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mercoledì 30 dicembre 2015

I migliori 14 (+1 autrice) del 2015

Se i libri brutti letti quest'anno sono stati pochi, lo stesso, e per fortuna aggiungerei, non si può dire dei libri belli. Ho letto tanti, tantissimi libri che, per un motivo o per l'altro, mi hanno colpita quest'anno. Talmente tanti che farne una selezione è stato davvero difficile.

Alla fine ho scelto quelli che, più di tutti gli altri, consiglierei senza se e senza ma, e a chiunque. Sono riuscita così ad arrivare a 14 libri (due libri bellissimi consigliati per ogni libro brutto letto, mi hanno fatto notare e direi che la proporzione mi piace), a cui aggiungo anche un'autrice, di cui consiglierei tutto quello che ha scritto.

Nella mia lista c'è un po' di tutto: scrittori e scrittrici (non che io faccia alcuna differenza, ma so che molti alle quote rosa nelle classifiche ci tengono), narrativa straniera ma anche tanta narrativa italiana, grandi editori e piccoli editori, grandi scoperte ma anche riconferme. Pronti? 


© Maria Girón
  • Il commesso - Bernard Malamud : un capolavoro annunciato. Nel senso che tutti ne hanno sempre parlato talmente bene che quasi avevo paura di leggerlo. E invece, avevano tutti ragione.
  • Sorella mio unico amore - Joyce Carol Oates: il primo romanzo che leggo di questa autrice. Sconvolgente e bellissimo.
  • Odette Toulemonde - Eric-Emmanuel Schmitt: adoro Eric- Emmanuel Schmitt e in questi racconti al femminile ha dato, secondo me, il meglio di sé.
  • La costola di Adamo - Antonio Manzini: il 2015 è stato l'anno in cui ho scoperto Antonio Manzini e il suo Rocco Schiavone. Li ho letti tutti, e messo qui in classifica quello che secondo me è il più bello in assoluto.
  • Quando siete felici fateci caso - Kurt Vonnegut: già solo il titolo era sufficiente a far finire questa raccolta di discorsi di Vonnegut in questo elenco. Un inno all'ottimismo e alla vita.
  • Purgatorio - Tomás Eloy Martinez: una storia d'amore e di dolore, in mezzo al dramma dei desaparecidos. Un libro stupendo.
  • Chi manda le onde - Fabio Genovesi: il piccolo Zot rimarrà per sempre nel mio cuore.
  • Piccola osteria senza parole - Massimo Cuomo: forse la mia vera scoperta dell'anno, questo piccolo libro mi ha fatta impazzire. Un tuffo nel passato e in un paese di provincia, dove i fatti contano molto di più delle parole.
  • L'estate del cane bambino -  Mario Pistacchio e Laura Toffanello: insieme a Piccola osteria senza parole, altra grande, grandissima rivelazione dell'anno. Bello, bello, bello.
  • Naif.super - Erlend Loe: un elogio al candore e alla semplicità
  • Un posto al mondo - Wendell Berry: avevo già amato Jayber Crow e Hannah Coulter di questo stesso autore, ma qui, con Un posto al mondo, mi sono davvero sentita a casa. 
  • Gli anni della leggerezza - Elizabeth Jane Howard: era da un bel po' che non leggevo una saga famigliare così bella e appassionante. Speriamo che i nuovi romanzi non si facciano attendere troppo!
  • Un anno con Salinger - Joanna Rakoff: un libro che in qualche modo parla di me, di quello che vorrei essere, che vorrei diventare. Adatto anche ai non amanti di Salinger, che a me, per esempio, I nove racconti di Salinger non hanno entusiasmato.
  • Zia Sass - P.L. Travers: questi racconti dell'autrice di Mary Poppins sono stati una delle mie ultime letture dell'anno. E mi sono piaciuti davvero tanto.

Per quanto riguarda l'autrice di cui consiglio tutti i libri, si tratta di Elizabeth Strout. L'avevo scoperta l'anno scorso con Olive Kitteridge e quest'anno ho letto anche I ragazzi Burgess, Amy e ISabell e Resta con me. Tutti e quattro sono dei libri stupendi.

 Direi che il mio 2015 è stato proprio un anno di grandi letture. Speriamo lo sia anche il 2016!

I vostri migliori quali sono?

lunedì 28 dicembre 2015

I peggiori 7 (sì, solo 7!) del 2015

Il 2015 sta per terminare e, come ormai tradizione, su questo blog arrivano le classifiche delle mie peggiori e migliori letture dell'anno.

Quest'anno, stando ad aNobii, ho letto 108 libri, uno in più dell'anno scorso, ma un paio di migliaia di pagine in meno. Non che io ci faccia caso, mentre li leggo, a quanti libri leggo, né al loro spessore, però ecco, mi piace arrivare alla fine di dicembre e fare il punto della situazione.

La cosa bella è che sulla mia strada in questo 2015 ho trovato davvero pochi libri brutti. Sette, come dice il titolo. Ed è bello vedere che con il tempo i miei gusti si siano affinati così tanto da incappare in così poche delusioni. Sto diventando brava a scegliere le mie letture e a non perdere tempo con libri , per me, inutili.
Ma qualche delusione c'è stata e non posso fare a meno di segnalarla. Come sempre, si tratta di una classifica estremamente soggettiva,e in ordine casuale, quindi non prendetevela troppo se in questa cortissima lista di libri deludenti c'è anche un vostro libro preferito. Cliccando sul titolo si apre la recensione.


  • La fantastica storia dell'ottantunenne investito dal camioncino del latte - J.B. Morrison: una storia patetica e con evidenti problemi a livello di traduzione/editing
  • Luna di Luxor - Stefania Bertola: primo romanzo della Bertola, e si vede. Al punto che non l'avevo nemmeno recensito.
  • La canzone d'amore di Queeny Hennessy - Rachel Joyce: l'autrice ha cercato di sfruttare il successo, per me meritato, del romanzo precendente, L'imprevedibile viaggio di Harold Fry. Senza riuscirci però.
  • Le anatre di Holden sanno dove andare - Emilia Garuti: la giovane età dell'autrice si sente eccome. O forse sono io troppo vecchia per apprezzare le paturnie di una diciottenne che, come tutti i diciottenni, si sente diversa e non sa cosa fare della sua vita. E soprattutto che tira in mezzo Holden Caulfield.
  • Battaddi - Stefano Amato: remake mafioso dei Bastardi senza gloria di Tarantino. Bella l'idea, ma il risultato è davvero troppo uguale al film, perché potesse venirne fuori qualcosa di godibile, soprattutto per un lettore che ha visto e adorato il film.
  • Miracolo in libreria - Stefano Piedimonte: ok, qui la colpa non è tanto del racconto in sé, che comunque non è indimenticabile, ma del per me fastidioso formato Guanda.
  • Copia-e-incolla - Danny Wallace: lo avevo iniziato con aspettative bassissime, ed è comunque riuscito a deluderle. Buona l'idea di partenza, terribile lo sviluppo della trama.
E voi che mi dite? Quali sono state, se ne avete avute, le vostre letture deludenti di quest'anno?

giovedì 24 dicembre 2015

Caro Babbo Natale...

