissimo e dolorosissimo. Assolutamente da leggere.

LA PARTE DIVERTENTE - Sam Lipsyte: una raccolta di racconti, per amanti del genere, che più che divertenti definirei grotteschi... come la società che criticano. Pubblicato da minimum fax con la traduzione di Anna Mioni.

SANGUE NEGLI OCCHI - Lina Meruane: edito da laNuovafrontiera, con la traduzione di Luca Mariotti, questo libro è stata una grande rivelazione di questo mese. La storia è quella di una donna che diventa cieca e fatica ad abituarsi a questa condizione. Incredibile soprattutto lo stile dell'autrice.

L'ERA DI CUPIDIX - Paolo Pasi: le edizioni Spartaco, e Paolo Pasi in particolare, sono per me garanzia di editoria italiana indipendente di qualità. E L'era di Cupidix, che racconta di un mondo dove i sentimenti vengono regolati da pastiglie, ne è l'ennesimo esempio.

SCENDE LA NOTTE TROPICALE di Manuel  Puig: la mia prima rilettura dopo anni che non lo facevo. Pubblicato da Sellerio, con la traduzione di Angelo Morino, Scende la notte tropicale di Manuel Puig è un libro bellissimo che ha segnato i miei anni universitari. La storia di due anziane sorelle, raccontata solo tramite dialoghi e lettere.

CAFÉ JULIEN - Dawn Powell: eccola qua, la delusione del mese. Da questo libro, edito da Fazi e tradotto da Silvia Castoldi, mi aspettavo davvero tantissimo. Forse troppo, al punto da aver un po' condizionato la lettura, che si è rivelata lunga e faticosa. Peccato.

NUMERO UNDICI - Jonathan Coe: eh niente, il Jonathan Coe che tutti i suoi fan stavano (ok, stavamo!) aspettando è davvero tornato. Pubblicato sempre da Feltrinelli, con la traduzione di Mariagiulia Castagnone.

GIRL RUNNER - Carrie Snyder: pubblicato da Sonzogno con la traduzione di Gioia Guerzoni, questo libro è stata la seconda grande rivelazione di questo mese. Per fortuna non mi sono fermata al titolo e alla copertina, ma ho letto anche i commenti della critica e ho letto il libro. Che si è rivelato molto intenso e coinvolgente. Anche se non amate correre.

Il vostro marzo come è stato? Quali libri avete letto?

martedì 29 marzo 2016

GIRL RUNNER - Carrie Snyder

Ricordo che sussurravo la parola indistruttibile mentre correvo o quando sentivo arrivare un grande dolore, ma lo ripetevo perché sapevo di non esserlo. Non ho mai corso perché ero forte, se capite cosa intendo. Non era la forza che mi rendeva un'atleta, era il desidero di essere forte.
Correvo per coraggio. Lo faccio ancora, anche se è solo nella mia mente.

Non sono mai stata molto sportiva. Mi piace nuotare e pattinare, ma non lo faccio poi così spesso, in realtà. E andare a correre è forse l’attività fisica che odio di più. Ci avevo provato, qualche anno fa, a farlo con una certa costanza, ma non sono mai riuscita ad appassionarmici (troppa fatica, troppo sudore, troppo dolore alle gambe dopo). So che mi farebbe bene, che è uno sport quasi a costo zero e, vivendo in campagna, avrei anche molte strade poco trafficate in cui andare. Ma no, mi spiace, proprio non ci riesco.

Quando mi è stata proposta la lettura di Girl Runner di Carrie Snyder, romanzo da poco uscito per la casa editrice Sonzogno con la traduzione di Gioia Guerzoni, il primo pensiero è stato che qualcuno mi stava facendo uno scherzo. Oppure che volesse provare a convincermi a correre passando tramite l’attività che amo di più, la lettura. Sono stata molto indecisa se leggerlo o meno, devo dire la verità. A convincermi è stata una frase che ho letto a proposito di questo romanzo, scritta in una recensione pubblicata su Star Tribune, che lo paragonava a Olive Kitteridge di Elizabeth Strout. Ok, allora non è solo il libro di una che si mette a correre e corre per 280 pagine. Ci deve essere sicuramente qualcosa di più.

Girl Runner racconta la storia di Aganetha Smart, che nel 1928 conquistò la medaglia d’Oro alle Olimpiadi negli 800 metri. Correva fin da quando era bambina, Aganetha, tra un lavoro di campagna e l’altro, da sola o insieme a tutte le sue sorelle. Poi è cresciuta, e ha continuato a correre, con dei vecchi scarponcini che le rovinavano i piedi e poi via, veloce come il vento, con delle scarpe vere e su una pista vera. E poi ha vinto, è diventata famosa, allontanandosi da quella sua numerosa famiglia e da quasi tutti i problemi che le aveva sempre portato. Ma poi la disciplina è stata abolita e la sua vita è tornata quella di prima. Fino ad aver seppellito tutti i famigliari e con essi tutti i ricordi, gli scandali, le gioie e i dolori. Fino a 104 anni e a quella casa di riposo che non sa che lei correva e che ancora lo fa nella sua mente. Ma forse anche a 104 anni, anche su una sedia rotelle, anche con una voce fioca che a volte non riesce a farsi sentire, c’è ancora tempo per un’ultima corsa.

Girl Runner è stata una lettura inaspettatamente bella. Inaspettatamente, perché come dicevo all’inizio temevo fosse un libro incentrato principalmente sulla corsa. E in parte lo è sicuramente, perché Aganetha (che è un personaggio inventato, anche se fino a che non lo si legge nella nota finale dell’autrice non ce ne si rende conto) corre, corre sempre, nella pista, certo, ma anche nella sua vita. 
Una saga famigliare che in realtà parla di una sola generazione, che parte dai primi anni del Novecento in Canada, quando si moriva ancora di epidemie, o di parto, o di aborto clandestino, o, molto semplicemente, in guerra, e arriva fino a oggi.

Carrie Snyder è stata bravissima a creare questo personaggio e tutta la sua incredibile famiglia di contorno; è stata brava a mettere su carta, oltre alla corsa, alle Olimpiadi e al ruolo e alla considerazione delle donne nello sport di quegli anni, anche altri argomenti difficili da affrontare per l’epoca; è stata brava a saltare tra passato e presente senza generare confusione, ma creando un meccanismo perfetto. Quello che ne è venuto fuori è un libro coinvolgente e bellissimo.

Voglia di andare a correre Girl Runner non me l’ha fatta venire, questo no. E forse è proprio per questo motivo che lo consiglio a tutti, anche ai più pigri, anche a quelli che come me a prima vista, per il titolo (che non poteva comunque essere diverso, secondo me) e per la copertina (con la bella illustrazione di Maria Cecilia Azzali… e non ricordo se vi ho già detto quanto io adori queste nuove copertine Sonzogno), avevano pensato non facesse per loro. Sono sicura che vi stupirà, proprio come ha stupito me.


