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lunedì 30 novembre 2015

November (books) rain

È passato davvero in fretta questo novembre. Sarà che ho fatto tante cose, anche se, guardando il blog, sembra quasi che io abbia solo e sempre letto.
I libri sono stati i veri protagonisti di questo spazio questo mese. Un po’ perché non ho avuto tempo di scrivere altro che non fossero le recensioni (per quelle il tempo lo trovo sempre, anche perché fatico a iniziare un nuovo libro se non ho prima parlato dell’ultimo letto), un po’ perché forse tutte le altre cose che ho fatto su questo blog c’entravano poco.

Ma partiamo dalle cose letterarie.
Il mese è iniziato con il tradizionale incontro annuale a Chivasso con Marco Malvaldi, che ha presentato Buchi nella sabbia, suo nuovo romanzo che ho prontamente letto e recensito. Gli incontri con Malvaldi sono sempre molto divertenti e, in questo caso, a dialogare con lui c’era Margherita Oggero, altra mia adorata scrittrice (a cui ho chiesto se, per favore, nella serie tv Provaci ancora, prof fa mettere definitivamente insieme Camilla e Gaetano… ha risposto di sì, ma non so se per davvero o solo per farmi contenta).
Il 5 novembre (Remember remember...) è poi uscita la mia seconda traduzione. Adesso, punta il tuo obiettivo di David Hieatt, pubblicato da Anteprima.
A sei anni esatti dalla laurea (ricorrenza che cadeva proprio il 9 di questo mese), posso finalmente dire che sì, faccio la traduttrice. Anche perché una settimana dopo mi è arrivata la terza, bella sostanziosa tra l’altro, ed è ciò che mi sta occupando un sacco di tempo ultimamente.


Poi, sempre in questo mese, si è finalmente delineato un progetto a cui io e Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri pensavamo da un po’. Solo un’idea all’inizio, nata da un semplice “che dici, proviamo a inventarci qualcosa?”, e che è sfociata in Una valigia di libri. Letture in giro per il mondo, un ciclo di incontri ospitati dalla libreria Sulla parola di Caluso, che durerà fino a giugno e che consisterà nel presentare libri di ogni continente. Si parte il 12 e devo dire che un po’ di emozione ce l’ho già adesso. Per tutti i dettagli vi rimando comunque al post apposito.




Tra le cose non letterarie, invece, da segnalare che sono andata a vedere Snoopy & Friends, il film dei Peanuts, che mi ha fatta commuovere tantissimo e la mostra di Monet a Torino, alla GAM, dove ho scoperto un mio nuovo quadro preferito, I tacchini.



Ma veniamo ora ai libri e alle recensioni. Tante letture, vi dicevo, e tutte abbastanza soddisfacenti.

Il mese è iniziato con La morte dei caprioli belli di Ota Pavel, pubblicato da Keller editore e tradotto da Barbara Zane, una bella raccolta di racconti ambientati al tempo della Seconda guerra mondiale in cui la guerra fa solo da inevitabile sfondo alle belle avventure della famiglia dell’autore.

Subito dopo è arrivato Paolo Cognetti con il suo Tutte le mie preghiere guardano verso ovest, un elogio a New York e al cibo, scritto come solo Cognetti sa scrivere (e chi ha letto altri libri di Cognetti capisce perfettamente che cosa intendo), pubblicato nella bella collana Allacarta di EDT.

Poi, La leggenda del trombettista bianco di Dorothy Baker, pubblicato da Fazi con la traduzione di Stefano Tummoli. Dorothy Baker, conosciuta soprattutto per il suo Cassandra al matrimonio, che qui romanza la vita di Leon Bix Beiderbecke, il più celebre trombettista solista americano degli anni '20, tramite Rick Martin, suo alterego letterario. Bello, anche se di musica non capite niente come me.

Ed ecco Buchi nella sabbia di Marco Malvaldi, l’ultimo suo romanzo, sempre pubblicato con Sellerio, in cui torna a dare il meglio di sé, come già aveva fatto con Odore di chiuso. Un giallo storico, in cui l’omicidio è solo un pretesto per presentare buffi personaggi e buffe situazioni. Da leggere, assolutamente.

Una bella scoperta è stata Il peso di Liz Moore, pubblicato da Neri Pozza con la traduzione di Ada Arduini. Una storia di solitudini e di paura di chiedere aiuto. Intenso, bello davvero.

E poi due salti in Sudamerica. Prima con È finito il nostro carnevale di Fabio Stassi, pubblicato da minimum fax, e poi con Il liberatore dei popoli oppressi di Arto Paasilinna, tradotto da Francesco Felici per Iperborea. Il primo mi è piaciuto di più del secondo, sicuramente, forse perché amo il modo di scrivere di Fabio Stassi. Entrambi comunque valevoli di lettura.

Il mese è proseguito con Panorama di Tommaso Pincio, pubblicato da NN editore, che fa una critica violenta del mondo letterario e non di oggi, attraverso il grandissimo personaggio di Ottavio Tondi, per poi concludersi di nuovo in Sudamerica e di nuovo con una raccolta di racconti, Il vento distante di José Emilio Pacheco, tradotto da Raul Schenardi e pubblicato da Sur, un’altra raccolta di racconti che però, devo dire, mi è piaciuta ma ho troppo breve perché diventasse indimenticabile.

E ora inizia dicembre e arriva finalmente il Natale! (Ma anche i bilanci annuali di lettura e tante altre belle cose). Spero che il vostro novembre sia stato altrettanto intenso e pieno di belle letture!

venerdì 27 novembre 2015

IL VENTO DISTANTE - José Emilio Pacheco


Continuo questo mio viaggio alla scoperta della letteratura sudamericana meno conosciuta. Questa volta è toccato a José Emilio Pacheco, scrittore, poeta e traduttore messicano che, devo ammettere, non avevo mai sentito nominare. Ho provato a cercare in qualche cassetto della memoria i ricordi dei corsi di letteratura sudamericana frequentati all'università, ma niente, non c’è nemmeno lì.
E anche adesso devo dire che è stato per puro caso, e per la bella copertina di casa Sur con quei gatti a spasso per la pagina, che purtroppo sul mio e-reader in bianco nero non rende tanto, che mi sono ritrovata tra le mani Il vento distante.