Caro Babbo Natale,
sì, lo so, è un po’ tardi scriverti la letterina proprio il giorno della vigilia, ma oggi ci sono le email e di sicuro fai ancora in tempo a leggerla prima di partire. E poi puoi sempre usare la scusa di non averla ricevuta per giustificare le tue mancanze.
Tranquillo, non ti chiederò cose materiali e difficili da reperire, che a quelle ci hanno già pensato parenti, fidanzato e amici. Né cose come la pace nel mondo, la fine di tutte le discriminazioni etc etc, perché sono abbastanza sicura che se tu avessi davvero il potere di realizzare queste cose lo faresti senza aspettare che qualcuno te lo chieda.


«E allora che cosa vuole sta bambina di trent'anni, ti starai chiedendo?».
Siediti, che te lo dico:
  • Vorrei trovare un lavoro. O meglio, vorrei continuare a fare il lavoro che faccio ora, che è quello dei miei sogni, ma con una maggiore continuità, così da avere anche una maggiore sicurezza economica. Lo so che i soldi non fanno la felicità, però qualche sfizio te lo fanno togliere.
  • Vorrei che se  ne andasse un po’ di quel senso di inadeguatezza che tende a condizionare ogni cosa che faccio. Che lo so che là fuori ci sarà sempre qualcuno migliore di me, ma non è che devo sempre farmi fermare da questo.
  • Vorrei più tempo per fare le cose che mi piacciono. Soprattutto per leggere, perché ci sono troppi libri e io, ahimè, sono una sola e non riesco a leggerli tutti. 
  • Vorrei che la gente imparasse a ridere un po’ di più di se stessa e a prendersi un po’ meno sul serio. Soprattutto nel mondo della rete e dei blog letterari, ma anche nella vita in generale, che il mondo è già abbastanza triste e cupo di suo, senza che ci mettiamo anche noi.
  • Vorrei un po’ di coraggio per poter fare tante cose. Non per lanciarmi con il paracadute (lì dovresti togliermi anche le vertigini, ma avrei comunque delle difficoltà) o fare il giro del mondo in autostop, ma per cose più normali, più quotidiane. Parlare con qualcuno con cui non oso parlare. Lanciare dei progetti, letterari e non, che non oso lanciare. Fare o dire una cosa senza preoccuparmi che non sia quella giusta o che non venga capita dagli altri.
  • Vorrei, ovviamente, che tutti in famiglia stessero bene, perché gli ultimi mesi sono stati un po’ complicati, anche se per fortuna non è stato nulla di grave. E anche ai miei amici vorrei riservassi un occhio di riguardo.
  • Vorrei che mi insegnassi a scattare foto decenti con il cellulare. Ho provato a togliere/mettere il flash, a cambiare tutte le impostazioni possibili, ma non cambia nulla. E, insomma,  se frequenti il blog e la pagina, lo vedi anche tu che non sono una fotografa nata.
  • Vorrei che la gente smettesse di parlar male degli altri alle spalle e che andasse dalle persone con cui ha un problema e ne discutessero insieme. Secondo me, semplicemente, ancora non si sono capiti.
  • Vorrei vincere al Superenalotto e con i soldi vinti comprarmi una megavilla e una libreria (scegli tu se darmi i numeri, darmi i soldi o darmi direttamente la megavilla e la libreria)
  • Vorrei conoscere Philip Roth, Jonathan Franzen e Fannie Flagg. Però prima portami il coraggio che ti ho chiesto sopra, se no non riuscirei a dire una parola.
  • Vorrei che i fan della Lettrice Rampante continuassero ad aumentare ma, soprattutto, a interagire come stanno facendo ora. Senza di loro, tutto questo non avrebbe alcun senso.
  • Vorrei un gatto (sì, lo so, avevo detto niente cose materiali, ma il lettore rampante non me lo vuole prendere, quindi ripiego su di te!)
  • Vorrei non perdere per strada tutte le belle persone che ho conosciuto quest'anno. E che qualcuno che si sta allontanando torni un po' più vicino.
  • Vorrei la biblioteca della Bella e la Bestia.
  • Vorrei che l'edizione economica del nuovo libro di Franzen uscisse entro l'anno e non tra due o tre, come temo succederà.
  • Vorrei il barattolo di Nutella da 1 kg con Snoopy sopra. L'ho cercato in tutti i supermercati e non l'ho trovato.
Bene, direi che per ora ho finito. Ovviamente non devi portarmi tutto per forza il 25 dicembre. Puoi dividere le cose nell'arco di tutto l'anno prossimo. E quelle che non mi porti quest'anno, te le ricorderò poi nella prossima letterina, tranquillo.
Confessa, avresti preferito che ti chiedessi cose più materiali, eh? Nel caso, fammelo sapere, che la mia wish list di libri è infinita.

illustrazione di Kristin MacLaren Abbott
Uh, sotto l'albero ho lasciato latte e biscotti (fatti da me, quindi decidi tu se aggiungere anche un corso di cucina), per te e le renne.
Grazie e tantissimi auguri anche a te
Elisa

E con questa, felice Natale a tutti! Spero sia pieno di tutto ciò che più desiderate!

mercoledì 23 dicembre 2015

AUTORITRATTO - Joe Brainard

La cosa importante è che sono un pittore e uno scrittore. Finocchio. Insicuro riguardo al mio aspetto. E sento un po’ troppo il bisogno di far contenta la gente. Lavoro molto. Darei il braccio destro per essere follemente innamorato. (Beh, diciamo il sinistro.) E sono ottimista riguardo al futuro. (Ottimista per me, non per il mondo.) Adoro le persone. Non sono molto intelligente. Ma sono sveglio. Voglio troppo. La cosa che voglio di più è aprirmi. Continuerò a provarci.


