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domenica 30 giugno 2013

DIVORZIO ALL'ISLAMICA A VIALE MARCONI - Amara Lackhous

Sono sempre stata molto attratta dai libri di Amara Lakhous (anche se ho scoperto solo poco tempo fa che è uomo e non una donna, come invece credevo io). Forse per via dei titoli sempre molto particolari, forse per le graziose copertine dell'edizione dell'e/o.
Per un motivo o per l'altro, però, ci ho messo un po' prima di riuscire a togliermi questa curiosità riguardo al loro contenuto. Sapevo sì, quali erano i temi cardine di tutte le opere di questo autore: l'integrazione e la vita dei musulmani in Italia, ma non avevo idea di come questi venissero sviluppati dall'autore.
Poi finalmente mi è capitato tra le mani questo Divorzio all'islamica a viale Marconi. Un romanzo abbastanza breve, molto scorrevole e piacevole da leggere che offre un piccolo, piccolissimo spaccato della vita in quartiere romano popolato per lo più da arabi .

In questo quartiere un giorno arriva Christian, giovane siciliano che lavora come interprete dall'arabo per il tribunale di Palermo, a cui viene chiesto dalla polizia, proprio per le sue conoscenze di quel mondo, di infiltrarsi tra la gente del posto per cercare di scoprire chi c'è dietro alla cellula terrorista che pare stia nascendo nella zona. Per questo, finge di essere un tunisino di nome Issa e inizia a girare attorno al call center Little Cairo, per tenere d'occhio tutta la situazione dal centro nevralgico del quartiere.
Nello stesso quartiere vive anche Safia, o Sofia all'italiana, una donna egiziana giunta in Italia dopo il matrimonio con l'architetto Said, conosciuto come Felice a Roma, che in realtà lavora come pizzaiolo. Una donna che vorrebbe essere libera, che sogna di aprire un salone da parrucchiera ma che si scontra sempre con il marito, molto più praticante di quanto avesse immaginato al momento del matrimonio.
Le ferite guariscono perché toccano il corpo, certe parole invece feriscono per sempre perché vanno dritte nel profondo dell’anima.
Anche se la storia è molto semplice, quasi banale e alla fine lascia un pochino di insoddisfazione nella sua soluzione, il romanzo nel complesso non annoia mai, grazie all'inserimento di molti siparietti divertenti e, soprattutto, alla scelta dell'autore di alternare la narrazione tra Issa e Safia: un capitolo a testa che permette a chi legge di farsi un'idea della vita degli arabi in Italia da due punti di vista diversi. Quello di Safia è sicuramente quello che fa riflettere di più perché racconta della vita delle donne, succubi prima del padre e poi del marito e della sua volontà, che troppo spesso impediscono la realizzazione dei sogni. Il bello è che Safia non si arrende mai, non riesce a smettere di sognare il suo salone da parrucchiera e una vita diversa, con un amore come quello dei film che tanto ama guardare.
Avere un sogno da realizzare è la più grande ragione per vivere.
E' sicuramente un libro che dà di che pensare, che fa conoscere degli aspetti della società degli immigrati arabi che io personalmente (e un po' con vergogna) ignoravo. Ma lo fa in modo simpatico, leggero, perfino quando affronta temi importati come la cittadinanza e i permessi di soggiorno. Certo, mi sarebbe piaciuto il filo conduttore avesse un finale diverso, più definito. Ma nel complesso è stata proprio una piacevole lettura, che consiglio caldamente.

Titolo: Divorzio all'islamica a viale Marconi
Autore: Amara Lackhous
Pagine: 188
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: e/o
ISBN: 978-8866320937
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su Amazon:

venerdì 28 giugno 2013

IL NAZISTA & IL BARBIERE - Edgar Hilsenrath

"Se potessi non scriverei così. Mi sento in colpa per essere sopravvissuto".

Devo partire da qui. Da questa frase che Edgar Hilsenrath ha pronunciato durante un'intervista e che la Marcos y Marcos riporta nella quarta di copertina, per riuscire a parlare di questo libro. E anche così, tenendo bene a mente quello che l'autore ha passato, quello che milioni di persone hanno passato nel periodo più nero della nostra storia, ho delle difficoltà.

Perché Il nazista & il barbiere è un libro duro, violento, doloroso, folle. Un libro che ti mozza il respiro, che ti fa provare ribrezzo, orrore fin dalle prime pagine. Pagine grottesche, quasi deliranti, comiche. Se non fossero così tragiche, così reali nella loro assurdità.

Max Schulz è un uomo di pura razza ariana, sebbene non sia ben chiaro chi sia il suo vero padre e  i suoi occhi da rospo e i suoi capelli neri lascerebbero intendere il contrario. Nasce e vive in Germania e ha come migliore amico nell'infanzia Itzig Finkelstein, biondo, occhi azzuri, ebreo e figlio di un barbiere che si prende cura anche di Max. Ma poi arriva la guerra e Max da apprendista barbiere diventa un SS, una camicia nera, uno sterminatore. Che non si ferma di fronte a niente e a nessuno semplicemente perché è così che deve essere. Ma poi la guerra finisce e da perseguitatore diventa perseguitato per i terribili crimini di guerra che ha commesso. E allora cosa fa? Max Schulz lo sterminatore si trasforma in Itzig Finkelstein: non è poi così difficile, basta farsi tatuare un numero su un braccio e raccontare a tutti di essere stato ad Auschwitz. Tutti gli credono, anche grazie a quanto ha imparato quando frequentava il vero Itzig Finkelstein. Diventa ebreo, un ebreo convinto, quindi, al punto che decide di imbarcasi e partire per la Terra Santa, la sua terra, e rivendicarne la proprietà e il possesso, insieme ad altri sopravvissuti come lui. Combatterà per la sua patria, proprio come immagina che avrebbe fatto Itzig Fienkelstein. Ma il passato, a un certo punto, tornerà per forza a farsi vivo e il segreto difficile da mantenere. Non può essere altrimenti. Ma nessun giudizio terreno, nessun castigo, nessuna punizione sarà mai sufficiente per espiare quello che ha fatto. 

Questo libro mi ha fatto davvero male. E ancora adesso ho delle serie difficoltà a scrivere queste parole senza provare un brivido. Eppure è una storia geniale, scritta in modo altrettanto geniale. Un libro provocatorio, ricco di umorismo nero e macabro, che sfiora l'assurdo e il grottesco. Un modo strano e molto particolare di denunciare ancora una volta quei terribili gesti che sono stati compiuti, durante la guerra, ma anche dopo. Forse quello che fa più male in assoluto è il fatto che questo romanzo non racconta altro che la verità, in forma romanzata. Le cose raccontate sono successe davvero. Magari Max Schulz non è mai esistito, ma qualcuno come lui sì. Qualcuno che non si è fatto scrupoli, che ha seguito la massa, senza mai credere davvero in nulla, perché è così che doveva essere, è così che si doveva fare.

Non so se consiglierei a tutti questa lettura. Perché, ribadisco, è un libro che fa davvero male. Io stessa fin dalle prime pagine, nonostante lo stile colloquiale dell'autore, che narra tutto dal punto di vista di Max stesso, nei suoi pensieri, nei suoi deliri, nella sua percezione distorta del mondo che ci circonda, ho pensato di abbandonarlo. Ma sarebbe stato un po' come chiudere gli occhi e far finta di nulla, negare, ancora una volta. E non sarebbe stato giusto, perché bisogna leggere anche libri antipatici, libri scomodi, se servono a mantenere vivo un passato, che non può e non deve essere dimenticato.
E quindi, preparatevi a stare male e leggetelo.

Nota alla traduzione: non deve essere stato semplice tradurre un libro come questo, visto lo stile dell'autore, complesso o colloquiale al contempo. E devo dire che le due traduttrici se la sono cavata egregiamente.

Titolo: Il nazista & il barbiere
Autore: Edgar Hilsenrath
Traduttore: Maria Luisa Bocchino e Marzia Luppi Cortaldo
Pagine: 388
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: marcos y marcos
ISBN: 978-8871684321
Prezzo di copertina: 16 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:Il nazista & il barbiere

giovedì 27 giugno 2013

Esperimenti letterari a puntate: IL DECLINO - Fabio De Masi (#3)


Gli amanti, René Magritte
Lei appoggia la testa sulla sua spalla, mentre con gli occhi scruta solo una piccola parte dell’uomo che le è appena stato dentro. Lui ha la testa sollevata dal cuscino piegato in due e dalla mano che è appoggiata nel mezzo.