Il vento distante è una breve raccolta di brevi racconti, tradotti in italiano da Raul Schenardi. Quattordici racconti che hanno come denominatore comune l’avere come protagonisti dei personaggi fragili, deboli, in qualche modo reietti e vittime di qualcosa, presi in un momento in cui questa loro fragilità è più forte che mai.  Vittime di bullismo, vittime di furti, di omicidi, o anche solo dello sguardo della gente che li fa sentire meno di zero.
In alcune storie c’è dolcezza (come nel racconto Il vento distante che da’ il titolo alla raccolta), in altre angoscia e violenza (credo che Qualcosa nell’oscurità mi tormenterà per molte notti), in altre voglia di affermarsi, di riscattarsi e la conseguente delusione di cui questi personaggi sono vittime (Pomeriggio d’agosto, ma anche Il Castello di carte o La regina).
In tutte le storie, ci sono personaggi, di età, sesso e provenienza diversa, che vorrebbero essere qualcuno ma senza riuscirci e che si offrono al lettore in tutta la loro fragilità e nella loro richiesta d’attenzioni, che trova forse il suo culmine in Lunapark, dove gli essere umani stessi sono un’attrazione.

Rispetto ad altri scrittori sudamericani, in José Emilio Pacheco, o almeno in questa raccolta di racconti, non si percepisce tanto la sua provenienza geografica. C’è qualche rimando al Messico nell'ambientazione, sì, ma potrebbero comunque essere stati scritti e ambientati ovunque, senza perdere la loro forza.
Eppure ho patito un po’ l’eccessiva brevità della raccolta e dei racconti che la compongono. Per quanto mi sforzassi di rallentare la lettura (che è una cosa che odio fare, dover spezzare il ritmo che un libro mi porta a seguire dalle sue prime pagine). Tutto è finito davvero troppo presto e, in molti casi, con la sensazione che mancasse qualcosa.
José Emilio Pacheco scrive indubbiamente molto bene ma, a parte forse Il vento distante e Il castello di carte, nessuno di questi quattordici racconti è stato per me indimenticabile.

Pur amando io molto i racconti, forse nel caso della narrativa sudamericana non riescono a convincermi come ci riescono invece sempre i romanzi.  Anche di García Márquez, che è stato il primo a portarmi in Sud America, per quanto riguarda i racconti ho dei vaghi ricordi solo della raccolta La incredibile e triste storia della candida Erendira e di sua nonna snaturata (il racconto dell’angelo, in particolare).

Quindi forse non è del tutto colpa di Il vento distante, ma una parte di responsabilità è della mia predilezione per il Sudamerica raccontato più a lungo e più in profondità. Questo libro rimane comunque una bella lettura, a cui manca semplicemente qualcosa per essere perfetta.


Titolo: Il vento distante
Autore: José Emilio Pacheco
Traduttore: Raul Schenardi
Pagine: 128
Editore: Sur
Acquista su amazon:
formato brossura: Il vento distante
formato ebook:Il vento distante

mercoledì 25 novembre 2015

UNA VALIGIA DI LIBRI | Le istruzioni per partire con noi

Era da un po’ di tempo che pensavo se sarebbe stato possibile in qualche modo far diventare reale quello che faccio qui sul blog. Non che qui non sia reale o che lo stare dietro uno schermo mi abbia stufata, anzi! È una manna per noi timidi, soprattutto se dotati di r moscia, poter comunicare con così tanta gente per iscritto, senza rischiare di impappinarsi o di arrossire.
Però, al tempo stesso, mi sarebbe sempre piaciuto poter conoscere anche dal vivo altri lettori e  provare a condividere con loro, davanti a un caffè o a dei biscotti, la nostra passione per i libri.
Ho espresso questo mio pensiero a Claudia di Il giro del mondo attraverso i libri. Eravamo in un bar e avevamo davanti una cioccolata, un cappuccino e una decina di libri da scambiarci.
Ben presto ci siamo rese conto che l’idea di provare per una volta ad abbandonare gli schermi del pc e organizzare qualcosa di fisico era condivisa.
Bisognava solo trovare un posto e, soprattutto, decidere che cosa organizzare.

In entrambi i casi, devo dire, è stato facile trovare una soluzione. È bastato un secondo incontro, davanti a due tazze di cioccolata calda giganti, per fissare le “regole” di questi incontri, e un salto a Caluso in una piccola e accogliente libreria arancione, la libreria Sulla parola, la cui proprietaria, Stefania, anziché cacciarmi per il mio smodato entusiasmo, si è lasciata coinvolgere e ha accettato ben volentieri di fare da terza mente, nonché da casa, per questo nostro progetto.

Il risultato? Eccolo qui:



Che cos’è?
Una valigia di libri è un ciclo di incontri per presentare libri di tutto il mondo. Ogni incontro avrà un continente come filo conduttore (a parte il primo, che sarà dedicato all'Italia) e ogni partecipante dovrà portare un libro scritto o ambientato o comunque che abbia attinenza con quel continente e presentarlo agli altri partecipanti. Io, Claudia e Stefania faremo ovviamente lo stesso.
Lo scopo è quello di far conoscere nuovi libri e nuovi autori.
Non è quindi il solito gruppo di lettura. Ci avevamo pensato, in realtà, ma nessuna di noi si trova molto a suo agio con questo genere di attività. Non ci piace leggere a tempo, né tanto meno cose che magari ci sono state imposte da altri (ed è difficile scegliere i libri giusti da far leggere a persone diverse). Quindi abbiamo pensato che ognuno potesse scegliere di volta in volta quale libro fosse il suo protagonista. 
Ovviamente, pur tenendosi in una libreria, gli incontri sono tutti a ingresso assolutamente gratuito e senza alcun obbligo d’acquisto.

Dove?
Alla Libreria Sulla parola di Stefania, a Caluso, un piccolo e ridente paesello nel Canavese in provincia di Torino. Si trova a 10 km circa da Chivasso, e quindi dall’autostrada Torino-Milano, a circa 5 km dal casello di San Giorgio dell’autostrada Torino-Aosta, e ha pure una stazione dei treni.
Eventualmente quindi si potrebbe organizzare un qualche servizio navetta (“Lettore rampante, vai a prendere quattro lettori alla stazione e portali subito qui”).

Quando
Un incontro al mese, da dicembre fino a giugno nel 2016. Gli incontri si terranno il sabato pomeriggio, alle 16, e dureranno un paio d’ore, anche a seconda della partecipazione e dei libri presentati.
Si inizia sabato 12 dicembre, con l’incontro di presentazione del progetto e si prosegue poi così:

16 gennaio 2016: Viaggio in Italia

20 febbraio 1016: Viaggio in Europa
Marzo 2016: Viaggio in Sud America
Aprile 2016: Viaggio in Asia
Maggio 2016: Viaggio in Nord America e Canada
Giugno 2016: Viaggio in Africa e Oceania

Per ora abbiamo fissato le date solo dei primi due incontri, perché ci rendiamo conto quanto possa essere complesso sapere oggi se un sabato di aprile ci siete oppure no. Man mano quindi decideremo tutti insieme le date successive.