Titolo: Girl Runner
Autore: Carrie Snyder
Traduttore: Gioia Guerzoni
Pagine: 281
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Sonzogno
Prezzo di copertina: 16,50€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Girl runner
formato ebook:Girl runner (Romanzi)

venerdì 25 marzo 2016

NUMERO UNDICI - Jonathan Coe



Sebbene io abbia finito Numero undici di Jonathan Coe, pubblicato sempre da Feltrinelli con la traduzione di Mariagiulia Castagnone, già qualche giorno fa, ho preferito far passare un po' di tempo prima di mettermi a scriverne la recensione. Il perché, se avete seguito blog e pagina in questi giorni, credo si sia capito. Adoro questo scrittore. Di lui comprerei anche la lista della spesa. Lo adoro come scrittore e come persona, per quel poco che ho avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi tweet e i suoi articoli. Quindi, ho voluto aspettare per fare in modo che questa recensione sia il meno possibile influenzata dall'entusiasmo di averlo incontrato qualche giorno fa. Ma ora credo che il momento giusto sia arrivato.

La prima cosa da dire a proposito di Numero undici di Jonathan Coe è che il Jonathan Coe che tutti noi che abbiamo amato La casa del sonno, Circolo chiuso e La famiglia Winshaw, è tornato. Davvero. Chi, come me, ha letto tutti i suoi libri sa perfettamente cosa vuol dire: dopo il drastico cambiamento di stile in I terribili segreti di Maxwell Sim e, soprattutto, la delusione di Expo 58, tutti stavamo aspettando con ansia un nuovo romanzo di quest'autore che ritornasse al suo stile passato.
E Numero undici lo fa, con una critica feroce della società moderna e delle sue assurdità, attraverso uno stile che unisce il comico e il tragico, con qualche punta anche gotica, come solo Jonathan Coe sa fare.

Il romanzo si compone in realtà di cinque racconti, legati da diversi fili conduttori (tra cui, appunto, il ricorrere del numero undici), ma che potrebbero tranquillamente esistere anche da soli. In ognuno di essi, Jonathan Coe affronta diversi argomenti della società moderna: si parte con la storia di un'estate di due ragazzine, Rachel e Allison, che non capiscono la reazione dei nonni di fronte al suicidio di David Kelly, lo scienziato britannico che aveva smascherato le bugie di Tony Blair sulla guerra in Iraq. Una perdita dell'innocenza che subito dalle due non viene nemmeno capito, in quanto sono troppo prese dal mistero di quella strana donna che abita la villa vicino al bosco. Il secondo racconto, che è quello che più in assoluto ho preferito, parla della madre di Alison, astro ormai decaduto della musica britannica che, per riscattarsi ma soprattutto per bisogno di soldi, decide di partecipare a un reality show, in cui verrà sottoposta alle prove fisiche più dure ma soprattutto a una grande corrente d'odio, come solo i social network sanno creare. Poi si passa al tema delle ossessioni che possono condizionare la vita, nella storia della professoressa di Rachel e di suo marito. Il penultimo racconto è quello in cui torna effettivamente la famiglia Winshaw, la protagonista del primo romanzo dell'autore, che già veniva citata nelle storie precedenti, e che parla di premi, di raccomandazioni e di giornalismo. La raccolta si conclude con un racconto un po' gotico, forse il più destabilizzante dei cinque, tra datori di lavoro ricchissimi, enormi ville che si sviluppano sottoterra e strani passi che si odono nella notte.

Numero undici è una raccolta di racconti che messi insieme formano un romanzo. Un grande romanzo, in cui prende alcuni degli elementi propri della nostra società e li distrugge. Come? Semplicemente mettendoli su carta, descrivendoli per quello che sono, facendo così aprire gli occhi al lettore.
Questo libro mi è piaciuto, mi è piaciuto tanto. E sono abbastanza sicura (per non dire sicurissima) che il mio amore incondizionato per Coe non c'entri niente con questo giudizio positivo. C'entrano la sua scrittura, il suo stile, il suo modo di criticare senza fare sconti a nessuno, risultando in un ritratto fedelissimo del mondo di oggi.

Insomma, Numero undici di Jonathan Coe è un libro da leggere. Che amiate Coe oppure no.


Titolo: Numero undici. Storie che testimoniano la follia.
Autore: Jonathan Coe
Traduttore: Mariagiulia Castagnone
Pagine: 382
Anno di pubblicazione: 2016
Editore: Feltrinelli
ISBN: 978-8807030550
Prezzo di copertina: 19€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Numero undici

mercoledì 23 marzo 2016

Incontrando... Jonathan Coe alla Scuola Holden di Torino

Ieri nel tardo pomeriggio sono andata a Torino alla Scuola Holden per assistere alla presentazione del nuovo romanzo di Jonathan Coe, Numero Undici, appena uscito per Feltrinelli.
Devo dir la verità, inizialmente non ci volevo andare. Un po’ per pigrizia, un po’ perché “cavolo, devo farmi 40 km in auto da sola ad andare e altrettanti a tornare, e poi è in una zona di Torino che non conosco”, un po’ perché “ma mica ci posso andare da sola”. Poi però ho iniziato a leggere il libro, sabato sera.  Ho iniziato a pensare “quasi quasi”, poi qualcuno mi ha detto che se ci sono i Metallica in zona si devono andare a sentire a prescindere dai km da percorrere (ok, io personalmente i Metallica non so se andrei mai a sentirli, però era per dire…), poi qualcun altro mi ha detto “se non ci vai, sei scema, visto come stai divorando quel romanzo” e, infine, una mia amica mi ha detto che se fossi andata lei sarebbe venuta molto volentieri (grazie Barbara!)… e quindi, insomma, eccomi qui a parlarvi dell’incontro. 


Non ero mai stata alla Scuola Holden prima di ieri, né nella sua sede vecchia né in questa maestosissima sede nuova, in piazza Borgo Dora. Una zona di Torino che, almeno all’apparenza, non è tanto bella, diciamo la verità. Sono scesa dall’auto e in tre mi hanno chiesto dei soldi e uno è andato a fare pipì contro a un cassonetto vicino a dove avevo parcheggiato. 
Poi però ho varcato la porta della Scuola e sono entrata in un altro mondo. Bello il cortile interno, bella la sala dove si è tenuta la presentazione e bella  e molto intellettuale l’aria che si respirava.
Mi sono seduta in seconda fila, tenendo il posto occupato per la mia amica (aaaah i mezzi pubblici torinesi), e subito sono stata abbordata da due buffe signore sedute accanto a me che hanno iniziato a raccontarmi che fanno parte di un gruppo di lettura e che, al termine di ogni libro letto, invitano l’autore a parlare e l’autore solitamente ci va (non so se fossero lì per invitare Coe o per cazziarlo per non esserci andato).
Poi, finalmente (in realtà era puntualissimo), è arrivato Jonathan Coe. 