«Non credi che le relazioni tra le persone nascano esclusivamente dalla voglia di fare sesso?»
Lei pensa subito a come quest’uscita sia tipica di un uomo, un pensiero quasi maschilista.
«Credo che il sesso sia solo una conseguenza della voglia di stare insieme» dice lei.
«Forse non hai capito quello che intendo» dice lui, poi fa una piccola pausa per tirare dalla sigaretta e la testa di Anna si solleva seguendo l’onda di aria e tabacco che entra nei suoi polmoni. C’è poca luce nella stanza. Lei continua ad assaporare l’odore di Lorenzo che adesso si unisce al fumo.
Lui continua «E’ ovvio che stiamo insieme non solo per scopare. Ma perché ci siamo scelti?» chiede.
«Perché ci siamo piaciuti».
«Certo, ma quando ti ho vista non ti conoscevo, e sinceramente il primo pensiero che ho avuto è stato “quanto è figa!”»
Lei sorride compiaciuta, ma cerca di non farsi vedere da Lorenzo; poi pensa che, forse, non la vede più così.
«E’ stato quel pensiero che mi ha convinto a venire da te: altro non era che il desiderio» fa un altro tiro poi, cercando di non far spostare Anna, ruota verso il comodino per far cadere la cenere nella tazzina.
Anna pensa a come, effettivamente, le parole di Lorenzo non siano del tutto prive di senso. Quando lui le si è avvicinato non ha potuto fare a meno di notare la sua presenza fisica, i suoi capelli appena brizzolati, la sua barba e i suoi occhi che si arricciavano in mezzo al sorriso. Non ha potuto fare a meno d’immaginarsi a letto con lui, di desiderarlo dentro di sé.
«Vuoi fare un tiro?» chiede lui.
«No, grazie».
Lorenzo guarda i fori delle serrande disegnati sul soffitto dalla luce dei lampioni.
«Non ti intristisce come idea », fa lui « il pensiero che ci siamo scelti non tanto per quello che siamo, ma per come siamo? Che tutto sia solamente la combinazione di istinto e casualità?».
Anna si scosta dal suo petto e si gira a guardare il soffitto. Lui la guarda per un attimo, poi si rigira nuovamente verso l’alto.
Forse per questo molte storie finiscono dopo pochi anni, pensa lei. Poi guarda Lorenzo ruotando solo il collo: è lì, nudo. Qualche anno fa non avrebbe resistito, avrebbe avuto voglia di rifarlo subito.
«Come sta Irene?»
«Bene,» dice mentre tira su il lenzuolo e si copre fino al seno, come se improvvisamente si sentisse nuda «sempre sola e sempre alla ricerca dell’uomo perfetto».
Fa l’ultimo tiro e spegne la sigaretta nel posacenere. «Be’, prima o poi lo troverà. Ha la legge dei grandi numeri dalla sua parte».
Anna si mette su un fianco, appoggia la testa sulla mano e guarda Lorenzo. Lui ha gli occhi socchiusi, e il sonno indotto dal sesso tende a trascinarlo con sé.
«Tu mi desideri ancora?» domanda lei.
«In questo momento, o in generale» risponde, dopo un po’: dopo aver sentito la domanda mentre si stava addormentando, dopo averci pensato, dopo non aver trovato risposta.
Anna non capisce quel breve silenzio: non poteva essersi addormentato, non così in fretta. Forse non ha il coraggio di dirmi che non mi desidera più, pensa, o che neanche lui mi desidera più come prima.
«Secondo il tuo ragionamento, se non mi avessi desiderata tre anni fa non ci saremmo mai conosciuti?».
«Credo di no».
Abbassa il braccio e ci appoggia la testa sopra. Per un attimo fissa ancora Lorenzo e si domanda cosa stia capitando; poi si addormenta.
E’ la prima notte che dormono con la finestra chiusa. C’è sempre quell'istante in cui ti accorgi che il giorno dopo sarà un po’ più freddo, e così giorno dopo giorno. Quel momento in cui qualcosa cambia, improvvisamente.


THE END

mercoledì 26 giugno 2013

Esperimenti letterari a puntate: IL DECLINO - Fabio De Masi (#2)

(puntata precedente...)

21:00 – 22:00

«Non credo sia una buona idea. E poi sai tua sorella come mi tratta».
«No, non lo so. Come ti tratta mia sorella?» chiede Anna.
«Mi disprezza. Costantemente».
Le parole escono mentre le bocche si riempiono di cibo. La radio è spenta e loro non hanno TV in cucina. In casa c’è silenzio.
«Come vuoi» dice, «io ci andrò».
«Perfetto, non siamo obbligati a fare tutto insieme solo perché viviamo insieme. Questo mi sembra di avertelo detto più volte in questi anni».
Lei era convinta che fosse proprio quella la cosa bella del vivere insieme, del convivere. Convivere come condividere, sicura che le due vite, con il tempo, tendessero a coincidere. Sicura che la convivenza fosse un rapporto nel quale 1+1 era destinato a fare 2: un numero nuovo, unico. In realtà il risultato è 11, sì un numero nuovo, ma che conserva in qualche modo l’individualità del singolo.
«Stasera vedo Irene».
Lorenzo continua a mangiare con lo sguardo fisso sul piatto. Lei anche non lo guarda, non aspetta una risposta. Le forchette percorrono i piatti alla ricerca del cibo, suonando ad ogni gesto. Fuori il buio ha praticamente invaso la luce, e dalla finestra socchiusa inizia a entrare aria più fresca, tipicamente autunnale.
«Si sta alzando il vento» dice lui.
«Danno temporale» dice Anna, poi continua «Tu che fai? Esci?»
«No» risponde, poi guardando la finestra si alza «E’ meglio chiuderla, ormai l’estate è finita».
C’è sempre quell'istante in cui ti accorgi che il giorno dopo sarà un po’ più freddo, e così giorno dopo giorno. Quel momento in cui qualcosa cambia, improvvisamente.
Il vento si alza e si abbassa come un’onda, dietro le colline si intravedono i primi lampi.

«Ci vediamo dopo» gli dice, mentre lui ha le mani nel lavandino, con la testa china intento a lavare i piatti della cena.

Guerra- Temporale, Anselmo Bucci


22:00 – 23:00

«Magari è normale».
«Non lo so, sembra tutto così diverso».
«Ma non riesci a capire cosa sia successo? Individuare il momento in cui è iniziato il declino?» chiede Irene, in mezzo alle voci del pub.
Anna è appoggiata alla spalliera in pelle della panca che gira intorno al tavolo. Irene è al suo fianco che prende patatine fritte dal piatto messo nel mezzo. La luce è bassa e le incisioni sul tavolo di legno sembrano ancora più scure.
La sua Weiss media è a metà bicchiere. Guarda Irene, mentre rimangono tutte e due in silenzio per qualche minuto. Le viene da invidiare la sua vita, la sua libertà, essere desiderata ogni volta con la stessa intensità. Le viene voglia di sedurre ed essere sedotta. Forse è questo il problema.
«Forse lui non mi desidera più».
«Figurati» dice Irene, poi chiede «E tu? Lo desideri ancora?»
Anna guarda il cameriere che la sta fissando.
«Non lo so» risponde, poi continua «Per te è facile. Quanto è durata la tua storia più lunga?»
«Ma che c’entrano adesso le mie storie?»
«Dovresti provare, poi ne riparliamo» dice Anna. 
Subito le viene in mente quando, lo scorso anno, sua madre le raccontò di un documentario nel quale si era cercato di analizzare, in maniera scientifica, la durata dell’innamoramento: dell’amore. Era tutto incentrato sul desiderio, sui feromoni, sulla necessità del maschio di trovare una donna con la quale avere dei figli in salute, e della donna di trovare un uomo che trasmettesse protezione. Era una questione istintiva, di geni che si attraevano per generare una prole che potesse primeggiare, avere la meglio nella vita. Infine, si spiegava che proprio questo istinto di riprodursi, e farlo al meglio, spinge gli esseri umani a cercare altri partner dopo un tot di tempo, che secondo il documentario non supera i tre anni.
Poi guarda il telefono, legge, e in maniera frettolosa risponde a un messaggio.
«Scusa, è che sono un po’ tesa».
«Tu hai qualcosa che non mi convince» dice Irene, «tu mi stai nascondendo qualcosa».