Che cosa dovete portare?
Voi stessi e un (o più, ma senza esagerare) libro scritto da un autore o ambientato nel continente del giorno da presentare agli altri partecipanti. Non saremo poi così fiscali, quindi se trovate un collegamento tra il continente e il libro che presentate che va oltre autore o ambientazione per noi va benissimo.
Noi tre faremo lo stesso. E, già che ci siamo, magari portiamo anche la merenda.

E se siete troppo distanti e non potete venire?
Ecco, abbiamo pensato anche a questo. Sappiamo che la distanza per molti può essere un problema, e che non tutti possono riuscire a partire e venire fino in Canavese.
Abbiamo deciso allora di fare qualcosa in parallelo anche sui nostri blog. A inizio mese sia io sia Claudia annunceremo quale sarà il continente del mese e voi avrete la possibilità di presentare il vostro libro e il vostro autore. Che poi noi cercheremo di condividere anche con i partecipanti agli incontri fisici.

Qualche giorno dopo l’incontro, pubblicheremo entrambe un post di resoconto, con i suggerimenti dati dai presenti agli incontri e da voi.

Bene, direi che più o meno vi ho spiegato tutto. Se avete dubbi, curiosità o altro, potete chiedere a me direttamente qui sul blog o sulla pagina Facebook, oppure a Stefania nella pagina fb della libreria Sulla parola, o a Claudia sul suo bel Il giro del mondo attraverso i libri.

E ora, si parte!

martedì 24 novembre 2015

PANORAMA - Tommaso Pincio

Val sempre la pena di leggere, si diceva.

Panorama di Tommaso Pincio, edito da NN editore, una piccola realtà editoriale nata quest’anno e che sta pubblicando un libro bello dietro l’altro, ha vinto lo scorso sabato sera la prima edizione del premio Sinbad per la narrativa italiana.
"S’è fatta furba, la lettrice rampante a mettersi a leggere i libri non appena vincono i premi, così da avere più visite” starà pensando qualcuno di voi. E invece è stato più o meno un caso. Avevo iniziato Panorama qualche settimana fa e poi richiuso e rimesso sulla mensola dopo una decina di pagine. Non era il suo momento, probabilmente: un po’ perché in tanti ne stavano parlando, e, quando tutti parlano di una cosa, il mio primo istinto è quello di mettermi a fare qualcos'altro, un po’ perché sono da sempre convinta che non si può leggere sempre qualsiasi cosa e che, soprattutto, un libro letto quando non è il suo momento non sia un piacere ma una tortura.
Poi l’ho ripreso in mano proprio sabato mattina. Perché sì, è da furbi parlare di un libro non appena questo ha vinto un premio, ma stroncarlo sarebbe ancor più di effetto, non vi pare?
Peccato, però, che non lo possa fare.

Panorama di Tommaso Pincio è la storia di Ottavio Tondi, di professione lettore, nonché incapace di fare qualunque cosa che non sia leggere.
Se di molte persone, al semplice guardarle in faccia, si può dire che finiranno male, qualcosa di non molto diverso era possibile dedurre dallo speciale talento di Tondi nel non incidere sulle cose, per restare assente, inerte in ogni circostanza, a meno che non ci fosse in ballo la lettura di un libro.
E questo suo unico talento lo porta a trovarsi in strane situazioni, tipo essere spacciato per l’autore misterioso del libro del momento, pur aborrendo lui completamente la scrittura. O addirittura a tenere reading pubblici, in cui però proprio non se la sente di leggere ad alta voce.
Finché un giorno non succede qualcosa di brutto: siamo in un mondo in cui nessuno legge più e chi viene visto per strada, con un libro in mano, è facile bersaglio di attacchi, verbali e fisici. Per Ottavio Tondi quel momento segna una svolta. Non riesce più a leggere, a fare quell'unica cosa che è sempre stato capace di fare. All'inizio supera l’ostacolo facendo leggere altri per lui, ma a un certo punto, anche questo non funziona più. E poi arrivano Mario Esquilino, che già aveva incontrato in passato per lavoro ma, hey, niente rancori, e, soprattutto, arriva Panorama, il social network del momento a cui Ottavio Tondi si iscrive, proprio su insistenza di Esquilino. Qui conoscerà Ligeia Tissot, una ragazza che sembra conoscere i libri bene quanto lui e con la quale inizia una lunga corrispondenza. Quattro anni, per la precisione, che cambieranno la vita di Ottavio Tondi. 

Panorama di Tommaso Pincio è soprattutto Ottavio Tondi. Un grande, grandissimo personaggio, che esaspera un po’ la figura del lettore fino a renderla fin troppo pura. Lui ha sempre un libro con sé. Lui legge perché ama leggere, ma non cerca nei libri alcuna consolazione. Lui legge e odia scrivere. Lui legge e odia apparire in pubblico. Lui legge e basta. Perché non sa fare altro che non sia quello, e non sa, forse, vivere in alcun altro modo.
Un grande personaggio, dicevamo, che si muove nel contesto di un mercato editoriale molto simile a quello che potrà presto diventare il nostro, se le cose vanno avanti come stanno andando. Un mercato editoriale in cui tutti scrivono e nessuno legge. In cui la vita media di un libro in libreria è di un mese o due, quando è fortunato.
Ci si era già rassegnati al ciclo vitale della maggioranza dei titoli –qualche settimana in libreria, un annetto a prendere polvere in magazzino, infine il macero o, per le copie più fortunate, l’accanimento terapeutico dei reminder.
Un mercato editoriale, dicevamo, in cui ogni espediente, come appunto celare l’identità di un autore, è utile e sfruttato quasi allo sfinimento per vendere più copie, indipendentemente dalla qualità editoriale. Un mercato editoriale che si dimentica del lettore, forse perché non ce ne sono quasi più.
E poi, quando esce dal mondo editoriale, si ritrova in quello virtuale, in quel Panorama, sintesi di tutti i social network di oggi, in cui ci sono regole folli e da cui è impossibile disiscriversi. E Ottavio Tondi, che alla fin fine è un semplice, è un puro, pur conoscendo le assurdità di questo mondo virtuale, è qui che spera di ritrovare se stesso.
Avevano ragione a chiamarlo Panorama. Proprio di questo si trattava: dell’umanità fatta paesaggio, Era come accendersi una sigaretta e affacciarsi alla finestra. E quando mai importa su quale paesaggio si affacci la tua finestra? Quale vista ti si offra. Potresti passarci comunque ore. Anzi più la vista è scialba e vuota, più ti incanti, perché in realtà non hai bisogno di guardare qualcosa, hai bisogno di perderti nel tuo sguardo. Una forma di meditazione.
La critica che Tommaso Pincio fa a questi due aspetti della società moderna è molto violenta. Soprattutto quella verso l’editoria, al punto che forse, e qui c’è la mia più forte e forse unica perplessità riguardo a questo libro, viene da chiedersi perché ci stia dentro a questo mondo, se fa così schifo (certo è che ha pubblicato con un piccolo editore, e di piccoli editori che stanno resistendo e lottando contro questa strana logica di mercato, pubblicando cose di qualità ce ne sono tanti, per fortuna. Però ecco, mi lascia sempre un po’ perplessa chi riesce a sputare così bene nel piatto in cui mangia).