Durante la presentazione si è parlato principalmente solo dell’ultimo romanzo, Numero Undici appunto. Romanzo che ho terminato ieri in pausa pranzo e di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Si è parlato della sua struttura, di questo ricorrere del numero undici che, insieme ad altri elementi, unisce un po’ il tutto (questo è il suo undicesimo romanzo, tra le altre cose), del ritornare di La famiglia Winsham, suo primo romanzo pubblicato in Italia nel 1995, e di come inizialmente lui non avesse pensato a un vero e proprio sequel, ma che poi la scrittura e le intenzioni, ovvero di fare una satira politica e sociale del Regno Unito di oggi, lo abbia riportato in qualche modo lì, a quella famiglia e a quei personaggi. 
Si è parlato di scrittura, ovviamente, e di come la scuola Holden abbia svolto in passato un certo ruolo nella sua scelta di dedicare un intero capitolo del libro a dei personaggi adolescenti (qualche anno fa era stato invitato dalla scuola a tenere una sorta di corso di riscrittura, in cui si doveva prendere una storia per ragazzi classica e trasformarla con un linguaggio moderno… lui aveva scelto I viaggi di Gulliver, uno dei suoi libri preferiti in assoluto), ma anche di serie TV (lui è un fan sfegatato di Downtown Abbey), di ossessioni personali (tema ricorrente nei suoi libri: c’è in Numero Undici, c’era in La famiglia Winsham e c’è in Coe stesso) e del ruolo dei social media nella società moderna («sono utili in alcuni casi, tipo oggi che ho seguito i terribili fatti di Bruxelles tramite twitter, ma sono anche in parte responsabili della perdita di empatia tipica della società moderna»).
Alla fine sì, si è parlato del libro ma a partire da quello e dalle sue tematiche si è parlato anche di tutt’altro. 
E io ho apprezzato tantissimo il suo modo di parlare e il suo fantastico accento inglese, ma anche il suo sense of humor, molto garbato (se non fosse stato per le due buffe signore citate prima che, sentendoci ridere già in lingua originale, ci chiedevano in continuazione di tradurre prima dell’interprete, così potevano ridere prima degli altri anche loro… no, signore, mi spiace, aspettate l’interprete) e il suo prendersi in giro. 

Poi, è arrivato il momento della dedica. 
Allora, io dal vivo sono una persona timidissima con gli sconosciuti. Figuriamoci con uno sconosciuto che parla inglese e che è, tra le altre cose, uno dei miei scrittori preferiti (lo sono anche in italiano con quelli che mi piacciono meno, comunque). Però poi mi sono trovata lì davanti e ho pensato “ma sì, chi se ne frega, io provo a parlargli, alla peggio mi prende per una fan invasata”. Gli ho detto che avevo terminato il libro quel pomeriggio, lui mi ha chiesto se una parte in particolare mi era piaciuta, io gli ho risposto che all'inizio era un po’ strana ma poi quando ho capito sì, lui mi ha detto che era l’effetto che voleva e poi constatato che leggo in fretta. E poi è successo più o meno questo:



«Beh sì, sono una lettrice allenata, perché ho un blog di recensioni e, per quanto possibile, mi piace aggiornarlo di frequente». 
«Davvero hai un blog? E mi segui su twitter?».
«Sì, lei ogni tanto mi mette anche i cuori».
«Ma dai, davvero! Come si chiama?».
«La lettrice rampante».
«Non ho presente al momento, scusami… ma la recensione del mio libro l’hai già scritta?».
«Ci mancherebbe!No, non ancora, l’ho finito oggi e penso la scriverò nei prossimi giorni».
«Dai, bello! Allora mettila in un posto in cui io la possa vedere, che sono curioso».

E alla fine stavo per svenire, ecco.
Poi magari se ne dimenticherà e non la leggerà (non oso immaginare in quanti lo tagghino da tutto il mondo), o ci proverà e non ci capirà niente perché la scriverò in italiano, o boh, qualunque altra cosa. Però chissene frega in realtà…  aver chiacchierato cinque minuti con Jonathan Coe e avergli detto che ho un blog per me è già stato un grandissimo traguardo.

Grazie quindi a chi mi ha convinto ad andarci, a Barbara per la compagnia, le foto e la birra e a Jonathan Coe per essere l'adorabile scrittore che è.

(La recensione di Numero Undici arriverà nei prossimi giorni, poi vi assicuro che dopo quella, fino al prossimo romanzo, questa fase da fan sfegatata e invasata si placherà. Portate pazienza ancora un po’).

martedì 22 marzo 2016

CAFÉ JULIEN - Dawn Powell

"Per quale motivo la gente viene qui?", ribatté Ricky.
Philippe si soffermò per qualche istante a ponderare la domanda. "Perché ci viene da sempre", rispose.

Ancora una volta mi ritrovo a dover iniziare una recensione parlando delle aspettative. Sono una brutta bestia, le aspettative. Soprattutto se non è nemmeno ben chiaro da dove derivino. Bastano davvero una copertina, un bel titolo e una quarta ben scritta per spingere un lettore ad acquistare (o farsi regalare, nel caso specifico) e leggere un libro? Certo, sì. Una bella copertina, un bel titolo e una bella quarta possono fare molto di più nella mente di un lettore: portarlo a immaginarsi qualcosa, a costruirsi nella mente un'idea che poi, molte volte, potrebbe rivelarsi sbagliata e compromettere così la percezione di quello che ha letto.

Questa lunga premessa è per dire che da Café Julien di Dawn Powell, edito da Fazi editore con la traduzione di Silvia Castoldi, mi aspettavo qualcosa di molto diverso. Probabilmente se avessi scritto questa recensione a caldo, anziché "molto diverso" avrei scritto "molto di più". Ma riflettendoci mi rendo conto che parte di questa mia delusione, perché sì una delusione c'è stata, deriva dalle mie aspettative che non so da cosa siano nate.

Come il titolo suggerisce, il romanzo dovrebbe ruotare attorno al Café Julien, un celebre locale newyorchese frequentato da una serie di avventori abituali. C'è chi va lì ogni giorno aspettando l'arrivo del suo amore e chi in cerca di un uomo che la mantenga, chi in cerca di fama e gloria e chi per ripercorrere la vita di un celebre pittore ormai scomparso e per questo ora rivalutato, che era solito frequentare il locale. Tutta una serie di personaggi diversi tra loro, quindi, che ben rappresenta la New York degli anni '40 e i suoi archetipi principali, fotografati nel punto di incontro del Café Julien, che rimane sempre uguale a se stesso nonostante gli anni che passano. Fino a che le vite di tutti i protagonisti in qualche modo si risolvono e il locale sembra non avere più ragione di esistere.

Il grosso problema di questo libro per quanto mi riguarda è che il Café Julien fa solo da sfondo, da punto di passaggio per ognuno di questi personaggi. Per carità, all'inizio del libro e alla fine svolge un ruolo fondamentale, soprattutto per due dei suoi protagonisti, Rick Preston e la sua amata Ellenore, però al centro del libro si perde un po', lasciando troppo spazio agli altri protagonisti quando invece avrebbe dovuto avere un luogo chiave. 
Non voglio dire che Dawn Powell scriva male, questo no. Alcune situazioni sono molto divertenti e ben descritte. C'è qualcosa, però, che non funziona. Come se l'autrice stessa a un certo punto perdesse un po' le fila di quello che stava raccontando (vuoi per i troppi personaggi o per i troppi intrecci) e cercasse in ogni modo di recuperarle alla fine.

Quella di Café Julien è stata una lettura molto più faticosa di quanto pensassi, soprattutto nella parte centrale (a un certo punto, a circa 150 pagine dalla fine, ho addirittura pensato di mollare tutto). Un po' si riprende nel finale, questo sì, ma sicuramente il libro non è stato all'altezza delle eccessive aspettative che avevo nei suoi confronti.