Che grand’uomo doveva essere Joe Brainard, quel pittore, scrittore e artista americano, morto nel 1994 e a lungo praticamente sconosciuto qui in Italia. O almeno sconosciuto per me, prima che Lindau pubblicasse, l’anno scorso, con la traduzione di Thais Siciliano, Mi ricordo, una raccolta di suoi personalissimi ricordi, di cose, oggetti, luoghi, situazioni, che avevano dato vita a tutta una valanga di altri ricordi dentro di me. Già leggendo quel libro, leggendo quali fossero quei piccoli e grandi ricordi che Brainard portava dentro di sé, avevo avuto l'impressione che quest'uomo fosse una gran bella persona.

Autoritratto, sempre pubblicato da Lindau e sempre con la traduzione di Thais Siciliano, è stata una conferma. Una grande conferma. Se possibile quasi migliore rispetto a Mi ricordo. Perché se in quel libro c’era solo (ed era già tanto comunque) quel che Brainard ha voluto ricordare, qui c’è tutto. C’è lui, con la sua ironia e la sua autoironia. C’è lui, con la sua incredibile sensibilità verso il mondo circostante e le persone che lo popolano. C’è lui, la sua arte, i suoi disegni, i suoi pensieri, ma anche le sue debolezze, le sue insicurezze e le sue paure.
Vorrei davvero non aver tutto questo bisogno di far contenti gli altri. Ma far contenti gli altri fa contento anche me, e tutti abbiamo bisogno di questo. Di essere felici. Anzi, io credo praticamente in qualsiasi cosa, se è in grado di rendermi felice. E ci sono alcune cose in cui credo anche se non mi rendono felice.
In Autoritratto Joe Brainard si mette completamente a nudo. Fisicamente in alcuni casi, quando ci racconta di quanto adori prendere il sole. Ma soprattutto mentalmente ed emotivamente, parlando del suo rapporto con l’arte e con la scrittura, delle sue grandi amicizie (con Ron Padgett che ha curato questa raccolta, ma anche con Ted Berrigan e altri esponenti della cultura americana degli anni ’70 e ’80), della sua omosessualità...
L’unica cosa che mi abbia mai dato problemi dell’essere finocchio era che pensavo che magari alle persone non sarei piaciuto se l’avessero saputo
C'è tutta la sua vita qui, in queste pagine. C'è nei suoi disegni, nei suoi fumetti (People of the work: relax!), nelle pagine di diario e nei suoi scritti, che non rientrano in un genere prestabilito eppure sono ugualmente tanto efficaci.

Capisco che a molti potrebbe sembrare strano mettersi a leggere l'autoritratto di un personaggio che gli è sconosciuto. Ed effettivamente forse se non avessi già letto Mi ricordo (e non conoscessi la bravissima traduttrice che li ha tradotti e mi ha raccontato questi libri), avrei avuto qualche dubbio anche io. E mi sarei poi persa qualcosa di semplicemente grandioso, per lo stile e per i contenuti.
Verso una vita migliore (undici esercizi)
ESERCIZIO N. UNO
Pensate bene alla persona con cui vi piacerebbe di più pomiciare. Ora chiamatela e chiedetele un appuntamento. Probabilmente dirà di no, ma almeno ci avete provato. Avrete la soddisfazione di averci provato. E poi potrete incolpare la «vita» per le vostre frustrazioni, anziché voi stessi.
Conclusione: quando non avete niente da perdere, buttatevi
Come dicevo all'inizio, Joe Brainard doveva proprio essere un grand'uomo e mi dispiace non averlo conosciuto (anche se forse mi avrebbe messo in difficoltà con tutto il suo enorme sapere). Ma per fortuna in questo Autoritratto ci regala davvero tanto di sé stesso e alla fine è un po' come se l'avessi conosciuto davvero.

Titolo: Autoritratto
Autore: Joe Brainard
Traduttore: Thais Siciliano
Pagine: 272
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: Lindau
Prezzo di copertina: 19,50€
Acquista su amazon:
formato brossura: Autoritratto

lunedì 21 dicembre 2015

ZIA SASS - Pamela Lyndon Travers

Le dicerie e le immagini a cui dava origine erano fonte di innumerevoli battute di spirito in famiglia. La zia Sass innamorata: figuratevi un po’! Nondimeno, per me in lei c’era qualcosa, qualcosa che trapelava da sotto il guscio coriaceo: un’aria, un sentore, un mormorio – l’inconfondibile essenza di una persona che è stata colpita al cuore dell’amore. Di tanto in tanti, in un vecchio fienile, ci si rende conto, anche se il profumo è svanito da un pezzo, che un tempo sul soppalco venivano conservate delle mele. La zia Sass era così.

Io sono cresciuta guardando il film di Mary Poppins, quella magica tata in grado di saltare dentro a un quadro, far uscire da una bottiglia la medicina del gusto che più si preferisce e addirittura prendere un tè sul soffitto. Ancora oggi, almeno una volta all’anno e di solito proprio sotto le feste, devo guardare quel film. Mi fa tornare bambina o, forse sarebbe meglio dire, tira fuori la bambina che è ancora in me.
Eppure non avevo mai letto i libri di Pamela Lyndon Travers, da cui le avventure di Mary Poppins sono tratte, fino all’anno scorso, quando al cinema è uscito Saving Mr Banks, la storia della faticosa trattativa tra Walt Disney e la Travers per arrivare alla trasposizione cinematografica. Inutile dire che mi è piaciuto tantissimo e sono davvero contenta che sia servito a riportare in libreria i romanzi per ragazzi forse un po’ dimenticati. Ho acquistato, ovviamente, il primo libro della serie e ho scoperto una Mary Poppins molto più scorbutica e a volte cattiva rispetto alla versione cinematografica. Ma mi sono innamorata anche di lei e, quando ho visto arrivare in libreria poche settimane fa Zia Sass, sapevo che quel libro avrebbe dovuto essere mio.

Zia Sass, pubblicato in Italia da Sellerio con la traduzione di Martina Testa e le bellissime illustrazioni di Gilian Tyler, racchiude tre racconti che Pamela Lyndon Travers regalò a parenti e amici per Natale nel 1940.
Qui ci sono le origini della tata più famosa del mondo, ma soprattutto c’è la storia autobiografica, con qualche piccola licenzia poetica ovviamente, dell’infanzia dell’autrice stessa.