In ogni caso, Tommaso Pincio scrive davvero molto bene e, soprattutto, è riuscito a creare un personaggio che, almeno per quanto mi riguarda, farà parte dei miei ricordi letterari per un bel pezzo.


Titolo: Panorama
Autore: Tommaso Pincio
Pagine: 199
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: NN Editore
Prezzo di copertina: 13 €
Acquista su amazon:
formato brossura:Panorama

venerdì 20 novembre 2015

IL LIBERATORE DEI POPOLI OPPRESSI - Arto Paasilinna

Surunen si presentò. Era finlandese, insegnante di lingue, e nelle vacanze estive si dedicava alla liberazione dei prigionieri politici.

Arto Paasilinna è un prolificissimo autore finlandese. Solo in Italia, Iperborea ha pubblicato quattordici suoi romanzi. Tra questi c’è anche L’allegra apocalisse, l’unico che avevo letto finora, ispirata principalmente dalla trama e dall’averlo trovato in offerta in e-book. Non sono una grande lettrice di autori nordici, anche se devo dire ultimante Iperborea mi ha permesso di scoprirne alcuni davvero molto belli.
L’allegra apocalisse non era però tra questi. L’idea di base del romanzo mi era piaciuta molto, ma poi Paasilinna, almeno secondo i miei gusti, si era perso un po’ nello svilupparla. Da lì non mi era mai venuto in mente di leggere altro di questo autore, pur sapendo benissimo che probabilmente avevo solo avuto sfortuna. Finché Iperborea non mi ha scritto per propormi di dare all'autore finlandese una seconda possibilità, con Il liberatore dei popoli oppressi. Già solo per questo approccio, avrei risposto sì. Poi ho letto anche la trama del libro e “cavolo, certo che gliela do una seconda possibilità!”.

Il liberatore dei popoli oppressi di Arto Paasilinna, tradotto in italiano da Francesco Felici, è la storia di Viljo Surunen, emerito glottologo di Helsinki, nonché volontario di Amnesty International, che decide di partire per il Monterey, uno stato del Centro America, per andare a liberare Ramón López, un professore da anni detenuto ingiustamente nelle prigioni di quello stato. A nulla sono servite, infatti, le lettere di protesta e gli appelli che lui e la sua dolce compagna di ideali e d’amore Anneli Imonen hanno inviato in tutto il mondo e per molto tempo per chiederne la liberazione. Qui occorre esporsi in prima persona, agire. E quindi, dopo qualche difficoltà organizzativa e burocratica, Viljo Surunen parte al salvataggio di Ramón. Dopo molte peripezie, strani incontri, qualche pestaggio, un terremoto e uno strano rituale di disinfezione, le cose sembrano andare per il verso giusto. Sulla strada di casa, poi, Surunen fa una piccola deviazione a Delatosia, uno paese dell’Est Europa, che sembra molto civile, ma che poi forse non è così diverso dal Monterey. E Surunen finisce per mettersi di nuovo in azione.

Il liberatore dei popoli oppressi è sicuramente un libro molto divertente e molto piacevole da leggere. Ci si lascia subito conquistare da Viljo Surunen, dai sui bislacchi incontri (il pinguinista è sicuramente il mio preferito!) e dalle sue avventure in nome dei suoi ideali di libertà. E si sorride di fronte a tutta la burocrazia che l’uomo è costretto ad affrontare e di fronte all'ipocrisia di certi potenti nei paesi che visita. 

Però anche questa volta, per quanto mi riguarda, c’è un però. Che è molto più piccolo rispetto a quello che avevo provato con la lettura di L’allegra apocalisse, ma che comunque non posso ignorare.
Il fatto è che non ho capito quale fosse il reale messaggio del libro. E nemmeno se un vero messaggio lo voleva avere o meno. È una critica contro le dittature, di un colore o dell’altro, e le terribili pratiche utilizzare per mettere a tacere i dissidenti? È una critica verso le organizzazioni internazionali che a volte sembrano limitarsi a scrivere e protestare senza mai agire? E poi anche un attacco alla burocrazia e al governo e al potere in generale che complica cose semplici e rende poi troppo facili cose che non dovrebbero esserlo, tipo arrestare o eliminare chi si oppone? È tutto questo, oppure c’è ancora dell’altro, o non c’è nulla, invece, e Paasilinna voleva solo e semplicemente divertire? 
Per me tutte queste possibilità sono plausibili. Ho visto la critica, ovviamente, alle dittature e ai regimi, ma anche quella verso certe organizzazioni (non nel caso specifico di Amnesty International,  però ecco, che un glottologo parta da solo e da solo riesca a fare tutto quello che ha fatto mi sembra un segnale abbastanza forte dell’incitamento a scrivere meno e agire di più). Ho visto la critica alla burocrazia, sia quella finlandese all'inizio, sia quella di tutto il mondo e l’attacco ai potenti, pronti a farsi abbindolare da chi sembra mostrare più potere e fascino di loro.

Questi dubbi però sono forse più colpa mia che non colpa del libro. Perché se non ci rifletto su troppo Il liberatore dei popoli oppressi mi ha divertito molto, così come mi è piaciuto molto lo stile di Paasilinna, il suo modo di rendere reali contesti e situazioni quasi assurde. 
Quindi sì, mi è piaciuto. E magari quei però con il tempo passeranno. E sicuramente a poco a poco leggerò anche gli altri romanzi di questo autore.


Titolo: Il liberatore dei popoli oppressi
Autore: Arto Paasilinna
Traduttore: Francesco Felici
Pagine: 306
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: Iperborea
ISBN: 978-8870914542
Prezzo di copertina: 17,50 €
Acquista su amazon:

martedì 17 novembre 2015

È FINITO IL NOSTRO CARNEVALE - Fabio Stassi

Lo dico senza vergogna: fu per amore che la rubai. Per quanto possa suonare logora questa parola. E bugiarda. Per amore, sicuro. Del testo non c’è niente che metta più paura, soprattutto ai regimi.