Non so quindi dirvi onestamente se sia un bel libro oppure no. Mi ha affaticata e un po' annoiata, questo sì. Ma potrebbe anche essere stata colpa mia.
Peccato.

Titolo: Café Julien
Autore: Dawn Powell
Traduttore: Silvia Castoldi
Pagine: 340
Editore: Fazi editore
Acquista su Amazon:
formato brossura: Cafè Julien

lunedì 21 marzo 2016

UNA VALIGIA DI LIBRI - Resoconto di un viaggio in SUD AMERICA (e un po' anche in Centro)

Sabato 19 marzo si è tenuto il terzo appuntamento di Una valigia di libri, il ciclo di incontri organizzato da me, da Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri e da Stefania della Libreria sulla parola di Caluso, che ci porta in giro per il mondo attraverso i consigli di lettura dei partecipanti.
Destinazione di questo terzo incontro:
Centro e Sud America.


Parto con i ringraziamenti di rito a tutti i partecipanti, e questa volta son ancor più sentiti. Non so per voi, ma per me è stato un pomeriggio bellissimo, fatto di consigli letterari (tanti, tantissimi consigli letterari!), ma anche di chiacchierate, di momenti di condivisione di storie personali, di curiosità scoperte e svelate (e non... ma quanto è divertente formulare teorie assurde?) e di tante, tante risate... ennesima dimostrazione che i libri possono avvicinare persone che altrimenti forse non si sarebbero mai incontrate e, soprattutto, che si può parlare di libri e di letteratura anche senza prendersi troppo sul serio.
Non so se sia stato merito dell'ambientazione sudamericana, molto allegra e vivace già di suo, di quel bel calore che si prova ogni volta che si entra nella Libreria Sulla parola o del fatto che avevamo tutti una grande voglia di essere lì, o, cosa ancor più probabile, di tutte e tre le cose messe insieme... fatto sta che, almeno per quanto mi riguarda, sono state due ore e mezza (sì, due ore e mezza e nemmeno ce ne siamo accorti!) incredibili.

© Claudia - Il giro del mondo attraverso i libri
Quindi, davvero, grazie a tutti coloro che hanno partecipato, presentando libri o anche solo ascoltando, ma anche a chi non è potuto venire e ha voluto comunque mandarci i suoi consigli a distanza.

Ma ora basta smancerie, e passiamo ai veri protagonisti dell'incontro: i libri! Come vi dicevo all'inizio, questa volta i consigli sono davvero tanti. La letteratura centro e sud americana è molto più conosciuta, e soprattutto amata, di quanto pensassi, e questo non può che farmi piacere. (Al mio portafogli forse un pochino meno, ma peggio per lui).

Ecco qui, divisi per paese, tutti i consigli che sono arrivati, fisicamente e virtualmente. Troverete titolo, autore e, tra parentesi, editore. Cliccando sui titoli linkati verrete invece indirizzati alla recensione dei blog che l'hanno consigliato.

ARGENTINA
Santa Evita - Tomás Eloy Martínez (edizioni SUR)
Purgatorio - Tomás Eloy Martínez (edizioni SUR)
Sopra eroi e tombe - Ernesto Sabato (Einaudi)
Il tunnel - Ernesto Sabato (Einaudi)
Scende la notte tropicale - Manuel Puig (Sellerio)
Una frase, un rigo appena - Manuel Puig (Sellerio)
Le reaparecide - Munù Actis, Cristina Aldini, Liliana Gardella, Miriam Lewin, Elisa Tokar (Stampa Alternativa)
Racconti - Jorge Luis Borges
Racconti - Julio Cortázar
Estela Carlotto una nonna di Plaza de Mayo -  Javier Folco (Edizioni a nordest)

BRASILE
Le Valchirie - Paulo Coelho (Bompiani)
Monte cinque - Paulo Coelho (Bompiani)
Cacao - Jorge Amado (Einaudi)
Gabriella garofano e cannella - Jorge Amado (Einaudi)
Doña Flor e i suoi due mariti - Jorge Amado (Garzanti)
Di me ormai neanche ti ricordi - Luiz Ruffato (La nuova frontiera)
Passaporto per il mio corpo - Heloneida Studart (marcos y marcos)
Francobollo d'addio - Heloneida Studart (marcos y marcos)

CILE
2666 - Roberto Bolaño (Adelphi)
Sangue negli occhi - Lina Meruane (La nuova frontiera)
Ho paura torero - Pedro Lemebel (marcos y marcos... dato che è stato un consiglio condiviso, ecco tutte e tre le recensioni: Il giro del mondo attraverso i libri, Una ciliegia tira l'altra, La lettrice rampante)
La casa degli spiriti - Isabel Allende (Feltrinelli)
L'ultimo tango di Salvador Allende - Roberto Ampuero (Mondadori)
Terra del fuoco - Francisco Coloane (Guanda)

COLOMBIA
Nessuno scrive al colonnello - Gabriel García Márquez (Mondadori)
Cent'anni di solitudine - Gabriel García Márquez (Mondadori)
Ilona arriva con la pioggia - Álvaro Mutis (Einaudi)

CUBA
Fragola e cioccolato - Senel Paz (Giunti)

GUATEMALA
Uomini di mais - Miguel Ángel Asturias (Dalai editore)

MESSICO
La morte di Artemio Cruz - Carlos Fuentes (Il saggiatore)
Gli anni di Laura Díaz - Carlos Fuentes (Il saggiatore)
Pedro Páramo - Juan Rulfo (Einaudi)
Dolce come il cioccolato - Laura Esquivel (Garzanti)

NICARAGUA
L'intenso calore della Luna - Gioconda Belli (Feltrinelli)
La donna abitata - Gioconda Belli (edizioni e/o)

PERU
Avventure della ragazza cattiva - Mario Vargas Llosa (Einaudi)
Niente miracoli a ottobre -  Oswaldo Reynoso (Edizioni SUR)
Festa di sangue - José María Arguedas (Einaudi)

SANTO DOMINGO
I gatti non hanno nome - Rita Indiana (NN Editore)

URUGUAY
La vita breve - Juan Carlos Onetti (Einaudi)
La felicità al potere - José Pepe Mujica (EIR)

VENEZUELA
Mi chiamo Rigoberta Menchú - Elizabeth Burgos (Giunti)
Il meraviglioso viaggio di Octavio - Miguel Bonnefoy (66thand2nd)

CENTRO E SUD AMERICA da Nord a Sud
L'ultimo treno della Patagonia - Paul Theroux (Dalai editore)


Per facilitarvi le cose se, come me, non siete esattamente dei geni in geografia, Claudia ha creato una bellissima mappa tramite google maps, in cui potete vedere la localizzazione geografica di ogni libro di cui abbiamo parlato. La trovate qui.