Si parte con zia Sass, il ritratto di una burbera e un po’ autoritaria prozia che, dietro alla sua incredibile severità, nasconde un grande cuore tenero. 
Non solo faceva del bene e arrossiva a vederlo divulgato, faceva del bene ed era pronta a mortificare chiunque lo scoprisse.
Una donna forte, verso cui tutti i bambini della famiglia hanno sempre provato un misto di paura e attrazione, come sempre succede nei confronti di questi personaggi. 
Subito dopo viene raccontata la storia di Ah Wong, il cuoco cinese di famiglia, spuntato per caso un giorno dalle canne della piantagione della famiglia di Pamela e pronto da quel momento a rivoluzionare l’intero menù famigliare. Un personaggio particolare, che odia la tapioca e vede nel chinino la cura per ogni male, e che mette da parte gli assegni famigliari per un unico grande scopo.
Il terzo racconto è dedicato a Johnny Delaney, il gobbo fantino tuttofare irlandese, con il dono della preveggenza e dell’imprecazione, che tanto ha influito sull'educazione dei bambini, e forse un po’ anche degli adulti, della famiglia. Un racconto intenso, pieno di sputi, di canzoni e di grandi, grandissime verità.
I bambini provano emozioni forti e profonde ma non hanno un meccanismo per gestirle. Se lasciano che il cuore gli si riempia sanno che finiranno affogati. Quindi si aggrappano alla prima cosa a loro disposizione per tenere a bada la marea montante.
È davvero difficile dire quale di questi tre racconti e di questi tre personaggi sia il più bello. In ognuno c’è poesia, c’è magia, ma anche una punta di amarezza e di dolore, come lo è sempre il ricordo del passato da parte di una persona adulta. Sicuramente P.L Travers ha attinto da ognuno dei tre personaggi per creare il fantastico mondo di Mary Poppins, un mondo dove tutto sembra possibile e dove non bisogna mai domandarsi un perché.
Zia Sass è stata una lettura davvero stupenda, adatta per i bambini, sicuramente, ma anche per gli adulti che non smettono di sognare. È perfetta per Natale (e non riesco davvero a immaginare che emozione abbiano provato i parenti e gli amici dell’autrice a ricevere queste tre storie in dono), ma anche per qualunque altro momento dell’anno, in cui avete bisogno di un po' di zucchero, per far andare giù le pillole della vita.

Titolo: Zia Sass
Autore: Pamela Lyndon Travers
Traduttore: Martina Testa
Pagine: 102
Editore: Sellerio
Prezzo di copertina: 12€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Zia Sass
formato ebook: Zia Sass

mercoledì 16 dicembre 2015

LA RESISTENZA DEL MASCHIO - Elisabetta Bucciarelli

Dimostramelo, le parole non possono tutto, servono le azioni, quando si arriva a questo punto non c'è già più niente, solo scambio, passaggio di oggetti, do ut des. Sesso al posto di amore, amore al posto di qualcosa che sia fisico, dove la ragione e le emozioni sbattono ogni giorno. Non bastiamo noi, non siamo capaci di stare, restare, tenere lo sguardo alto senza ripiegarci sulla mancanza.

Fin da bambina, ho sempre voluto avere dei figli. E anche adesso che l'età è giusta il pensiero sta diventando sempre più presente. Ma non perché credo che avere dei figli sia l'unica forma possibile di realizzazione per una donna o perché la consideri una normale evoluzione di una coppia. Semplicemente, mi piacciono i bambini e mi piacerebbe averne uno mio. 
Capisco quindi perfettamente chi desidera avere dei figli, così come anche chi invece non ne vuole. È una cosa talmente personale, che credo che nessuno possa permettersi di giudicare.

La resistenza del maschio di Elisabetta Bucciarelli, pubblicato da NN editore, ruota principalmente intorno a questa contrapposizione. C'è un marito, l'Uomo, il Maschio che resiste del titolo, che non vuole riprodursi e una moglie, sua moglie, che invece vorrebbe un figlio a tutti i costi, al punto da fargli continui agguati portando in casa culle, giocattoli per bambini ed enormi box. Una coppia che si era sposata per amore, sicuramente, ma che ora si sta sgretolando sotto questa pensate e forse inconciliabile contrapposizione. 
«Siamo una poesia sbagliata» commenta la Moglie senza lasciarla proseguire. «Ecco dove ci troviamo».
Nel mentre il Maschio conosce, in un modo bizzarro, un'altra donna, Effe, con la quale inizia una lunga corrispondenza tramite messaggi, riversandole quella tenerezza che alla moglie non riesce più a dare.
Diverse storie scorrono in parallelo. Quella dell'uomo e di sua moglie, tra violente litigate e oggetti che volano. Quella del maschio e dei suoi scambi di messaggi con l'altra donna, questi Emme ed Effe che sanno di stare costruendo qualcosa ma anche di stare in qualche modo mentendo l'uno all'altra. E poi quella della moglie che un pomeriggio si ritrova bloccata dentro a uno studio medico con altre due pazienti, dando il via a tutta una serie di confidenze e recriminazioni verso l'universo maschile.
Così scopriamo le varie recriminazioni, verso il Maschio e verso tutti i maschi in generale, scopriamo le difficoltà che una coppia incontra di fronte a desideri inconciliabili e anche che cosa si è disposti a fare per raggiungere un proprio scopo.

È difficile leggere questo libro e parlarne senza schierarsi. Più andavo avanti con la lettura più pensavo che quell'Uomo mi faceva una tenerezza infinita. Perché lui non ha mai smesso di amare la moglie, semplicemente non riesce a soddisfare un suo desiderio che si scontra così tanto contro un suo non desiderio. Lei, la moglie, invece l'ho odiata a morte. Il suo modo di rapportarsi a lui, il suo odio verso di lui, il suo non capirlo e accusarlo, mi ha terribilmente irritata. Certo, capisco perfettamente il suo desiderio di diventare madre, soprattutto con l'avanzare degli anni. Ma come non puoi costringere qualcuno che li vuole a non avere figli, non puoi nemmeno fare il contrario. (Anche se trovo davvero strano che siano arrivati così tardi a quel punto. Di solito di argomenti come figli e famiglia se ne parla ben prima di un matrimonio in una coppia).

Appena chiuso, La resistenza del maschio a me è sembrato un libro pieno di recriminazioni. Nei racconti delle tre donne nella sala d'attesa, nei gesti attributi ai due uomini, il Maschio e quello schifoso dell'Amico (sì, lui come uomo non mi è piaciuto per niente). Eppure non tutti gli uomini sono così. Non tutti non vogliono figli, non tutti tradiscono le proprie compagne, non tutti si alzano dal letto e se ne vanno subito dopo una scopata.
Ne esiste almeno uno nella vita di ogni donna, desiderato e preso senza pensare al resto. Si sente a disagio ogni volta che si ricorda di questo dettaglio. Un uomo di cui molte in passato hanno lasciato un'impronta e nel presente appoggiano gli occhi. Poi lui si è fermato. Ha fatto una scelta. Le donne si innamorano perché vengono scelte. A volte unicamente dalla quantità di amore che un uomo riesce a dimostrare.
Ma poi, pensandoci bene, Elisabetta Bucciarelli è stata molto brava a mettere in scena questa grande contrapposizione, che ti porta necessariamente a riflettere, a schierarti e a farti arrabbiare con uno o con l'altro. E sono davvero convinta che dove io vedo recriminazioni altri vedono altro, vedono verità, realtà.