In basso in basso, nella quarta di copertina di È finito il nostro carnevale di Fabio Stassi, edito da minimum fax, c’è una citazione di Gianni Mura che dice che «Fabio Stassi è il più sudamericano degli scrittori italiani». Ad attrarmi verso questo libro, oltre alle molte recensioni positive lette in giro, è stata soprattutto quella frase. Di Stassi ho letto L’ultimo ballo di Charlot e Come un respiro interrotto e di questa influenza sudamericana non mi sono mai resa conto. Da grande estimatrice della letteratura sudamericana e del suo particolare stile, sono sempre stata convinta che solo un sudamericano, che vive o almeno ha vissuto parte della sua vita là, può scrivere in quel modo. Mi sono avvicinata a questo libro quindi più con una nota di scetticismo, convinta che sì, mi sarebbe piaciuto (che i libri di Stassi mi piacciono sempre), ma non avrei poi condiviso quella definizione di Mura.
E, ovviamente, mi sbagliavo.

È finito il nostro carnevale è il racconto picaresco della vita di Rigoberto, un anarchico appassionato di fútbol e di donne, che si ritrova a inseguire la coppa Rimet, la Diosa de la Victoria, da campionato del mondo a campionato del mondo. Lo scopo è quello di rubarla, come lei ha rubato  il cuore di Consuelo, a cui è ispirata e scomparsa nel nulla proprio una volta terminata la coppa. Rigoberto, innamorato della donna e incapace di accettare questa scomparsa, non può che partire all'inseguimento dell’ultimo oggetto che la ricorda. Si spaccerà quindi per giornalista sportivo e seguirà i Mondiali di calcio per quasi tutto il Novecento. Un viaggio picaresco, dicevamo, in cui oltre alle partite, Rigoberto assisterà agli intrighi politici, alle violenze del fascismo e del nazismo, alle scelte politiche delle varie nazioni sul partecipare o meno, e addirittura, si ritroverò a dare consigli a una nazionale. Finché non giungerà il momento che tanto ha aspettato per tutta la vita.

Se voi compraste il libro senza copertina e senza nome dell’autore, davvero pensereste che il libro è stato scritto da un sudamericano. Per il modo di raccontare, con questa bell’idea di affidare la narrazione attraverso gli anni allo stesso Rigoberto, in una sorta di intervista-confessione in cui racconta del suo inseguimento della Diosa, ma anche della sua vita e del passato della sua famiglia. Per il ritmo del libro, che scorre veloce senza che possiate fermarlo né staccarvene. Per l’ambientazione, che gira il mondo sì, ma sta anche molto in Sudamerica.  Per la capacità di rendere appassionante un libro che parla di fútbol, anche a chi di fútbol non frega quasi nulla. Insomma, per tutte queste cose e per quella bella sensazione di aver letto qualcosa di grande e intenso che solo certi bei libri di narrativa sudamericana ti lasciano.

Adoro come scrive Fabio Stassi. Adoro il fatto che leggendo traspare tutto il suo sapere (e di cose ne sa davvero tantissime), senza però far sentire ignorante il lettore, mischiando semplicemente i riferimenti alla storia e alla letteratura (Ernest, c’è Ernest!) alla normale narrazione della vita di Rigoberto.
La sua libreria era un porto trafficato. Ti scontravi con i libri come contro rumorose bande di marinai. Ce ne incontravi di tutti i tipi: russi, francesi, argentini… un paio di tedeschi. Con qualcuno ci facevi conoscenza. I migliori erano quelli che ti segnavano il viso con un coltello. La cicatrice te la portavi dietro per sempre.

Quindi, il mio scetticismo iniziale si è trasformato in grande stima e stupore per la bravura di Fabio Stassi. È finito il nostro carnevale è un libro assolutamente da leggere.


Titolo: È finito il nostro carnevale
Autore: Fabio Stassi
Pagine: 246
Anno di pubblicazione: 2007
Editore: minimum fax
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su amazon:
formato brossura: È finito il nostro carnevale

venerdì 13 novembre 2015

IL PESO - Liz Moore

Prima di tutto quanto, prima che Marty morisse, Marty, la mia più cara amica al mondo. Quando ancora insegnavo e anche prima. Quand’ero bambino. Quando non ero ancora nato. Mi sentivo destinato alla solitudine, certissimo che un giorno mi avrebbe trovato, così quando è accaduto non mi sono stupito e l’ho perfino salutata con gioia.
per tutta la vita ho incontrato solo una persona con la quale ho sentito un legame di questo genere, ed era Charlene Turner. Dal momento in cui l’ho conosciuta ho pensato, Anche tu? E dallo sguardo che aveva negli occhi ho capito che si sentiva così anche lei. All’epoca era più sola di me, lo intuivo, e questo mi ha spinto ad amarla.

Il dramma della solitudine lo chiamano al tg, ogni volta che viene ritrovato il corpo senza vita di una persona che ha sempre vissuto ed è sempre stata sola. Talmente sola che nonostante sia morta da mesi, anni, nessuno se n’era accorto prima. Mi colpiscono sempre molto, queste notizie. Pur non avendo io tanti parenti, e nemmeno poi così tanti amici, mi è inconcepibile pensare che per tutto quel tempo, nessuno si preoccupi per me, si chieda che fine ho fatto. Un parente, un amico, un conoscente, l’Enel, un vicino. Possibile che davvero nessuno si accorga quando una persona sparisce?

La sensazione che ho provato per buona parte della lettura di Il peso di Liz Moore, tradotto da Ada Arduini e pubblicato da Neri Pozza, è stata un po’ quella. 
Arthur Opp è molto grasso, eppure è invisibile. Per sua scelta, almeno in parte. Vive recluso in casa da anni, ordina solo online e apre solo al fattorino che gli consegna i suoi pacchi. Sua madre è morta, suo padre li ha abbandonati quando era ancora bambino e si è fatto una vita da un’altra parte. La sua migliore amica, anche lei, non c’è più. Gli rimane il ricordo di Charlene, quella strana studentessa a cui ha insegnato tanti anni prima e con la quale ha intrattenuto per anni una corrispondenza. Rilegge spesso le sue lettere e lì si sente un po’ meno solo. Finché un giorno, Charlene non ricompare e le cose per Arthur cambiano. Deve pulire casa, se la donna decidesse mai di venirlo a trovare. E così entra nella sua vita Yolanda, una giovane donna delle pulizie, che si è sempre sentita un po’ invisibile. Invisibile come non è mai stato invece Kel Keller, il figlio di Charlene, una promessa del baseball che ha sempre nascosto dietro a questa sua bravura il dramma della solitudine che vive in casa con sua madre. Ed è proprio per Kel che Charlene ricontatta Arthur, prima che sia troppo tardi.