Come potete ben vedere, i consigli sono stati tanti e hanno toccato molte degli stati del Centro e del Sud America.
Il prossimo incontro è fissato per sabato 16 aprile e ci porterà in Asia, dal medio oriente all'estremo oriente, passando per la Cina e l'India fino ad arrivare in Giappone. Come sempre, aspettiamo i vostri consigli, fisici se volete venire in gita a Caluso e trascorrere un bel pomeriggio in compagnia, o virtuali sulle nostre pagine, per essere con noi anche a distanza!

mercoledì 16 marzo 2016

Rileggendo... SCENDE LA NOTTE TROPICALE di Manuel Puig

Di solito deve passare parecchio tempo prima che io rilegga un libro. Non tanto perché non mi andrebbe o perché ho una memoria di ferro che mi consente di ricordami ogni singolo dettaglio anche dopo anni, no, semplicemente per una questione di tempo. Ci sono tanti libri nuovi che devo ancora leggere, che difficilmente riesco a prenderne in mano uno che già ho letto. Al massimo lo sfoglio, di tanto in tanto. Vado a cercarmi una citazione o un passo che mi ricordo che mi erano piaciuti, ma nulla di più.
In passato mi è capitato di rileggere, certo. Cent’anni di solitudine almeno quattro volte, tra lingua originale e traduzione. 1984  e Il Grande Gatsby, anche. E pure gli Harry Potter, sempre usando la scusa della lingua.
È quindi molto strano che io sia qui a parlarvi di un libro che ho già letto. E probabilmente non fosse stato per il nuovo appuntamento di Una valigia di libri dedicato alla narrativa Sud Americana in programma questo sabato, questa rilettura l’avrei rimandata ancora a lungo.

Manuel Puig è forse lo scrittore che più di tutti ha segnato i miei anni di università. Non conoscevo questo autore argentino prima di allora, prima di frequentare i corsi di lingua e letteratura ispano-americana tenuti da Vittoria Martinetto e Angelo Morino, scomparso prematuramente nel 2007, come esami a scelta (se mi era possibile, infilavo ogni anno un esame di ispano-americano nel mio piano di studi), e probabilmente non li avrei mai scoperti (o forse sì, ma non è che di Manuel Puig venga nominato così spesso quando si parla di letteratura Sud Americana).

L’ho conosciuto durante quei corsi, vi dicevo, grazie al suo ultimo traduttore, Angelo Morino, e al confronto che facevamo tra la vecchia traduzione di Enrico Cicogna e la nuova edizione di Una frase, un rigo appena. È stato lì che ho imparato quanto davvero possa invecchiare la lingua e quanto sia necessario ritradurre libri già tradotti in passato.
In particolare ci eravamo concentrati su tre suoi libri: Una frase un rigo appena, appunto (in originale Boquitas Pintadas, e di cosa era successo al titolo vi avevo parlato qui), Il bacio della donna ragno e Scende la notte tropicale, ultimo romanzo di Manuel Puig, pubblicato due anni prima che morisse a seguito delle complicazioni per un banale intervento (che ha voluto fare in una piccola clinica in un piccolo paese, anziché in città, per non allontanarsi troppo dalla madre).


Ognuno di questi tre libri meriterebbe un post a sé, ma oggi vi parlerò solo di Scende la notte tropicale, perché è quello che ho riletto in questi giorni. Ho scelto di rileggere questo forse perché degli altri due avevo ben in mente sia la trama sia le sensazioni, bellissime, che mi avevano lasciato. Di questo invece, non so perché, ricordo solo che lo avevo adorato. Ok, ricordavo anche che aveva due anziane sorelle come protagoniste, ma cosa succedeva di preciso no, mi era completamente passato di mente.




Iniziamo subito con il dire che Scende la notte tropicale è un libro stupendo. Un libro sul finire della vita e su come affrontare quella marea di ricordi che quando si è anziani fanno a gara per occuparci la mente. Protagoniste sono due sorelle, Lucy e Nidia, entrambe argentine, che ora vivono insieme a Rio de Janeiro. Lucy si è trasferita lì anni prima, per seguire il figlio e il suo lavoro. Nidia è solo in villeggiatura, per cercare di riprendersi dalla recente morte della figlia. Le due anziane si distraggono come possono, lasciandosi coinvolgere dalle avventure amorose della vicina di casa. Finchè poi qualcosa nella loro vita che vorrebbero solo la tranquillità degli ultimi anni cambia di nuovo.
I bei ricordi dovrebbero aiutare la gente a vivere, non rattristarla
Al di là della trama, la cosa che più colpisce di questo libro è lo stile di Manuel Puig. La narrazione nella prima parte procede tutta semplicemente con i dialoghi tra le due sorelle. Dai loro racconti, dalle loro osservazioni, dalle impressioni che si scambiano, scopriamo non solo il loro passato, ma soprattutto il loro carattere. Più sognatrice Lucy, più cinica e pragmatica Nidia. Nella seconda, invece, la narrazione è affidata a delle lettere, che le sorelle e i vari protagonisti che ruotano intorno a loro si scambiano, e a dei verbali di polizia. 
La cosa bella è che tutto funziona perfettamente e crea un grandissimo romanzo (come funziona anche in Una frase un rigo appena, in cui questi espedienti narrativi sono elevati all'ennesima potenza... pagine di diario, pagine di giornale, annunci mortuari, pubblicità, canzoni, verbali, mai una parola diretta dell'autore. E anche in Il bacio della donna ragno, in cui i dialoghi sono inframmezzati dai film).

Non credo che Manuel Puig potesse immaginare che Scende la notte tropicale sarebbe stato il suo ultimo romanzo. Eppure, quel senso di vita che si spegne, di presente che vive solo attraverso i ricordi ma al tempo stesso di voglia di vivere ancora (appassionandosi alle storie degli altri), di notte che scende a conclusione del giorno, suona quasi come un commiato.
Peccato che spesso Lucy avesse la sensazione che i bei momenti vissuti non fossero toccati a lei, che li avesse vissuti un'altra.Questo è terribile, ma c'è un'altra cosa ancora peggiore, ed è dimenticarsi completamente di quello che è stato bello e ricordare solo quello che è stato brutto. Allora sì che bisognerebbe uscire di corsa nei campi come fa la povera Wilma e, se si è chiusi un appartamento e fuori piove, bisogna mettersi in fretta a fare qualcosa di utile, se una ce la fa. Se una può ancora rendersi utile. Un lavoro di cucito o un lavoro a maglia, o quello che capita tra le mani. Questa è la salvezza.
Ma per un'analisi più approfondita sul significato del libro, anche in relazione alle opere precedenti dell'autore, vi lascio leggere la nota in fondo al libro di Angelo Morino, che oltre a essere stato un grande promotore di Manuel Puig in Italia, questo libro l'ha anche tradotto. Scoprirete del rapporto molto stretto dell'autore con la madre e di quell'idea di ottimismo che, nonostante tutto, pervade tutto il libro.

Quel che da lettrice vi posso dire è che Scende la notte tropicale è un libro avvolto da un alone di malinconia, di disincanto, ma al tempo stesso di sogni e di speranze, che non dovrebbero morire a nessuna età. Un libro all'apparenza semplice, per il suo stile, per questi dialoghi tra le due anziane protagoniste, ma che racchiude qualcosa di estremamente profondo. La vita e la sua fine.

Da leggere, assolutamente! Prima che finisca nel triste dimenticatoio del fuori catalogo...