La stanza è illuminata solo dalla lampada a piantana che Lorenzo usa per leggere. E’ seduto sulla poltrona con un libro in mano, ma le parole dal foglio faticano ad entrare nei suoi occhi, spesso si appoggiano solo e ricadono da dove sono venute.
Intorno è tutto in ordine, immobile da tre anni. Come se il tempo avesse incollato tutto, ogni cosa in un posto ben preciso. Tre anni fa ogni angolo di quella casa era costipato di entusiasmo e non capisce dove sia finito. E’ una questione di tempo, di adattamento. Anche alcuni lati del carattere di Anna che prima parevano bellissimi, sembrano cambiati. In alcuni momenti lei sembra un’altra. Magari è cambiato solo il suo modo di vederla, è cambiato lui. Ma lui si sente sempre lo stesso. Ci si abitua ad ogni cosa, pensa, e questo pensiero ultimamente lo esaspera.
Ricorda una frase letta qualche tempo prima in un libro:  diceva più o meno che il tempo non cambia le persone, ma le rivela. Ogni tanto la rilegge, non sa ancora se essere d’accordo.
Fuori iniziano a cadere le prime gocce, le sente sbattere sulla tapparella. Si avvicina alla finestra del balcone, scosta la tenda e vede sul pavimento gocce enormi che sembrano esplodere all’impatto come piccoli palloncini d’acqua. Alza lo sguardo e in trasparenza vede la sua faccia, la sua barba, poi dietro la lampada, la libreria, la stanza. La sua vita sembra un miraggio, vista così, ma non ha il minimo timore che possa dissolversi.
Mette su la moka e l’aspetta appoggiato al piano della cucina fissando il vuoto che sente anche dentro. Pensa ad Anna e a Irene, a cosa si staranno raccontando. Scivola in qualche fantasia che ogni tanto fa su Irene, senza saperne il perché: non è bella, ma ha qualcosa di estremamente erotico che ancora non ha individuato. Non sa se per quei pensieri deve sentirsi in colpa; ogni tanto vorrebbe dirlo ad Anna.
Si siede al tavolo con la tazza di caffè davanti. L’orologio indica le 23.03. Anna sarà lì a momenti; domani inizierà il weekend. Non andrà con lei, ha deciso così. E’ stufo di assecondarla solo perché si sente in dovere, di buttare energie su cose e persone a cui non è interessato. Vorrebbe comportarsi sempre così, ma non è possibile.
Magari è un momento, pensa. Magari il tempo riporterà ciò che gli sta togliendo.

... to be continued

Due titoli, un solo libro: ma perché? #39

Rieccoci per una nuova puntata della rubrica di confronto tra titolo originale e titolo tradotto! 

Nell'appuntamento di questa settimana parlerò di un libro il cui titolo è stato cambiato solo leggermente... un piccolo, piccolissimo cambiamento che però, secondo me, modifica interamente la percezione del romanzo da parte del potenziale lettore, scoraggiandolo un po' alla lettura.

Sto parlando di CHARLOTTE STREET ovvero LA RAGAZZA DI CHARLOTTE STREET di Danny Wallace:



Danny Wallace è un comico, registra, scrittore e presentatore inglese, conosciuto al grande pubblico internazionale grazie al suo Yes man, da cui è stato tratto l'omonimo film con Jim Carrey. Charlotte Street è uscito in lingua originale nel 2012 e tradotto in italiano da Simona Viciani lo stesso anno per Feltrinelli. 

Il libro, apparentemente e a causa anche di una quarta di copertina un po' fuorviante, parrebbe essere una banale storia d'amore. In realtà c'è molto di più: un personaggio ben costruito che deve fare i conti con il suo passato e il suo presente, uno stile molto ironico e fresco e, soprattutto, c'è Londra sullo sfondo. A me era piaciuto molto (vedi recensione).

In questo come si diceva piccolo, piccolissimo cambio di titolo c'è sicuramente qualcosa che non va. L'aggiunta di quel "la ragazza" e la scelta di una copertina completamente diversa dall'originale e molto fedele alle mode del momento, banalizzano drasticamente il contenuto del libro. L'intenzione era quella di attirare una certa tipologia di lettori (o meglio, lettrici), cavalcando forse anche l'onda del successo avuto da Gli ingredienti segreti dell'amore (e se notate infatti le copertine sono estremamente simili, cambia solo la città sullo sfondo). 
Un'intenzione che però penalizza tutto il potenziale che questo romanzo ha di rivolgersi a un pubblico più ampio.


Insomma, io fossi Danny Wallace un po' mi sarei arrabbiata per questa scelta. Così come, per l'ennesima volta,  mi sono arrabbiata come lettrice.

martedì 25 giugno 2013

Esperimenti letterari a puntate: IL DECLINO - Fabio De Masi (#1)

19:00 – 20:00

La luce inizia a mostrare la sua resa, inizia a inchinarsi al buio, e mentre lei si ritira, le ombre si srotolano sulla strada.
«Non credi sia meglio parlarle chiaramente?»
«Finché non ne sono sicuro non posso».
«Non sarai mai sicuro» gli risponde Matteo poco prima di appoggiarsi sulle labbra il bicchiere di bianco.
Settembre è ancora mite, riesce a portare in giro gente svestita; alcune donne sanno di crema solare, distribuiscono aria di vacanza.
«Il giorno che sarai sicuro, sarà già successo qualcosa» aggiunge Matteo, «e non potrai più tornare indietro».
Lorenzo guarda la tovaglia e il posacenere dove si sta consumando la sigaretta. Il bicchiere fa acqua lasciando un piccolo segno sul tessuto assetato. Guarda le gocce materializzate dal nulla, dalla semplice unione di qualcosa che si vede con qualcosa che solamente si percepisce. Non prende niente dal piatto, non ha fame, ma finisce il suo bicchiere con un solo gesto. Senza aspettare, chiama il cameriere e ne ordina un altro.

Anna posa le buste della spesa sul tavolo. La luce filtra orizzontale illuminando la polvere sospesa e quella ferma sulle cose. Prova a immaginare quanto sarebbe alta se in tre anni non l’avesse mai tolta: gli oggetti sarebbero sommersi come dentro schiuma. Apre le ante, tira su completamente la tapparella della cucina ed esce sul balcone. 
Guarda le piante disposte vicino alla ringhiera. Con le dita preme sulla terra per sentirne l’umidità. Alcune foglie secche si sono staccate e sono sul pavimento, foglie prosciugate dalla vita per dar posto a vita nuova, o forse, semplicemente, staccate perché stufe dei legami. Un gruppo di ragazzi è radunato nel giardino di fronte godendosi gli ultimi pomeriggi d’estate; un paio di loro si baciano sulla panchina. Anna sorride immaginando l’erezione di quell'adolescente alle prime esperienze. Ricorda il suo imbarazzo quando anche lei, per la prima volta, la sentì premere sul suo pube. Avevano entrambi quattordici anni. Cercava di stare lontana inarcando indietro il sedere. Ricorda che le volte successive, per evitare lo stesso imbarazzo, anche lui la imitò (per lo meno, le prime volte).
Rientra in casa e per un attimo tutto è più buio. È sempre così dopo che stai all'aperto, dopo che la luce ti ha invaso il cristallino.

Caffè di notte - Vincent Van Gogh


20:00 – 21:00

Lorenzo è quasi sotto casa, ci vuole mezz'ora a piedi da dove lavora: ha bisogno di passi. Le macchine intorno a lui scalpitano, trasmettono frenesia, nonostante siano tutte praticamente ferme. E’ quella frenesia dettata dall'impazienza, dall'incapacità di attendere e adattarsi a una situazione. Tutti i giorni si ripete la stessa scena, e tutti i giorni le stesse persone imprecano per essere immerse nella staticità della propria vita.
Tira dalla sigaretta che tiene tra l’indice e il pollice, il fumo finisce giù nei polmoni e ne riesce un po’ dal naso e un po’ dalla bocca socchiusa. Guarda per un secondo il mozzicone che ha tra le dita, un gesto automatico. Non sa nemmeno più perché fuma, per quale assurdo motivo abbia iniziato. Adesso non ne avrebbe nemmeno più voglia: avere le dita e la bocca che sanno di tabacco a volte lo disturba, così come pensare che da vecchio avrà i baffi ingialliti. Ormai è un automatismo, non è nemmeno più lui a scegliere, ma è il suo corpo che decide quando fumare. Si chiede cos’abbia scelto lui, veramente, nella sua vita.
L’asfalto del marciapiede rilascia ancora calore. Le giornate si stanno accorciando velocemente. Il prossimo mese le lancette torneranno un’ora indietro: uno scambio impari, dove ci viene regalata un’ora di sonno per privarci di cinque mesi di luce.
Si ferma davanti al portone. Guarda il palazzo dal basso verso l’alto, poi si gira intorno guardando tutti gli altri che si affacciano sul corso, e pensa a tutte queste vite che si ripetono all'infinito: dove dietro ad ogni finestra, bene o male, succedono sempre le stesse cose.