Un libro da leggere sicuramente, riflettere un po' su se stessi, sugli uomini e le donne, sulle coppie e sui figli.
E poi mi raccomando venite a dirmi per chi avete parteggiato voi.


Titolo: La resistenza del maschio
Autore: Elisabetta Bucciarelli
Pagine: 235
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: NN Editore
Prezzo di copertina: 13 €
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formato brossura: La resistenza del maschio

lunedì 14 dicembre 2015

MI CHIAMO IRMA VOTH - Miriam Toews

Le mie parole non sono solo parole. Sono immagini e lacrime e imperfette offerte d'amore e pallottole che mi sparo in testa.

Ho scelto questa citazione per aprire la recensione di Mi chiamo Irma Voth di Miriam Toews, tradotto da Daniele Benati e pubblicato da marcos y marcos, anche se è quella che già potrete trovare sulla quarta di copertina. Ne cerco sempre un’altra, di solito, così da farvi conoscere qualcosa di più del libro che ho letto. In questo caso, però, credo che quella frase rappresenti al meglio non solo tutto il libro, ma anche un po’ tutto lo stile di questa, per me grandissima, scrittrice canadese.

Di Miriam Toews ho letto praticamente tutto. Mi è rimasto solo un libro da leggere, Un complicato atto d’amore, pubblicato da Adelphi e non da marcos y marcos e che al momento non sono riuscita a trovare nei soliti luoghi in cui acquisto libri. Ho letto e ho amato tutto quello che ha scritto, dicevo. Da Un tipo a posto all’ultimo I miei piccoli dispiaceri, passando per quel capolavoro che è In fuga con la zia, per me il suo migliore in assoluto.
È stato quindi con un po’ di tristezza che mi sono avvicinata a Mi chiamo Irma Voth. La tristezza di sapere che dopo, almeno per un po’, non ci sarebbe stato più nulla.
Mi sono trovata di fronte a un libro un po’ strano, in cui riconoscevo perfettamente lo stile ma che, per le prime 200 pagine, mi ha lasciato anche un po’ di confusione.

Irma Voth è una ventenne mennonita, che vive da sola in un casolare nel deserto del Messico, accanto alla casa della sua famiglia, da cui è stata cacciata dal padre dopo che lei ha spostato uno “straniero”. Uno straniero che, dopo l’idillio dei primi tempi, sembra non amarla, non sopportarla più, lasciandola da sola.
Gli ho chiesto perché cercava di confondermi con delle risposte che servivano solo a classificare le mie domande e come mai era diventato così strano da qualche tempo in qua e da dove era saltato fuori questo problema riguardo al mio modo di dormire con una gamba sulla sua e cos'aveva da andarsene sempre via e perché cercava a ogni costo di fare il duro invece di limitarsi a essere se stesso e allora lui mi ha tirato a sé e mi ha chiesto di smetterla di parlare, per favore, di smetterla di tremare, di smetterla di bloccare la porta, di smetterla di piangere e di smetterla di amarlo
Un giorno una troupe cinematografica affitta l’altro casolare accanto al suo. Lo scopo è quello di girare un film sullo stile di vita mennonita e Irma, quasi senza rendersene conto, viene assunta come interprete per l’attrice tedesca che interpreterà la protagonista. Il mondo di Irma si apre all’improvviso verso qualcosa a cui non aveva mai pensato e che le da poi il coraggio di fuggire definitivamente dal suo passato e dalla sua vita. Non da sola, ovviamente, per cercare di salvare se stessa ma anche più persone possibile.

Per le prime duecento pagine di Mi chiamo Irma Voth non si riesce bene a capire dove Miriam Toews voglia andare a parare. Sì, mette in scena le incredibili differenze tra un mondo chiuso, come lo è quello di una comunità religiosa così stretta e ancora al passato come quella mennonita, e il mondo del cinema, il mondo esterno. E mette in scena anche la tristezza di Irma, il suo ritrovarsi suo malgrado segregata in una vita da cui non sa come fuggire. Però, ecco, sembrava mancare quella potenza narrativa, quella profondità, che avevo trovato in tutti gli altri libri di questa autrice. Sembrava solo, per fortuna. Perché le ultime cento, cento cinquanta pagine sono di una forza incredibile. Irma prende coraggio e scappa da quel mondo, portando con sé la sorella e un’altra piccola accompagnatrice, ma riesce anche a fare i conti con se stessa e con il suo passato, grazie all'aiuto delle splendide persone che incontra sul suo cammino. Eppure, anche se libera, non riesce mai a sentirsi a casa.

Forse Miriam Toews avrebbe potuto rendere meno lunga la parte iniziale, dando prima il via al viaggio rocambolesco di Irma e della sua piccola combriccola. Ma con il senno di poi, forse, sarebbe mancato qualcosa e il viaggio di Irma, fisico ma soprattutto interiore, non si sarebbe sviluppato al meglio.

Se non avete mai letto nulla di Miriam Toews secondo me dovreste rimediare. Il mio preferito rimane sicuramente In fuga con la zia, che dal mio cuore non se ne andrà mai. Ma anche tutti gli altri e quindi anche questo sono di quelle letture che ti aprono un mondo e un cuore, quello dell’autrice, che in pochi sanno davvero mettere così bene su carta.
Quindi sì, lo consiglio caldamente.


Titolo: Mi chiamo Irma Voth
Autore: Miriam Toews
Traduttore: Daniele Benati 
Pagine: 300
Editore: marcos y marcos
Prezzo di copertina: 17,00€
Acquista su Amazon:
formato brossura: Mi chiamo Irma Voth

mercoledì 9 dicembre 2015

MY LITTLE CHINA GIRL - Giuseppe Culicchia

«Cledo dipenda dal fatto che voi italiani pensate che noi cinesi fliggiamo tutto. Allola visto che voi vi aspettare che in un listolante cinese si fligga tutto, i listolanti cinesi vi fliggono tutto. Ma qui in Cina noi non fliggiamo tutto.»
Non ci posso credere.
«Quindi lei mi sta dicendo seriamente... che voi qui in Cina non friggete tutto?».
«Il flitto fa male, non lo sa?».