Titolo: Scende la notte tropicale
Autore: Manuel Puig
Traduttore: Angelo Morino
Pagine: 279
Editore: Sellerio editore
Acquista su Amazon:
formato brossura: Scende la notte tropicale

lunedì 14 marzo 2016

L'ERA DI CUPIDIX - Paolo Pasi

Ci vuole poco a capire se una storia ha senso o meno, molto di più a uscirne. Quando ti innamori della persona sbagliata, puoi restarci dentro anni. E io non ho la vocazione al martirio.



Credo che sia capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di pensare «Quanto sarebbe bello poter prendere una pillola per potermi innamorare» (o far innamorare qualcuno di me). O forse, ancor più spesso, «Quanto sarebbe bello se esistesse una pillola che mi facesse smettere di soffrire per un amore passato, che mi facesse dimenticare i ricordi e mi permettesse di innamorarmi di nuovo». Poi magari se esistessero davvero non le prenderemmo, questo no, però il pensiero, almeno una volta, ha sfiorato tutti.

In L’era di Cupidix di Paolo Pasi, edito da Edizioni Spartaco, queste pillole esistono eccome. E, una volta lanciate sul mercato, hanno un successo strepitoso. Si parte con il Cupidix, la pastiglia che fa innamorare.

"Cupidix, la pillola per essere sempre innamorati.
[...] Cupidix era il sogni di una passionalità prolungata, e avrebbe risolto tanti problemi. Coppie scoppiate, eterni adolescenti, persone dall'animo sensibile ma dall'aspetto terrificante, romantici caratteriali, meteoropatici, depressi di tutte le generazioni, delinquenti abituali e maniaci occasionali. Un mercato senza confini. Bastava solo raggiungere in clienti."

Subito dopo arriva la pillola Disamor, per cercare di raggiungere quelli che il Cupidix non lo vogliono prendere perché troppo feriti dalla vita amorosa passata. 
Le due pillole si diffondono capillarmente nella società. Nessuno litiga più, vivono tutti d’amore e d’accordo. E se si è sofferto per amore, via, un bicchiere d’acqua e un Disamor e si è pronti per una nuova relazione. A poco a poco, però, qualcosa sembra incrinarsi, le due pillole stanno sviluppando degli effetti collaterali non tanto sulle persone quanto sulla società, che le rendono pericolose e difficili da gestire, tra movimenti di donne cornificate e una sorta di piattume affettivo, in cui tutti si amano e tutti si accoppiano, non necessariamente con il proprio partner. Finché non si pensa a una terza pillola, che dovrebbe riuscire a mettere d’accordo tutti.

Le vicende vengono raccontate attraverso tre storie: quella di Carlo, infermieri precario amante della musica, che a causa della sua tendenza a lasciarsi trascinare dalla passione non riesce a tenere in piedi una relazione stabile nel tempo; quella di Ada, che vorrebbe innamorarsi di nuovo ma proprio non riesce a dimenticare il suo ex che tanto l’ha fatta soffrire, e quella di Giovanni, che fa il pubblicitario proprio nell’azienda che produce le pillole miracolose, senza però averle mai provate.

L’era di Cupidix è un libro intelligente e molto originale, che da un lato mostra quanto difficile sia per le persone lasciarsi andare ai sentimenti e all'amore, superando ricordi dolorosi e difficoltà, e dall'altro che cosa succederebbe se davvero questo sentimenti si potessero stabilizzare con delle pillole. Un effetto devastante, come è facilmente immaginabile.

Di Paolo Pasi avevo già letto e apprezzato molto sia Memorie di un sognatore abusivo sia, soprattutto, Il sabotatore di campane, entrambi pubblicati da Edizioni Spartaco. Mi piace il modo in cui scrive, mi piace il suo modo di immaginare un futuro un po' distorto ma, pensandoci bene, possibile visto come si stanno evolvendo le cose oggi, e gli effetti devastanti che avrebbe sul mondo se si avverasse. E L'era di Cupidix forse mi è piaciuto ancora di più. Sarà che parla d'amore...
Insomma, consigliatissimo!


Titolo: L'era di Cupidix
Autore: Paolo Pasi
Pagine: 108
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: Edizioni Spartaco
Prezzo di copertina: 10,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura:

giovedì 10 marzo 2016

SANGUE NEGLI OCCHI - Lina Meruane

«Ma la parola giorno non evocò niente in me. Niente che somigliasse al giorno. I miei occhi si stavano svuotando di tutte le cose viste. E pensai che sarebbero rimaste le parole con il loro ritmo ma non i paesaggi, non i colori né i visi, non gli occhi neri di Ignacio in cui avevo visto il riflesso di un amore a volte diffidente, cupo, aspro, ma soprattutto un amore aperto, in attesa di qualcosa, pieno di miraggi che il cruciverba definiva allucinazioni»

Tra le paure più grandi che ho legate a una malattia o comunque a una condizione fisica, credo che perdere la vista occupi uno dei primi posti. Non poter più fare la maggior parte delle cose che prima facevi, quelle belle e quelle brutte. Muoversi alla cieca in un mondo che è sempre più caotico e confuso. Dover fare affidamento quasi totale sugli altri e provare l’inevitabile sensazione di essere un peso, per quanto l’altro si sforzi di farti capire che non lo sei. Devo essere sincera, non so cosa farei se mi succedesse. E provo grande, grandissima ammirazione per quelle persone che, nonostante la mancanza della vista, comunque non si sono fermate.

Sangue negli occhi di Lina Meruane, pubblicato da laNuovafrontiera con la traduzione di Luca Mariotti, racconta la storia di una donna, Lina stessa, a cui una sera esplode una vena in un occhio e ne perde l’uso. Sapeva da sempre che sarebbe potuto succedere, anche se ha sempre sperato non succedesse. O almeno non adesso, mentre sta scrivendo un libro che ora non riesce più a vedere, mentre sta andando a vivere in una casa nuova con Ignacio e vederci, per lei, sarebbe più importante che mai. E invece il medico le dice che quello che hanno sempre temuto è successo. E ora, prima di poter valutare come procedere, dovrà aspettare un mese. Forse il sangue dall’occhio se ne andrà da solo. Forse l’altro, già debole, riuscirà comunque ad abituarsi e compensare. Lina cerca di allontanarsi da Ignacio, di non intrappolarlo in quella gabbia scura che sta intrappolando anche lei. Fugge in Cile dai suoi genitori, due medici stakanovisti che sembrano non accettare la decisione della figlia, ma poi Ignacio arriva anche lì e insieme decidono di tornare a casa e di provare ad affrontare quel che sarà, per quanto difficile e doloroso.

Sangue negli occhi è un libro incredibile, sia per la storia raccontata, sia soprattutto per lo stile. La prima persona, le frasi sospese, i pensieri messi così profondamente su carta riescono a trasmettere perfettamente tutta l’angoscia e tutta la voglia di vedere, di non arrendersi di Lina. Sembra quasi un diario, in cui si legge l’inizio della malattia e poi i progressi, i momenti di speranza e quelli, inevitabili, di sconforto e di esasperazione, in cui la donna non fa sconti a nessuno, nemmeno a se stessa.
E poi c’è quel finale che.