Esce dalla doccia, indossa l’accappatoio e mette su l’acqua per la pasta. Stasera, dopo la cena, vedrà Irene. E’ un appuntamento che si danno almeno una volta al mese: difficilmente saltano. S’infila gli slip, il reggiseno e torna in bagno per spalmarsi la crema.
Si guarda nello specchio notando come non sia più quella di qualche anno fa. Gli uomini sono attenti ai corpi così come le donne alle bugie. Però non ha voglia di perdere tempo in stupide palestre, a fare esercizi privi di funzioni celebrali, con gente convinta che un muscolo abbia più valore di un pensiero.
La radio accesa si sposa perfettamente con il silenzio. Si ricorda di non aver salato l’acqua. Tira fuori dal frigo una bottiglia di vino bianco e la apre. Se ne versa un bicchiere e frettolosamente ne beve un sorso. Poi va in camera da letto, apre l’armadio, prende un pantalone e una maglia, lo deposita sul letto e ritorna in bagno per iniziare a truccarsi.
Dalle finestre ancora aperte si sente il rumore delle stoviglie: dei piatti, delle posate, prese a gruppi e messe sulle tavole. E’ un suono tipico dell’estate. Ricorda quando era bambina e la sera scendeva in cortile con le amiche appena finito l’ultimo boccone. Da lì sotto si sentiva molto di ciò che c’era dentro le case degli altri, si percepivano i tempi e le abitudini. Lei ricorda i rumori. Pensa che tra un po’ l’inverno porterà via anche quelli.
E’ in casa da un’ora, e solo adesso si rende conto di non aver pensato a Lorenzo nemmeno per un secondo.


... to be continued

lunedì 24 giugno 2013

Esperimenti letterari a puntate

Questo blog parla di libri e, nel suo piccolo, del mondo della letteratura in generale. Ci sono le recensioni, ci sono gli eventi e ci sono i dibattiti sui più svariati argomenti.

A partire da domani sera, martedì 25 giugno, per tre sere, questo blog avrà anche qualcosa in più. Un piccolo esperimento, per ora fine a se stesso, ma destinato a ripetersi se tutto andrà come spero vada. Perché ho voglia di dare spazio agli autori emergenti meritevoli. A quelli che spero riescano appunto a emergere e farsi conoscere per il valore che, ovviamente sempre dal mio punto di vista, hanno.

Domani sera, per tre sere di fila, su questo blog potrete leggere Il  declino, un racconto di Fabio De Masi, scrittore torinese, con all'attivo alcune pubblicazioni in antologie e un paio di romanzi nel cassetto che stanno cercando in tutti i modi di uscire. 


Sì, a scanso di equivoci, lo dico subito. E' lo stesso Fabio de Masi che ha partecipato insieme a me alle interviste radiofoniche durante il Salone del Libro. L'ho conosciuto grazie a questo blog e letto praticamente tutto quello che ha scritto finora... ha chiesto sempre il mio parere, accettato le critiche (ma difeso anche e sempre il suo lavoro quelle volte in cui non ci siamo trovati d'accordo) e quindi quando mi ha detto che stava scrivendo questo racconto a puntate mi è venuto spontaneo e naturale offrigli ospitalità qui sul mio blog. 
Magari non ne esce niente... ma almeno mi assicuro un ringraziamento se in futuro vincerà il Nobel.

A questa premessa ne segue necessariamente un'altra: se non pensassi che questo racconto valga qualcosa, non lo pubblicherei. Sono talmente gelosa del mio blog che non pubblicherei mai qualcosa che non mi convince o di cui non sono sicura, nemmeno fosse il mio migliore amico o qualche parente stretto a chiedermelo. Ve lo dico così, sempre a scanso di equivoci.

Per cui, oltre alle normali trasmissioni (recensioni, rubriche, etc etc), come vi dicevo, per tre giorni a partire da domani se passate di qui alla sera (tra le 20.30 e le 21, salvo imprevisti) troverete le puntate di questo racconto, con la possibilità di commentare e dire la vostra, o di non farlo... come sempre insomma!

ALICE IN GABBIA - Arianna Gasbarro

A volte per scrivere una recensione è necessario essere nel contesto adeguato. Difficilmente riuscirete a recensire un libro che parla di mare in montagna o uno ambientato in Alaska se siete in viaggio lungo l'Equatore. 
Mi sono resa conto di questo ieri sera, mentre cercavo disperatamente di recensire Alice in gabbia dalla comodità del letto di camera mia, circondata da ciò che mi piace di più. E quindi ho aspettato arrivasse stamattina e, seduta alla scrivania di lavoro, mi ritaglio uno spazio per parlarne... inutile dire che adesso le parole vengono fuori eccome.

Alice ha ventotto anni, è laureata a pieni voti in una materia che ama, ha avuto diverse esperienze all'estero e adesso lavora in un'azienda che produce divani di lusso, con un contratto a tempo indeterminato, ed è felicemente fidanzata. Una vita che è il sogno di molti, soprattutto in tempi di crisi come questo, in cui già solo avere un lavoro è un lusso, figuriamoci se indeterminato, e che ad Alice inizia a stare davvero stretta. Non è soddisfatta di sé, del lavoro che svolge e dell'azienda in cui lo svolge. Del suo trespolo in un open space dove tutti sono insoddisfatti, della sua giornata scandita dalle timbrature del badge, che toglie tempo alla vita vera. Non sopporta il suo capo, non sopporta i suoi colleghi. O forse, semplicemente, non sopporta quello che un contratto a tempo indeterminato l'ha fatta diventare. E quindi deve fare qualcosa assolutamente, perché non si può già essere insoddisfatti della propria vita a ventotto anni e non tentare di cambiarla. Perché non basta un contratto indeterminato e una sicurezza economica per sentirsi arrivati. 

Il libro non ha una vera e propria trama, è più un flusso di pensieri, un racconto della vita quotidiana di Alice e di quello che l'ha portata fin lì, sia all'assunzione a tempo indeterminato sia all'idea definitiva di abbandonare tutto. E questa assenza di trama è un po' una pecca nel libro. Perché se lo scopo è quello di portare il lettore insoddisfatto della sua vita lavorativa a dire "ok, se ce l'ha fatta Alice a mollare tutto, posso farlo anche io", l'assenza di contorno la rende una scelta poco credibile o,almeno, ai giorni d'oggi. Cosa ne pensa il fidanzato, che magari vorrebbe anche sistemarsi, di questa scelta? E cosa succede dopo che lei ha timbrato il badge per l'ultima volta?E soprattutto, cos'è che davvero vuole fare Alice della sua vita, una volta fuggita dalla sua gabbia?
Dubbi che mi hanno tormentata durante la lettura, una lettura senza dubbio molto scorrevole e piacevole grazie allo stile giovane e fresco dell'autrice, e che ancora adesso mi tormentano e non mi permettono di avere un giudizio chiaro su questo libro.

Parlare di Alice in gabbia senza inserire riflessioni personali è davvero difficile, soprattutto considerando il fatto che io tra poche settimane avrò la stessa età di Alice, non ho un contratto a tempo indeterminato, ma un progetto che si trascina da anni senza riuscire però a trovare di meglio.
Però vorrei limitare le mie lagne e, quindi, mi fermo qui.

Titolo: Alice in gabbia
Autore: Arianna Gasbarro
Pagine: 128
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Miraggi
ISBN: 978-8896910016
Prezzo di copertina: 12 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Alice in gabbia

sabato 22 giugno 2013

La (mia) Grande Invasione

Ed eccomi qui, a parlarvi delle mie giornate passate a Ivrea tra un appuntamento e l'altro de "La grande invasione", il festival della lettura organizzato dall'organizzazione Liberi di Scegliere, dalla casa editrice minimum fax e dalla libreria La Galleria del Libro, che da giovedì ha iniziato appunto a invadere la città e continuerà fino a domenica. 
Ho partecipato a diversi incontri, tra giovedì e oggi, e, dato che non so se riuscirò a seguirne altri domani, credo sia il caso di iniziare a  mettere per iscritto tutte le mie sensazioni prima che mi dimentichi qualcosa.

E quindi iniziamo da giovedì sera e dall'incredibile reading di Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace letto da Giuseppe Battiston. L'evento avrebbe dovuto essere al Castello, ma il maltempo ha obbligato a uno spostamento dell'ultimo minuto al teatro Giacosa. Non entravo lì dentro da anni e mi ero dimenticata di quanto fosse bello.
La prima cosa da dire è che non ho mai letto nulla di David Foster Wallace. E' una di quelle lacune che so di dover colmare ma che, per un motivo o per l'altro, rimando ogni volta. Per paura, forse, perché mi è stato più volte detto che lo stile di questo autore è complesso. Però boh, prima del reading dentro di me ho pensato: "e tanto mica lo devo leggere io, no? Io devo solo ascoltare". Ed è stato davvero incredibile. Giuseppe Battiston è salito sul palco e ha iniziato a leggere. E Foster Wallace, grazie a lui, è stata una vera rivelazione. Una cosa divertente che non farò mai più è un libro piccino, un reportage di un viaggio in crociera fatto dall'autore. Giuseppe Battiston ha condotto il pubblico tra le pagine del libro, interpretando ogni frase e ogni silenzio, e rendendo l'ascolto un'esperienza unica.
Sono uscita da teatro semplicemente entusiasta (e come me anche il mio prima restio accompagnatore). Tant'è che ho comprato il libro.