Tante sono le solitudini che si incontrano in questo libro. E sono solitudini dettate dagli eventi, ma anche soprattutto dall'incapacità di reagire e di chiedere aiuto di ognuno dei suoi protagonisti. Arthur sceglie di mangiare e di essere solo, perché non sa cos'altro potrebbe fare né chi lo potrebbe volere. Charlene prova a non stare sola, ma anche sembra che non possa fare altro. Yolanda è sola perché chi la circonda sembra non volerla, e Kel è solo anche in mezzo a tanti, nel momento in cui nasconde quello che sta vivendo a casa. È un libro che fa un po’ male, perché chissà quante persone così sole, così bisognose di aiuto ma incapaci di chiederlo, incontriamo ogni giorno sulla nostra strada. 

La cosa bella è che Liz Moore offre a tutti un’occasione di riscatto. Fa vedere che, se si vuole davvero, da questa solitudine, da questo isolamento si può uscire. Facendo una telefonata, confidandosi con una persona fidata senza paura di venir giudicati, invitando a cena un vicino che sembra invadente ma che in realtà vuole essere solo gentile.

Che poi la solitudine non è necessariamente una cosa negativa. Ogni tanto si sente la necessità di stare da soli. Però ecco, io non vorrei mai che qualcuno mi trovasse morta dopo anni e solo per via dell’odore che si sente dalla porta. Non vorrei mai che la paura degli altri mi impedisse di comunicare. Come ci insegna il libro, non bisogna mai aver paura di chiedere aiuto. Perché stare soli sì può essere rassicurante, più facile a volte, ma stare soli insieme a qualcuno lo è sicuramente di più.
Ma tornando a Il peso di Liz Moore, direi che mi è piaciuto, mi è piaciuto davvero tanto.

Titolo: Il peso
Autore: Liz Moore
Traduttore: Ada Arduini
Pagine: 351
Editore: Neri Pozza, Beat
Anno: 2012
Acquista su Amazon:
formato brossura:Il peso
formato ebook: Il peso (Bloom)

martedì 10 novembre 2015

BUCHI NELLA SABBIA - Marco Malvaldi

Il fatto è che l'opera, già di per sé, è una situazione artificiosa, che si regge in piedi per miracolo, e che richiede a noi fanatici del bel canto una dose smisurata di capacità di astrazione. Non è facile commuoversi per un baritono che, una volta ricevuta una coltellata nel petto, intona una romanza a tutta gargana invece di stramazzare sul palco, come farebbe qualsiasi persona beneducata qualora venisse pugnalata nelle reni. E ci vuole una robusta dose di concentrazione sulla musica per non mettersi a ridere di fronte a un tenore settantenne che sta facendo il giovanottino innamorato, decantando la bellezza di un mezzosoprano largo quanto due contrabbassi.


Comincio già con la foto a mettere le mani avanti per farvi capire che questa sarà tutto fuorché una recensione imparziale. È che io adoro Marco Malvaldi, se ancora non si fosse capito dal fatto che ho tutti i suoi libri, dai post di attesa per Buchi nella sabbia che ho condiviso nei giorni precedenti all’uscita o dal fatto che ogni volta che c’è una sua presentazione nei paraggi io mi ci fiondi senza pensarci troppo, sebbene ormai l’abbia visto più e più volte.
Lo adoro, dicevo. Adoro la sua ironia, adoro il suo saper giocare così tanto con le parole, il suo sapere tante, tantissime cose e raccontartele come se foste seduti al bar a parlare del nulla. E poi sì, beh, certo, adoro i suoi romanzi. Soprattutto quelli come Odore di chiuso e, appunto, Buchi nella sabbia. Dei gialli storici, in cui la trama gialla è quasi in più, talmente tante e talmente belle sono le cose che racconta dei vari contesti in cui decide di ambientarli.

Buchi nella sabbia è ambientato a inizio del ‘900 e a Pisa, terra di anarchici, sta per andare in scena la Tosca di Giacomo Puccini, alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Il rischio di attentato è alto, così come lo sono le misure di sicurezza. Ma mai nessuno avrebbe potuto pensare che a morire sarebbe stato qualcuno sul palco, fucilato per davvero anziché a salve. Ad indagare sull'omicidio e, per forza di cose, sui personaggi in scena ci sono il carabiniere Gianfilippo Pellerey e il suo diretto superiore Ulrico Dalmasso. Si tratta di una resa dei conti tra attori o di un piano di rivolta anarchica di fronte al re? Ma soprattutto, chi è che ha  permesso a Ernesto Ragazzoni, giornalista e poeta, nonché grande etilista, di prendere parte alle indagini? 

Marco Malvaldi quindi questa volta ci porta all'opera a vedere la Tosca e ci presenta il poeta Ernesto Ragazzoni, forse dai più un po’ dimenticato (io stessa, ammetto, non avevo idea di chi fosse), un poeta popolare, in grado di scrivere componimenti in rima sulle cose più semplici e banali.
Come si diceva in precedenza, in Buchi nella sabbia la trama gialla è quasi superflua, forse a tratti anche un tantino superficiale, ma sono talmente tante, e buffissime, le curiosità sul mondo dell’opera che Malvaldi offre ai lettori e, soprattutto, è talmente bello l’uso che fa dello stile e delle parole, che quasi non importa chi ha ucciso chi e perché. 

Credo però che questo, pur essendo un giallo dalla trama tutto sommato semplice, non sia un libro proprio per tutti, proprio come non lo era Odore di chiuso. Malvaldi approfitta del contesto storico per far vedere quanto è bravo con le parole e i costrutti delle frasi, mettendo un’ironia a volte sottile e non sempre facile da cogliere. Alcune frasi le ho dovute leggere un paio di volte, per essere sicura. Poi, però, una volta capite è stato di nuovo e ancor di più amore. Se cercate un libro scorrevole da leggere senza pensare troppo, meglio che vi buttiate sui romanzi del BarLume, più immediati, meno ricercati. 

Invece, non è fondamentale che conosciate l’opera (io ne ho viste cinque in tutta la mia vita, tra cui la Tosca, e, a parte il Nabucco di Verdi in cui credo di aver dormito per tutta la sua durata, mi hanno divertito un sacco… sarò strana, ma a me vedere uno che mentre muore canta “sto morendo” mi fa tanto ridere), per poter leggere questo libro. Anzi, Malvaldi inserisce talmente tanti aneddoti divertenti (sì, Puccini diceva le parolacce) e talmente tanti intrighi che alla fine avrete quasi voglia di andarci anche se non vi è mai passato per la mente.