Come vi dicevo prima, non so davvero che cosa farei se un giorno non potessi più vedere. Non so cosa vorrei che facesse chi mi sta accanto. Solo quelle cose che finché non lo vivi non le puoi sapere, per quanto tu preparato possa essere.
Sangue negli occhi di Lina Meruane dà un assaggio di quello che potrebbe essere. Un assaggio triste, crudo, doloroso. E bellissimo.

Titolo: Sangue negli occhi
Autore: Lina Meruane
Traduttore: Luca Mariotti
Pagine: 160
Editore: la Nuova frontiera
Prezzo di copertina: 16,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Sangue negli occhi

lunedì 7 marzo 2016

LA PARTE DIVERTENTE - Sam Lipsyte

«Ma ti senti attratto da me almeno un pochino?»
«Non in modo sano»


La parte divertente di Sam Lipsyte ha dovuto pazientare un po’ di mesi sulla mensola dei libri da leggere prima che mi decidessi finalmente a farlo. Me l’ero fatto prestare un po’ di tempo fa da una mia amica, ma poi, per un motivo o per l’altro, tra cui delle recensioni non molto lusinghiere su aNobii che lo definivano semplicemente “una merda”, se n’è rimasto lì. 
L’altro giorno finalmente il senso di colpa del tenermi così a lungo un libro non mio (tenere in prestito un libro più di un mese mi mette a disagio, così come mi irrita quando i miei stanno via così a lungo) ha preso il sopravvento e mi sono finalmente decisa a leggere questi racconti.

Sì, La parte divertente di Sam Lipsyte è una raccolta di racconti sull’America contemporanea che di divertente non ha quasi niente. O meglio, ce l’hanno come ce l’ha qualunque cosa assurda e grottesca, di cui ridi per non piangere.

Protagonisti di questi racconti sono un gruppo di persone diverse tra loro: dai ragazzini che giocano a Dungeons &Dragons senza riuscire più a distinguere realtà e finzione, a uomini che si reinventano come balie ma che hanno qualche problema a farsi accettare dai neogenitori; da scrittori che hanno visto il successo e ora sono in declino, a causa del successo di qualcun altro che ripercorrerà la loro stessa strada, ad aspiranti scrittori che pensano che scrivere un libro sia la soluzione di tutti i problemi; da ragazzini grassi che sono ben diversi da quelli che hanno problemi tiroide a uomini che si allenano a comunicare tutto con lo sguardo, passando per donne innamorate di quella che dovrebbe essere la loro nemesi e crisi di coppia che terminano nel modo più impensabile.

C’è tutto questo in La parte divertente. C’è la critica alla società americana contemporanea e alle sue ipocrisie e idiosincrasie. C’è l’aspetto caustico e irriverente che, come dicevamo prima, più che nel comico e divertente sfocia nel grottesco quando l’autore racconta di certi suoi protagonisti. Però, ecco, per quanto mi riguarda non tutto in questa raccolta ha funzionato. Probabilmente è stato un limite mio, ma spesso, per quanto alcuni racconti siano sicuramente molto belli (La sapienza delle Duole e Spuntini mi hanno fatto impazzire) ho avuto l’impressione di non capire tutto quello che Sam Lipsyte mi volesse raccontare.

In ogni caso, quella di La parte divertente è stata una bella lettura, molto più scorrevole e piacevole di quanto quelle recensioni su aNobii mi avessero fatto presagire. Non si meritava di starsene così tanto sulla mensola a prendere polvere, ecco.

E anche se, a differenza di altri scrittori di racconti, in questo caso secondo me l’amore per il genere è fondamentale per poter approcciarsi alla lettura, se siete amanti della letteratura nord Americana contemporanea La parte divertente ne è un tassello, forse non fondamentale, ma comunque utile.


Titolo: La parte divertente
Autore: Sam Lipsyte
Traduttore: Anna Mioni
Pagine: 232
Editore: minimum fax
Prezzo di copertina: 15,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura: La parte divertente
formato ebook:La parte divertente

venerdì 4 marzo 2016

BENEDIZIONE - Kent Haruf

C'è qui Rose Tyler, disse Alene a sua madre. È sola.
Guardarono la donna anziana seduta accanto alla finestra.

Non riuscirà mai a farsi una ragione del fatto che lui non c'è più, disse Willa.

Perché dovrebbe? Non ci riesce nessuno.

In questo momento fuori c’è il sole. Tira un forte vento e, se distolgo un attimo gli occhi dallo schermo del pc e guardo fuori, vedo le nuvole muoversi lentamente, su quella distesa azzurra che è il cielo. Fin da quando ero bambina, ho sempre amato guardare le nuvole. Ed è una di quelle cose che se non potessi fare mi mancherebbe. E soprattutto che mi piacerebbe aver la possibilità di fare un’ultima volta, quando sarà il momento.
Non sto delirando. Semplicemente, questa è una delle sensazioni che ho provato leggendo Benedizione di Kent Haruf, tradotto da Fabio Cremonesi e pubblicato da NN Editore. Sicuramente avrete già sentito parlare di questo autore. Della sua capacità di portare il lettore in un paesino della pianura americana, Holt, e raccontarne la bellezza ma anche il dolore, attraverso il personaggio di Dad, un anziano signore che sta morendo, e di tutta la comunità che va a rendergli omaggio.

Per cui non starò a raccontarvelo anche io. Un po’ perché qualunque cosa io vi dicessi, qualunque immagine io riuscissi a creare, non sarebbe mai all'altezza di quello che troverete in questo libro. Un po’ perché non saprei nemmeno come fare a riassumere tutta questa bellissima storia.
Benedizione è un libro che parla di ricordi e di rimpianti, quelli che inevitabilmente vengono fuori quando si è vicini alla fine. È un libro che parla d’amore, ma anche di vergogna, di incomprensione, di dolore. E lo fa attraverso la vita di un paesino, Holt appunto, popolato da persone semplici che hanno alle spalle delusioni e vite non sempre semplici; persone a volte ottuse, da un lato capaci di apprezzare più di chiunque altro la bellezza di un panorama o di un bagno in un abbeveratoio, dall'altro troppo caparbie, troppo testarde per ammettere di aver sbagliato.

Benedizione di Kent Haruf è un piccolo capolavoro, di trama e di stile. Questo ve lo posso dire, anche se, di nuovo, lo avrete già letto e sentito da qualche parte. È un libro che ti colpisce, soprattutto in quelle ultime quaranta dolorosissime e magnifiche pagine. (Ecco, magari leggetele quando siete da soli, o preparatevi alle reazioni di chi vi vedrà piangere come una fontana. A me questo non era stato detto, e ho faticato tantissimo a non lasciarmi andare). 
È un libro che ti entra dentro, qualunque cosa questo voglia dire. Per i suoi personaggi. Per l’amore di una moglie per il compagno di una vita e l’inevitabile fine. Per l’amore di un padre verso i propri i figli, che c’è, ma che non sempre, per convenzione, per incomprensione, per incapacità di empatia, viene dimostrato.
Perdonami, sussurrò lui. Ho sbagliato un sacco di cose.Avrei potuto fare di meglio. Ti ho sempre voluto bene.
Non me l'hai mai detto quando avevo la sua età.
Puoi perdonarmi anche  questo?
Sì, papà.
Voglio dirtelo ora, disse lui.
Lei lo guardò, lo stava fissando con gli occhi lucidi.
Ti ho voluto bene, sussurrò. Te ne ho sempre voluto. Ho sempre approvato ciò che facevi. Anche adesso.