Nella mattinata di venerdì ho poi partecipato all'incontro "Leggere la traduzione: Fitzgerald", durante il quale
Tommaso Pincio, traduttore del Grande Gatsby per minimum fax, ha parlato dell'opera e del suo lavoro di traduzione.
Ma voi lo sapevate che il libro, dopo un parziale flop iniziale, ha avuto il suo massimo successo durante la Seconda Guerra Mondiale, quando è stato ristampato e dato ai soldati e alle infermiere per passare il tempo? E che anche Snoopy era un fan di Gatsby? 
L'analisi di Pincio è stata molto interessante. Ha parlato del sogno americano e di come si reagisce quando questo non viene raggiunto, di come questo libro non sia bello tanto per la trama quanto per il modo in cui questa viene raccontata e dell'influenza che ha avuto su tutte le generazioni successive. E poi ha raccontato del suo approccio verso la traduzione e di quanto per lui fosse importante tradurre quest'opera, per il legame affettivo che prova nei suoi confronti. Un amore che è riuscito, con le sue parole, a far percepire e a trasmettere anche a chi era lì ad ascoltarlo.
Sono uscita di lì con la voglia di rileggere, per l'ennesima volta, Gatsby.  

Finito l'incontro sono tornata a casa, ho fatto pranzo e poi sono ripartita per assistere al seminario "Leggere la rete", su come i book blog raccontano i libri sul web. Un'argomento che un po' mi tocca da vicino, sebbene io sia ancora decisamente lontana dalla bravura e dalla diffusione dei blogger presenti all'incontro. Sul palco sono saliti Camilla Panichi di 404:File not Found, Jacopo Cirillo di Finzioni, Noemi Cuffia di Tazzina di Caffè, Federico Novaro del sito omonimo e Valentina Aversano di minima&moralia. Un incontro interessante, durante il quale ognuno ha spiegato come è nato il proprio blog e descritto il suo funzionamento. A parte quello di Noemi Cuffia, sono tutti blog collettivi, in cui pubblicano diverse persone in base a una precisa linea editoriale. L'argomento che è stato maggiormente trattato è stato quello dei rapporto con le case editrici. Un tema caldo, che sempre emerge quando si parla di book blog  e che dà spesso adito a polemiche. 
Accettare i libri dalle case editrici o non accettarli? Richiederli o non richiederli?
Domande frequenti, già trattate in passato, e che nascono dal dubbio, assolutamente legittimo, che il riceve in dono i libri dalle case editrici possa in qualche modo influenzarne la recensione.
Non ho ben chiara la mia opinione, ad essere sinceri. Ho ricevuto anche io qualche libro da qualche casa editrice (soprattutto le piccole... le grandi non mi filano molto) senza mai però percepire alcuna pressione in merito alla recensione da parte di chi me li ha inviati. Anzi! Per cui se ne ho parlato bene è perché secondo me sono libri che meritano. E onestamente, nella mia visione molto ingenua di book blog, mi riesce difficile credere che ci sia qualcuno che recensisce bene per continuare a ricevere regali. Anche perché così si imbroglia il lettore, vero destinatario del blog.
Ma torniamo a noi... l'incontro è proseguito con l'intervento di Emiliano Sbaraglia, che non c'entrava molto in realtà con i book blog, ma che ha parlato della sua esperienza di creazione della web radio UnderRadio, un progetto di Save the Children attuato in alcune scuole romane per insegnare agli studenti l'utilizzo degli strumenti della comunicazione digitale.
Poco prima della fine è stata poi posta una domanda, un tantino polemica, ma sicuramente con un senso, riguardo al fatto di come questo ma anche altri festival non siano altro che un'operazione commerciale e che chi partecipa altro non è che un consumatore a cui si tenta, sull'onda dell'entusiasmo, di vendere il prodotto libro. Una domanda legittima, che mi ha fatto un po' riflettere ma che credo meriti un post a parte, che prima o poi tenterò di scrivere.

Finito l'incontro, sono andata con la mia accompagnatrice (una ragazza fantastica che ho conosciuto proprio grazie al blog e che mi ha fatto un regalo bellissimo e inaspettato) a mangiare la torta '900 da Balla. Lei non l'aveva mai assaggiata e mi è sembrato doveroso porre rimedio a questa lacuna.
Il pomeriggio si è poi concluso con l'aperitivo con Diego De Silva, che ha però patito un po' di disorganizzazione. Il locale era piccolo, decisamente caldo e l'assenza di microfono rendeva molto difficile seguire il discorso dell'autore se non si era seduti di fronte a lui (che ha parlato di Malafemmena di Totò e di Raffaella Carrà). Ma sono sicura che per gli appuntamenti successivi rimedieranno!
Mi sarebbe poi piaciuto partecipare al reading serale di venerdì sera di Licia Maglietta, che portava sul palco brani tratti da "Il tempo è un bastardo" di Jennifer Egan, ma non sono riuscita a trovare un accompagnatore. E quindi, pazienza!

Stamattina sono invece andata all'incontro "Leggere i personaggi" in cui erano presenti Fabio Stassi, Alessio Torino e Paolo Cognetti per parlare del loro rapporto con i personaggi (degli altri, ma anche e soprattutto i loro). L'intervento è stato moderato da Jacopo Cirillo.

Fabio Stassi, Jacopo Cirillo, Alessio Torino, Paolo Cognetti
E' stata un'ora molto intensa e interessante, in cui ognuno di questi autori (ma anche il moderatore) hanno fatto una panoramica dei personaggi dei libri, del loro ruolo e di come questi siano necessari e vitali per lo svolgimento di una storia. Si è parlato di grandi personaggi e di cosa li rende tali (per Cirillo un personaggio è grande quando sappiamo cosa farebbe lui al nostro posto, per Stassi è quello che riesce a dare una risposta diversa ad ogni lettore). Cognetti ha poi parlato di Sofia ed esaltato Carver e il suo rapporto con i suoi personaggi, un' umanità che di onorevole non ha niente, un' umanità vile, che sbaglia, a cui però vuole un bene dell'anima.
Sono uscita da questo incontro con un'autografo di Paolo Cognetti, la voglia di comprare Tetano di Alessio Torino (visto che un romanzo di Stassi mi arriva per il compleanno) e la sensazione di aver assistito a qualcosa di davvero bello e intenso. Certo, ogni volta che ascolto autori parlare e interagire tra loro non posso fare a meno di sentirmi un po' ignorante, vista la loro incredibile capacità di citare autori e romanzi in ogni momento e sempre a proposito... ma credo che sia proprio questo a fare di loro dei grandi personaggi di cultura e dei bravi scrittori.

Per ora la mia Grande Invasione finisce qui. Spero di riuscire ad andare ancora a qualche incontro domani, ma dato che non sono sicura, ho preferito, come dicevo all'inizio, iniziare a mettere giù qualcosa (anche per evitare un post lunghissimo).
Sono davvero contenta per come è stato organizzato questo evento, per quello che è riuscito a portare in città e non posso che fare i complimenti a tutti gli organizzatori. Sperando vivamente che il prossimo anno ci sia una seconda edizione.


venerdì 21 giugno 2013

LA MANOMISSIONE DELLE PAROLE - Gianrico Carofiglio

Sono qui che penso a come scrivere la recensione di questo libro senza andarci giù troppo pesante. E mi rendo conto che come inizio non sia poi un granché e che l'autore potrebbe un po' risentirne.  Eppure, ieri sera, quando ho chiuso definitivamente (e per fortuna?) La manomissione delle parole, sono stata invasa da un sentimento di sollievo misto a fastidio: sollievo, appunto, per averlo finito, e fastidio per aver sprecato il mio tempo così.