Quindi sì, Buchi nella sabbia mi è piaciuto sacco. Per l’ambientazione, sicuramente, e per la possibilità che mi ha dato di scoprire Ernesto Ragazzoni.
Forse non sono imparziale, ma questo libro è assolutamente da leggere.

Titolo: Buchi nella sabbia
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 245
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: Sellerio
Acquista su Amazon:
formato brossura: Buchi nella sabbia
formato ebook: Buchi nella sabbia

venerdì 6 novembre 2015

LA LEGGENDA DEL TROMBETTISTA BIANCO - Dorothy Baker

Questa è la sua storia, che non può certo dirsi una tragedia; qui non si parla della caduta di un grande eroe dal cielo alla terra: Rick Martin non arrivò mai così in alto, anche se per qualche tempo guadagnò un bel po’. Ma la sua è una storia in cui risuona la verità, insieme a un paio di armonie nascoste. È una storia che parla di molte cose – della differenza che c’è tra il saper suonare e il sapersi adattare alla vita; tra i bisogno dell’espressione artistica e quelli della vita di quaggiù; e infine tra il bene e il male, in questa forma d’arte nata in America che è la musica jazz.



Ho avuto l’onore di leggere in anteprima La leggenda del trombettista bianco romanzo di esordio di Dorothy Baker, in uscita oggi per Fazi editore con la traduzione di Stefano Tummolini. Un onore, davvero, perché il romanzo precedente pubblicato in Italia di questa autrice, Cassandra al matrimonio, mi era piaciuto molto, per lo stile e per il coraggio di trattare una tematica, quella dei gemelli e del rapporto a volte morboso che si può creare tra loro, nell'epoca in cui è stato scritto. Tutti elementi che mi hanno lasciato addosso la voglia di leggere qualcos'altro di questa scrittrice.
Tutto mi aspettavo fuorché un romanzo che parla di musica e di jazz. Ok che questo è il primo romanzo e Cassandra al matrimonio è venuto dopo, però, ecco, un cambio così drastico di tematiche e ambientazioni mi ha un po' stupita e un po' intimorita. Ma per fortuna, Dorothy Baker sa scrivere e sa raccontare in un modo incredibile.

La leggenda del trombettista bianco racconta la storia romanzata di Leon Bix Beiderbecke, il più celebre trombettista solista americano degli anni '20. Qui si chiama Rick Martin, la cui madre è morta di parto e il padre ha deciso di lasciarlo a due suoi cognati, fratello e sorella. Rick vive con loro a Los Angeles, odia la scuola e ama incondizionatamente la musica, fin da quella volta che si è infilato nella sede della Missione delle Anime e ha iniziato a suonare il piano. Poi un giorno, mentre ancora ragazzino sta lavorando in un sala di biliardo, conosce Smoke Jordan, un ragazzo di colore  che aveva sempre il ritmo nelle orecchie, nonché un grande batterista senza la possibilità di esibirsi. È Smoke che lo porta al Cotton Club, dove si esibisce il suo amico Jeff Williams con tutta la sua band. Ed è lì che si segna il punto di svolta nella vita di Rick. Scoprirà che il suo strumento è in realtà il flicorno e che con essa può fare grandi cose. Da quel momento, la sua carriera è in ascesa: inizia a suonare con un band per l’estate e poi viene notato da Lee Valentine, che lo porta a New York a fare la prima tromba. E poi, a rovinare tutto, arriva l’alcol e l’amore. Rick si perde. Lui vorrebbe solo suonare, ma se anche il tuo strumento ti tradisce, forse è davvero ora di arrendersi.

Io di musica jazz non so assolutamente niente, né avevo la più pallida idea di chi fosse Leon Bix Beiderbecke. Una volta iniziata la lettura, temevo che questa mia ignoranza mi avrebbe fatto perdere qualcosa della storia. Così non è stato, perché ci ha pensato Dorothy Baker con il suo stile a tenermi in carreggiata e a rendermi piacevole qualcosa che, se non lo avesse scritto lei, io probabilmente non avrei mai letto. Mi è piaciuta molto la storia di Rick Martin, questo trombettista bianco in grado di suonare il jazz come lo suonano i musicisti di colore. Mi è piaciuto leggere la storia della sua passione, il modo in cui è cresciuta e si è alimentata e mi è spiaciuto quando tutto, piano piano, ha iniziato a incrinarsi, a crollare.

È stato bello conoscere questa storia ed è stato bello farsela racconta da questa scrittrice, dalle cui parole appare ben evidente la sua passione per la musica e l'incredibile abilità nel saperla raccontare (che non è mica semplice parlare di musica a un pubblico di "non addetti). 

Insomma, La leggenda del trombettista bianco è un libro consigliatissimo!


Titolo: La leggenda del trombettista bianco
Autore: Dorothy Baker
Traduttore: Stefano Tummolini
Pagine: 236
Editore: Fazi editore
Anno: 2015
Acquista su Amazon:La leggenda del trombettista bianco
formato ebook: La leggenda del trombettista bianco

mercoledì 4 novembre 2015

TUTTE LE MIE PREGHIERE GUARDANO VERSO OVEST - Paolo Cognetti

L’età dell’oro del treno ha lasciato a New York i suoi ponti, una stazione monumentale, i tunnel che partono dall’isola in tutte le direzioni, miglia e miglia di binari volanti e infine i diner – carrozze ristorante piantate in mezzo ai grattacieli, a ricordare anche ai newyorkesi, casomai si sentissero il centro del mondo, che il vero sogno americano non è una casa ma un viaggio permanente, e anche seduti a tavola non bisognerebbe mai smettere di andare.


Lo so, l’ho già detto un sacco di volte, ma io adoro i libri che parlano di cibo. Forse perché sono due aspetti della vita per me fondamentali, il mangiare bene e il leggere un buon libro, e quando li ritrovo uniti in unica cosa non posso che provare un certo appagamento (misto a un po’ di fame, ovviamente, che leggendo mica mangio). Per questo collane come Allacarta di EDT a me fanno impazzire. Prendi uno scrittore, mandalo in una città che conosce e che ama e chiedigli di raccontarla attraverso il cibo. Mi ero divertita, ad esempio, ad andare a Barcellona con Marco Malvaldi e la sua Famiglia Tortilla. Mi aveva incuriosito il viaggio in Giappone di Fabio Geda e il suo Itadakimasu- Umilmente ricevo in dono. E ora, Paolo Cognetti a New York, con il suo Tutte le preghiere guardano verso ovest
Che amo Cognetti è risaputo. Adoro il suo modo di scrivere, il suo catturare dettagli ed emozioni con le parole, il suo modo di essere schivo (e a tal proposito vi consiglio uno degli ultimi post sul suo blog) e cosmopolita al tempo stesso.  Ed ero davvero curiosa di sapere come avrebbe descritto New York, città che ama e di cui aveva già parlato in New York è una finestra senza tende, edito da Laterza.