Nella semplicità di queste 270 pagine, nella semplicità di questo paese sperduto nelle grandi campagne americane, nella semplicità dei suoi protagonisti, c’è un mondo. Bello e brutto, proprio come lo è il mondo vero, e che in parte ricorda un po' quello creato da Wendell Berry con la sua Port Williams.

Forse mi sono fatta prendere la mano e forse non avete capito niente di quello che ho scritto. Se fosse, scusatemi, ma il vento e le nuvole continuano a distrarmi. Fate una cosa. Leggetelo. Andate ad Holt. Andate a salutare Dad, a dire una parola di conforto a Mary o a Lorraine, senza offendervi se non vi lasciano entrare. Andate a prendere un caffè da Willa e Alene, o anche solo a fare due chiacchiere con la piccola Alice, che di affetto ne ha davvero tanto bisogno.

Leggetelo e andate a Holt, dicevo. E poi venite qui e sono sicura che capirete quello che sto dicendo. 
E ora mi toccherà leggere anche Canto della pianura, secondo volume pubblicato in Italia della Trilogia della pianura, e poi Crepuscolo, che dovrebbe uscire a Maggio. Visto che ho chiuso il libro ieri e, nonostante le lacrime, già Holt e i suoi abitanti già mi mancano terribilmente.


Titolo: Benedizione
Autore: Kent Haruf
Traduttore: Fabio Cremonesi
Pagine: 275
Editore: NN Editore
Prezzo di copertina: 17,00€
Acquista su Amazon:
formato ebook:  Benedizione

martedì 1 marzo 2016

Se febbraio non febbreggia, marzo campeggia... che non so cosa voglia dire, quindi, nel dubbio, leggo!

Ed ecco che siamo già arrivati al 1° marzo. Non so per voi, ma questi primi mesi dell'anno stanno passando velocissimi e, devo dire, ne sono molto contenta. L'autunno e l'inverno non mi piacciono molto, soprattutto quest'anno che non si è visto nemmeno un fiocco di neve. Preferisco vedere i fiori che sbocciano e sentire arrivare il caldo. E poi, con l'arrivo della primavera arrivano anche le fiere del libro (Bookpride, Salone del Libro, La grande invasione...). Insomma, per fortuna siamo già al 1° marzo!

Febbraio è stato un mese molto ricco. Non tanto di letture, in quanto mi sono fermata a quota sette libri letti (che sono tante, sicuramente, ma meno del mio solito), ma di molte altre cose. E partiamo proprio da quelle.

Il mese è iniziato con il confronto tra un libro originale e la sua versione distillata. Un lavorone di due giorni e molte imprecazioni, che ho riassunto nel post: "Di quella volta in cui ho comprato un libro distillato (e poi l'ho confrontato con l'originale)"
Querele per fortuna ancora non me ne sono arrivate e sono davvero contenta di essermi tolta la curiosità di sapere quanto triste poteva essere quest'operazione.

Poi, io e il lettore rampante siamo andati in gita a Verona per San Valentino. Non ho scritto nessun post a proposito, ma di cose letterarie ne abbiamo fatte un sacco anche lì. (Come potete immaginare, c'erano Romeo e Giulietta ovunque). Tra l'altro, proprio a Verona ho finalmente incontrato dal vivo alcune persone che ho sempre e solo conosciuto in rete: Cristina del blog Athenae Noctua e Elisa e Alessandro di Di questo libro e degli altri. Che bello scoprire i nostri visi al di là dello schermo!

Io e il buon vecchio William a Verona
Parlando sempre di lettore rampante, ho cercato di rubargli il bancomat in una nuova puntata di Casa Rampante.

Il 20 febbraio si è tenuto il secondo incontro di Una valigia di libri, questa volta dedicato agli scrittori e ai romanzi europei. Come credo di aver già detto e scritto in ogni occasione possibile, è stato davvero bellissimo. Tanta gente, un clima perfetto (grazie all'ospitalità della Libreria Sulla parola, che è un piccolo angolo di paradiso libresco) e tantissimi consigli arrivati. Non vedo davvero l'ora che sia il 19 marzo per il terzo incontro.

Il mese si è concluso con la bella intervista sul blog Impression chosen from another time, in cui racconto come è nata La lettrice rampante e altre amenità. Grazie ancora per l'ospitalità! (E voi, se ancora non la conoscete, cosa state aspettando?)

E ora veniamo ai libri. Sette sono state le mie letture questo mese. Tante, rispetto alla media nazionale, ma in leggero calo per i miei standard. Una scelta voluta, in realtà, perché mi sono resa conto che stavo diventando un po' una macchinetta e questo mi portava a godermi un po' meno quello che stavo leggendo. Quindi la parole d'ordine da questo mese è «lentezza» (per quanto mi sia possibile, ovviamente).

I libri letti questo mese, meno uno.
Sette letture, dicevamo, e tutte davvero molto belle:

I VENERDI' DA ENRICO'S  di Don Carpenter: pubblicato in Italia da Frassinelli con la traduzione di Stefano Bortolussi, è un libro che parla di libri, certo, ma soprattutto di scrittori e di quanto sia difficile soddisfare le aspettative, soprattutto se autoimposte.

LA PROPRIETA' TRANSITIVA di Nelson Martinico e Federico Ligotti : pubblicato da edizioni Spartaco, è un romanzo utopico in cui il nostro paese, schiacciato da anni di corruzione e raccomandazioni, finalmente vede un po' di luce quando viene eletto come presidente del consiglio un ex trans, grande idealista e sognatore.

UN COMPLICATO ATTO D'AMORE di Miriam Toews: l'unico libro della Toews pubblicato non da marcos y marcos ma da Adelphi, con la traduzione di Monica Pareschi. Eh niente, io amo questa autrice e non c'è molto altro da aggiungere.

I GATTI NON HANNO NOME di Rita Indiana: pubblicato in Italia da NN Editore con la traduzione di Vittoria Martinetto, il libro è un viaggio in Sudamerica, ma soprattutto nella testa di un'adolescente alle prese con la scoperta di se stessa e della vita.

IL PORTO DEI SOGNI INCROCIATI di Björn Larsson: un libro di sogni e di mare, pubblicato da Iperborea con la traduzione di Katia de Marco.

LA TRAMA DEL MATRIMONIO di Jeffrey Eugenides: un romanzo che parla d'amore e di quanto a volte possa essere difficile. Pubblicato da Mondadori con la traduzione di Katia Bagnoli e, per me, più bello di Middlesex.

COME ACCADDE CHE THOMAS LECLERC 10 ANNI 3 MESI E 4 GIORNI DIVENNE FULMINE TOM E SALVO' IL MONDO di Paul Vacca: un libro sull'autismo con un protagonista che è un piccolo supereroe.  Edito da Edizioni Clichy con la traduzione di Tania Spagnoli e Federico Zaniboni.


E il vostro febbraio come è andato?