Miles Heller ha ventotto anni e vive in
Florida. Ha poco, eppure ha tutto: l'amore di un'adorabile ragazza di
origini cubane, la passione trasmessagli dal padre per il baseball con
le sue storie fatte di destino e casualità, e i libri, "una malattia da
cui non vuole essere curato". Il lavoro non è un granché, d'accordo, ma
lui sembra farlo come se in quell'attività intuisse un misterioso legame
con la sua esistenza: affinché le banche possano rimetterle in vendita,
deve entrare nelle abitazioni abbandonate e fotografare gli oggetti che
gli inquilini vi hanno lasciato. Ma Miles ha una vita precedente da cui
negli ultimi sette anni è fuggito. E continuerebbe a farlo se il
destino (o il caso) non si mettesse in mezzo: Pilar, la sua ragazza, è
orfana e vive con le sorelle maggiori. Ed è minorenne. Così quando
decide di trasferirsi da Miles, lui deve avere il loro consenso che
ottiene corrompendo la più grande. Ma dopo qualche mese, Angela Sanchez
inizia a ricattarlo. A Miles non resta che cambiare aria per un po': in
fondo Pilar sarà presto maggiorenne e nulla potrà separarli. Si rivolge
all'unico amico con cui è rimasto in contatto, Bing, che insieme ad
altri tre ragazzi vive a Brooklyn, in una casa occupata in una zona
chiamata Sunset Park. Tornare a New York, la sua città natale, significa
fare i conti con i motivi che l'hanno spinto ad andarsene di casa,
significa chiarire definitivamente i motivi che hanno determinato la
morte del fratello Bobby.
Tra tutti gli autori americani contemporanei di un certo spessore che ho letto, Paul Auster è sicuramente quello che mi piace di più. Per carità, McCarthy con "La Strada" o Raymond Carver con "Cattedrale" hanno lasciato una traccia indelebile dentro di me e meritano davvero di essere letti (con DeLillo ho invece qualche problema, lo trovo troppo difficile da capire... o forse sono io troppo poco intelligente), però Paul Auster è quello con cui simpatizzo di più, quello di cui segno sempre almeno una citazione e che riesce sempre a trasmettermi qualcosa, anche quando magari un suo romanzo non mi è del tutto piaciuto. Credo che buona parte di questa mia simpatia derivi dal fatto che nei suoi libri ci sono sempre libri. A volte svolgono un ruolo fondamentale, come in "Follie di Brooklyn", a mio avviso un capolavoro imprescindibile, altre sono presenti sullo sfondo in modo quasi silenzioso ma che comunque influenza anche la trama, come in Moon Palace (bellissima la prima parte, noiosa e difficile la seconda) e come, appunto, in questo suo ultimo lavoro Sunset Park.
Una presenza quella dei libri che compare già dalle prime pagine, quando, descrivendo il protagonista Miles Heller, viene detta questa frase: "... ma alla fine i libri non sono tanto un lusso quanto una necessità, e
leggere è una malattia da cui non vuole essere curato...". Basterebbe già solo questo per farmi amare un libro. E ovviamente qui, non c'è solo questo.
Il protagonista è un ventottenne in fuga dal passato e dai sensi di colpa, dopo che il fratellastro è morto investito da un'auto, sotto la quale è finito dopo una sua spinta. Da quel momento Miles Heller perde se stesso, perde il suo scopo nella vita e trova nella fuga, un perigrinare da uno stato all'altro degli USA, la sua unica salvezza. Taglia i ponti con la sua famiglia, la madre attrice che lo ha abbandonato da piccolo e il padre, editore, in crisi con la moglie, madre del ragazzo investito. Miles rimane in contatto solo con Bing Nathan, suo compagno dell'Università, che ora vive da squatter in una casa di Sunset Park a New York insieme ad altre due ragazze.
E sarà proprio lì che Miles andrà a vivere, dopo che è costretto a lasciare la Florida e l'amore della sua vita, la giovane Pilar, perché lei ancora minorenne. Una volta tornato a New York, oltre a sviluppare i suoi rapporti con i suoi coinquilini, l'insicura Ellen, la studiosa Alice e appunto il suo amico Bing, deciderà che è giunta l'ora di riallacciare i contatti con il passato e di prendersi quelle responsabilità da cui è fuggito per anni. Fino all'inesorabile finale.
"Sunset Park" è un libro molto intenso, scritto con uno stile freddo e asciutto, e che analizza i diversi rapporti umani che possono crearsi nella vita: le coppie in crisi che rimandano il più possibile la resa dei conti, il bisogno di sicurezza e stabilità e come questo sia troppe volte difficile da trovare, soprattutto se il passato è troppo pesante da sopportare, la necessità di scoprire sé stessi perché il senso di smarrimento che si prova a un certo punto non ti fa più vivere, il dover prendersi le proprie responsabilità anche quando si vorrebbe solo fuggire, la forza dell'amore nonostante l'età e l'inesorabilità del nostro destino. E lo fa grazie a tanti fantastici personaggi, ognuno ben caratterizzato e ognuno con una sua particolarità, un tratto peculiare della personalità in cui chiunque potrebbe specchiarsi.
Molto bello, anche se non me ne intendo assolutamente, è il filo conduttore del baseball, un legame indissolubile tra padre e figlio che nemmeno sette anni di lontananza potrà spezzare. Così come ho apprezzato molto l'apparizione quasi casuale nella vita di tutti, in momenti e situazioni diverse, del film "I migliori anni della nostra vita", un altro piccolo legame tra questi personaggi tanto diversi tra loro.
Certo, almeno per quanto mi riguarda, non è all'altezza di "Follie di Brooklyn", che come dicevo già prima, considero un grandissimo capolavoro (da cui è tratta anche la frase che fa da sottotitolo a questo blog). Ma è comunque un romanzo molto bello e molto intenso, che ti conquista e che ti fa anche riflettere.
Consigliatissimo!
Nota alla traduzione: si trova spesso qualche termine un po' particolare, non di uso comune, ma credo siano scelte dello stesso Auster. Nulla da dire quindi!
Titolo: Sunset Park
Autore: Paul Auster
Autore: Paul Auster
Traduttore: Massimo Bocchiola
Pagine: 222
Ciao Elisa!
RispondiEliminaMi hai convinta...faccio un ordine da ibs e compro follie di brooklyn. Non me ne pentirò vero?
Sto leggendo di Ruiz Zafon "Il gioco dell'angelo" in lingua originale. Tu per caso l'avevi letto?
Silvia
Sono sicurissima che non te ne pentirai!! "Follie di Brooklyn" è fantastico già solo per le citazioni che ha!
RispondiEliminaSì, ho letto "Il gioco dell'angelo", anche io in lingua originale... molto meno bello rispetto a "L'ombra del vento" ma tutto sommato ancora leggibile e godibile... Ti sta piacendo?
L'ho finito proprio oggi. Mi è piaciuto ma non come l'ombra del vento che rimane un capolavoro, per me.
RispondiEliminaTi farò sapere quando finirò follie di brooklyn!
ciao condivido l'analisi e il commento su sunset park, anch'io sono un fan di asuster , tra i migliori menzionerei anche "invisible"...follie di brooklyun mi manca ...a questo punto lo prendo ;) andrea Treviso
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