Tutte le mie preghiere guardano verso ovest è la storia di un suo viaggio a New York, città in cui torna spesso e che non è in contrasto con il suo amare la pace e la montagna, anche se all'apparenza potrebbe sembrare. Lui e la sua bici a sfrecciare per le strade della città, verso i luoghi meno conosciuti e meno frequentati, e che forse per questo meritano ancora di più. È la storia dei suoi incontri, con amici italiani trasferitisi lì, con amici del luogo e con sconosciuti che si aggrappano all'improvviso al suo braccio per poter attraversare la strada. È la storia del cibo, ovviamente. Di quello che ha mangiato e di quell'incredibile contrapposizione che si trova solo nelle grandi città tra l’economicissimo cibo da strada e le bistecche di lusso, entrambe molto buone. Ed è un viaggio che lo scrittore ha fatto e fa dentro se stesso ogni volta che scrive.

Non sono mai stata  a New York. Mi piacerebbe andarci, come penso un po’ a tutti, ma al tempo stesso la sua enormità mi spaventa. Avrei forse paura di perdermi o di non essere in grado di viverla appieno. Paolo Cognetti, con questo libro, è riuscito a farmi capire che a New York c’è posto per tutti e che perdersi fa parte del bello di questa città (e poi al massimo potrei sempre usare una delle sue mappe che compare nel libro).

Un libro che si legge in poco tempo (è breve e, se riuscite, vi consiglio di prendervi un paio d’ore e di leggerlo tutto di fila), ma che riesce a dire davvero tanto. Su New York, sulle bistecche e sugli uomini, in generale. Assolutamente da leggere.


Titolo: Tutte le mie preghiere guardano verso ovest
Autore: Paolo Cognetti
Pagine: 108
Editore: EDT
Acquista su Amazon:

lunedì 2 novembre 2015

LA MORTE DEI CAPRIOLI BELLI - Ota Pavel

L’anno seguente vennero con le reti per pescare i pesci del laghetto inferiore di Buštěhrad. In mezzo ai pescatori balenavano le uniformi della Wehrmacht, le carpe sarebbero state confiscate dalle forze armate tedesche.
Stavo sull’argine in mezzo ai ragazzi e aspettavo come sarebbe andata a finire.
L’inizio fu in grande stile, la banda militare suonava sulla diga e tutto prometteva bene. Ma nel laghetto non c’era nulla e nessuno riusciva  a spiegarselo. E io quella volta pensai che quella musica in realtà suonava solo in onore del mio papà che, con la stessa di David sul cappotto, aveva vuotato il laghetto ai tedeschi.


Di romanzi ambientati al tempo della Seconda Guerra Mondiale ce ne sono tantissimi e ancora continuano a uscirne. Forse perché c’è ancora tanto da dire, forse perché è un modo per essere sicuri di non dimenticare quanta sofferenza e quante atrocità sono state compiute. Non tutti, ovviamente, riescono nel loro intento di raccontare quell’epoca e a volte l’impressione che l’autore o l’autrice in questione stia semplicemente cavalcando un’onda è molto forte. 
Per questo ultimamente ne leggo pochi di libri ambientati in quell’epoca. Forse perché i più importanti, Primo Levi o Il diario di Anna Frank o Il partigiano Johnny, per citarne solo qualcuno, li ho già letti in passato. Forse perché a volte, anche in silenzio, si può ricordare.
Però quando mi hanno parlato per la prima volta di La morte dei caprioli belli di Ota Pavel, pubblicato in Italia da Keller editore con la traduzione di Barbara Zane, ho saputo subito che sarebbe stato qualcosa di diverso e che avrei dovuto leggerlo.

La morte dei caprioli belli è una raccolta di racconti di vita della famiglia di Ota Pavel. Una madre cattolica, un padre ebreo, famoso per le sue abilità di venditore e per l’incredibile passione per la pesca. Ota Pavel ci racconta la sua infanzia e la sua adolescenza, che hanno coinciso con l’inizio e la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma non lo fa parlando di battaglie, di vita nei campi di concentramento, di fucilazioni o di povertà. No, lui racconta la vita quotidiana della sua famiglia, le buffe peripezie del padre, che riesce a vendere aspirapolveri anche a chi ancora non ha la corrente elettrica, che ha una passione per le belle donne ma anche per sua moglie, che è disposto a tutto pur di concedere ai figli in partenza per il campo di concentramento un ultimo pasto decente e che proprio non ne vuole sapere di lasciare le sue carpe in mano ai tedeschi.  Attraverso i nove racconti che compongo la raccolta, si vede la crescita di Ota e l’evoluzione del padre, vero fulcro di tutte le avventure famigliari, nonché pilastro della vita dell’autore.

È una lettura divertente e commuovente al tempo stesso. È la storia di una famiglia che è riuscita a rimanere unita nonostante tutto: nonostante la guerra, che ha tentato di portarsi via qualche componente senza per fortuna riuscirci, ma anche nonostante le bizzarrie di un capo famiglia sempre alla ricerca di un sogno che non riesce mai a realizzare, ma che non gli impedisce di continuare a provarci e a prendersi le sue piccole soddisfazioni.

Dallo stile di Ota Pavel si sente il legame, il forte affetto che ha provato per tutta la sua famiglia. E questo si capisce anche dal fatto che questi racconti sono stati scritti dopo il suo primo ricovero per la malattia psichiatrica che poi lo porterà alla morte. Cercava forse un rifugio, in quel qualcosa di bello che è riuscito ad avere nonostante la situazione politica e sociale pareva rendere la felicità impossibile. 

Non so se mentre suo padre passava da un commercio all’altro, mentre inseguiva caprioli belli, comprava laghetti pieni di carpe o allevava conigli e maiali, Ota Pavel era felice. Perché forse sono di quelle felicità di cui ci accorgiamo solo quando ormai non le abbiamo più. Al lettore, però, questa felicità arriva e lo conquista completamente.

Insomma, La morte dei caprioli belli è davvero una piccola perla, assolutamente da leggere.


Titolo: La morte dei caprioli belli
Autore: Ota Pavel
Traduttore: Barbara Zane
Pagine: 159
Editore: Keller
Acquista su Amazon:
formato brossura:La morte dei caprioli belli