L'idea alla base di questo saggio, se così si può chiamare, è quella di fare un'analisi di come molte persone tendano a cambiare il vero senso delle parole, a manometterle, più o meno consapevolmente, per interpretarle a loro favore o influenzare chi sta loro accanto. Un saggio che nasce da un romanzo dell'avvocato Guerrieri, come l'autore stesso spiega all'inizio, che in una libreria notturna aveva trovato il suo libraio intento a leggere un libro, inesistente, sulla manomissione delle parole e sull'uso che ne viene fatto. L'idea quindi di scrivere davvero questo libro credo che sia geniale. Se non fosse che è stata sprecata e buttata via dall'autore in maniera frettolosa e con scarsa cura.
Il saggio è breve, troppo breve visto l'argomento che tratta. Tocca tante cose, sì, ma lo fa in modo troppo superficiale, mischiando citazioni, politica e opinioni più o meno personali dell'autore. Avrebbe dovuto approfondire tutto di più, sia per quanto riguarda il passato sia, soprattutto, per il presente e l'importanza delle parole (e della loro manomissione) nella politica di oggi. Non è il fatto che parli di politica (in modo molto schierato... ma riportando comunque fatti) ad avermi infastidito, anzi! Come la penso da quel punto di vista credo sia ormai risaputo e il fatto che anche Carofiglio la pensi come me non può che farmi piacere. E' il modo frettoloso in cui lo fa. Come se l'autore stesso non avesse ben chiaro come e quanto scrivere, come se si fosse voluto fermare prima di dire troppo. Perché? Perché hai sprecato così tutte le potenzialità che questo  libro poteva avere? Perché hai stabilito un filo logico, che parte dalla Vergogna, passa per la giustizia, la ribellione, la bellezza per arrivare alla scelta, e poi lo hai seguito solo in parte, lasciando in sospeso troppe cose?

Sono un po' amareggiata, lo ammetto. Una reazione forse un po' eccessiva per un libretto del genere, certo. Ma quando hai tante aspettative (e io, adorando questo autore, di aspettative ne avevo davvero tante), vederle deluse è proprio una brutta sensazione. Soprattutto quando c'era tutto il potenziale per scrivere qualcosa di bellissimo, qualcosa che andasse oltre il mero saggio sul potere delle parole (cosa che non è) e che fosse una vera e propria denuncia. 

L'opera si chiude con un altro piccolo saggio dell'autore dal titolo "Le parole nel diritto", in cui analizza come il linguaggio burocratico sia ostile, quasi criptico e non alla portata di tutti. Un argomento effettivamente interessante, a cui Carofiglio è direttamente interessato in quanto magistrato. Ma di nuovo, poche pagine e nulla più.

PS: vorrei fare i complimenti a Margherita Losacco e all'inteso lavoro di ricerca che ha sicuramente fatto (lo si vede dalla bibliografia) per permettere a Carofiglio di scrivere il libro. Io personalmente avrei messo in copertina anche il suo nome.

Titolo: La manomissione delle parole
Autore: Gianrico Carofiglio
Pagine: 190
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: BUR
ISBN: 978-8817052344
Prezzo di copertina: 9 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: La manomissione delle parole

mercoledì 19 giugno 2013

Due titoli, un solo libro: ma perché? #38

C'è un libro che da qualche settimana mi guarda dal comodino, implorandomi di leggerlo. Un libro che mi è stato prestato, che di mio non avrei mai assolutamente nemmeno considerato, e che chi me l'ha prestato mi ha detto che non le è piaciuto. E quindi la voglia di leggerlo è pari a zero (ne ho troppi belli in attesa per perdere tempo con quelli brutti!).
Però mi sento stupidamente un po' in colpa nei confronti di questo povero volume... e quindi ho deciso di parlare di lui qui, nella rubrica di confronto tra titoli (anche se, considerando quello che sto per scrivere, probabilmente non gli faccio poi tutto sto favore).

Il libro in questione è  GLACIERS ovvero LA COLLEZIONISTA DI COSE PERDUTE di Alexis M. Smith:


Il romanzo è uscito in lingua originale nel 2012 e tradotto in italiano da Marcella Maffi per la casa editrice Frassinelli nel 2013. Non so bene di che cosa parli, la quarta di copertina dice che si tratta di un romanzo d'amore, che ha come protagonista Isabel, una giovane donna che vive nel ricordo della sua terra di origine, costellata di ghiacciai, e che colleziona piccoli oggetti che gli altri hanno dimenticato o perso in giro (non ripeto invece le parole dell'amica che me l'ha prestato sulla trama, perché ci sono bambini all'ascolto).

Per quanto riguarda il cambiamento di titolo, direi che siamo alle solite. Cambio drastico (la traduzione dell'originale sarebbe semplicemente "ghiacciai"), che segue la solita moda di titoli composti, con sostantivo e complemento di specificazione. Secondo quanto detto dalla trama, la protagonista colleziona davvero gli oggetti perduti da altri... però perché farlo diventare il titolo, visto che l'originale si focalizzava su altro (ed era più breve e conciso)?

Ormai non riesco nemmeno più a decidere se questa domanda sia retorica o meno.

martedì 18 giugno 2013

WE ARE FAMILY - Fabio Bartolomei

We are family... I got all my sister with me... 
Ecco, lo sapevo, adesso andrò avanti per giorni a canticchiare la canzone delle Sister Sledge che dà il titolo a questo romanzo. Un motivetto che spopolava sul finire degli anni '70 e che, una volta conosciuto ed entrato in testa, difficilmente se ne andrà.

Un po' come questo romanzo di Fabio Bartolomei, quindi. Talmente bello e talmente intenso che, una volta letto, difficilmente si potrà dimenticare.

Ho conosciuto questo autore da poco, grazie a quel piccolo gioiello che è La banda degli invisibili e ammetto che, nonostante tutti mi dicessero che gli altri suoi libri sono ancora più belli, ero un po' riluttante a leggere un altro romanzo. Perché non c'è niente di peggio di veder deluse certe aspettative. E invece adesso, a lettura conclusa, mi ritrovo a cercare di controllarmi e di non buttarmi subito sull'altro suo romanzo che mi aspetta sul comodino.

We are family racconta di Al Santamaria, un bambino un po' speciale, che a tre anni e mezzo già parla come un dizionario e sa far di conto, una mente geniale, in grado di memorizzare ogni più piccola nozione, ma con serie difficoltà a relazionarsi con gli altri e destinato senza saperlo a rimanere bambino per sempre.Accanto a lui c'è la sua famiglia: la madre Agnese, che fa le ciambelle al cioccolato più buone del mondo, il padre Mario Elvis, autista di autobus con una passione per il re del rock 'n' roll, e la sorella maggiore Vittoria, che ha la strana tendenza a uccidere tutti gli animali domestici che i genitori le prendono. Una famiglia molto unita, che non naviga nell'oro, e che ha un sogno comune, quello di trovare la casa giusta in cui finalmente essere felici. 

E' molto difficile parlare della trama di questo romanzo, perché qualunque dettaglio vi riveli, anche il più insignificante, vi farà perdere un po' il gusto della scoperta e della lettura. Perché in ogni dettaglio si vede la bravura di Fabio Bartolomei nel creare personaggi e situazioni semplicemente incredibili e geniali.

Al è forse uno dei personaggi più belli e ben riusciti che mi sia capitato di incontrare negli ultimi anni: non si può non affezionarsi a lui, non sorridere di fronte a certi suoi atteggiamenti, non condividere certi suoi ragionamenti e, soprattutto, non commuoversi per la sua naturale innocenza e contorta semplicità.
Cosa significa per te "amore?"
[...]
"Significa che non ho dubbi, che tutte le domande hanno la stessa risposta. Chi voglio? Te. Cosa voglio fare? Te. Dove voglio andare? Te. Cosa voglio mangiare? Te."
L'autore ci presenta Al quando ha quasi quattro anni e lo fa crescere e relazionarsi nella storia e nel mondo, che cambia e si evolve intorno a lui. Al ci dirà la sua sul referendum sul divorzio, sulle missioni spaziali, sulla P2 ma anche i suoi primi approcci amorosi, fino ad arrivare agli anni Novanta. Il suo cuore e la sua mente, per quanto geniale, rimangono sempre quelli di un bambino, con i suoi strani meccanismi, la voglia di non smettere mai di giocare, e l'unico, grande scopo nella vita di far felice le persone. Tutte le persone del mondo. Finché non si rende conto che forse come obiettivo è un po' troppo ampio. Ma può iniziare da vicino, dal piccolo...

Non è possibile rendere felice il genere umano tutto insieme. Quella per la salvezza del mondo è una battaglia che si combatte casa per casa.
We are family è uno di quei libri difficili da recensire, perché è difficile trovare le parole che gli rendano il giusto merito. Per cui, vi dico solo di prendere questo libro e leggerlo. Vi farà ridere, vi farà commuovere, vi farà pensare e, perché no,  un po' sognare. E, come vi dicevo già all'inizio, non lo dimenticherete facilmente.