Dopo l'enorme shock emotivo dopo la lettura di L'invenzione della madre di Marco Peano, ho avuto delle serie difficoltà nel decidere che cosa leggere dopo. Mi accade raramente di aspettare più di due giorni prima di iniziare una lettura dopo averne finito un'altra. E, per la prima volta, ho temuto seriamente che fosse arrivato uno di quei lunghi periodi di crisi da lettura.

Per due giorni, ho aperto e chiuso diversi libri cartacei e sfogliato avanti e indietro la mia libreria sul kindle, davvero indecisa su che cosa leggere. Poi l'occhio è caduto su My Little China Girl di Giuseppe Culicchia, pubblicato da EDT nella bella collana Allacarta, che affida a uno scrittore il racconto culinario di una città. 
Libri corti, che si leggono in un paio d'ore e che riescono a intrattenere e incuriosire per bene il lettore. O almeno così era stato con i precedenti tre che ho letto di questa serie: La Famiglia Tortilla di Marco Malvaldi, Itadakimasu-Umilmente ricevo in dono di Fabio Geda e Tutte le mie preghiere guardano verso ovest di Paolo Cognetti.
Sì, il racconto del viaggio a Pechino di Giuseppe Culicchia poteva essere la risposta giusta alla mia breve crisi di lettura. E lo è stata, eccome. Ma mai avrei pensato che questo libricino potesse divertirmi così tanto.

Giuseppe Culicchia va quindi una settimana a Pechino, per scrivere il suo reportage sul cibo. Gli viene ovviamente affiancata una guida, Carla o Calla che dir si voglia, come lei stessa gli chiede di farsi chiamare in onore dell'amica di penna italiana che ha, che lo porta in giro a visitare i luoghi tipici. Giuseppe Culicchia è molto curioso di visitare certi luoghi e, soprattutto, di mangiare. Ma è anche curioso di saperne di più di cosa pensano i cinesi della storia cinese, del passato. Calla, però, è un muro, che continua a negare l'esistenza di posti compromettenti e a dire la sua su certi argomenti scottanti. E Culicchia insiste, finché una mattina al posto di Calla si ritrova Clala, o Clara è lo stesso. Un mistero, che tormenta gli ultimi giorni del suo soggiorno cinese e a cui, sono sicura, ancora oggi Giuseppe Culicchia pensa.


Il cibo, ancora una volta, è solo un pretesto per scrivere un buffo racconto che mette in luce tutti i luoghi comuni e le idee sbagliate che molti di noi occidentali abbiamo della Cina e di Pechino. Non solo riguardo al cibo, ma anche alle tradizioni e allo stile di vita della capitale cinese.
Ho adora tantissimo lo stile del signol Giuseppe Curicchia, leggero e divertentissimo, e l'uso smodato che ha fatto delle ripetizioni. E anche il fatto che abbia sia denunciato la situazione cinese in cui ancora ci sono argomenti scottanti su cui è vietato avere un'opinione, sia per aver preso in giro l'occidentale e l'italiano medio con i suoi mille luoghi comuni.

My Little China Girl è stata davvero una bella lettura. Un po' breve, forse,  perché questo racconto di viaggio e il modo in cui è scritto sono talmente coinvolgenti e divertenti che si avrebbe voglia di leggerne ancora e ancora.

Consigliatissimo, anche se la cucina cinese non vi piace!


Titolo: My little China girl
Autore: Giuseppe Culicchia 
Pagine: 140
Anno di pubblicazione: 2015
Editore: EDT
Acquista su Amazon:
formato brossura:My little China girl
formato ebook:My Little China Girl

lunedì 7 dicembre 2015

Piccolo vademecum per regalare libri a Natale

Natale si avvicina! Domani è l’8 dicembre e finalmente quasi tutti faranno l’albero di Natale, e smetteranno di rompermi le scatole per averlo fatto con tre settimane di anticipo.

Oltre alle lucine e alle carole natalizie, inizia anche la corsa ai regali. Io parto sempre per tempo, odio ridurmi all'ultimo giorno a cercare che cosa comprare. Qualcosa mi manca ancora da acquistare, per carità, ma ho tutto sotto controllo, so già dove, come e quando andare a comprarlo.

Pare che quest’anno tra le cose più regalate in Italia ci saranno i libri. Bello, bravi, finalmente una buona notizia per l’editoria italiana. Gente che non ci ha mai messo piede, entrerà in libreria e uscirà con un libro.
Ma siamo proprio così sicuri che regalare un libro sia una cosa facile?
Per quanto mi riguarda, assolutamente no. Devi conoscere bene i gusti dell’altra persona, oltre ad avere ben chiaro che cosa abbia già letto e cosa no. Devi conoscerne anche le manie, ché magari un determinato libro non l’ha letto di proposti, perché, che so, non gli piace l’editore che l’ha pubblicato, non gli piace la copertina o qualcosa, per qualche motivo, non ispira. Insomma, le discriminanti sono tante e tutte andrebbero tenute in considerazione.
Non per niente io specifico sempre a chi me lo chiede quali libri mi piacerebbe ricevere e chiedo sempre una wish list alle persone a cui io ho in mente di regalarne.  Ti togli la sorpresa? Beh, sì. Ma volete mettere la sicurezza di regalare qualcosa che davvero piace e soprattutto la possibilità di dire, nel caso in cui il libro poi si riveli brutto per chi lo legge, “beh, te lo sei scelto tu”.

Dal momento che non voglio scoraggiare nessuno e davvero mi piacerebbe che i libri fossero il regalo di Natale più gettonato quest’anno, ho stilato un piccolo e personalissimo vademecum. Che magari non vi servirà a niente, ma magari invece vi farà riflettere un secondo in più prima di effettuare un acquisto.



  1. Se non siete lettori e non aprite mai un libro durante l’anno, non regalate un libro. Soprattutto a qualcuno che invece lettore è. Capisco che l’idea vi sembrerà geniale, perché “hey, a quello piacciono i libri!”, però il rischio di sbagliare è davvero alto.
  2. Se invece siete lettori e volete regalare un libro a un non lettore, state comunque mooolto attenti. A volte i nostri gusti e il nostro smisurato entusiasmo superano il nostro buon senso e ci ritroviamo a regalare libri che per un non lettore sono troppo difficili (non che il non lettore sia scemo, e ci mancherebbe altro! Però magari non è allenato alla varietà di stili e di generi e se gli regalate un Saramago senza punteggiatura andrà un pochino in crisi…). Pensate quindi a un libro che possa piacere a tutti, che sia scorrevole e che abbia qualcosa che possa attirare la persona a cui lo regalate. Se uno non è abituato a leggere, è difficile che si metta a farlo proprio a Natale, soprattutto se regalate un libro un po’ troppo particolare.
  3. Consultatevi con il destinatario del regalo, non proprio in modo diretto se amate le sorprese, apertamente e senza ritegno se invece preferite la sicurezza di un regalo azzeccato al trovarvi di fronte una sorpresa mista a sconforto (le parole si controllano, ma la faccia, quando si apre un regalo, è molto più difficile da gestire).
  4. Consultatevi anche con il libraio o la libraia dove acquisterete il libro. Solitamente, e soprattutto se sono librerie indipendenti, ma anche in molte di catena, sono anche loro lettori e hanno più o meno in mente che cosa potrebbe piacere e a chi.
  5. Nel dubbio, non comprate il libro del personaggio televisivo o del Fabio Volo/Bruno Vespa/ect etc... del momento, a meno che non siate davvero sicuri che al destinatario quel personaggio piaccia o possa fregare qualcosa di come quel tizio è arrivato dove è arrivato.
  6. Tenete conto dei vostri gusti, ma soprattutto di quelli del destinatario. Lo so che la tentazione di dire “beh, compro un libro che piace a me, così al massimo me lo leggo io” è molto forte, però non è nemmeno tanto giusto partire con questo presupposto. Comprate un libro che possa piacere soprattutto all’altro e poi magari anche a voi. Tanto un'idea dei suoi gusti la dovreste avere, se state pensando di fargli un regalo che non sia la solita candela o il solito docciaschiuma tappabuchi. Quindi dovreste sapere che cosa può piacergli e cosa no.
  7. I buoni regalo sono forse un po’ impersonali ma, se siete proprio nel panico, vi possono salvare la vita.
  8. Tenetevi buoni i fratelli, le sorelle, le mamme, i parenti, gli amici della persona a cui volete fare il regalo. Un piccolo consulto con loro prima dell’acquisto non può che far bene.
  9. Consultate internet. Ci sono un sacco di siti di recensioni (*messaggio autopromozionale*: tipo il mio! *fine del messaggio autopromozionale*) e un sacco di riviste e giornali che parlano di libri e che potrebbero darvi una  qualche indicazione su un libro o su un altro. Magari non riuscirete comunque ad azzeccare il libro giusto, ma almeno ci avete provato.
  10. Non lasciatevi abbindolare da fascette, copertine ammiccanti e frasi come “il caso editoriale dell’anno che ha scalato le classifiche di tutto il mondo”. A volte hanno un senso, la maggior parte delle volte sono solo frasi di marketing.
  11. In ogni caso, state tranquilli. Nessuna amicizia è mai finita per un regalo sbagliato, libro o non libro. Acquistate qualcosa che faccia felice voi e che faccia felice la persona a cui volete regalarlo. Alla peggio tra qualche anno vi prendere in giro a vicenda “per quella volta in cui mi hai regalato un libro di…". Alla meglio, gli avrete regalato un libro che ha cambiato la sua vita.


venerdì 4 dicembre 2015

Caro Marco, ho appena finito di leggere il tuo L'invenzione della madre...


Caro Marco,
ho appena finito di leggere il tuo L’invenzione della madre. L’ho chiuso dieci minuti fa, sì, dopo che mi ha fatto trascorrere due notti difficili. Dovrei scriverne la recensione, ma sapevo già quando l’ho iniziato che non ne sarei stata in grado.
D'altronde come si può scrivere una recensione di un libro così, di una storia così intima, così personale, come lo è perdere una persona cara? Nemmeno sullo stile potrei poi dire così tanto, perché il dolore di ogni persona ha uno stile tutto suo, sempre  e comunque valido.

E quindi, eccomi qui, a scrivere una sottospecie di lettera che non credo avrà poi alcun senso. E lo faccio subito, perché le cose dolorose preferisco affrontarle immediatamente, anziché rimandarle (che poi è il motivo per cui ho letto il tuo libro senza fermami).

Mi ci è voluto del tempo per decidermi a leggerlo. Mi è arrivato in casa nel momento in cui tutti ne parlavano, lo elogiavano, scrivevano recensioni colme di dolore (che tutti abbiamo un dolore più o meno grande nella nostra vita) e di commenti positivi per te e per il coraggio di raccontare. Ecco, quando tutti parlano così tanto e così bene di un libro, io tendo a rifuggirne, ad aspettare che l’entusiasmo un po’ scemi. Poi un altro pensiero ha preso forma nella mia mente: oddio, sarà mica un libro furbo, un libro alla Fai bei sogni di Gramellini, per intenderci, fatto apposta per far piangere e commuovere? Anche se l’editore che l’ha pubblicato avrebbe dovuto essere sufficiente come garanzia a farmi capire che non era così.
E poi forse un po’ avevo paura. Paura perché la storia di Mattia, la tua storia, porta inevitabilmente al ricordo di storie personali, un ricordo che c’è sempre, anche dopo quasi undici anni, ma che cerco di raccontare direttamente il meno possibile. Perché, come dicevo prima, ognuno ha il suo dolore da portare, ha la sua storia, ma non tutti vogliono raccontarne certi dettagli, certi particolari. 

Ti chiami come mio padre, sai? E per uno buffo scherzo del destino, anche il mio compagno si chiama come lui. È quella di mio padre, di mio papà, la grande perdita che ha segnato la mia vita. Un dolore forte, come lo è per chiunque il perdere una persona amata. Un dolore che resta lì, una ferita aperta, che a volte ti dimentichi di avere e altre volte invece fa un male cane.
Anche lui se n’è andato dopo una lunga malattia. Diversa da quella della madre di Mattia, di tua madre, anche se l’età era più o meno la stessa. E io di quegli anni ricordo tutto, perfettamente, anche senza averlo dovuto scrivere in un libro. Ricordo le parole dei medici in ospedale. Ricordo le visite in farmacia a ritirare scatoloni di farmaci. Ricordo l’imbarazzo degli altri a chiedere come andava e il cameratismo tra malati e tra parenti di malati. Ricordo quando è arrivato il letto e quando poi se lo sono portati via (credo di aver rotto il piede al tipo dell’ASL, mentre lo aiutavo a portarlo fuori). Ricordo il via vai degli infermieri a casa e dell’incredibile cotta che sia io sia mia sorella ci eravamo prese per il fisioterapista. Ricordo i tre giorni del funerale, tre giorni assurdi, in cui scegli la cassa, i fiori e tutto il resto come se stessi scegliendo un’auto. E ricordo tutto il dopo, fino ad oggi.
Per fortuna, ricordo anche tutte le cose belle che abbiamo fatto in quegli anni, nonostante tutto. E con il tempo, anche le cose fatte prima, quando lui stava bene e che sembravano un po’ dimenticate, schiacciate dalle difficoltà della malattia, con il tempo hanno iniziato a venire fuori. 