E ora canticchio ancora un po' va... "we are family.. I got all my sister with me"...

Titolo: We are family
Autore: Fabio Bartolomei
Pagine: 280
Anno di pubblicazione: 2013
Editore: e/o
ISBN: 9788866322535
Prezzo di copertina: 17,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura:We are family

lunedì 17 giugno 2013

La grande invasione , Festival della lettura , Ivrea 20-23 giugno 2013

Mi accingo a scrivere questo post con una gioia immensa per annunciarvi che dal 20 al 23 giugno 2013, a Ivrea, si terrà il festival della lettura "La grande invasione", organizzato dalla libreria La Galleria del Libro e dalla casa editrice minimumfax.

Vivo alle porte di Ivrea da quando sono nata. E' una cittadina particolare, conosciuta ai più per il suo bizzarro carnevale (sì, quello dove si tirano le arance. E sì, fanno male ma dipende anche un po' da dove le prendi) e per l'Olivetti, la grande azienda informatica, la cui mancanza, anche a distanza di anni, si fa ancora sentire parecchio. (Poi mi auguro che qualcuno la conosca anche per la torta '900... e se così non fosse, avete un motivo in più per venirci il prossimo fine settimana).

Amo molto questa città: ci ho frequentato il liceo, passato i pomeriggi a fare "vasche" in via Palestro, soprattutto quando ero più piccola. Mi rendo conto però che forse ora per un giovane a livello lavorativo e di svago non offre purtroppo più tante possibilità.
D'estate si anima un po', certo, e vi assicuro che passeggiare per le vie del centro nei venerdì e sabato sera di giugno è davvero bello, così come sotto carnevale. Ma in generale, soprattutto se si vive qui da sempre, a volte si sente la mancanza di qualcosa che non si sa se mai davvero arriverà.
Per cui, quando ho saputo che a giugno avrebbe ospitato questo festival, un festival letterario vero e proprio, la prima reazione è stata di incredulità mista a sorpresa mista a entusiasmo smisurato.

Ad organizzarlo sono La Galleria del libro, una delle librerie storiche della città (non so più dove, ma ho letto che Ivrea è una delle città con il maggior numero di librerie per numero di abitanti), e la casa editrice minimumfax, che chi segue questo blog sa che amo molto.
Quattro giorni, quindi, in cui Ivrea ospiterà conferenze, aperitivi letterari, letture ed eventi vari, con un'attenzione speciale ai più piccoli ("la piccola invasione" è tutta per loro)

Per quanto mi riguarda, gli eventi che mi interessano si concentrano soprattutto nella giornata di venerdì: Tommaso Pincio, traduttore de "Il grande Gatsby" che racconta Francis Scott Fitzgerald; il seminario "Leggere la rete", su come i blog letterari raccontano i libri sul web; l'aperitivo musicale con Diego De Silva (che si ripete per tutti e tre i giorni, cambia solo la canzone d'amore di cui parlerà).

Il sabato andrò poi sicuramente all'incontro con Paolo Cognetti (che dopo essermi sfuggito al salone del libro, questa volta non ha scampo), Fabio Stassi e Alessio Torino che parlano del loro rapporto con i personaggi dei libri che hanno letto e scritto.

E poi ci sono gli appuntamenti serali: il giovedì sera Giuseppe Battiston legge David Foster Wallace, il venerdì Licia Maglietta legge Jennifer Egan e la domenica nel tardo pomeriggio Isabella Ragonese legge "Sofia si veste sempre di nero". Spero di riuscire ad andare sia il giovedì sia il venerdì, anche se al momento sono sprovvista di accompagnatore... ma non sarà certo questo a fermarmi!

Comunque, potete trovare il programma completo (perché ci sono incontri interessanti per tutti e quattro i giorni), con orari e luoghi, sul sito dell'evento: http://www.lagrandeinvasione.it/. 

Insomma, saranno quattro giorni intensissimi, con un sacco di incontri e conferenze interessanti, che porteranno un po' di colore e movimento in questa piccola città. 
E io, lo ribadisco ancora una volta, non vedo l'ora!

E ovviamente, se vi va, fatemi sapere se verrete, che ci possiam vedere per un caffè!
E altrettanto ovviamente poi vi racconterò tutto!

PICCOLI PASSI DI FELICITA' - Lucy Dillon


Non so perché ma ogni volta che leggo e recensisco un romanzo di Lucy Dillon mi vengono in mente degli aneddoti canini della mia vita. E pensare che non ho mai nemmeno avuto un cane mio e che fino a tredici anni circa avevo una paura folle di questi pelosi animali a quattro zampe. Invece ora, complici anche le due simpatiche e buffe bestiole del mio ragazzo, nutro nei confronti dei cani un affetto smisurato. 
Affetto che si dimostra anche nell'acquisto di questi romanzi, che normalmente non acquisterei visto la loro chiara tendenza rosa, attirata soprattutto dalla copertina (che ha proprio lo scopo di attirare gli allocchi come me). Però, se proprio mi venisse chiesto di consigliare un romanzo rosa, quelli di Lucy Dillon sarebbero sicuramente tra i primi. 
Ho conosciuto per caso questa autrice qualche anno fa, grazie a un mio amico che mi ha regalato il primo romanzo, Lezioni di ballo, in lingua inglese. E subito mi sono accorta che, a differenza della maggior parte dei romanzi rosa, questo non mi annoiava per niente. Forse perché non cadeva nelle banalità tipiche del genere o lo faceva in modo meno scontato. Poi, qualche anno dopo è poi uscito "Il rifugio dei cuori solitari", con un bel cagnolone in copertina, ed è stato amore. E quindi, devo ammetterlo, ho atteso con parecchia ansia l'uscita in economica anche di Piccoli passi di felicità.



Protagonista è Juliet, una donna sulla trentina, il cui marito Ben, con cui stava insieme dai tempi del liceo, è da poco morto d'infarto. Di lui al momento gli rimane una casa immensa ancora da ristrutturare, una suocera melodrammatica e Midton, il cagnolino che aveva adottato insieme a Ben, e che è l'unico in grado di colmare un po' quell'incredibile senso di vuoto che il marito le ha lasciato dentro andandosene. Finché un giorno la madre non le affida anche Coco, la sua anziana cagnolona, per tre giorni alla settimana, quelli in cui deve guardare il nipotino. Juliet è così costretta a uscire di casa per portare gli animali al parco e a poco a poco conoscerà il mondo dei cani e del loro proprietari, trasformandosi in dog-sitter. Ricomincerà così lentamente a vivere, grazie anche all'aiuto della strampalata famiglia metallara che abita vicino a lei e alle attenzioni di Lorcan, assunto dalla madre di Juliet perché dia una sistemata alla casa cantiere della figlia. Juliet inizierà a fare i conti con se stessa e con il mondo che la circonda: i problemi con la sorella, molto meno perfetta e sicura di sé di quanto tutti abbiano mai creduto; i suoi sensi di colpa per la morte di Ben e il suo affetto per i genitori, che si sono presi cura di lei in modo discreto, sacrificando un po' loro stessi. 

A differenza degli altri di questa autrice, questo libro a volte è un po' banale e stucchevole. Ma deve essersene accorta anche l'autrice stessa, che ha inserito qua e là qualche elemento originale e divertente per cercare di smorzare un po' la prevedibilità. Riuscendoci, secondo me. Perché il romanzo si legge bene, fa sorridere (grazie soprattutto alla famiglia metal) e commuovere, nonostante si capisca quasi subito come andrà a finire. Ma un po' di lieto fine ogni tanto fa anche bene, dai.

Non credo che sai necessario dire che non siamo di fronte a un capolavoro. Ma è un libro leggero leggero,  da leggere quando si ha bisogno di una lettura svuota-mente e che abbia un bel lieto fine. E se siete amanti degli animali,  non potrete non rimanere  conquistati da Midton, da Coco e tutti gli altri animali che compaiono in queste pagine. 
Io l'ho letto in spiaggia, in due pomeriggi, ed è stata sicuramente una lettura azzeccata (anche se il libro ora è un po' insabbiato e sporco di crema solare).

Nota alla traduzione: più che alla traduzione, dovrebbe essere una nota all'edizione. Il romanzo è pieno di refusi, alcuni davvero inspiegabili ("reality show" che diventa "reality shaw"), che disturbano non poco la lettura e che lasciano pensare a una scarsa cura a livello di editing e di correzione di bozze.

Titolo: Piccoli passi di felicità
Autore: Lucy Dillon
Traduttore: S. Caraffini
Pagine: 414
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Garzanti
ISBN: 978-8811670537
Prezzo di copertina: 9,90 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Piccoli passi di felicità

venerdì 14 giugno 2013

ODORE DI CHIUSO - Marco Malvaldi

Adesso ditemi come faccio. 
Ho finito l'ultimo romanzo di Malvaldi che ancora mi mancava da leggere e so già che a breve cadrò in una crisi d'astinenza. Ne ho rimandato la lettura a lungo, lasciandolo lì, sul comodino, a guardarmi, proprio perché sapevo che finché non scriverà qualcosa di nuovo non entrerò più nel suo mondo e nel suo fantastico stile.
Lo so, può sembrare esagerato... ma sono sicura che chi ha letto almeno un romanzo di Malvaldi, che sia della saga del BarLume o un'altra delle sue opere, capisce perfettamente quale sia il mio stato d'animo del momento.

"Odore di chiuso" era quello che mi incuriosiva di più (e forse proprio per questo l'ho lasciato per ultimo), perché non è ambientato nei giorni nostri ma alla fine dell '800. 
Siamo sempre in Toscana, certo (non riesco a immaginare un romanzo di Malvaldi ambientato da qualche altra parte), ma è una Toscana un po' diversa che si scontra con i problemi dell'epoca: l'Unità d'Italia, la caduta in disgrazia di certe casate, il ruolo della donna non ancora così ben definito, i pregiudizi... che poi forse tanto diversi da quelli di oggi non sono.
A far da sfondo c'è, come sempre, un giallo, con relativa indagine e relativi colpi di scena. Che non sono mai così tanto ben approfonditi come uno si aspetterebbe da un romanzo con questa etichetta, ma che fungono da palcoscenico perfetto per tutta una serie di incredibili personaggi.

Siamo a Roccapendente, nel castello che il barone Bonaiuti abita con la sua famiglia: ci sono i due figli maschi, Gaddo, poeta dilettante che sogna di incontrare il grande Carducci, e Lapo, la cui attività principale è sperperare i soldi di famiglia nel casino del paese; c'è la figlia Cecilia, ragazza di incredibile intelligenza ma destinata, in quanto donna, a nasconderla; la vecchia baronessa Speranza e le sue dame di compagnia; le due cugine zitelle e il loro piccolo, fastidiossimo cane. Accanto a loro si muove la servitù: la fantastica cuoca, la procace cameriera Agatina e il maggiordomo Teodoro. Al momento, nel castello ci sono anche due ospiti: il fotografo Ciceri e il famosissimo Pellegrino Artusi, il famoso autore del libro di cucina "La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene".
Tutti personaggi bislacchi, che diventano ancor più bislacchi se messi di fronte all'omicidio e alle indagini che ne conseguono.

Dirvi qualcosa in più della trama non avrebbe tanto senso, perché questo è uno di quei libri che vanno letti così, senza bisogno di informazioni aggiuntive. Anche perché, come vi dicevo già prima e come ho sempre detto in ogni recensione di un romanzo di Malvaldi, la trama non è fondamentale, serve solo a permettere all'autore di sbizzarrirsi, con i personaggi e, soprattutto, con lo stile e le parole. Uno stile che in Odore di chiuso tocca secondo me il suo apice. Ho riso tantissimo, fino alle lacrime, stupendomi ogni volta della genialità che sta dietro a ogni situazione e ogni singola parola.

Il libro ti prende fin dalla prima pagina e ti tiene incollato alle sue pagine finché non sei arrivato alla fine. E quando ci arrivi, non importa che sia notte fonda, che tu sia in ritardo a un appuntamento, che tu debba andare a lavoro o  fare qualunque altra cosa, perché per un momento ti renderai conto di volerne ancora, di volerne di più e proverai un senso di vuoto che sembrerà incolmabile (soprattutto se hai già letto tutti gli altri Malvaldi).

E poi, pur non volendolo, ti troverai per forza a pensare al tuo scrittore preferito, che fa la pipì contro un portone.


Titolo: Odore di chiuso
Autore: Marco Malvaldi
Pagine: 198
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Sellerio
ISBN: 978-8838925443
Prezzo di copertina: 13,00 €
Acquista su Amazon:
formato brossura: Odore di chiuso

giovedì 13 giugno 2013

NEMESI - Philip Roth

Leggere un romanzo di Philip Roth è un po' come partecipare a un incontro di boxe contro un avversario che sai essere più forte di te. Sali sul ring e le prendi. Non puoi fare altro, se non cercare di limitare il più possibile i danni. Sai che ti farà male, sai che i lividi ti tormenteranno per parecchi giorni, eppure, una volta salito e iniziato a combattere, non ti passa per la testa nemmeno per un secondo di scendere da lì e di sottrarti a quella furia. 
Devi essere nello stato d'animo giusto per leggere un romanzo di questo autore. Non li puoi prendere alla leggera, devi essere pronto e consapevole di quello a cui andrai incontro, o rischi di farti ancora più male.
Lo avevo già scoperto con Pastorale Americana, ribadito con Indignazione e ora questo, Nemesi, mi ha dato la conferma.
Philip Roth scrive per farti male. Per farti riflettere, pensare, sconvolgere, stupire. Per farti mettere tutto in discussione. Il mondo, Dio, la gente. Ma anche e soprattutto te stesso.

Se ne accorge, o forse nemmeno così tanto, Mr Cantor, ventiduenne protagonista di questo romanzo breve. Siamo a Newark, negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, e un'epidemia di polio arriva e mette in ginocchio la città, colpendo e portandosi via soprattutto bambini. Mr Cantor è un insegnante di ginnastica, forte, bravo, virile, ma con dei seri problemi di vista che gli hanno impedito di partire per la guerra. Un'onta per lui, che non riesce a superare. Sta trascorrendo l'estate come educatore in una sorta di centro estivo, in cui a poco a poco la maggior parte dei bambini viene colpita dalla malattia. Lui cerca di essere di conforto, di aiutare, i bambini a non avere paura e i genitori a superare questi momenti di tragedia. Cerca di non puntare il dito verso quei presunti untori che la paura in queste situazioni tende sempre a immaginare. Ma la sua sicurezza vacilla. Si sente impotente, non riesce a credere che ci possa essere un Dio che permette questo. Sente di non fare abbastanza per prevenire il contagio tra i suoi ragazzi, sebbene in realtà nessuno sapesse davvero, a quel tempo come si propagasse la malattia.
"Tu hai una coscienza, e una coscienza è un lodevole attributo, ma non se ti spinge a considerarti colpevole di cose che non sono alla portata della sua responsabilità"
Finché un giorno la sua paura d'impulso decide per lui,  facendolo partire per raggiungere la fidanzata, in un campo scuola lontano dalla polio e dalla sofferenza. Si sente in colpa, terribilmente in colpa, per aver abbandonato la sua città e i suoi ragazzi. E quel senso di colpa poi aumenterà, rovinando e segnando la sua vita per sempre.
"Una persona così è condannata. Niente di ciò che fa è all'altezza dell'ideale che nutre dentro di sé. Non sa mai dove finisce la sua responsabilità. Non accetta i propri limiti perché, gravato da un'austera bontà naturale che gli impedisce di rassegnarsi alle sofferenze degli altri, non riconoscerà mai di avere dei limiti senza sentirsene in colpa."
E' un libro difficile, che tratta temi altrettanto difficili. La tragedia della malattia e della morte improvvisa, e che porta i bambini in quella "cassa in cui un dodicenne resta per sempre un dodicenne". La ricerca di colpe, perché in quei momenti trovare una colpa sembra necessario e fondamentale per poter sopravvivere. Il rapporto con Dio, quel Dio tanto buono e tanto caro che permette tutto questo e che nella concezione di Mr Carton è "un essere onnipotente che riunisce in un'unica entità diversa non tre persone, come il cristianesimo, ma due: uno stronzo depravato e un genio del male". E il rapporto con se stessi e l'immagine che di se stessi si ha e si vorrebbe avere, soprattutto in un'epoca in cui quando si partiva soldato la patria si difendeva e si serviva davvero, e la difficoltà di vivere nell'impossibilità di farlo. 
Tante cose ci sono in questo libro. E Roth te le spiattella così, senza mezzi termini, senza sconti. In uno stile semplice, lineare, che possa arrivare e colpire tutti. E' lì la sua forza, la sua bravura.

Quella forza che ti stende e ti manda al tappeto. Anche se poi, alla fine, una mano per rialzarti te la tende. Ma non è sufficiente a cancellare tutto il male.


Nota alla traduzione: decisamente ben fatta.

Titolo: Nemesi
Autore: Philip Roth
Traduttore: Norman Gobetti
Pagine: 183
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Einaudi
ISBN:978-8866213185
Prezzo di copertina: 13,00 €
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