Poi ho letto il tuo libro e, come ti dicevo, ho passato due giorni d’inferno. Perché con la tua vita, la tua storia, sicuramente tuo malgrado, hai gettato del sale su quella ferita che ho dentro, facendola tornare di nuovo dolorosa. Ho pianto come non piangevo forse da allora, soprattutto quando hai raccontato i dettagli dell’ultimo viaggio.  È incredibile quanto nel dolore, alla fin fine, sia tutto uguale. Sembra assurdo, eppure i gesti sono gli stessi e le cose che si notano anche (il foulard, l’odore, la macchinetta refrigerante). 
E non riesco a esserti grata per tutto questo. Molti dicono che leggendoti hanno potuto fare i conti con un dolore del passato, forse sentendosi meno soli. E li posso capire, davvero. Io però no, io sono arrabbiata con te. Perché non ho bisogno di un libro per ricordarmi tutte quelle cose brutte. Non se ne andranno mai, per quanto la vita inevitabilmente continui. 

Capisco quanto possa essere stato importante per te scrivere questo libro. Così come capisco quanto possa essere importante per altre persone leggerlo, per sentirsi meno sole, perché forse il dolore quando è condiviso fa meno male. Ma io ho bisogno di libri che mi ricordino le cose belle di quello che è stato, nonostante tutto. Libri che non si concentrano su quel dolore, su quei giorni, ma che mi aiutino a riscoprire cose che invece a poco a poco quel dolore mi aveva fatto dimenticare.

Ma, mi dispiace, io non credo che mai lo rileggerò, non credo che mai lo consiglierò a chi mi chiederà se vale la pena leggerlo, soprattutto se so che cos'ha alle spalle chi me lo sta chiedendo. 
Non so perché mi sia venuta fuori questa lettera. Non ha nemmeno un senso, in realtà. Ma si è formata da sola, nella mia mente, man mano che andavo avanti con la lettura. Non è un libro furbo, fatto apposta per far piangere, di questo ti devo rendere atto e farti anche i complimenti, per essere riuscito a non cadere nel retorico (in realtà avresti anche potuto farlo, credo che il dolore autorizzi qualsiasi cosa). Però ecco, non è il libro di cui io personalmente ho bisogno per continuare a ricordare e ad andare avanti.

Mi spiace
Elisa


Titolo: L'invenzione della madre
Autore: Marco Peano
Pagine: 252
Editore: minimum fax
Anno: 2015
Acquista su Amazon
formato brossura:L'invenzione della madre
formato ebook: L'invenzione della madre

giovedì 3 dicembre 2015

COPIA-E-INCOLLA - Danny Wallace

Il nostro caro amico Oscar Wilde direbbe: sii te stesso, tutti gli altri sono già occupati.

Vi è mai capitato di essere stati lasciati da qualcuno importante per voi, un fidanzato, un amico, una qualsiasi persona cara, tramite un semplice messaggio? Niente spiegazioni, un semplice “ciao, me ne vado”, in tutte le sue possibili accezioni.
Sembra inconcepibile, che una persona che per voi è stata importante possa andarsene così, senza quasi spiegazioni. Eppure succede. Almeno, a me è successo. Ed è successo anche a Tom, il protagonista di Copia-e-incolla di Danny Wallace, pubblicato in Italia da Feltrinelli con la traduzione di Alice Pizzoli.

Certo, io ero semplicemente stata piantata per un’altra, mentre il povero Tom, che di mestiere legge le notizie mattutine in una radio locale, non ha mica capito che cosa la sua Hailey gli stava dicendo. Da quel “me ne vado ma non ti lascio” trovato sul tavolo in soggiorno, Tom inizia un suo viaggio, bislacco e profondo al tempo stesso, per cercare di capire cosa è successo. E soprattutto, chi è veramente Hayley. Inizia ascoltando i messaggi in segreteria, e da lì scopre di un certo Andy, con cui la sua ragazza si incontra al solito posto. Ovviamente, Tom ci va e scopre uno strano gruppo di sostegno, che raggruppa  persone che, incapaci di vivere la loro vita, per paura forse, imitano gli altri, seguono la massa. Ma nel senso letterale del termine. Puntano una persona che vorrebbero essere e la seguono, vanno dove va lei, mangiano quello che mangia lei. Tom si ritrova a essere seguito da Pia, una strana ragazza con un enorme parka blu, che lo convince a provare. Tom è scettico, ma poi si lascia convincere, anche dal forte legame che a poco a poco sta nascendo con questa ragazza. Che cosa nasconde? E, soprattutto, che cos'è che spinge le persone a comportarsi così?

Di Danny Wallace avevo già letto La ragazza di Charlotte Street. Un libro divertente, non troppo impegnativo, ideale per trascorrere qualche ora senza pensieri. E ho acquistato Copia-e-incolla, complice un'offerta in ebook, sicura di trovarmi di fronte allo stesso libro divertente, da leggere quando si ha voglia di staccare.

Non è stato così. Copia-e-incolla non mi è piaciuto. Per carità, l’idea alla base è buona, soprattutto in tempi in cui l’essere come gli altri, il conformarsi è più forte che mai e, quando spinto al limite, nasconde, solitamente, una fragilità, una debolezza, un’incapacità di accettare se stessi e gli altri. Così come è molto buona l’idea di partire da quello strano messaggio lasciato sul tavolo.
Eppure, qualcosa nel modo in cui Danny Wallace ha raccontato questa storia non mi ha convinto, nel modo in cui ha sviluppato tutte le storie che si era aperto. Ho trovato il libro confuso, con un mischiarsi di ironia quasi forzata (le avventure in radio di Tom fanno ridere, sì, ma alla lunga sono un po’ ripetitive) e una profondità di pensiero e di riflessioni che forse non è riuscito davvero a raggiungere.

Forse è colpa mia, che mi sono avvicinata a questa lettura con aspettative completamente diverse. Credevo fosse un libro leggero, un libro semplice e divertente, e invece mi sono ritrovata di fronte a una storia che cercava disperatamente di essere qualcosa di più. Senza però, riuscirci.

Comunque, dai messaggi lasciati sul tavolo e dalle storie finite male ci si riprende e si sopravvive, per fortuna. Così come alla lettura di libri brutti.

Titolo: Copia-e-incolla
Autore: Danny Wallace
Traduttore: Alice Pizzoli
Pagine: 363
Editore: Feltrinelli
Acquista su Amazon
formato brossura:Copia-e-incolla
formato ebook: Copia-e-incolla